Codice Civile art. 413 - Revoca dell'amministrazione di sostegno (1).Revoca dell'amministrazione di sostegno (1). [I]. Quando il beneficiario, l'amministratore di sostegno, il pubblico ministero o taluno dei soggetti di cui all'articolo 406, ritengono che si siano determinati i presupposti per la cessazione dell'amministrazione di sostegno, o per la sostituzione dell'amministratore, rivolgono istanza motivata al giudice tutelare. [II]. L'istanza è comunicata al beneficiario ed all'amministratore di sostegno. [III]. Il giudice tutelare provvede con decreto motivato, acquisite le necessarie informazioni e disposti gli opportuni mezzi istruttori. [IV]. Il giudice tutelare provvede altresì, anche d'ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell'amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario. In tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda. In questo caso l'amministrazione di sostegno cessa con la nomina del tutore o del curatore provvisorio ai sensi dell'articolo 419, ovvero con la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione. (1) Articolo inserito dall'art. 3, comma 1, l. 9 gennaio 2004, n. 6, che ha inserito l'intero Capo in testa al titolo XII. Questo articolo, fino all'abrogazione ex art. 77 l. 4 maggio 1983, n. 184 era parte del titolo XI. InquadramentoLa norma in esame dispone che quando il beneficiario, l ' amministratore di sostegno, il pubblico ministero o taluno dei soggetti di cui all' articolo 406, ritengono che si siano determinati i presupposti per la cessazione dell' amministrazione di sostegno, o per la sostituzione dell' amministratore, rivolgono istanza motivata al giudice tutelare per ottenerne un provvedimento che dia atto della cessazione o disponga la sostituzione. A commento del disposto normativo, la dottrina ha ripartito le cause di cessazione della misura di protezione in due insiemi: cause operanti di diritto, automaticamente, rispetto a quelle che, per il loro operare e per la produzione di effetti giuridici, esigono una pronunzia giudiziale, di revoca (sulla quale v. infra) (Bonilini, 491; Roma, 573-574). L' effetto susseguente alla cessazione dell' amministrazione di sostegno (c.d. chiusura dell'a.d.s.) consiste nel riespandersi nella sua pienezza della capacità di agire del beneficiario. A ciò si aggiungono gli effetti pubblicitari connessi. In particolare, nel registro delle amministrazioni di sostegno tenuto dalla cancelleria dell' ufficio tutelare vanno annotati la data e gli estremi essenziali del decreto che dispone la revoca o la chiusura della misura (art. 49-bis , n. 4, att. c.c.). Ad analoga annotazione deve provvedere l ' ufficiale dello stato civile in presenza del decreto di chiusura (art. 405, ultimo comma, c.c.). Nel primo insieme, tra le cause di cessazione di diritto della misura che si determina di diritto, vi è anzitutto la morte della persona (e la dichiarazione di morte presunta), come pure la dichiarazione di assenza e la scomparsa. In questi casi la chiusura della procedura, con effetto ex nunc , si attua automaticamente al verificarsi della causa, per quanto un provvedimento formale di chiusura del procedimento vada sempre pronunziato da parte del giudice (Roma , 575). L' amministrazione di sostegno può avere durata temporanea, oppure, indeterminata, così come può riguardare – sotto un profilo oggettivo – il complesso di rapporti relativi al beneficiario, ovvero, un singolo atto o pochi individuati atti. Dispone l' art. 405, comma 5, n. 2), c.c. che « il decreto di nomina dell' amministratore di sostegno deve contenere l ' indicazione ... 2) della durata dell' incarico, che può essere anche a tempo indeterminato» . La disposizione costituisce coerente espressione, sul piano della durata della misura di sostegno, del principio cardine posto in esordio dalla l. 9 gennaio 2004, n. 6, la quale evidenzia che l ' amministrazione di sostegno « ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell' espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente» . Quando la durata della misura sia stata individuata sin dall' inizio, lo spirare del termine determina la caducazione automatica dell' ufficio protettivo, salva possibilità di proroga con decreto motivato del giudice tutelare, pronunziato in momento antecedente la scadenza, su iniziativa dell' amministratore di sostegno. Come si noterà infra , nell' ipotesi in cui il sostegno sia disposto a tempo indeterminato, la previsione normativa in oggetto si preoccupa di disciplinare la possibilità di revoca della misura o della sostituzione dell' amministratore. Altra causa di cessazione automatica operante col decorso del tempo è prevista dal terzo comma dell' art. 410 c.c., nell' ottica di non rendere eccessivamente gravoso l ' ufficio per un una persona estranea, non legata da vincoli parentali con l ' amministrato, laddove dispone che l ' amministratore di sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre dieci anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico è rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti. La revoca della misuraSia nell'ipotesi di nomina a tempo indeterminato, sia anche prima della scadenza del termine inizialmente individuato, il giudice tutelare con proprio decreto motivato può revocare la misura quando si siano determinati i presupposti di cessazione (art. 413, comma 1, c.c). La previsione normativa sembra distinguere due grandi categorie di eventi collegati alla revoca del sostegno: la positiva evoluzione del grado di autonomia del beneficiario (cui allude il primo comma) e l'aggravamento delle sue condizioni, di cui trovasi eco nell'ultimo comma, allorché si prevede la possibilità di chiusura dell'amministrazione con contestuale passaggio ad interdizione o inabilitazione. La revoca suppone che «si siano determinati i presupposti per la cessazione» della misura (comma 1); ovvero, che la persona affetta da patologia psichiatrica sia guarita, ovvero, che sia venuta meno l'incapacità gestionale ex art. 404 c.c. Il provvedimento suppone il riscontro del sopravvenire di un elemento di novità rispetto al pregresso accertamento, rebus sic stantibus, consacrato dal decreto di nomina (Bonilini, 514; Roma, 577). Quest'ultima fattispecie appare di residuale applicazione e legata a situazioni di tutela «estrema» del beneficiario, come si vedrà una volta affrontato il tema dei rapporti intercorrenti fra amministrazione di sostegno ed interdizione. In forza del richiamo operato dall' art. 411 c.c., alla fase « terminale» dell' amministrazione di sostegno si applicano le disposizioni affidate agli artt. 385-386 c.c., dettate in tema di conto finale dell' amministrazione, all' art. 387 c.c., concernente la prescrizione delle azioni relative all' ufficio, nonché all' art. 388 c.c., sull' annullabilità delle convenzioni concluse fra beneficiario ed amministratore prima del decorso di un anno dall' approvazione del conto. Una volta cessata l ' amministrazione, l ' amministratore non può più operare nell' interesse del beneficiario, in quanto il mandato legale/giudiziale conferitogli si è estinto e la persona, laddove ancora vivente, ha riacquisito piena capacità di agire. In via eccezionale si ammette che l' a.d.s. possa procedere al pagamento delle spese funerarie relative al funerale del beneficiario. Si argomenta dal principio secondo cui sussiste obbligo di continuare la gestione intrapresa finché l' erede non possa utilmente intervenire. Il principio sarebbe desumibile dal combinato disposto degli artt. 2028, comma 2, e 1728, comma 1, c.c. Quest' ultima norma precisa infatti che quando il mandato si estingue per morte o per incapacità sopravvenuta del mandante, il mandatario che ha iniziato l ' esecuzione deve continuarla, se vi è pericolo nel ritardo (Masoni , 624). Profili procedurali Da un punto di vista procedurale, la «revoca dell'amministrazione di sostegno», come si esprime la rubrica della norma, suppone un accertamento giudiziale in ordine alla persistenza dei presupposti della misura medesima. Il primo comma dell' art. 413 c.c. individua i soggetti legittimati ad avanzare istanza di revoca della misura . Il disposto normativo compie un diretto riferimento al beneficiario (il quale vede così confermata la propria perdurante capacità processuale nei procedimenti che lo concernono ai fini dell' adozione o meno di misure protettive), all' amministratore di sostegno ed al pubblico ministero. Vi è poi una ulteriore categoria di legittimati alla proposizione dell' istanza di revoca. La norma individua tali soggetti per relationem utilizzando una formula letterale non troppo felice, laddove si riferisce ai soggetti di cui all' art. 406 c.c. Quest'ultima disposizione, a sua volta, oltre a riferirsi al beneficiario , compie un ulteriore rinvio ai soggetti di cui all' art. 417 c.c., da cui si desume che legittimati a proporre l ' istanza in parola sono – oltre a quelli già citati – il coniuge o la persona che stabilmente convive con l' interessato, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo. Il generico rimando ai soggetti elencati nell'art. 406 c.c. compiuto dall'art. 413 c.c. deve intendersi riferito anche ai «responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona», a norma dell'art. 406 c.c. Proprio per la particolare vicinanza all'interessato ed alle specifiche competenze possedute, gli stessi possono avvedersi della sopravvenuta inidoneità od inutilità della misura di sostegno, potendo chiederne direttamente la revoca (per quanto, letteralmente, l'art. 406 c.c. rimandi ai detti responsabili come soggetti gravati di un obbligo di ricorso od informativa per la sola nomina dell'amministratore di sostegno) (Farolfi, op. cit., 239-240). Per quanto non esplicitamente menzionato, taluni ritengono che il giudice tutelare possa d'ufficio avviare il procedimento di revoca dell'amministrazione di sostegno (Bonilini, 514; Farolfi, 240), come parrebbe desumibile dalla generale facoltà di modifica ed integrazione del decreto di nomina, sancito dall'art. 407, comma 4, c.c., come pure da quanto previsto dall'ultimo comma dell'art. 413 c.c.: «il giudice tutelare provvede, altresì, anche d'ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell'amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario» Tale indicazione pare non essere tassativa, ma esemplificativa, di un generale potere di intervento officioso del giudice, nell'interesse del beneficiario, non nel solo caso di inidoneità della misura, ma anche in caso di semplice cessazione dei presupposti od utilità (Masoni, 625). Partecipi necessari al procedimento di revoca, anche ove non ne siano soggetti istanti, sono beneficiario ed amministratore di sostegno. Il ricorso per revoca va comunicato al pubblico ministero e ciò in virtù della sua legittimazione a proporre l'istanza di nomina (Farolfi, 240); per quanto l'omessa comunicazione dell'istanza di chiusura ad esso (Cass. n. 7241/2020), come pure all'amministratore di sostegno «non determini alcuna compromissione del suo diritto di difesa, né è soggetta a sanzione processuale» (Cass. n. 17032/2014). Il p.m. non ha un obbligo di comparizione, né all'udienza, né all'audizione del beneficiario. Non è questa la sede per occuparsi dei contenuti del ricorso, anch'esso, come quello avente ad oggetto l'apertura della procedura, non necessita di patrocinio difensivo obbligatorio (Farolfi, op. cit., 239). L'art. 413 c.c. ribadisce l'esistenza di ampi poteri istruttori largamente officiosi in capo al giudice tutelare, che deve provvedere sull'istanza (o concludere la propria autonoma iniziativa), una volta «acquisite le necessarie informazioni e disposti gli opportuni mezzi istruttori». Per procedere a revoca della misura assumono valenza dirimente non solo il «parere» dell'amministratore di sostegno, come pure il riscontro della presenza della patologia psichiatrica e la certificazione medica rilasciata da struttura pubblica (Masoni, 626). Risulta discussa la necessaria audizione del beneficiario nel corso della procedura di revoca. Pur non essendo letteralmente previsto, parrebbe che, anche nel procedimento di revoca, debba farsi luogo all'audizione del beneficiario, incombente doverosamente previsto dall'art. 407, comma 2, c.c. nel procedimento di apertura. La centralità della persona del beneficiario e l ' esigenza di non frustrare le sue esigenze ed aspirazioni resterebbero inevitabilmente travolte o non adeguatamente censite laddove non si provvedesse anche nel procedimento di revoca alla sua doverosa audizione personale (Farolfi, 241). D ' altro canto, se l' art. 473-bis.57 c.p.c. dispone che per la revoca dell'interdizione od inabilitazione «si osservano le norme stabilite nella presente sezione" e perciò quelle per la pronuncia di essea, fra cui deve ritenersi anche quelle in tema di esame di interdicendo od inabilitando; cosicché se, ancora, l'art. 473-bis, 58 c.p.c. rinvia fra gli altri anche all'art. 473-bis. 57 c.p.c., pare possibile concludere che sussista un dovere di procedere, in modo simmetrico, ad ascolto del beneficiario, non soltanto nel procedimento di nomina dell'amministratore ma, anche, in quello di revoca della misura (Masoni, 626). Il giudice tutelare provvede sull'istanza di revoca con decreto motivato. In relazione alla forma del provvedimento può ribadirsi che si tratta di provvedimento che, come quello di nomina dell'amministratore, appare inidoneo a formare un qualunque giudicato. Il decreto che provvede sull' istanza di revoca, al pari di quello di nomina, è soggetto a reclamo alla corte d' appello (oggi tribunale) e quest ' ultimo decreto pronunziato in sede di reclamo è suscettibile di ricorso per cassazione (Cass. n. 7241/2020) . è ammissibile il regolamento di competenza d'ufficio anche in sede di gravame, in quanto la proposizione dell'impugnazione davanti al giudice diverso da quello indicato dalla legge è idonea alla instaurazione di un valido rapporto processuale suscettibile di proseguire davanti al giudice competente per effetto della "translatio judicii" (Cass. VI, n. 32071/2018). Il necessario passaggio all'interdizione o all'inabilitazioneRimarcato come il discrimen fra l'istituto dell'interdizione e quello dell'amministrazione di sostegno abbia valenza esclusivamente qualitativa e non quantitativa (in altri termini non fondata sulla maggiore o minore capacità del beneficiario), appare chiaro come l'ipotesi delineata dall'ultimo comma dell'art. 413 c.c. abbia più che altro portata da scuola e si riveli meramente teorica. La disposizione è norma di «chiusura» del sistema, destinata a far fronte a casi del tutto eccezionali (Farolfi, 242 R. Rossi, 101, considera questa ipotesi "extrema ratio in presenza (applicabile) di situazioni eccezionalmente gravi")). Dispone l'ultimo comma della norma che il giudice tutelare provvede altresì, anche d'ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell'amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario. In tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda. In questo caso l'amministrazione di sostegno cessa con la nomina del tutore o del curatore provvisorio ai sensi dell'art. 419, ovvero con la dichiarazione di interdizione o inabilitazione. In concreto è più che altro ipotizzabile che, ad un maggior deficit cognitivo o funzionale del soggetto, segua un ampliamento del novero degli atti che l'amministratore può compiere da solo nell'interesse dell'incapace, attraverso revoca/modifica parziale del decreto di nomina di cui all'art. 405 c.c. Nel caso di insorgenza di gravi dissidi insorti fra beneficiario e d amministratore o fra quest' ultimo ed i parenti dell' interessato, il « passaggio» all' interdizione appare quasi sempre soluzione sconsigliabile, oltreché inutilmente « vessatoria» per l ' interessato. Quale soluzione alla conflittualità ed alle dispute parentali non incidenti sulla capacità del beneficiario, è ipotizzabile la sostituzione dell' amministratore anche attraverso il ricorso a figure professionali « terze », ovvero, alla nomina, per i profili patrimoniali più rilevanti, di un consulente destinato ad affiancare all' amministratore di sostegno o della figura del co-amministratore. Nonostante la dizione lessicale che parrebbe conferire un potere discrezionale (« in tale ipotesi, (il g.t.), se ritiene che si debba promuovere il giudizio di interdizione o di inabilitazione...»), si afferma che in realtà la stessa vada intesa nel senso dell' obbligatorietà del passaggio all' interdizione, non essendo « pensabile che il beneficiario rimanga sguarnito di ogni forma di tutela» (Roma, 580). Nelle limitatissime ipotesi in cui, tuttavia, l ' indicata previsione normativa dovesse trovare applicazione, l ' art. 413 c.c. richiama il principio della domanda onde pervenire ad interdizione dell' infermo di mente (già ) sottoposto ad amministrazione di sostegno. Mentre il g.t. può anche d ' ufficio disporre la cessazione della misura di sostegno, lo stesso non può direttamente pronunziare l ' interdizione del beneficiario, dovendosi limitare a riferirne al P.M., al quale compete il potere di promuovere il giudizio di interdizione sottoposto alla cognizione del tribunale in composizione collegiale. In tale ipotesi, non si verifica la cessazione automatica della misura, occorrendo attendere la nomina di un tutore o curatore provvisorio o la pronunzia di interdizione od inabilitazione (Roma, 581; Campese, 403). Potrebbe tuttavia accadere che il tribunale non condivida l ' azione intrapresa dal P.M. ed in tal caso provveda al rigetto della domanda con contestuale trasmissione degli atti al giudice tutelare, al quale spetterà una nuova valutazione di quelle esigenze di protezione del beneficiario che lo stesso aveva inizialmente ritenuto inidonee od insufficienti. Sostituzione dell'amministratoreSotto l'impropria rubrica di «revoca dell'amministrazione di sostegno», il primo comma della norma si occupa della sostituzione dell'amministratore di sostegno. Le ipotesi di cessazione dall'ufficio di amministratore per l'esigenza di sostituzione di quello già nominato possono essere molteplici. Si consideri anzitutto la morte dell'amministratore o la sua sopravvenuta incapacità. Premesso che a quest'ultimo caso appare applicabile l'art. 350 c.c. — in forza del già citato rinvio contenuto nell'art. 411 c.c. — la dottrina ha notato che: «la sopravvenuta incapacità dell'amministratore di sostegno, cioè a dire l'insorgenza di un fatto che, se preesistente alla sua nomina, avrebbe portato a considerarlo incapace all'assunzione dell'ufficio, comportando l'inidoneità a svolgere la funzione, giustifica la sua sostituzione». In forza dell'art. 410, ultimo comma, c.c., «l'amministratore di sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre dieci anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico è rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti». In forza del rinvio per compatibilità alle disposizioni dettate in tema di tutela, contenuto nell'art. 411 c.c., deve ritenersi che la cessazione dall'ufficio possa determinarsi in seguito a dispensa ovvero ad esonero disposti dal giudice tutelare (rispettivamente ex artt. 351-352 ed art. 383 c.c.), nonché, per rimozione dell'amministratore resosi colpevole di negligenza o abuso nel «mandato» ricevuto, il quale abbia dimostrato inettitudine nell'assolvimento dei compiti, sia divenuto immeritevole di fiducia od insolvente (a norma dell'art. 384 c.c.). In tal caso il giudice può provvedere anche d'ufficio, pur dovendo rispettare il contraddittorio con l'amministratore da sostituire e, in casi di particolare urgenza e gravità, anche prima di averlo sentito, può procedere alla sospensione dall'ufficio (Masoni, 629). Il decreto di sostituzione, a differenza del decreto di revoca della misura, è insuscettibile di ricorso per cassazione, dato che ha natura meramente ordinatoria ed amministrativa: “è inammissibile il ricorso per cassazione, a norma dell'art. 720-bis, ultimo comma, c.p.c., avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di rimozione e sostituzione ad opera del giudice tutelare di un amministratore di sostegno, avendo tali provvedimenti carattere meramente ordinatorio ed amministrativo e dovendo riferirsi tale norma soltanto ai decreti, quali quelli che dispongono l'apertura o la chiusura dell'amministrazione, di contenuto corrispondente alle sentenze pronunciate in materia di interdizione ed inabilitazione, a norma dei precedenti art. 712 ss., espressamente richiamati dal comma 1 dell'art. 720-bis" (Cass. 10187/2011, in Foro it., 2011, 10, 1, 2731; GC, 2011, 9, I, 1998). BibliografiaBonilini, in Bonilini, Tommaseo, Dell'amministrazione di sostegno, Milano, 2008; Campese, Il giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli, Milano, 2008; Farolfi, Amministrazione di sostegno, Milano, 2014; Masoni, Il giudice tutelare, Milano, 2018; Roma, in Amministrazione di sostegno, interdizione, inabilitazione, a cura di Salito, Matera, Padova, 2013; R.ROSSI, Amministrazione di sostegno: questioni e soluzioni, Milano, 2019. |