Codice Civile art. 375 - [Autorizzazione del tribunale] 1 .[Autorizzazione del tribunale]1. [I]. [ Il tutore non può senza l'autorizzazione del tribunale [732 c.p.c.]: 1) alienare beni, eccettuati i frutti e i mobili soggetti a facile deterioramento [376]; 2) costituire pegni o ipoteche; 3) procedere a divisioni o promuovere i relativi giudizi; 4) fare compromessi e transazioni o accettare concordati. [II]. L'autorizzazione è data su parere del giudice tutelare [377] ]. [1] Articolo abrogato dall'art. 1, comma 7, lett. b), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". InquadramentoSi premette che la presente disposizione è stata abrogata con effetto dal 28 febbraio 2023, ad opera dell’ art. 1, comma 7, lett. b, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. In forza della predetta abrogazione Giudice tutelare è compentente, per i procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023 a pronunciare l’autorizzazione per il compimento degli atti previsti dall’art. 375 c.c. Le osservazioni relative alla casistica di atti autorizzabili sono pertanto mutuabili anche in relazione al commento dell’art. 374 c.c. La responsabilità tutoria, in cui si sostanziano i compiti di cura, rappresentanza ed amministrazione, è costituita dal complesso di poteri spettanti al tutore nei confronti del minore. Questi, in particolare, attengono sia alla persona che al patrimonio del pupillo, ed hanno “natura funzionale in quanto il loro esercizio, cui è assoggettato il minore, è dovuto nell'interesse di questo “(l'espressione virgolettata è di De Cupis, 448). La disposizione di cui all'art. 357 c.c. attribuisce, in particolare, al tutore tre distinti poteri/doveri: 1) aver cura del minore; 2) rappresentare il minore in tutti gli atti civili; 3) amministrarne i beni. Di talché, si può affermare che la rappresentanza del tutore, trovando fonte nella legge, costituisca un'ipotesi di rappresentanza legale. È stato in merito condivisibilmente affermato infatti che, poiché il minore si trova in uno stato di incapacità di agire assoluta, l'amministrazione del suo patrimonio non può che essere affidata a terzi, che siano in condizione di curarne gli interessi patrimoniali svolgendone le attività materiali, negoziali e processuali a tal fine necessarie (De Cristofaro, 1076). L'attività del tutore, che non è delegabile, è peraltro sottoposta a penetranti controlli da parte del Giudice tutelare sia con riferimento alle decisioni inerenti la cura del minore sia con riferimento alla gestione del suo patrimonio, proprio in considerazione della sua estraneità alla famiglia del tutelato ed alla consequenziale minore fiducia del legislatore nei suoi riguardi. Tali controlli, in particolare, si esplicano anche attraverso la sottoposizione degli atti di straordinaria amministrazione, di cui agli artt. 374 e 375 c.c., alla preventiva autorizzazione dell'Autorità giudiziaria. Il tutore può difatti compiere autonomamente solo gli atti di ordinaria amministrazione mentre è tenuto a chiedere l'autorizzazione al Giudice tutelare o al Tribunale per quelli individuati dalle disposizioni poc'anzi citate, e per quelli che producono i medesimi effetti sul patrimonio del minore. Con riferimento agli atti posti in essere dal tutore, così come per quelli posti in essere dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, si pone quindi il problema di stabilire quando un atto sia di ordinaria o di straordinaria amministrazione, tanto più che nella tutela, a differenza di quanto previsto per i minori in potestate non è stata prevista una clausola generale che disciplini gli atti non espressamente indicati (l'art. 320 c.c. estende la necessità dell'autorizzazione infatti anche agli «altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione»). La qualificazione di atto come di ordinaria amministrazione determina come immediata conseguenza che possa essere posto in essere discrezionalmente dal tutore senza che sia necessaria l'autorizzazione del Giudice tutelare, nei casi disciplinati dall'art. 374 c.c., ovvero del Tribunale nei casi disciplinati dall' art. 375 c.c Tra le diverse tesi che sono state sostenute in dottrina, dell'integrità del patrimonio, della teoria del rischio, della teoria del rischio economico, la teoria del reddito capitale ed infine la teoria dell'interpretazione normativa, appare meritevole di considerazione e condivisione quest'ultima. Essa, muovendo dal presupposto secondo cui è lo stesso legislatore a non porre una rigorosa distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, ed a collocarlo nell'una o nell'altra categoria in relazione alle necessità della tipologia di amministrazione cui inerisce, esclude la possibilità di rinvenire un criterio unitario di distinzione. Sicché, si ritiene che il tutore, oltre agli atti espressamente previsti dalle singole disposizioni del codice, sia tenuto a chiedere l'autorizzazione per compiere atti che per natura siano tali da produrre effetti analoghi o simili a quelli disciplinati dal legislatore nelle disposizioni di cui agli artt. 374 c.c. e 375 c.c (Dell'oro, 198, Bucciante 562, Santarcangelo, 620 e 182 per l'analitica ricostruzione delle diverse tesi esistenti). Con specifico riferimento alla disposizione in commento si evidenzia in particolare che il legislatore individua alcuni atti che, diversamente da quelli previsti dall'art 374 c.c., non possono essere posti in essere dal tutore se non autorizzati dal Tribunale, previo parere del Giudice tutelare. Gli stessi atti elencati dall' art. 375 c.c. sono peraltro, con riferimento al minore sottoposto a responsabilità genitoriale, autorizzati dal Giudice tutelare con un procedimento meno formale. La diversa opzione del legislatore, con riferimento al minore sottoposto a tutela, si giustifica in considerazione della minore fiducia riposta nel tutore (De Cupis, 478), persona non appartenente, di regola, al nucleo familiare. Nel dettaglio i negozi disciplinati dall' art. 375 c.c. sono, come quelli disciplinati dall'art. 374 c.c., atti di straordinaria amministrazione ma incidono sul patrimonio del minore in modo differente. Gli atti previsti dall' art. 375 c.c., in particolare, hanno una natura differente rispetto a quella riconosciuta a quelli di cui all'art. 374 c.c. Essi sono difatti caratterizzati: 1) da una efficacia «produttiva di acquisto a favore di terzi con corrispondente perdita a carico del minore» (n. 1 dell' art. 375 c.c.); 2) da un efficacia «sostitutiva della quota ideale del diritto del minore con l'individuazione di una porzione materiale di tali beni» (n. 3 dell' art. 375 c.c); 3) da un efficacia «sostitutiva della giurisdizione dello stato nelle controversie» in cui è parte il minore (n. 4 dell' art. 375 c.c.; De Cupis, 477). Tale efficacia è sintomatica di una speciale gravità dell'atto, valutata dal legislatore come necessitante un controllo non solo da parte del Giudice tutelare ma, soprattutto, della previa autorizzazione del Tribunale in composizione collegiale (in questo senso De Cupis, 477). Ed è proprio essa che rende opportuna una più solenne forma di autorizzazione. A ben vedere sia la disposizione in commento che quella contenuta nell'art. 374 c.c. disciplinano atti di straordinaria amministrazione ma prevedono due diversi procedimenti autorizzativi nonché due diverse autorità competenti. Secondo parte di dottrina, diversamente, la differenza esistente tra gli atti disciplinati dall'art. 374 c.c. e quelli di cui all'art. 375, sarebbe quindi data dalla maggiore rilevanza economica degli atti previsti dalla norma in commento (Bucciante, 722). Deve osservarsi tuttavia che tra gli atti elencati dall'art. 374 c.c. vi possono essere negozi che, per la concreta situazione esistente, sono capaci di incidere sul patrimonio del minore in modo anche più significativo rispetto ad uno degli atti indicati nell'art. 375 c.c. Si pensi, a tal riguardo, alla rinuncia ad un'eredità che può incidere, in astratto, negativamente sul patrimonio del minore (in questo senso De Cupis, 477, l'autore in particolare evidenzia che la diversità sarebbe dovuta alla differente natura degli atti di cui all' art. 375 c.c. sopra indicata; si veda altresì Dell'Oro, 213). L'elencazione contenuta dalla disposizione in commento secondo la dottrina dominante non ha carattere tassativo, sebbene nell' art. 375 c.c. non vi sia una previsione analoga a quella di cui all'art. 320 c.c. che estende la necessità di autorizzazione agli altri atti di straordinaria amministrazione (Bucciante, 722). Tale conclusione è condivisibile tenuto conto che vi sono numerosi atti aventi la medesima gravità di quelli ivi previsti e per i quali appare pertanto necessaria la preventiva autorizzazione del Tribunale, tanto più che, altrimenti, si porrebbe il minore sottoposto a responsabilità genitoriale in una posizione deteriore rispetto al minore in tutela. La norma in esame, secondo la dottrina, è quindi suscettibile di applicazione analogica dovendosi ricomprendere nel relativo elenco anche la rinuncia all'ipoteca, la fideiussione ed il mandato di credito (Dell'Oro 203; De Cupis, 473 per quest'ultimo anche l'assunzione di obbligazioni cambiarie; diversamente, Jannuzzi, 419, ritiene che le stesse rientrino nella previsione dell'art. 374 c.c.). Muovendo da queste premesse l'interprete non avrà quindi difficoltà nello stabilire se un atto sia o meno di straordinaria amministrazione ma nell'individuare quale sia l'Autorità giudiziaria competente a pronunciare la relativa autorizzazione. Saranno pertanto di ausilio i criteri interpretativi sopra indicati sicché dovranno essere presi in considerazione gli effetti dell'atto: se analoghi a quelli di cui all' art. 375 c.c. sarà competente il Tribunale diversamente il Giudice tutelare. Per converso, la Suprema Corte ha ritenuto che l'elencazione effettuata dal legislatore sia tassativa (Cass. II, n. 11748/2003, nella fattispecie è stato escluso che il negozio di accertamento potesse rientrare tra gli atti previsti dagli artt. 374 c.c. e 375 c.c da ultimo in questo senso Cass. III, n. 8461/2019). Il procedimentoLa domanda è presentata con ricorso dal tutore (tale atto non è peraltro delegabile a terzi, Dell'Oro, 216) al Tribunale ordinario, ex art. 38 disp. att. c.c. Il ricorso può essere presentato, oltre che dal tutore anche da solo dal protutore, in caso di esercizio delle sue funzioni vicarie, non sono a tal fine legittimati il Pubblico ministero, il minore o il terzo contraente (Dell'Oro, 217). Secondo parte di dottrina il tutore non dovrebbe dimostrare che l'atto da porsi in essere, diversamente da quanto previsto dall'art. 320 c.c., sia necessario o evidentemente utile per il patrimonio del minore mentre altri autori ritengono che la mancata espressa indicazione dei citati requisiti non esima il giudice dal valutarne la sussistenza (per la prima tesi Dell'Oro, 199; per la seconda Santarcangelo, 623). Il Tribunale provvede condecreto motivato, acquisito il parere del Giudice tutelare, secondo le modalità indicate dalla disposizione in commento. È opportuno chiedersi quale sia la natura dell'autorizzazione pronunciata dal Tribunale. Essa è intesa quale presupposto di validità dell'atto che incide sulla legittimazione a compierlo integrandola (Jannuzzi, 268), avente la funzione di rimuovere un ostacolo posto dall'ordinamento all'esercizio del potere di amministrazione di cui sia già titolare il soggetto (Dell'Oro, 233, Jannuzzi, 269). L'autorizzazione, inoltre, deve precedere l'atto non potendo il suo difetto essere supplito da una autorizzazione successiva alla stipulazione del contratto (così Bucciante, 574). L'autorizzazione del Tribunale, nel dettaglio, non è diretta a conferire efficacia ad un negozio giuridico già formato ma ha la funzione di rimuovere un ostacolo che impedisce il compimento dell'atto, così rappresentando un elemento costitutivo ed indispensabile del negozio stesso. Sicché, essa deve esistere al momento della conclusione del negozio non potendo essere supplito da una autorizzazione successiva (Cass. III, n. 541/1969). Per quanto concerne l'assenza del parere del Giudice tutelare si è ritenuto, in una decisione risalente ma non contraddetta, che esso determini la nullità del decreto in quanto costituisce un elemento essenziale dell'istruttoria (in questo senso Cass. II, n. 3407/1959, in Foro it., 1960, I, 393). Qualora peraltro l'autorizzazione venisse concessa erroneamente dal Giudice tutelare, in luogo del Tribunale, potrebbe valere quale parere favorevole (Cass. II, n. 2255/1963, in Giust. civ., 1963, I, 2322). In merito all'aspetto appena evidenziato, per la Suprema Corte quando un atto di alienazione deve essere autorizzato dal Tribunale su parere del Giudice tutelare le funzioni dei due organi devono essere tenute distinte, risolvendosi l'una, quella del giudice tutelare, nell'espressione di un semplice parere, essendo l'altra, quella del Tribunale, veramente integrativa della capacita dispositiva della parte ed indispensabile per la formazione del negozio, la mancanza del parere non può essere opposta per inficiare, nei rapporti del terzo di buona fede, il provvedimento di autorizzazione ad alienare. Qualora, invece, il provvedimento di autorizzazione sia stato emesso dal Giudice tutelare in luogo del Tribunale, il provvedimento stesso può essere considerato alla stregua di un parere favorevole all'alienazione, dato non correttamente sotto la forma dell'autorizzazione all'alienazione medesima. Pertanto esso non legittima l'alienazione, essendo mancata l'autorizzazione del Tribunale che, invece, deve esistere al momento della conclusione del negozio. Nella specie si trattava di alienazione di una quota ereditaria immobiliare spettante ad un minore, la Suprema Corte non aveva potuto esaminare la questione del coordinamento tra l'art. 747 c.p.c. e l'art 320 c.c. perché non era stato impugnato il punto della sentenza della Corte di merito che aveva ritenuta necessaria l'autorizzazione prescritta dall'art 747 c.p.c. (Cass. II, n. 2255/1963, in Giust. civ., 1963, I, 2322). L'autorizzazione inoltre legittima, e non obbliga, il tutore a compiere l'atto. Sicché, in quanto l'efficacia del provvedimento non è soggetta a termini, si pone il problema di stabilire cosa accada qualora trascorra un considerevole lasso di tempo tra la data del provvedimento autorizzativo ed il suo compimento. Si ritiene, ai fini della validità dell'atto, che debbano rimanere immutate le circostanze di fatto che hanno condotto il giudice a concedere l'autorizzazione (Santarcangelo, 669; Dell'Oro, 217). Qualora esse siano mutate sotto il profilo oggettivo (si pensi ad un significativo aumento di valore del bene da alienare) ovvero sotto il profilo soggettivo (si pensi alla cessazione del conflitto di interessi tra il tutore ed il pupillo) appare necessario presentare una nuova istanza all'Autorità giudiziaria. Il decreto pronunciato dal Tribunale può essere reclamato, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione, dinanzi alla Corte d'appello nella cui circoscrizione si trova l'autorità giudiziaria che ha pronunciato il decreto e contro la decisione della Corte d'appello non è ammesso ricorso per Cassazione atteso che trattasi di un decreto sempre modificabile e revocabile, salvi i diritti dei terzi, ex art. 742 c.p.c. (in merito Santarcangelo, 668). L'alienazione di beniIl numero 1) dell'art. 375 c.c. prevede che il tutore debba chiedere l'autorizzazione al Tribunale per alienare i beni del minore, salvo che si tratti di frutti e dei beni mobili soggetti a facile deterioramento. Questi ultimi non sono disciplinati neanche dall'art. 374 c.c. sicché si ritiene che per la loro alienazione non sia necessaria alcuna autorizzazione (Dell'Oro, 222). Il termine alienare è più ampio del termine vendere, sicché rientrano nella disposizione in commento tutte le ipotesi di trasferimento (cessione, rinuncia, vendita, permuta etc.) di beni mobili e immobili, nonché di costituzione di diritti reali sugli stessi, effettuate a titolo oneroso dal minore in favore di terzi (Dell'Oro, 220; De Cupis, 479) con esclusione dell'alienazione gratuita essendo oggetto della specifica disciplina di cui all' art. 777 c.c. Anche gli atti di acquisto a titolo oneroso di beni immobili e mobili, di cui all'art. 374 c.c., comportano un'alienazione, implicando l'ingresso del bene e contestualmente l'uscita dal patrimonio del minore del denaro necessario per l'acquisto. Tuttavia, a differenza del denaro, i beni che escono dal patrimonio del minore di cui all' art. 375 c.c. sono considerati beni di sicuro e stabile e rendimento, ciò giustifica ulteriormente la circostanza secondo cui è il Tribunale e non il Giudice tutelare a concedere l'autorizzazione (De Cupis, 479). Anche il patto di famiglia, di cui all' art. 768 c.c., deve essere autorizzato dal Tribunale in composizione collegiale. Esso infatti costituisce un atto di straordinaria amministrazione perché, ottenendo la liquidazione della propria quota, il legittimario perde l'azione di riduzione sul bene trasferito. Da ciò in particolare consegue che, benché la partecipazione al patto di famiglia non comporti immediati effetti traslativi sul patrimonio del legittimario incapace, di fatto si aliena all'assegnatario la porzione di legittima al tutelato altrimenti spettante sull'azienda di famiglia. Sicché, l'autorizzazione alla relativa stipulazione è di competenza de Tribunale e non del Giudice tutelare. In tali termini si è espresso il Trib. Reggio Emilia, giudice tutelare, n. 257/2012, che ha dunque espresso parere favorevole al compimento dell'atto declinando la competenza in favore del Tribunale ex art. 375 c.c.). Tra i contratti oggetto di autorizzazione rientra il preliminare di permuta, quando parte del contratto è il minore sotto tutela (Pret. Roma, 9 giugno 1997, in Riv. not., 848, 1997). È inoltre stato ritenuto valido il negozio giuridico sottoposto a condizione risolutiva della mancata concessione dell'autorizzazione del tribunale alla vendita (Cass. II, n. 3631/1982, in Giust. civ., 1982, 2309). Nella fattispecie l'immobile era oggetto di proprietà indivisa tra il minore ed il suo rappresentante il quale aveva promesso ad un terzo la vendita dell'intero bene, con l'espressa previsione dello scioglimento da tale impegno per il caso di mancato conseguimento dal Tribunale dell'autorizzazione prescritta per la vendita. Tale contratto è stato ritenuto valido in considerazione del fatto che l'incapace era estraneo al negozio posto in essere dal suo rappresentante (in merito si veda altresì Cass. II, n. 4839/1986). Tra i negozi giuridici per i quali è necessaria l'autorizzazione del Tribunale, rientra l'alienazione di beni di natura ereditaria. In merito devono essere richiamate le osservazioni effettuate, in tema di alienazione di beni ereditari appartenenti al minore sottoposto alla responsabilità genitoriale. In particolare la competenza ad autorizzare la vendita di immobili ereditati dal minore soggetto alla responsabilità genitoriale dei genitori, è stata da tempo risolta dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che essa appartiene al giudice tutelare del luogo di residenza del primo, a norma dell'art. 320, comma 3, c.c., unicamente per quei beni che, provenendo da una successione ereditaria, si possono considerare acquisiti al suo patrimonio. Ne consegue che, ai sensi del primo comma dell'art. 747 c.p.c., la competenza spetta, sentito il giudice tutelare, al tribunale del luogo di apertura della successione, ove il procedimento dell'acquisto «iure hereditario» alla tutela del minore, non si sia ancora esaurito per essere pendente la procedura di accettazione con beneficio di inventario. In tale ipotesi, difatti, l'indagine del giudice non è circoscritta soltanto quella degli altri soggetti interessati alla liquidazione dell'eredità, evitandosi così, peraltro, una disparità di trattamento fra minori «in potestate» e minori «sotto tutela», con riguardo alla diversa competenza a provvedere per i primi (giudice tutelare ai sensi dell'art. 320 c.c.) e i secondi, con riferimento ai quali sarebbe competente il tribunale, quale giudice delle successioni, in base all'art. 747 c.p.c (si vedano: Cass. II, n. 13520/2012; Cass. II, n. 2994/1997; Cass. II, n. 2286/1998, e Cass.S.U., n. 1593/1981). Sicché, qualora si debba alienare beni ereditari, per i quali non siano stati ancora pagati i creditori o comunque non si possa ritenere concluso il procedimento di accettazione dell'eredità, il tutore deve difatti chiedere l'autorizzazione al Tribunale del luogo dove si è aperta la successione ex art. 747 c.p.c. (in questo senso De Cupis, 480). Diversamente ove si tratti di cessione a titolo gratuito, o meglio di donazione, vige il divieto di cui all' art. 777 c.c. atteso che il tutore non può sostituirsi al minore nel compimento di un atto personalissimo quale è appunto la donazione (De Cupis, 479) La convenzione urbanistica che prevede la cessione a titolo gratuito al comune dell'area da edificare, è stata qualificata dalla giurisprudenza di merito non come atto a titolo gratuito e pertanto il tutore può essere autorizzato a stipulare il relativo negozio (Trib. Rovigo, 20 dicembre 1991, in Giur. mer., 1994, 299). La Costituzione di pegni o ipotecheL'ipotesi prevista dal punto 2) dell' art. 375 c.c. disciplina anch'essa un negozio giuridico a titolo oneroso, così valendo le stesse considerazioni effettuate con riferimento alla alienazione dei beni ed ai limiti di cui all' art. 777 c.c. La costituzione di pegno o di ipoteca costituisce un'ipotesi particolarmente grave, in quanto attraverso la citata garanzia reale il creditore ha la possibilità di alienare i beni e soddisfarsi il ricavato (Dell'Oro, 225). Si ritiene in particolare che essa costituisca sempre un atto di straordinaria amministrazione in quanto assoggetta i beni ad un vincolo di garanzia che attribuisce al creditore il diritto di farli vendere per soddisfarsi sul prezzo del ricavato, con preferenza degli altri creditori (Jannuzzi, 433). Autorevole dottrina, anche per tale ipotesi, come sopra evidenziato, ritiene che l'elencazione contenuta nella norma non abbia carattere tassativo e che, pertanto, siano soggette al procedimento autorizzativo di cui alla disposizione in commento, anche la fideiussione ed il mandato di credito. Nel primo caso infatti il tutore pone in essere un negozio altamente rischioso per il patrimonio del minore e nel secondo perché chi conferisce l'incarico risponde, verso l'incaricato, come fideiussore (De Cupis, 485). Oltre a tali fattispecie altra dottrina fa rientrare nella disciplina dell' art. 375 c.c. anche i negozi di disposizione del grado ipotecario, la rinunzia al pegno, e la rinunzia all'ipoteca a titolo oneroso, essendo quest'ultima fattispecie differente dal consenso e dalla cancellazione di cui all'art. 374 n. 2 c.c. (in merito, diffusamente, Jannuzzi, 439, che evidenzia come quest'ultima fattispecie a differenza della rinunzia presupponga l'estinzione del credito per qualsiasi causa). La divisione, la transazione ed il compromessoLa divisione, giudiziale o stragiudiziale, rientra tra gli atti di straordinaria amministrazione che devono essere autorizzati dal Tribunale, previo parere del Giudice tutelare. La necessità dell'autorizzazione del Tribunale è data dalla circostanza secondo cui quest'ultimo deve poter valutare non solo l'utilità dell'atto ma anche che la quota assegnata al minore non determini la diminuzione dell'entità del suo patrimonio (in questo senso Dell'Oro, 227). L'autorizzazione è necessaria altresì quando l'iniziativa provenga dal condividente (Jannuzzi, 369). Si ritiene che l'autorizzazione sia necessaria anche per promuovere l'azione di divisione (De Cupis, 481). Anche le transazioni ed i compromessi sono oggetto di autorizzazione del Tribunale. In particolare, una parte di dottrina ritiene che debbano essere autorizzate tutte le transazioni sia che abbiano ad oggetto un atto di ordinaria amministrazione sia che abbiano ad oggetto un atto di straordinaria amministrazione. Ciò sarebbe dovuto alla particolare natura dell'atto ed in considerazione del contenuto dell' art. 375 c.c. che non pone alcun limite alla stessa, diversamente da quanto previsto per i minori sottoposti a responsabilità genitoriale per i quali il legislatore ha espressamente disciplinato un'eccezione non suscettibile di interpretazione estensiva (Januzzi, 461, si veda infatti l'art. 320 c.c. che esplicitamente limita la necessità dell'autorizzazione del Giudice tutelare per le transazioni relative a «tali atti» intendendosi con tale espressione atti di straordinaria amministrazione). Altra dottrina ritiene che la transazione in quanto negozio di secondo grado non sempre necessiti dell'autorizzazione del Tribunale, dovendosi verificare la straordinarietà o meno del negozio sottostante ovvero degli effetti dello stesso (Mazzacane, 213; si vedano altresì Dell'Oro, 227, e De Cupis, 482). Secondo altra tesi sarebbe necessaria l'autorizzazione del Tribunale quando la transazione determini l'alienazione di beni o diritti ovvero la costituzione di pegno o ipoteca ovvero quando determini un qualunque altro effetto di straordinaria amministrazione (Santarcangelo, 655, l'autore muove dall'analisi delle disposizioni che escludono la necessità di preventiva autorizzazione per promuovere l'azione diretta a recuperare i frutti civili e per disporre degli stessi). Parimenti, il compromesso ed il concordato sono oggetto di preventiva autorizzazione da parte del Tribunale ordinario e valgono per loro le stesse osservazioni testé effettuate con riferimento alla transazione ed all'ambito applicativo della stessa. Sicché, qualora si aderisca alla tesi della dottrina maggioritaria per la quale l'atto è sempre da considerarsi di straordinaria amministrazione, dovrà sempre ritenersi necessaria l'autorizzazione (in merito Dell'Oro, 228, Jannuzzi, 468). Alle fattispecie espressamente indicate dal legislatore la dottrina ritiene che debbano essere aggiunte la clausola compromissoria, il compromesso per arbitrato irrituale, l'arbitraggio, la perizia contrattuale ed il negozio di accertamento (Jannuzzi, 480). La ratio legis, con riferimento a questi negozi giuridici, è chiara: la rinuncia al diritto di azione può incidere in maniera irreversibile in tema di tutela giurisdizionale dei diritti e l'impoverimento del patrimonio del minore. Di talché, il legislatore non ha ritenuto sufficiente l'autorizzazione del solo Giudice tutelare ma ha richiesto l'intervento del Tribunale (in merito e con specifico riferimento alla abdicazione alla tutela giudiziale si veda De Cupis, 482). In merito, Cass. II, n. 11748/2003 ha ritenuto che l'elencazione contenuta nell' art. 375 c.c. abbia carattere tassativo (senza tuttavia chiarirne le ragioni) e che il negozio di accertamento comunque non possa rientrare tra gli atti oggetto dell'autorizzazione del Tribunale, atteso che anzi, ai fini del suo compimento, non richiede alcuna autorizzazione non avendo natura dispositiva né costituendo fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti. BibliografiaBisegna, Tutela e curatela, in Nss. D.I., XIX, Torino, 1973, 924; Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, in Rescigno (diretto da) Trattato di diritto privato, Torino, 1997; De Cristofaro, Il contenuto patrimoniale della potestà, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Milano 2002; De Cupis, Della tutela dei minori, sub artt. 343-389, in Cian-Oppo Trabucchi (diretto da) Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Dell'Oro, Tutela dei minori, in Comm. S.B., artt. 343-389, Bologna- Roma, 1979; Jannuzzi in Lorefice (a cura di), Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2000; Mazzacane, La giurisdizione volontaria nell'attività notarile, Roma, 1999; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, II, Milano 2003; Stella Richter- Sgroi, Delle persone e della famiglia, in Commentario del codice civile, Torino, 1958. |