Codice Civile art. 66 - Prova dell'esistenza della persona di cui è stata dichiarata la morte presunta.Prova dell'esistenza della persona di cui è stata dichiarata la morte presunta. [I]. La persona di cui è stata dichiarata la morte presunta, se ritorna o ne è provata l'esistenza, ricupera i beni nello stato in cui si trovano e ha diritto di conseguire il prezzo di quelli alienati, quando esso sia tuttora dovuto [535], o i beni nei quali sia stato investito [73]. [II]. Essa ha altresì diritto di pretendere l'adempimento delle obbligazioni considerate estinte ai sensi del secondo comma dell'articolo 63. [III]. Se è provata la data della sua morte, il diritto previsto nel primo comma di questo articolo compete a coloro che a quella data sarebbero stati i suoi eredi o legatari. Questi possono inoltre pretendere l'adempimento delle obbligazioni considerate estinte ai sensi del secondo comma dell'articolo 63 per il tempo anteriore alla data della morte. [IV]. Sono salvi in ogni caso gli effetti delle prescrizioni [2934 ss.] e delle usucapioni [1158 ss.]. InquadramentoGli effetti della dichiarazione di morte presunta cessano, retroattivamente, a seguito del ritorno del presunto morto, ovvero del definitivoaccertamento della sua esistenza in vita, a seguito di un giudizio a carattere contenzioso (cfr. l'art. 67) su richiesta del p.m. o di qualsiasi altro interessato in contraddittorio con coloro i quali abbiano preso parte al procedimento per la declaratoria di morte presunta. La dottrina ha avuto il pregio di distinguere le due fattispecie: (a) nel caso del mero ritorno o della prova dell'esistenza la persona di cui è stata dichiarata la morte presunta, sarà necessario provvedere alla rettificazione dei registri dello stato civile, ove è annotata la sentenza che dichiara(va) la morte presunta; (b) per il caso dell'accertamento della morte dello scomparso, prevarrà la data della morte naturale su quella della morte presunta, con salvezza degli effetti delle prescrizioni e delle usucapioni (Sgroi, 126). In particolare, in virtù dell' art. 66, commi 1 e 2, c.c. , se la persona dichiarata presuntivamente morta ritorna o ne è provata l'esistenza, ha diritto a rientrare nel possesso dei beni che gli appartenevano, nel frattempo assegnati agli aventi diritto (art. 64), «nello stato in cui si trovano», conseguendo eventualmente il prezzo di quelli alienati se ancora dovuto, ed ha altresì diritto a pretendere l'adempimento delle obbligazioni dichiarate estinte (art. 63). Se invece (art. 66 comma 3) è provata la data della sua morte naturale, sono riconosciuti diritti successori in favore degli eredi e legatari del presunto morto alla data della morte effettiva del de cuius. Di guisa che il soggetto che fa ritorno potrà legittimamente agire nei confronti degli eredi e dei legatari con le azioni di rivendica e di restituzione per il recupero di detti beni (Giorgianni, 134). Nel caso in cui tali beni siano stati ormai alienati, dovrebbe poter trovare applicazione il principio di cui all' art. 2038 c.c. , con gli opportuni adattamenti, ovvero in ultima analisi l'art. 2041 in tema di ingiustificato arricchimento). La disposizione è pertanto espressione del principio enunciato all' art. 535, comma 2, c.c. , in tema di possesso dei beni ereditari, secondo cui Il possessore in buona fede, che ha alienato pure in buona fede una cosa dell'eredità, è solo obbligato a restituire all'erede il prezzo o il corrispettivo ricevuto, mentre qualora il prezzo o il corrispettivo è ancora dovuto, l'erede subentra nel diritto di conseguirlo Il ritorno del presunto morto, ovvero il definitivo accertamento del suo decesso, determinano quindi un ripristino dello status quo ante, con efficacia retroattiva «attenuata» (come è stato notato da Sgroi, 126), a tutela della buona fede dei terzi, i quali sono obbligati a restituire al ritornato i beni non ancora alienati, ma «nello stato in cui si trovano», e sono altresì tenuti a restituire all'avente diritto il corrispettivo dell'alienazione, ma solo se «esso sia tuttora dovuto»: se ne desume, quindi che gli atti dispositivi eventualmente posti in essere dai presunti eredi e legatari sono, e rimangono, pienamente validi (Barillaro, 393; Bianca, 270, secondo cui, appunto, «rimangono fermi tutti gli atti gestione compiuti dai presunti successori del dichiarato morto, il quale subentra quindi nei rapporti costituiti»; per Giorgianni, 142, dovrebbe rilevare lo stato di buona o mala fede in capo ai legittimi possessori; contra, a quest'ultimo riguardo, Santoro Passarelli, 88, per il quale quindi è del tutto irrilevante lo stato soggettivo dei presunti successori del dichiarato morto). Chiaramente, l'erede o il legatario in mala fede, i quali, pur sapendo che il presunto morto era in realtà in vita, non abbiano provveduto ad una buona amministrazione dei beni in loro possesso, sono chiamati a rispondere dei danni cagionati al presunto morto che abbia fatto ritorno; mentre, quanto agli atti di disposizione dei beni, dovrebbero trovare applicazione le regole ordinarie sull'acquisto a non domino (art. 1153 c.c. per i mobili e 1159 c.c. per l'usucapione degli immobili), nelle quali la buona fede dell'acquirente è presunta, sicché il presunto morto potrà pertanto agire nei confronti dei terzi con un'azione di rivendicazione ovvero nei confronti degli eredi e dei legatari detentori dei suoi beni, salva l'esperibilità, nei confronti di tale ultima categoria di soggetti, delle azioni possessorie (in particolare, l'azione di reintegrazione: in questi termini, si v. Dogliotti, 471). A conferma di quanto detto in merito alla attenuata retroattività, vale quanto statuito dall'art. 66, comma 4, in base al quale sono «in ogni caso salvi gli effetti delle prescrizioni e delle usucapioni» eventualmente maturatesi a carico del morto presunto, ben potendo in questo caso risultare prescritti i diritti del dichiarato morto, e risultare usucapiti i beni dai loro legittimi possessori (Bianca, 270). La prova dell'effettivo decessoAl contrario, nel caso in cui sia provata la data effettiva della morte, e quindi si abbia certezza circa l'esito infausto, i diritti precedentemente esposti competeranno ai successori del morto, sia a titolo universale che a titolo particolare, i quali potranno altresì pretendere l'adempimento delle obbligazioni considerate estinte ( art. 66, comma 3, c.c. ). Secondo una parte della dottrina (Barillaro, 397; Dogliotti, 471), si è in presenza di una successione nello stesso diritto che sarebbe spettato al ricomparso, a ciò conseguendo il potere tanto degli eredi quanto dei legatari esperire le medesime azioni che sarebbero spettate al de cuius al momento del decesso (contra Giorgianni, 104). Si discute, altresì, se per il ripristino dello status quo ante sia necessaria una pronuncia giudiziale. A fronte di coloro che propendono per la tesi negativa (Giorgianni, 255 ss., secondo cui il giudizio in esame mira, più che altro, a provocare una statuizione dell'autorità giudiziaria diretta non già ad accertare semplicemente uno stato di fatto – ossia morte in data diversa, esistenza del dichiarato morto – contrario alla sentenza di dichiarazione di morte presunta, ma a porre nel nulla l'accertamento medesimo, sul presupposto dell'accertamento già raggiunto aliunde o anche da raggiungere nel giudizio medesimo, a seconda che si dimostri una data diversa della morte dello scomparso o si dimostri l'esistenza in vita dello scomparso; per Sgroi, 126, sebbene «Gli effetti della morte presunta restano ipso iure caducati qualora il dichiarato morto ritorni o ne sia provata l'esistenza», è anche vero che una pronuncia del giudice si palesa necessaria per la rettifica degli atti dello stato civile, in caso di ritorno, o comunque per una diversa decorrenza degli effetti successori, in caso di accertata morte naturale; in questi termini anche Dogliotti, 470, secondo cui «la dichiarazione di morte presunta si caducherebbe automaticamente con efficacia ex tunc» ), altri hanno sostenuto la tesi opposta, ritenendo necessaria la declaratoria da parte del giudice mediante la quale si accerti il ritorno del presunto morto (Bianca, 270; così anche Zatti, 1265, per il quale fin quando non viene emanata sentenza di revoca, trascritta nei registri di morte, lo scomparso continua a essere considerato morto): ciò soprattutto per non svuotare di significato il successivo art. 67, secondo cui, a riprova della necessarietà dell'accertamento del giudice, è legittimato a richiedere l'intervento del giudice, non solo al pubblico ministero, ma anche a qualunque interessato, «in contraddittorio di tutti coloro che furono parti nel giudizio in cui fu dichiarata la morte presunta». In virtù di tale ultima disposizione normativa, qualunque interessato nonché il p.m. hanno facoltà di richiedere l'emissione di un provvedimento (sentenza di mero accertamento, avente natura dichiarativa) che accerti l'esistenza o la definitiva morte del soggetto nei cui confronti è stata dichiarata la morte presunta, in contraddittorio di tutti coloro che furono parti di quel giudizio. In dottrina si sostiene il carattere contenzioso del procedimento in esame (Sgroi, 126). Secondo la Cass. sez. lav, n. 12034/1992 , ai sensi dell' art. 66 comma 2 c.c. , il pensionato, del quale sia stata dichiarata la morte presunta e successivamente provata l'esistenza, ha diritto al ripristino dell'obbligazione pensionistica estintasi per effetto della dichiarazione di morte presunta, non rilevando in contrario che, nel periodo intermedio, l'INPS abbia erogato la pensione di riversibilità al coniuge superstite, attese la distinzione delle posizioni soggettive dei due coniugi e la titolarità «iure proprio» del diritto alla pensione di riversibilità spettante per legge al coniuge superstite, ed essendo altresì da escludere (per la diversità e l'autonomia delle rispettive posizioni giuridiche) che l'istituto previdenziale possa operare una compensazione del suo debito verso il pensionato con il credito (dell'istituto medesimo) verso il coniuge che ha indebitamente percepito la pensione di riversibilità. BibliografiaV. sub art. 58 c.c. |