Codice Civile art. 371 - Provvedimenti circa l'educazione e l'amministrazione.

Annachiara Massafra

Provvedimenti circa l'educazione e l'amministrazione.

[I]. Compiuto l'inventario, il giudice tutelare, su proposta del tutore e sentito il protutore, delibera:

1) sul luogo dove il minore deve essere cresciuto e sul suo avviamento agli studi o all'esercizio di un'arte, mestiere o professione, disposto l'ascolto dello stesso minore che abbia compiuto gli anni dieci e anche di età inferiore ove capace di discernimento e richiesto, quando opportuno, l'avviso dei parenti prossimi; (1)

2) sulla spesa annua occorrente per il mantenimento e la istruzione del minore e per l'amministrazione del patrimonio, fissando i modi d'impiego del reddito eccedente;

3) sulla convenienza di continuare ovvero alienare o liquidare le aziende commerciali, che si trovano nel patrimonio del minore, e sulle relative modalità e cautele.

[II]. Nel caso in cui il giudice stimi evidentemente utile per il minore la continuazione dell'esercizio dell'impresa, il tutore deve domandare l'autorizzazione del tribunale [38 att.; 208 trans.]. In pendenza della deliberazione del tribunale il giudice tutelare può consentire l'esercizio provvisorio dell'impresa [320 5, 2198; 38 2 att.].

(1) L'art. 60, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il presente numero. Il testo precedente recitava: «1) sul luogo dove il minore deve essere allevato e sul suo avviamento agli studi o all'esercizio di un'arte, mestiere o professione, sentito lo stesso minore se ha compiuto gli anni dieci, e richiesto, quando è opportuno, l'avviso dei parenti prossimi e del comitato di patronato dei minorenni». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

La minor fiducia che il legislatore pone nei confronti del tutore, rispetto ai genitori, si riflette anche nell'estensione e nel contenuto del potere di amministrazione (Bucciante, 718). È infatti il Giudice tutelare, secondo quanto prevede l'art. 371 c.c., che delibera sulle questioni più rilevanti per il minore, per le sue formazione e serena crescita. Dal momento della deliberazione sarà quindi compito del tutore dare esecuzione a quanto stabilito dal detto giudice nel modo migliore e nel superiore interesse del pupillo. È stato evidenziato che in seguito alla deliberazione giurisdizionale il tutore goda di un limitato spazio discrezionale nelle decisioni quotidiane relative alla vita del pupillo, in quanto circoscritto dalle direttive del Giudice tutelare che potrebbero essere, in ipotesi, difformi dalla proposta, ab origine, formulata dal tutore (sul punto De Cupis, 460; Dell'Oro, 169).

Le decisioni di cui alla norma in esame non sono adottate, in realtà, dal Giudice d'ufficio ma su ricorso del tutore e sentito il protutore. Quest'ultimo deve essere sentito, nella sua funzione di collaborazione, dovendo egli provvedere direttamente alle esigenze del minore, qualora ciò sia necessario (si pensi al caso in cui sopravvenga la morte del tutore, in merito Dell'Oro, 169). Il tutore deve essere sentito avendo egli effettuato l'inventario ed essendo, nella detta fase del procedimento, il soggetto più idoneo a rappresentare al Giudice ogni circostanza utile affinché possa essere individuata la residenza dove far crescere il minore, oltre che per adottare delibere in merito alle spese annualmente occorrenti per le necessità ordinarie ed in merito alle decisioni più rilevanti relative al patrimonio del minore di cui in seguito. Egli, difatti, di regola è un parente del minore ovvero, se estraneo, ha avuto cura di acquisire informazioni dai parenti del predetto ovvero dagli enti che lo hanno in carico.

Oltre tutore e protutore, il Giudice deve sentire, prima di assumere delle decisioni dell'indicata importanze, il minore capace di discernimento, al fine di comprenderne desideri, aspirazioni ed inclinazioni così da rendere la propria decisione il più conforme alle esigenze del pupillo (in merito si vedano Dell'Oro, 169; De Cupis, 462). Il minore che abbia compiuto i dodici anni o di età inferiore, ove capace di discernimento (nel caso disciplinato dalla norma in commento l'età minima indicata è dieci anni) deve, infatti, essere sentito in tutte le cause che lo riguardino, e tale principio vale altresì per la tutela, stante l'importanza che la decisione assume per la sua serena crescita e per il suo equilibrio (si vedano altresì gli artt. 316-bis c.c. e 315-bis c.c.).

Appare opportuno specificare, in questa sede, che l' art. 371 c.c., così come modificato dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, impone al Giudice di deliberare su diverse circostanze ma prevede che il minore debba essere sentito solo con riferimento a quelle di cui al n. 1 della citata disposizione. In particolare il minore deve essere sentito in merito «al luogo ove deve essere cresciuto, sul suo avviamento agli studi o all'esercizio di un'arte, mestiere o professione». L'ascolto del minore, come emerge chiaramente dal contenuto di tale disposizione, non è previsto per le ulteriori deliberazioni relative alle questioni di natura patrimoniale ed alla convenienza a continuare, liquidare o alienare le aziende commerciali che si trovino nel patrimonio del minore. Così implicitamente ritenendosi questa ultime questioni non rilevanti per il minore. Proprio con riferimento alla citata disposizione è stato osservato che, pur potendo introdurre in generale l'obbligo di audizione del fanciullo, in questo caso il legislatore ha scelto di inserire espressamente l'adempimento dell'ascolto solo nelle dette limitate ipotesi, escludendolo, invece, nei casi di cui ai successivi nn. 2 e 3 che riguardano il mantenimento, l'amministrazione del patrimonio e le eventuali imprese/società.

Ciò «rivela l'intentio legis del legislatore nel senso di ritenere contraria all'interesse del minore l'audizione ... in processi che abbiano ad oggetto solo questioni economiche e patrimoniali. L'audizione, insomma, è necessaria per le questioni relative alla cura personae non per quelle relative alla cura patrimonii» (Trib. Milano, 20 marzo 2014).

La decisione del Giudice tutelare di cui all' art. 371 c.c., nn. 1 e 2, assume la forma del decreto ed è impugnabile con reclamo dinanzi al Tribunale per i minorenni ex art. 45 disp. att. c.c., salvo che si tratti di soggetto interdetto, nel qual caso il reclamo deve essere presentato al Tribunale ordinario. Il provvedimento assunto del Tribunale per i minorenni in sede di reclamo non è ricorribile per Cassazione, non avendo carattere decisorio né essendo suscettibile di divenire definitivo, potendo essere sempre modificato ove si verifichino nuove circostanze, d'ufficio o su ricorso della parte interessata (tutore o protutore in caso di opposizione di interessi, in merito Jannuzzi, 276; De Cupis, 486).

Cura del minore e decisioni del Giudice tutelare

Le deliberazioni che il Giudice in forza di quanto previsto dall'art. 371 c.c. è tenuto ad effettuare nell'interesse del minore si possono suddividere in due categorie:

1) quelle relative alle decisioni di ordinaria amministrazione, connesse ai poteri di cura spettanti al tutore (di cui ai numeri 1 e 2 della norma in commento);

2) quelle avente carattere di straordinaria amministrazione relative alla gestione del patrimonio, qualora in esso vi siano delle imprese commerciali (di cui al successivo numero 3).

La prima tipologia di decisioni, alle quali si è fatto cenno nel precedente inquadramento, sono quelle relative al luogo di residenza, atteso che il minore non necessariamente convive con il tutore (si pensi al caso dell'ente assistenziale nominato tutore di un minore collocato in comunità), nonché quelle relative alle scelte scolastiche e lavorative e soprattutto alla spesa annua occorrente per il mantenimento del minore.

Stabilita infatti la somma ritenuta confacente alle esigenze del minore, il tutore, nei limiti della stessa, può effettuare tutte le spese necessarie per il soddisfacimento delle necessità del pupillo (con riferimento all'alienazione dei beni mobili deteriorabili, Stella Richter-Sgroi, 520; De Cupis, 463).

Per il caso in cui il tutore si discosti dal tetto fissato dal Giudice ovvero non chieda a questi di stabilire la spesa annua, la norma in commento, al pari di quelle successive, non prevede alcuna sanzione.

In merito, tuttavia, deve osservarsi che il tutore, anche se nulla sia stato deliberato specificatamente ex art. 371c.c., è comunque tenuto a gestire il patrimonio del minore e quindi ad effettuare annualmente il rendiconto ed a giustificare le spese sostenute. Di talché, ove ciò non avvenga, salve ulteriori responsabilità verso il minore ovvero condotte di rilievo penale poste in essere in danno del patrimonio del minore (si pensi all'ipotesi di peculato), la condotta del tutore potrà determinare, nei casi più gravi, la sua rimozione ed essere oggetto di valutazione ai fini dell'approvazione del rendiconto e del riconoscimento dell'equa indennità (con riferimento a quanto previsto dall'art. 291 c.c., Pugliatti, 692).

Le decisioni relative all'esercizio dell'impresa commerciale

Natura dinamica ed il rischio di fallimento hanno portato il legislatore a circoscrivere l'esercizio dell'impresa commerciale da parte del minore, prevedendolo nel solo caso in cui si tratti di continuare un'impresa già esistente, sottoponendone la relativa autorizzazione ad un procedimento più rigoroso (Bucciante, 568).

Il giudice, quando un'impresa è avviata può, infatti, trarre dal calcolo delle vendite e dai costi di produzione elementi sufficienti per stabilire se la continuazione sia utile o conveniente, il che, come condivisibilmente osservato, non è possibile per le imprese di nuova costituzione (Dell'Oro, 178).

Dopo essere stato compiuto l'inventario, il Giudice tutelare, su proposta del tutore e sentito il parere del protutore, delibera inoltre sulla convenienza a continuare ovvero alienare o liquidare le aziende commerciali presenti nel patrimonio del pupillo. La decisione non è discrezionale ma deve assurgere ad un giudizio di evidente utilità per il minore (De Cupis, 489).

Diversamente da quanto avviene per il minore sottoposto a tutela, i genitori godono di un maggiore margine di autonomia, essendo rimessa alla loro discrezionalità la scelta di rivolgersi all'Autorità giudiziaria per chiedere l'autorizzazione a continuare l'esercizio dell'impresa commerciale. Il tutore, invece, una volta terminato l'inventario e verificata la presenza di un'impresa commerciale, è tenuto a rivolgersi al Giudice tutelare affinché deliberi sulla convenienza della continuazione ovvero in merito all'alienazione o liquidazione delle aziende commerciali (Bucciante, 718). Il Tutore è altresì obbligato a presentare il ricorso al Tribunale per i minorenni in seguito alla positiva deliberazione del Giudice tutelare, e per conseguenza, a continuare l'esercizio dell'impresa una volta che il Tribunale per i minorenni abbia emesso il relativo decreto autorizzativo.

È controverso se sia ammissibile il reclamo avverso la deliberazione del Giudice tutelare con specifico riferimento al caso in cui, non aderendo alla proposta del tutore di continuare l'esercizio dell'impresa, deliberi l'alienazione dell'azienda (per la tesi negativa si veda Bucciante, 719; per quella positiva si vedano: Stella Richter-Sgroi, 443, e Dell'Oro, 174, la differente soluzione dipende dal valore da attribuirsi alla deliberazione del Giudice).

Appare opportuno specificare che nel caso in cui il patrimonio del minore consti di più imprese vi sono perplessità in ordine al se il Giudice tutelare debba effettuare un'unica valutazione ovvero più valutazioni distinte in merito alla opportunità della continuazione delle stesse (Dell'Oro, 179).

Ciascuna impresa può avere una diversa solidità economica tale da determinare in astratto decisioni anche diverse tra loro. Sicché, sembrerebbe maggiormente conforme alla ratio legis e soprattutto alla migliore tutela del patrimonio del minore che le deliberazioni del Giudice tutelare siano distinte per ciascuna impresa, proprio per la diversità che le contraddistingue.

Continuazione dell'impresa e acquisto a titolo oneroso

L'impresa può pervenire al minore per successione e per donazione ma è controverso se possa pervenirgli anche in forza di acquisto a titolo oneroso ex art. 374 c.c. (Santarcangelo, 268).

Parte di dottrina ritiene che tale acquisto, in quanto dotato di margini di rischio elevati, non consenta tale eventualità per il minore (Stella Richter-Sgroi, 523). Altri autori, per converso, ritengono che sia possibile l'acquisto di una impresa già avviata, salvo poi valutarne in concreto l'utilità per il minore, atteso che diversamente opinando non sarebbe ammissibile l'acquisto dell'impresa per donazione, che è invece pacificamente ammesso (Jannuzzi, 511; contra Dell'Oro, 178; sul punto si veda Bucciante, 570, il quale ammette l'acquisto al fine di successivo affitto ma non per continuarne l'esercizio). In particolare si è ritenuto che anche «l'acquisto» non sia estraneo al concetto di continuazione, sicché potrebbe essere autorizzato quale investimento ex art. 372, ultimo comma, c.c. (Jannuzzi, 510).

L' articolo 371 c.c., così come l'art. 320 c.c., si riferisce esplicitamente alla sola impresa commerciale. Ciò ha indotto, ed induce tuttora, a ritenere che per l'esercizio dell'impresa agricola trovino applicazione le diverse disposizioni vigenti in tema di atti di straordinaria amministrazione di cui al primo comma della disposizione in commento (in questo senso Dell'Oro, 173).

Il procedimento

Il procedimento è analogo a quello già analizzato con riferimento alla continuazione dell'impresa commerciale richiesta dai genitori del minore ex art. 320 c.c., essendo avviato dalla richiesta del Tutore, avente la forma del ricorso, al Giudice tutelare delibererà in merito alla continuazione dell'impresa in considerazione dell'utilità di essa per il minore.

nel caso in cui il tutore non chieda al Giudice di pronunciarsi in merito alla prosecuzione dell'impresa o, peggio, ne continui l'esercizio senza le necessarie autorizzazioni, la sua condotta negligente potrebbe essere per lui fonte di responsabilità. Essa potrebbe altresì determinare ulteriori conseguenze, tra le quali la rimozione dall'esercizio della tutela anche se, in caso di illegittima continuazione, non riverberare i suoi effetti sul minore e sul suo patrimonio (in questo senso Dell'Oro, 176, il quale evidenzia che in quest'ultimo caso gli effetti cadono direttamente nella sfera giuridica del tutore compreso l'acquisto della qualità di imprenditore).

Circa la natura della deliberazione del Giudice Tutelare, ex art. 371, n. 3, c.c., parte della dottrina ritiene che costituisca un mero parere (De Cupis, 463; Stella Richter-Sgroi, 524; sul punto si veda altresì Bucciante, 656) mentre altra sostiene trattarsi di provvedimento dispositivo nonostante necessiti il successivo provvedimento del tribunale (Dell'Oro, 179).

Qualsiasi sia la tesi alla quale si voglia accedere, la mancanza della deliberazione dell'Autorità giudiziaria incide sulla validità del decreto pronunciato dal Tribunale per i minorenni rendendolo nullo (Cass. II, n. 3407/1959, in Foro. it., 1960, I, 393).

Dopo aver ottenuto la deliberazione del Giudice tutelare, il tutore è tenuto a presentare un ricorso al Tribunale per i minorenni del luogo dove si trova il domicilio del minore (in forza di quanto previsto dall'art. 38 disp. att. c.c.). Ove fosse necessario continuare l'esercizio dell'impresa, in via d'urgenza ed al fine di non arrecare pregiudizio al patrimonio del minore, in attesa della decisione del Tribunale per i minorenni, il Giudice tutelare potrebbe autorizzare l'esercizio provvisorio al fine di evitare l'interruzione dell'attività imprenditoriale ed i possibili danni conseguenti.

È bene in questa sede ribadire che l'impresa disciplinata dalla norma è solo quella commerciale, sicché la disposizione in commento non riguarda né l'impresa agricola ne società non commerciali (sul punto si veda, per tutti, Dell'Oro, 172, 181).

In seguito all'autorizzazione del Tribunale (per i minorenni ex art. 38 disp. att. c.c), data con decreto pronunciato in camera di consiglio, il minore acquista la qualità di imprenditore commerciale e pertanto è soggetto al fallimento. Inoltre la predetta autorizzazione è«dinamica», cioè comprende tutti gli atti relativi all'esercizio dell'impresa, anche quelli che diversamente dovrebbero considerarsi atti di straordinaria amministrazione.

Una volta intervenuta l'autorizzazione del Tribunale, non possono che venir meno le cautele che tendono a limitare l'attività di gestione del tutore. All'interno dell'attività di impresa è difatti difficoltoso distinguere tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, tale distinzione può infatti configurarsi solo con riferimento a una concezione statica del patrimonio (si veda in merito Dell'Oro, 176).

Quanto innanzi da ultimo evidenziato in dottrina sembrerebbe avallato dalla giurisprudenza, ancorché pronunciatasi con riferimento alla prosecuzione dell'esercizio dell'impresa da parte dei genitori del minore. Una volta autorizzato dal Tribunale, il genitore, difatti, può compiere, senza necessità di specifica autorizzazione del Giudice tutelare, anche i singoli atti strettamentecollegati a tale esercizio, stante il carattere dinamico dell'impresa e la necessità di assumere decisioni pronte e tempestive che sarebbero paralizzate qualora per ogni singolo atto occorresse rivolgersi all'autorità giudiziaria (Cass. I, n. 10654/2011, in Fam. e dir., 2012, 590, con nota di Ridella).

L'autorizzazione già concessa può essere oggetto anche di revoca, sempre con procedimento in camera di consiglio, su istanza del tutore o del protutore, previo parere del Giudice tutelare e sentito il Pubblico ministero. Il provvedimento ha efficaciaex nunc ed è suscettibile di reclamo entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento alla parte interessata.

La disciplina dettata dall'art. 371 c.c. per la continuazione delle azioni commerciali si applica anche per la partecipazione del minore asocietà in nome collettivo o in accomandita semplice (se in qualità di socio accomandatario) esercitanti imprese commerciali, in quanto tale partecipazione comporta responsabilità illimitata dello stesso minore con rischi non inferiori a quelli inerenti all'esercizio dell'impresa individuale (così De Cupis, 464). Si ritiene che anche ove si presenti la necessità di modificare i patti sociali, il tutore sia tenuto a munirsi delle autorizzazioni necessarie a seconda delle specifiche modifiche che si intenda adottare (Santarcangelo, 679).

Bibliografia

Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, in Rescigno (diretto da) Trattato di diritto privato, Torino, 1997; De Cupis, Della tutela dei minori, sub artt. 343-389, in Cian-Oppo Trabucchi (diretto da) Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Dell'Oro, Tutela dei minori, in Comm. S.B., artt. 343-389, Bologna- Roma, 1979; Finocchiaro-Finocchiaro, Il diritto di famiglia, Milano, 1984; Jannuzzi-Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2004; Pazè, La tutela e la curatela dei minori, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2012; Pugliatti, Della tutela e della emancipazione in D'Amelio (diretto da), Commentario, Firenze, 1940; Stella Richter- Sgroi, Delle persone e della famiglia, in Commentariodel codice civile, Torino, 1967.

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