Codice Civile art. 419 - Mezzi istruttori e provvedimenti provvisori.Mezzi istruttori e provvedimenti provvisori. [I]. Non si può pronunziare l'interdizione o l'inabilitazione senza che si sia proceduto all'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando [714 c.p.c.]. [II]. Il giudice [40 att.] può in questo esame farsi assistere da un consulente tecnico [61 c.p.c.]. Può anche d'ufficio disporre i mezzi istruttori utili ai fini del giudizio, interrogare i parenti prossimi dell'interdicendo o inabilitando e assumere le necessarie informazioni. [III]. Dopo l'esame, qualora sia ritenuto opportuno, può essere nominato un tutore provvisorio all'interdicendo o un curatore provvisorio all'inabilitando [420, 422; 714, 716 c.p.c.]. InquadramentoIl procedimento di interdizione o di inabilitazione si svolge attraverso una fase istruttoria finalizzata ad accertare la sussistenza dei presupposti che legittimano la pronuncia oggetto di richiesta. Momento fondamentale di questa fase è l'esame diretto dell'incapace, condizione essenziale perché l'interdizione o l'inabilitazione possano essere dichiarate. L'esame diretto è preteso dalla legge quale strumento che consente la verifica immediata dello stato della persona. Le sensazioni visive e auditive forniscono il primo riscontro di una verifica che deve avvenire cercando di instaurare un dialogo con l'interessato, per averne la misura della sua relazionabilità con la realtà circostante e con gli altri. L'esame è affidato all'iniziativa del giudice, che può farsi assistere da un consulente tecnico. Il giudice pone le domande rivelatrici delle capacità di orientarsi nel tempo e nello spazio, di riconoscere le persone e i rapporti con esse, nonché di distinguere il valore del denaro e di risolvere i comuni problemi domestici. L'esame non ha uno scopo inquisitorio ma è finalizzato a valutare, attraverso un contatto diretto, la capacità di intendere e di volere della persona esaminata (Spangaro, 401; Forchielli, 35). L' art. 419 c.c. non detta ulteriori specificazioni, che la disciplina in materia lasciava alle norme processuali di cui agli artt. 714 e 715 c.p.c., attualmente abrogate. Esse prevedevano l'esame, all'udienza di comparizione e presente il pubblico ministero, dell'interdicendo o dell'inabilitando; l'assunzione delle altre persone citate e interrogate sulle circostanze ritenute rilevanti ai fini della decisione; e l'assunzione d'ufficio di ulteriori informazioni nell'esercizio di tutti i poteri istruttori indicati nell'art. 419 c.c. Soccorreva poi l' art. 715 c.p.c. per il caso in cui l'interdicendo o l'inabilitando non poteva recarsi nell'ufficio del giudice per esservi esaminati, a causa di un legittimo impedimento. Era allora il giudice (giudice istruttore), unitamente al pubblico ministero, a raggiungere il soggetto nel luogo in cui si trova. Questa disciplina è stata sostituita dal disposto dell'art. 473-bis.54 introdotto dalla riforma del processo civile di cui al d.lgs. n. 149/2022. Esso (per i procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023) riprende integralmente il testo dell'art. 714, in un primo comma; aggiunge che l'udienza per l'esame si svolge in presenza (così vietando, ma solo in linea di principio) udienze a distanza o mediante deposito di note scritte); e rende più completa la disciplina del caso di impossibilità di comparizione dell'interdicendo o dell'inabilitando. Questa impossibilità può porsi come un legittimo impedimento o come prospettazione di un grave pregiudizio nel caso di comparizione. E, valutata ogni circostanza, il giudice istruttore può disporre che l'udienza si svolga mediante collegamento audiovisivo a distanza, specificandone le modalità esecutive. Il legittimo impedimento non è da intendere, per la dottrina, in senso rigoroso o formalistico e può essere costituito anche dalla stessa ripulsa a comparire dovuta alle condizioni mentali o di salute (Cass. n. 4650/1979). È imprescindibile l'adempimento istruttorio dell'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando nei procedimenti di interdizione e di inabilitazione, a tutela dell'individuo sottoposto a siffatto procedimento (Trib. Roma, 4 aprile 2016, n. 6853). Questioni interpretativeLe questioni interpretative lasciate aperte dall'art. 419 riguardano il vero e proprio rifiuto di sottoporsi all'esame e l'irreperibilità dell'esaminando. Dal rifiuto, secondo alcuni studiosi, possono essere desunti argomenti di prova (Forchielli, 37; Scardulla, 849). Il Bruscuglia (14) osserva che il rifiuto è atto da valutare con di per sé, essendo un atto neutro, ma accertandone le cause e le motivazioni. L'irreperibilità non è considerata ragione suscettibile di paralizzare il corso del procedimento. Essa va valutata nel contesto delle altre risultanze. In entrambe le situazioni, di assenza dell'esame dell'incapacitando, la pronuncia di interdizione o di inabilitazione può avvenire soltanto se i presupposti ne risultino palesi. Nel caso in cui nel frattempo risulti un pericolo per il patrimonio, può essere nominato il tutore o il curatore provvisorio. Si controverte sulla possibilità che il giudice abbia il potere di delegare l'esame ad altro giudice (art. 203 c.p.c.). La norma del codice di rito civile indica la delega come un atto dovuto quando il mezzo di prova deve essere assunto fuori della circoscrizione del tribunale, nella palese esigenza del rispetto dei rispettivi ambiti di competenza. Nonostante l'evidente chiarezza della disposizione, sono state espresse opinioni nel senso dell'inammissibilità della delega, soprattutto sull'assunto dell'importanza che l'esame diretto riveste per colui che deve compiere l'accertamento e riferirne al tribunale ai fini della decisione (Spangaro, 402). Per altri, la delega è concedibile, conformemente al disposto della norma codicistica di applicazione generale (Bruscuglia, 13; Scardulla, 848). Se l'interdicendo insiste nel rifiuto a sottoporsi all'esame, il giudice deve darne atto a verbale, nel quale descrive il comportamento tenuto dal soggetto; e l'esame può aversi per compiuto (Cass. n. 4650/1979). Se l'esame deve essere assunto fuori dalla circoscrizione del tribunale la sua effettuazione può essere delegata al giudice competente per territorio (Trib. Cagliari, 28 febbraio 1994, in Giur. it., 1994, 1, 2, 858). Nello stesso senso si è espresso il Trib. Nola 11 ottobre 2006, in Giur. mer., 2008, 2, 378, nota di Amendolagine), per il quale trovano applicazione le regole generali vigenti in materia di prova delegata ai sensi dell'art. 203 c.p.c., trattandosi di un mezzo di prova tipico previsto dal legislatore nei procedimenti in materia di capacità delle persone. L'obbligo del giudice di valutare le risultanze dell'esame dell'interdicendo o inabilitando effettuato in primo grado viene meno quando, a distanza di anni, in sede di gravame, è eseguita una consulenza tecnica e perciò l'esito dell'esame stesso è da ritenersi non più attuale; in questo caso non viola l' art. 419 c.c. il giudice d'appello che, anche senza apposita motivazione, non tiene conto delle risultanze di detto esame e basa le sue conclusioni solo sulla consulenza di ufficio disposta in sede di gravame(Cass. n. 6975/11991). L'esame dell'interdicendo ha solo una valore orientativo per il giudice, ai fini dell'istruttoria e della valutazione dell'opportunità di provvedere alla nomina di un tutore provvisorio; e rimane superato dalle statuizioni della sentenza che, all'esito delle valutazioni cliniche specialistiche di consulenti tecnici ritenute necessarie e senza omettere la specifica e diretta valutazione di quanto sia risultato dall'esame di persona dell'interdicendo, dichiari l'interdizione (Cass. n. 1206/1984). La sentenza non può omettere una specifica e diretta valutazione, sia pure concisa, di quanto è risultato dall'esame dell'interdicendo (Cass. n. 1037/1972). I mezzi istruttoriL'art. 419 c.c. consente al giudice di disporre d'ufficio mezzi istruttori, di interrogare i parenti prossimi dell'interdicendo o dell'inabilitando e assumere le necessarie informazioni. Il procedimento ha carattere inquisitorio e affida all'organo procedente la ricerca e l'assunzione di tutti gli elementi che occorrono a fondare la decisione. L'ampia sfera di poteri affidata al giudice fornisce gli strumenti utili a compiere un accertamento pieno e rispondente alla realtà dei fatti. Deve tuttavia escludersi che possa essere deferito o comunque raccolto il giuramento, per l'indisponibilità degli interessi in causa; così come deve negarsi efficacia alla eventuale confessione (del resto di assai poco praticabile spazio). Le modalità dell'assunzione dei mezzi istruttori sono del tutto informali, in una procedura lasciata all'iniziativa del giudice. L'art. 714 c.p.c. forniva succinte indicazioni per l'effettuazione di una istruzione preliminare; provvede attualmente l'art. 473-bis.54 secondo cui il giudice relatore procede all'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando, sente il parere delle persone citate e dispone, se del caso, anche d'ufficio l'assunzione di ulteriori informazioni. L‘esame dell'interdicendo rappresenta il momento centrale e in linea di principio indispensabile nella procedura che conduce alla decisione. Il citato art. 473-bis.54 consente al giudice di disporre che l'udienza si svolga mediante collegamento audivisivo a distanza, previa adozione delle modalità idonee ad evitare condizionamenti. La disposizione è intesa a rendere quanto più possibile la concreta effettuazione dell'esame, a tutela dell'interdicendo; l'art. 152-octies disp. att. c.p.c. ha disposto che le modalità (tecniche) del collegamento da remoto sono individuate e regolate con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi del Ministero della giustizia. Nel procedimento per interdizione o inabilitazione il giudice può utilizzare gli accertamenti peritali e le prove raccolte nel corso del processo per circonvenzione di incapace e può integrare gli elementi suddetti con gli ulteriori atti e fatti dedotti nel corso del giudizio civile (Cass. n. 15128/2000). Nel giudizio di interdizione i parenti e gli affini dell'interdicendo non hanno qualità o veste di parti in senso proprio, avendo essi un compito «consultivo» e cioè di fonti di utili informazioni per il giudice. Cass. 15346/2000 ha tratto da questa premessa l'affermazione per cui i predetti, ove non intervenuti né chiamati in primo grado e pur facoltizzati ad impugnare la prima sentenza con il dedurre fatti e informazioni indebitamente pretermesse per effetto della loro esclusione, non sono ammessi a dedurre in sede di legittimità, e per la prima volta, pretesi vizi correlati alla loro esclusione. Il Trib. Roma 19 gennaio 2017, n. 931, ha riaffermato il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione e nella sua pronuncia, con riferimento alla vicenda di specie, ha ritenuto che, non sussistendo la veste di parti necessarie, nessun vizio poteva discendere dalla mancata notifica del ricorso nei confronti di altri nipoti e cognate dell'interdicendo, pur indicati in atti, posto che costoro, ove costituiti, non avrebbero apportato alcun ulteriore elemento necessario ai fini della valutazione della domanda, in base a quanto già acquisito al giudizio. Tutore provvisorio e curatore provvisorioL'art. 419, terzo comma, autorizza il giudice a nominare, dopo aver assunto l'esame dell'incapacitando, un tutore provvisorio o un curatore provvisorio qualora ciò sia ritenuto opportuno. La competenza alla nomina spetta in primo luogo al giudice istruttore (come si desume dal riferimento al previo esame dell'interdicendo o dell'inabilitando, che è da lui compiuto). Non senza contrasti dottrinari si ritiene che abbia competenza anche il tribunale, quando pronuncia la sentenza: si trae argomento in proposito dal dettato dell'art. 718 c.p.c., che accenna ad una nomina avvenuta con la sentenza (Bruscuglia, 16). Il provvedimento di nomina ha spiccata funzione cautelare ed ha lo scopo di affidare la responsabilità di atti da compiere e la cura dell'incapace a persona di fiducia durante il tempo necessario alla pronuncia definitiva. In tal senso la nomina ha carattere provvisorio ed è destinata ad essere assorbita in quella definitiva, quando l'incapacità è effettivamente accertata e dichiarata. Nel caso in cui l'interdizione o l'inabilitazione non venga pronunciata, gli atti compiuti medio tempore dal tutore o dal curatore provvisori rimangono efficaci, per la necessità di riconoscere che essi furono posti in essere in presenza di condizioni di legittimità (Scardulla, 945). La nomina può protrarre i propri effetti pur dopo la sentenza di rigetto della domanda di interdizione o di inabilitazione (art. 422 c.c.). La nomina del curatore provvisorio all'inabilitando anticipa cautelarmente gli effetti della sentenza definitiva e priva, pertanto, l'inabilitando della capacità di stare in giudizio senza l'assistenza del curatore, tranne che per gli atti del procedimento di inabilitazione: in questo, per la specifica disposizione dell'art. 716 c.p.c., egli può stare in giudizio e compiere da solo tutti gli atti del procedimento anche quando è stato nominato il curatore provvisorio (Cass. n. 9634/1994). Nello stesso senso il Trib. Salerno 12 maggio 2004 che ha dichiarato inammissibile l'istanza cautelare di sequestro giudiziario presentata in proprio da persona inabilitata). Cass. n. 14781/2009 ha affermato che l'atto posto in essere da un soggetto, dopo che allo stesso, nel corso di un procedimento di interdizione, è stato nominato un tutore provvisorio, è annullabile perché compiuto da un soggetto legalmente incapace, tutte le volte in cui il procedimento nel corso del quale è intervenuta la nomina del tutore provvisorio si concluda con la dichiarazione di interdizione. Restano irrilevanti le vicende che vengono a verificarsi nel corso del procedimento, quali la revoca della nomina del tutore provvisorio successivamente al compimento dell'atto e la contestuale nomina di un curatore provvisorio. La partecipazione del pubblico ministeroL'art. 714 c.p.c. dispone che il giudice istruttore procede all'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando con l'intervento del pubblico ministero. Il successivo art. 715 c.p.c. prevede che, nell'impossibilità dell'interdicendo o dell'inabilitando a presentarsi al giudice istruttore, sia questi a recarsi nel luogo in cui si trova, insieme al pubblico ministero. Queste norme disegnano dunque una attività che deve essere compiuta in forma congiunta, dai due organi dell'amministrazione giudiziaria. La realtà attuativa ha condotto a prassi notevolmente diverse. Si reputa sufficiente, infatti, trasmettere gli atti all'ufficio del pubblico ministero in modo da metterlo in grado di presenziare, se lo crede. Con la comunicazione degli atti si considerano osservate le condizioni di legge. La giurisprudenza meno recente aveva interpretato in modo rigoroso il disposto delle norme citate Cass. n. 11175/2003 aveva affermato che l'intervento del pubblico ministero all'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando costituisce, in considerazione delle conseguenze che il procedimento è diretto a produrre, un atto dovuto per l'ufficio e che nessun margine di discrezionalità gli è attribuito al riguardo; con la conseguenza che, ove la sua partecipazione non abbia luogo, si verifica una nullità insanabile a norma dell'art. 158 c.p.c. La pronuncia chiariva anche che la nullità colpiva la sentenza ma non anche gli altri atti istruttori compiuti; e che il giudice del gravame doveva procedere alla rinnovazione dell'atto e decidere nel merito. In seguito, Cass. n. 3708/2008 è andata in diverso avviso. Essa ha affermato che la mancata partecipazione del pubblico ministero all'esame personale dell'interdicendo non determina la nullità della sentenza se sono state osservate le norme che ne impongono a pena di nullità l'intervento. La reiterata previsione di intervento personale, di cui agli artt. 714 e 715 c.p.c., per la Corte, non può essere letta come introduttiva di una imposizione di presenza condizionante la stessa validità del rapporto processuale ma solo come previsione di una presenza — tanto nell'aula di udienza quanto in ambiente esterno — qualificata dall'interesse pubblico ed autorizzata alla partecipazione attiva all'indagine personale quand'anche la partecipazione al processo non si sia (ancora) tradotta in una comparsa di costituzione. La pronuncia avalla l'orientamento che più in generale concerne l'interpretazione e l'applicazione dell'art. 70 c.p.c., che affida al pubblico ministero ampia discrezionalità nel modulare il proprio intervento anche quando esso è obbligatorio. In questo senso se era già espressa Cass. n. 15346/2000. La normativa del rito unificato in materia di stato delle persone, di minori e di famiglia sembra avere assunto un orientamento più attento. L'art. 473-bis.54 ribadisce nel primo e nel terzo comma che il giudice opera con l'intervento del pubblico ministero e dispone che, in mancanza di provvedimenti specifici, l'udienza di comparizione e di esame deve svolgersi in presenza. BibliografiaAmadio, Macario, Diritto di famiglia, Milano 2016; Bartolini, La riforma del processo civile, Piacenza, 2023, p. 98; Bianca, Diritto civile, I, Milano, 2002; Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, 10° ediz., Torino; Bonilini, Manuale del diritto di famiglia, 10° ediz. 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