Codice Civile art. 372 - Investimento di capitali.Investimento di capitali. [I]. I capitali del minore devono, previa autorizzazione del giudice tutelare, essere dal tutore investiti: 1) in titoli dello Stato o garantiti dallo Stato; 2) nell'acquisto di beni immobili posti nello Stato; 3) in mutui garantiti da idonea ipoteca sopra beni posti nello Stato, o in obbligazioni emesse da pubblici istituti autorizzati a esercitare il credito fondiario; 4) in depositi fruttiferi presso le casse postali o presso altre casse di risparmio o monti di credito su pegno. Il giudice, sentito il tutore e il protutore, può autorizzare il deposito presso altri istituti di credito [251 trans.], ovvero, per motivi particolari, un investimento diverso da quelli sopra indicati [45 1 att.]. InquadramentoQualora nel corso della formazione dell'inventario il tutore rinvenga capitali, cioè somme destinate a produrre interessi, deve, secondo quanto previsto dall'art. 369 c.c., depositarli presso un istituto di credito (di cui all'art. 251 disp. att. c.c). Terminato l'inventario, i capitali devono essere investiti. Quanto innanzi avviene dunque in un momento in cui il tutore ha completa contezza della situazione patrimoniale globale del minore, è in grado di conoscerne le attività, le eventuali passività esistenti e può dunque valutare gli investimenti più opportuni per il pupillo, tra quelli individuati dal legislatore. L'investimento da parte del tutore non è discrezionale ma deve essere effettuato in conformità con quanto previsto nella disposizione in commento e soprattutto deve essere previamente autorizzato dal Giudice tutelare. Esso costituisce un atto attraverso il quale si conserva il patrimonio del minore. I criteri di scelta degli investimentiL' art. 372 c.c. individua le modalità di investimento dei beni mobili idonei a produrre reddito, già ritenute dal legislatore prudenziali e dunque confacenti alla peculiare condizione del minore (o dell'interdetto). L' art. 372 c.c., peraltro, trova applicazione non solo nei confronti dei capitali individuati al termine delle operazioni inventariali ma anche per tutti quelli che, successivamente, possano venir a far parte del patrimonio del minore a seguito di ulteriori riscossioni, di acquisizioni di eredità di donazioni o di vendita di beni. Appare evidente che prevedendo la necessità del reimpiego dei capitali, previa autorizzazione del Giudice tutelare, lo scopo del legislatore sia quello di evitare che gli interessi del minore possano sottostare a scelte economiche rischiose o a possibili atti di frode (in questo senso Dell'Oro, 191). Differentemente da ciò che potrebbe indurre la norma a ritenere, il legislatore non ha indicato un ordine preferenziale degli investimenti sicché il tutore potrà autonomamente individuare tra quelli di cui alla disposizione in commento, quello che, secondo la situazione concreta, appaia essere il più confacente alla situazione patrimoniale del pupillo (Jannuzzi, 191; Santarcangelo, 513; Dell'Oro, 191). Tuttavia il legislatore ha chiaramente espresso il proprio favor per quel tipo di investimento che contemperi l'esigenza di maggiore redditività con quella della maggiore sicurezza possibile (in questo senso, Dell'Oro, 190, e Pazè, 382; sul punto altresì Santarcangelo, 512). La disposizione risale al 1942 e privilegia, quale investimento conservativo e sicuro, quello in titoli di stato e garantiti dallo Stato. Tale preferenza, accordata in funzione dei tempi in cui la norma è sorta, alla luce della fisiologica oscillazione dei valori dei titoli inclusi quelli individuati dal legislatore, deve ritenersi comunque non preclusiva all'individuazione da parte del tutore, e conseguente prospettazione al Giudice tutelare, di altre forme di investimento che tuttavia mantengano le caratteristiche principali del titolo individuato dal legislatore come il più idoneo a preservare ed incrementare il patrimonio del minore. Del resto al punto 4 della disposizione è espressamente previsto che il Giudice tutelare possa, sentiti il tutore ed il protutore, autorizzare sia il deposito in altri istituti di credito ovvero, per motivi particolari, un investimento diverso da quelli indicati nei punti 1, 2 e 3. Il tutore potrà quindi rappresentare al Giudice tutelare un investimento diverso, dimostrandone l'idoneità a conservare il patrimonio del minore ovvero ad incrementarlo senza rischi per il capitale. L'investimento deve essere previamente autorizzato dal Giudice tutelare; ciò sembrerebbe presupporre la necessaria istanza del tutore. Tuttavia, in considerazione di quanto disposto nell'ultimo comma della norma (che espressamente attribuisce al Giudice tutelare il potere di decidere dell'investimento dopo aver sentito il tutore ed il protutore) parte di dottrina ritiene che la citata Autorità giudiziaria possa individuare e disporre l'investimento ritenuto più idoneo anche d'ufficio (in questo senso Dell'Oro, 191). Diversamente, laddove sia il tutore a chiederlo e l'istanza non venga accolta, ovvero venga disposto un investimento differente da quello indicato, è possibile ricorrere al Tribunale (si ricorda che tali disposizioni trovano applicazione anche nei confronti della persona interdetta ex art. 424 c.c.), ex art. 45 disp. att. c.c., nella forma del reclamo sia con riferimento al diniego di autorizzazione che con riferimento alla forma prescelta di investimento (Jannuzzi 191; Stella Richter-Sgroi, 527). Il Giudice tutelare può, come sopra evidenziato, autorizzare un investimento diverso da quelli indicati dal legislatore. Tra gli investimenti possibili è discusso in dottrina se possa anche effettuarsi l'acquisto di aziende commerciali (Dell'oro, 191, nega tale possibilità essendo comunque un acquisto aleatorio, tuttavia si veda il commento sub artt. 375 e 371 c.c. e 320 c.c.). Il tutore, una volta ottenuta la richiesta autorizzazione, deve investire i capitali conformemente all'autorizzazione ricevuta, altrimenti si rende responsabile verso il minore di fatto illecito omissivo (De Cupis, 466; Stella Richter-Sgroi, 527). In dottrina, condivisibilmente, si ritiene che la disposizione in commento trovi applicazione anche nei confronti dei beni del minore amministrati dai genitori, attesa l'identità di ratio ed atteso che la disposizione, più che riferirsi ad un comportamento del rappresentante legale pone criteri al Giudice tutelare per le sue determinazioni (in merito Dell'Oro, 192, De Cupis, 466). BibliografiaBisegna, Tutela e curatela, in Nss. D.I., XIX, Torino, 1973; Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, in Rescigno (diretto da) Trattato di diritto privato, Torino, 1997; De Cupis, Della tutela dei minori, sub artt. 343-389, in Cian-Oppo Trabucchi (diretto da) Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Dell'Oro, Tutela dei minori, in Comm. S.B., artt. 343-389, Bologna- Roma, 1979; Dogliotti, Tutela e curatela, Digesto, civ. XIX, Torino, 1999; Jannuzzi in Lorefice ( a cura di), Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2000; Pazè, La tutela e la curatela dei minori, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2012; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, II, Milano, 2003; Stella Richter- Sgroi, Delle persone e della famiglia, in Commentario del codice civile, Torino, 1967. |