Codice Civile art. 427 - Atti compiuti dall'interdetto e dall'inabilitato.

Francesco Bartolini

Atti compiuti dall'interdetto e dall'inabilitato.

[I]. Nella sentenza che pronuncia l'interdizione o l'inabilitazione, o in successivi provvedimenti dell'autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall'interdetto senza l'intervento ovvero con l'assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l'ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall'inabilitato senza l'assistenza del curatore (1).

[II]. Gli atti compiuti dall'interdetto dopo la sentenza di interdizione possono essere annullati su istanza del tutore, dell'interdetto o dei suoi eredi o aventi causa [119, 266, 471, 774, 1425]. Sono del pari annullabili gli atti compiuti dall'interdetto dopo la nomina del tutore provvisorio [419 3], qualora alla nomina segua la sentenza d'interdizione.

[III]. Possono essere annullati su istanza dell'inabilitato o dei suoi eredi o aventi causa gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione fatti dall'inabilitato, senza l'osservanza delle prescritte formalità, dopo la sentenza di inabilitazione o dopo la nomina del curatore provvisorio [419 3], qualora alla nomina sia seguita l'inabilitazione [776].

[IV]. Per gli atti compiuti dall'interdetto prima della sentenza d'interdizione o prima della nomina del tutore provvisorio si applicano le disposizioni dell'articolo seguente.

(1) Comma premesso dall'art. 9 l. 9 gennaio 2004, n. 6.

Inquadramento

Il primo comma dell'art. 427 è stato inserito dalla l. 9 gennaio 2004, n. 6, che, nel modificare profondamente la normativa degli istituti di protezione degli incapaci vi ha introdotto il principio della conservazione, per quanto possibile, della loro autonomia nelle relazioni di rilievo giuridico. La disposizione dettata nel comma citato consente di adattare il provvedimento di interdizione o di inabilitazione alla persona del soggetto che ne è destinatario quando è ravvisabile una sfera di residua capacità nonostante la pronuncia limitatrice a suo carico. L'interdetto può essere autorizzato a compiere alcuni atti di ordinaria amministrazione personalmente, senza l'intervento del tutore o con la sola assistenza del tutore. L'inabilitato può essere autorizzato a compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione senza l'assistenza del curatore. Le autorizzazioni del giudice valgono a personalizzare il trattamento che consegue alle pronunce di perdita o di riduzione della capacità di agire, secondo la ratio ispiratrice del citato intervento legislativo.

Le autorizzazioni

Le autorizzazioni possono essere contenute nella sentenza che pronuncia l'interdizione o l'inabilitazione oppure in successivi provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Non viene specificato, a proposito di questi possibili provvedimenti successivi, quale ne debba essere la forma e chi sia legittimato a prenderne l'iniziativa. Le sentenze di interdizione e di inabilitazione sono assunte «allo stato degli atti» e possono essere modificate e revocate in dipendenza del mutamento dei fatti che ne avevano fornito il fondamento. I successivi atti modificatori, di rilascio di autorizzazioni a compiere atti di persona, implicano il sopraggiungere di nuove circostanze: i miglioramenti nelle condizioni dei soggetti incapaci o, quanto meno, una riconsiderazione in senso favorevole delle loro condizioni.

Le modifiche successive devono essere disposte con sentenza. Ed essa non può che essere sollecitata dagli stessi soggetti che, a norma dell'art. 417 c.c. sono legittimati a proporre la richiesta di interdizione e di inabilitazione.

In ogni caso, le autorizzazioni devono essere riferite ad atti specificamente determinati e descritti, dei quali si è ravvisata la compatibilità con la residua capacità psichica del soggetto interessato. Gli atti contemplati possono essere ripetitivi.

La Corte di cassazione ha affermato che secondo una interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 357 e 414 c.c., all'interdetto deve essere consentito, per il tramite del rappresentante legale, il compimento di atti personalissimi, ben potendo l'esercizio del corrispondente diritto rendersi necessario per assicurare la sua adeguata protezione. Nella specie la Corte ha ammesso il tutore dell'interdetto a chiedere per l'interdetto la separazione giudiziale dalla moglie.

Annullamento degli atti posti in essere dall'interdetto

Il secondo comma dell'art. 427 stabilisce nella annullabilità degli atti compiuti la sanzione conseguente al compimento di attività di rilevanza giuridica ad opera dell'interdetto che non rientrino tra quelle eventualmente autorizzate specificamente. La regola è la stessa che è stabilita dall'art. 1425 c.c.: possono essere annullati gli atti posti in essere in presenza della situazione formale di dichiarata incapacità. Pertanto:

- possono essere annullati gli atti compiuti dall'interdetto dopo la sentenza di interdizione;

- possono essere annullati gli atti compiuti dall'interdicendo dopo la nomina del tutore provvisorio sempreché alla nomina consegua poi la sentenza di interdizione.

La nozione di «atti», cui si riferisce la disposizione citata ricomprende sia i contratti che gli atti unilaterali. La dottrina concorda nel ritenere che debba trattarsi comunque di atti negoziali; ma esprime poi opinioni diverse in ordine alla possibilità di annullamento anche degli atti che, pur a contenuto patrimoniale, non comportano obblighi a carico dell'interdetto. Le questioni dibattute riguardano soprattutto la donazione e la rinuncia, tipici atti di disposizione di beni del patrimonio.

Alcuni Autori (Scardulla, 949) hanno sostenuto che la donazione a favore dell'interdetto non è annullabile perché l'incapace donatario non subisce alcun pregiudizio dal suo atto di accettazione e dunque manca il presupposto per l'azione di annullamento. Si oppone da più parti (ad es., Forchielli, 50) che il regime dell'invalidità prescinde dal requisito del pregiudizio e che il legislatore, ai fini di una efficace tutela dell'interdetto, ha predisposto una disciplina univoca e riferita ad ogni atto negoziale, così che siano evitate distinzioni opinabili e incertezze di ordine pratico.

Del resto, va osservato che la donazione è un contratto, come tale richiedente l'accettazione della parte destinataria della prestazione. La prestazione del relativo consenso non può che seguire le regole dettate in genere per la validità delle manifestazioni di volontà di chi è stato dichiarato interdetto.

Analoghe considerazioni sono svolte a proposito della rinuncia, tanto per l'eventualità che essa abbia ad oggetto la dismissione di un diritto quanto per il caso in cui essa si riferisca ad un onere o a un obbligo, così avvantaggiando l'incapace (Forchielli, 51).

Il riferimento della locuzione «atti» agli atti negoziali ha consentito di escludere dal novero dell'annullabilità gli atti che non hanno natura negoziale e gli atti nei quali si estrinsecano le libertà della persona nella vita quotidiana, e che erano tradizionalmente ricondotti ad una nozione di «contrattualità minima»: comprendente gli atti di modesto valore economico e tipici delle necessità elementari, quali l'acquisto del cibo, dei farmaci, dei giornali e l'utilizzo dei servizi pubblici. Esigenze di ordine pratico hanno indotto da tempo a ritenere che queste attività possano essere compiute dall'interdetto senza lo stretto controllo e la presenza del tutore, spesso materialmente impossibile e comunque controproducente ai fini della semplice protezione dell'incapace. Una opprimente vigilanza rischia di trasformare la protezione in una discriminazione che isola l'incapace dal contesto sociale. La questione che poi si pone a proposito della validità degli atti minimi così posti in essere riguarda la possibilità di annullare il relativo contratto, soprattutto quando esso risulta pregiudizievole all'incapace. Per alcuni studiosi l'annullabilità deve essere ammessa, quale regola generale e quale contrappasso per la limitatissima capacità di agire riconosciuta all'interdetto. Per altri deve farsi applicazione dell'art. 428 c.c., in tema di incapacità naturale (Bianca, 259).

Per quanto riguarda gli atti personalissimi, il fatto che alcune leggi speciali ne consentano all'interdetto il compimento in situazioni particolari (tra esse, la l. n. 194/1978 , , sull'interruzione della gravidanza), è considerato da una parte della dottrina quale conferma dell'opinione che vede l'incapace legittimato in genere a porre in essere quegli atti che, per essere strettamente personali, non possono essere effettuati dal tutore: a meno che l'interdetto non abbia più alcuna capacità di discernimento (Bianca, 237; Napoli, 252; Bruscuglia, 21; Forchielli, 47). In questo ordine di idee si ammette che l'interdetto munito della capacità di discernimento minima possa aderire ad un partito politico, entrare in una associazione, abbracciare una religione o chiedere il mutamento di sesso (Lisella, 117). Una consistente corrente di pensiero offre una diversa ricostruzione.

Si afferma (Venchiarutti, 303; Scardulla, 949) che anche gli atti personali sono annullabili, mentre sono nulli quelli compiuti dal tutore. In particolare, per gli atti a contenuto patrimoniale si deve distinguere. Se essi sono onerosi per l'incapace gli atti sono annullabili; se non comportano oneri, il fatto che essi avvantaggino l'incapace li rende validi (Scardulla, 949). Sul punto, tuttavia, non si riscontra uniformità di vedute posto che per alcuni Autori l'atto rimane comunque annullabile, anche se vantaggioso (Forchielli, 50). Si concorda nel ritenere che sono validi gli atti materiali, quali il possesso di un bene o l'acquisto di un bene a titolo originario nonché gli atti di disposizione del proprio corpo che non rientrano nella nullità di cui all'art. 5 c.c.

La legittimazione all'azione di annullamento è espressamente conferita dal secondo comma dell'art. 427 c.c. al tutore, all'interdetto, agli eredi e agli aventi causa dell'interdetto. Per il tutore la legittimazione deriva dalla sua veste di legale rappresentante dell'incapace, deputato alla cura della sua persona e dei suoi interessi. Per l'interdetto il riconoscimento della titolarità dell'azione sottintende la sussistenza di una sua residua capacità ad esprimere una volontà di rilievo giuridico. Gli eredi e gli aventi causa sono coloro che possono risentire i pregiudizi dell'atto compiuto e che hanno interesse a difendersi.

La presunzione di incapacità è assoluta ed è legata alla pronuncia giudiziale che ne ha fatto accertamento. Non è quindi possibile dimostrare che in relazione ad un certo atto sussisteva la capacità di intendere, per la presenza di un lucido intervallo (Venchiarutti, 274; Forchielli, 48).

  Nel caso in cui la stipulazione di un negozio giuridico costituisca effetto diretto della consumazione del reato di circonvenzione di incapace, ravvisandosi una violazione di norme di ordine pubblico, l'atto deve essere dichiarato radicalmente nullo per violazione di norme imperative (Cass. n. 7785/2016).

Per Cass. n. 7469/2024 la parte convenuta per l'esecuzione del contratto può far valere, in via di eccezione e anche per la prima volta in appello, il vizio di incapacità del contraente determinante l'annullabilità del contratto. Il pagamento effettuato al creditore incapace da un adiectus solutionis causa non libera dall'obbligo il debitore che a costui ha affidato l'esecuzione della prestazione (Cass. n. 6368/2024).

La disciplina processuale dettata dagli artt. 712 ss. C.p.c. è stata soppressa dalla riforma del processo civile introdotta dal D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, e da questo provvedimento è stata trasportata negli artt. 473-bis. 52 ss. c.p.c. Uguale trattamento hanno subito gli artt. 732 – 734 c.p.c., riguardanti le disposizioni relative ai minori, agli interdetti e agli inabilitati, trasferite negli artt. 473-bis.64 – 473-bis.66.

La normativa codicistica non detta norme relative alla prescrizione dell'azione di annullamento. I contrasti dottrinari riguardano unicamente la decorrenza del termine prescrizionale, concordemente individuato in quello di cinque anni. Per alcuni occorre distinguere: se l'atto è stato compiuto dopo la sentenza di interdizione, l'azione si prescrive dopo cinque anni dal compimento dell'atto, altrimenti la decorrenza inizia dal giorno della pubblicazione della sentenza (Bruscuglia, 23). Per altri Autori deve farsi applicazione dell'art. 1442, secondo comma, c.c., per il quale, quando l'annullabilità dipende da incapacità legale, il termine decorre dal giorno in cui è cessato lo stato di interdizione o di inabilitazione (Bianca, 259; Forchielli, 48). Secondo questa impostazione, la prescrizione dell'azione di annullamento non riguarda il tutore, perché egli cessa dall'incarico non appena ha fine lo stato di interdizione; per l'interdetto il termine prescrizionale inizia a decorrere dalla pubblicazione della sentenza che revoca la sua interdizione. Quando è stato nominato un tutore provvisorio, l'azione di annullamento è esperibile soltanto dopo la pronuncia che dichiara l'interdizione: e da tale momento inizia a maturare la prescrizione dell'azione.

 Cass. n. 14781/2009 ha affermato che il termine di prescrizione dell'azione di annullamento decorre, ai sensi dell'art. 1441, secondo comma, c.c., dalla data di cessazione dell'incapacità legale e non da quella di compimento dell'atto annullabile. Nello stesso senso si era pronunciata Cass. n. 2221/1969.

Atti compiuti dall'inabilitato

L'art. 427, terzo comma, fa riferimento ad una distinzione tra atti di ordinaria amministrazione e di straordinaria amministrazione che non trova definizione nel codice ma che è largamente impiegata dalla normativa di diritto sostanziale. Alle nozioni acquisite in proposito dalla dottrina e dalla giurisprudenza occorre rifarsi per l'interpretazione della norma citata, che dispone la sanzione dell'annullabilità per il compimento, da parte dell'inabilitato, di atti di straordinaria amministrazione senza l'osservanza delle previste formalità: e ciò sia quando è stata pronunciata la sentenza di inabilitazione e quando è stato nominato il curatore provvisorio. In taluni casi è il diritto positivo a fornire una indicazione, come avviene con riguardo alle locazioni ultranovennali, definite espressamente dall'art. 1572 c.c. atto eccedente l'ordinaria amministrazione. In altri casi i criteri differenziali sono affidati a valutazioni che contrappongono atti di tipo conservativo o di godimento ad atti di consumazione del patrimonio.

A questi ultimi alcuni Autori equiparano la maggior parte delle attività di amministrazione dei beni immobili (Napoli, 257). Altri studiosi sostengono che devono essere considerati di straordinaria amministrazione gli atti per i quali occorre l'autorizzazione del giudice tutelare o del tribunale, ai sensi degli artt. 374 e 375 c.c., richiamati dall'art. 424 c.c.

Per le sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. S.U., n. 9217/2010), l'assistenza del curatore all'inabilitato è necessaria anche quando l'attività processuale della parte assume i caratteri dell'atto di ordinaria amministrazione, perché, a prescindere dall'opinabilità della qualificazione in tali termini dell'attività nel processo, l'art. 394, comma 2, c.c., richiamato dall'art. 424 c.c., stabilisce che l'inabilitato può stare in giudizio con l'assistenza del curatore, senza distinguere a seconda dell'attività che egli intenda svolgere. È nullo il procedimento, e la relativa sentenza che lo conclude, se l'inabilitato è stato in giudizio senza l'assistenza del curatore e il giudice non abbia rilevato il difetto di assistenza, con assegnazione di un termine per la costituzione del curatore (Cass. n. 4580/2009).

L'inabilitato può stare in giudizio come attore e come convenuto con l'assistenza del curatore: è pertanto inammissibile la domanda giudiziale che sia proposta soltanto dal curatore, ancorché nell'interesse dell'inabilitato, atteso che il curatore ha soltanto funzioni di assistenza e di supporto, e non di rappresentanza (Cass. n. 5775/2009; Cass. n. 5359/1992).

Bibliografia

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