Decreto legislativo - 25/07/1998 - n. 286 art. 28 - Diritto all'unità familiare 1 . ( Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 26 ).

Andrea Conti

Diritto all'unità familiare1.

(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 26).

1. Il diritto a mantenere o a riacquistare l'unità familiare nei confronti dei familiari stranieri è riconosciuto, alle condizioni previste dal presente testo unico, agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, ovvero in conseguenza del riconoscimento della protezione internazionale o per studio, per motivi religiosi o per motivi familiari2.

1-bis. Gli stranieri di cui al comma 1, ad esclusione dei titolari di permesso di soggiorno conseguente al riconoscimento della protezione internazionale, devono avere maturato, al momento della richiesta di ricongiungimento per i familiari di cui all'articolo 29, comma 1, lettere a), c) e d), un periodo ininterrotto di soggiorno legale di almeno due anni nel territorio nazionale3.

2. Ai familiari stranieri di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione Europea continuano ad applicarsi le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1965, n. 1656, fatte salve quelle più favorevoli del presente testo unico o del regolamento di attuazione.

3. In tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176.

[1] A norma dell’articolo 103, comma 2-quater, lettera e), del D.L.  17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27, come da ultimo prorogato dall’articolo 11-ter  del D.L. 22 aprile 2021, n. 52, convertito con modificazioni dalla Legge 17 giugno 2021, n. 87, la validita' dei nulla osta rilasciati per il ricongiungimento familiare, di cui al presente comma, conservano la loro validità fino al 31 luglio 2021.

[2] Comma sostituito dall'articolo 2 del D.Lgs. 8 gennaio 2007 n. 5 e successivamente modificato dall'articolo 12-ter, comma 1, lettera a), del D.L. 11 ottobre 2024, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 dicembre 2024, n. 187. Vedi, anche, l'articolo 12-ter, comma 2, del  

[3] Comma inserito dall'articolo 12-ter, comma 1, lettera b), del D.L. 11 ottobre 2024, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 dicembre 2024, n. 187.

Inquadramento

La disposizione in commento apre il titolo IV enunciando i principi cardine che costituiscono la ratio ispiratrice degli istituti previsti negli articoli successivi. Già dall'intestazione del titolo, rubricato «Diritto all'unità familiare e tutela dei minori», ed ancor più dalla norma di apertura emerge l'interesse prioritario del legislatore ad assicurare una incisiva protezione della vita familiare in particolare allorché del nucleo medesimo facciano parte dei minori. Il principio sancito dalla norma prevede quali mezzi ordinari di attuazione del diritto del minore a crescere e ad essere educato nell'ambito della propria famiglia l'istituto del ricongiungimento familiare (art. 29 d.lgs. n. 286/1998) ed il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari (art. 30 d.lgs. n. 286/1998), i quali possono essere invocati soltanto a condizione che il genitore straniero cui il minore debba ricongiungersi, o il minore straniero cui il genitore debba ricongiungersi, siano regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato. Per contro, ove il genitore straniero sia entrato clandestinamente in Italia o vi si sia trattenuto illegalmente, e, dunque, manchino i presupposti per poter beneficiare del ricongiungimento con il figlio minore che ivi si trovi, l'esigenza di assicurare, comunque, al minore che il suo ordinario processo educativo, formativo e scolastico si realizzi in Italia con l'assistenza del genitore irregolare può trovare attuazione ove ricorrano i presupposti di applicabilità dell'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, fermo, in ogni caso, il diritto del minore di seguire il genitore espulso nel luogo di destinazione ex art. 19, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 286/1998.

Il diritto sancito in termini espressi dalla norma richiama i principi costituzionali di cui all'art. 2 Cost., in quanto riconosce anche allo straniero i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, all'art. 10 Cost. in quanto riconosce i diritti derivanti dalle norme e dai trattati internazionali tra i quali il diritto di formare una famiglia e di mantenere l'unità del nucleo familiare, previsti dall'art. 12 della CEDU, nonché all'art. 29 Cost. che riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Ulteriori riferimenti si rinvengono nell'art. 30 Cost. che prevede il diritto/dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli nonché nell'art. 31 Cost. che prevede la tutela della famiglia e la protezione della maternità, dell'infanzia e della gioventù.

La famiglia secondo la lettura del dettato costituzionale non è considerata uno strumento atto a realizzare le finalità dello Stato ma ad essa è attributo il carattere di comunità originaria ove l'individuo svolge la sua personalità sicché il legame che ne consegue è riconosciuto e tutelato dall'ordinamento. In tale ottica la legislazione sulla condizione giuridica dello straniero prevede norme dirette a garantire l'unità familiare dei cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia.

Il diritto all'unità familiare, pur se protetto, incontra tuttavia dei limiti previsti dallo stesso legislatore, nell'ottica di garantire ai familiari dignitose condizioni di vita e dall'altra di garantire l'equilibrio del sistema migratorio.

Secondo la giurisprudenza, ai sensi dell'art. 28, comma 1, il diritto al mantenimento dell' unità della propria famiglia è in via generale riconosciuto (alle condizioni sostanziali e nel rispetto delle regole previste nei successivi artt. 29 e 30, i quali dettano le modalità con cui viene tutelato il diritto anzidetto) soltanto ai cittadini stranieri regolarmente presenti nel territorio dello Stato italiano, e in tale categoria non rientrano i soggetti colpiti da provvedimento di espulsione, onde l'esistenza di un nucleo familiare non è di per sè sufficiente a far ritenere legittima la permanenza in Italia di cittadini stranieri al di fuori delle regole che disciplinano il loro ingresso nel territorio dello Stato (Cass. n. 12223/2003; Cass. n. 25026/2005).

Né tale disciplina si pone in contrasto con alcun principio, desumibile dall'art. 2 Cost., relativo alla tutela del diritto all' unità familiare, atteso che il legislatore ordinario può legittimamente limitare tale diritto, per bilanciare l'interesse dello straniero al mantenimento del nucleo familiare, con gli altri valori costituzionali sottesi dalle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri (Cass., n. 12226/2003; Cass. n. 22206/2004).

La tutela dei legami familiari assume rilievo con riguardo alla disciplina dell' espulsione. Ed invero la rilevanza dei limiti posti dall'art. 13, comma 2 bis, del d.lgs. n. 286/1998 ha subìto un notevole ridimensionamento per effetto della dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998 nella parte in cui, disponendo che la valutazione discrezionale da esso prevista trovasse applicazione soltanto nei confronti dello straniero che avesse esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto, escludeva che la tutela rafforzata del vincolo familiare potesse operare in favore dello straniero che versasse nelle condizioni sostanziali per ottenere il ricongiungimento, ma non avesse fatto formale richiesta del relativo provvedimento (cfr. C. Cost. 202/2013).

A riguardo Cass. I, n. 781/2019, ha statuito che l'art. 13, comma 2 bis, del d.lgs. n. 286/1998, secondo il quale è necessario tener conto, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, della natura e dell'effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno, nonché dell'esistenza di legami con il paese d'origine, si applica, con valutazione caso per caso ed in coerenza con la direttiva comunitaria n. 2008/115/CE, anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorché non nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare, in linea con la nozione di diritto all'unità familiare delineata dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all'art. 8 CEDU e fatta propria dalla sentenza Corte Cost. n. 202 del 2013.

Sottolinea la pronuncia che il giudice del merito è tenuto, tuttavia, onde pervenire all'applicazione della tutela rafforzata di cui al citato art.13, comma 2 bis, a dare conto di tutti gli elementi qualificanti l'effettività di detti legami (rapporto di coniugio, durata del matrimonio, nascita di figli e loro età, convivenza, dipendenza economica dei figli maggiorenni etc.) oltre che delle difficoltà conseguenti all'espulsione, senza che sia possibile, fuori dalla valorizzazione in concreto di

questi elementi, fare riferimento ai criteri suppletivi relativi alla durata del soggiorno, all'integrazione sociale nel territorio nazionale, ovvero ai legami culturali o sociali con il Paese di origine.

Il principio della tutela dei legami familiari in tema di espulsione si ritrova altresì nella più o meno coeva Cass. I, n. 1665/2019, ove si conferma che l'art. 13, comma 2 bis, del d.lgs. n. 286/1998 si applica, con valutazione da effettuarsi caso per caso, anche al cittadino straniero che pure non si trovi nella posizione di formale richiedente il ricongiungimento familiare. Nella specie la Corte ha cassato con rinvio il provvedimento di rigetto dell'opposizione ad espulsione, pronunciato dal giudice di pace nei confronti dello straniero coniugato con una connazionale regolarmente soggiornante in Italia.

Secondo Cass. n. 8889/2019, la tutela dei legami familiari come limite all'espulsione può riguardare solo i casi tipizzati e non già quindi la convivenza more uxorio. Ed invero, detto legame dello straniero con un cittadino, ancorché giustificato dal tempo necessario affinché uno o entrambi i conviventi ottengano la sentenza di scioglimento del matrimonio dal proprio coniuge, non rientra tra le ipotesi tassative di divieto di espulsione di cui all'art. 19 d.lgs. n. 286/1998, le quali, essendo previste in deroga alla regola generale dell'obbligo di espulsione nelle fattispecie contemplate dall'art. 13 d.lgs cit., non sono suscettibili di interpretazione analogica o estensiva. Peraltro, precisa la Corte, non contrasta manifestamente con i principi costituzionali la previsione (contenuta nell'art. 19 cit.) del divieto di espulsione solo per lo straniero coniugato con un cittadino italiano e per lo straniero convivente con cittadini che siano con lo stesso in rapporto di parentela entro il secondo grado, atteso che essa risponde all'esigenza di tutelare da un lato l'unità della famiglia, dall'altro il vincolo parentale e riguarda persone che si trovano in una situazione di certezza di rapporti giuridici, che è invece assente nella convivenza "more uxorio". Nel caso sottoposto al suo esame la Corte ha ritenuto che il giudice di pace dovesse valutare la situazione quando vi siano figli minorenni conviventi con la coppia, cassando il provvedimento impugnato che aveva omesso di considerare tale ultimo aspetto.

Con peculiare riguardo ai principi che informano il delicato equilibrio tra principi posti a tutela dell'ordine pubbliche e tutela della famiglia e del minore, Cass. I, n. 26831/2019, pronunciandosi in ordine alla regolarità del decreto di espulsione di un cittadino marocchino, privo di un regolare titolo di soggiorno in Italia e padre di tre figli minorenni, richiamati i principi sanciti dall'art. 3 della Convenzione di New York 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo (ratificata dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, richiamata dall'art. 28 del d. Igs. n. 286/1998), ove è prescritto che gli Stati vigilino affinché il minore non sia separato dai genitori, fa comunque salva l'ipotesi in cui la separazione sia il risultato di provvedimenti legittimamente adottati da uno Stato-parte. Pertanto, nel caso in cui lo straniero sia colpito da un provvedimento di espulsione, le esigenze di legalità e sicurezza sottese a tale provvedimento non sono di per sé recessive rispetto all'interesse, pur preminente, del fanciullo.

La Corte aggiunge che non può richiamarsi a favore del ricorrente l'art. 31 d. Igs. n. 286/1998, erroneamente da questi invocato.

Tale norma infatti, non proclama alcun divieto di espulsione dello straniero che abbia figli minori, ma stabilisce il ben diverso principio per cui il figlio minore dello straniero segue la condizione giuridica del genitore solo se quest'ultimo sia "regolarmente soggiornante" evidenziando altresì che il comma terzo di tale norma, non sancisce affatto un divieto di espulsione dello straniero che abbia figli minori, ma disciplina il ben diverso istituto dell'autorizzazione all'ingresso del genitore di un minore già residente in Italia, "per un tempo determinato", per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore. Peraltro a rilasciare tale autorizzazione è competente il Tribunale per i minorenni e non il Giudice di pace.

In tema di tutela dell'unità familiare, Cass. VI, n. 23412/2019, afferma che, ove la richiesta di rilascio del visto d'ingresso sia collegata al ricongiungimento familiare o al permesso di soggiorno per motivi familiari, la posizione del richiedente è qualificabile come diritto soggettivo, con la conseguente spettanza all'Autorità giudiziaria ordinaria della giurisdizione in ordine all'impugnazione del provvedimento di diniego e con il conseguente radicarsi della competenza presso il tribunale del luogo in cui il richiedente ha la residenza.

I requisiti

Il diritto a mantenere o a riacquistare l'unità familiare è subordinato ai requisiti previsti dal comma 1, ovvero è riconosciuto agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno con validità non inferiore ad un anno rilasciato per le ragioni ivi indicate.

Il testo attuale della norma è stato introdotto dall'art. 2 del d.lgs. 8 gennaio 2007 n. 5, di attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare, strumento normativo teso ad introdurre nella legislazione europea norme comuni in materia di diritto al ricongiungimento familiare onde permettere ai familiari di cittadini extracomunitari legalmente residenti sul territorio dell'Unione di raggiungere i loro cari nel Paese membro nel quale risiedono. L'obiettivo che questa direttiva si pone, dunque, è quello di tutelare l'unità familiare al fine di facilitare l'integrazione dei cittadini di Paesi terzi (hanno esercitato la clausola di opt — out, ovvero sono esenti dagli effetti di questa normativa, il Regno Unito, l'Irlanda e la Danimarca).

Lo status di coniuge di un cittadino italiano o comunitario

Lo status di coniuge di un cittadino italiano o comunitario dà sicuramente titolo allo straniero per fare ingresso e soggiornare nel territorio nazionale in regime di convivenza col familiare che sia appunto cittadino italiano ovvero comunitario. In tal senso è l'art. 28 attraverso il richiamo che esso fa al d.P.R. n. 1656/1965, contenente le norme sulla circolazione ed il soggiorno dei cittadini degli Stati membri della U.E., ove, all'art. 1, è affermato il diritto al soggiorno permanente nel territorio della Repubblica del coniuge straniero del cittadino italiano, qualunque sia la sua nazionalità. Tale diritto non avrebbe potuto essere negato dal legislatore pure in mancanza di espressa disposizione di legge, trattandosi di un diritto fondamentale garantito ai cittadini dalla Costituzione. La normativa di settore richiamata da tale disposizione è stata abrogata e sostituita dal d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 di attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

Il diritto alla coesione familiare tra il cittadino ed il coniuge straniero, i quali abbiano contratto matrimonio fuori dal nostro territorio nazionale, trova il suo primo momento di verifica nella facoltà d'ingresso nel nostro Paese; facoltà che prevede la condizione del rilascio di un visto di ingresso da parte dell'ambasciata italiana nel Paese d'origine del coniuge straniero, con l'avvertenza, però, che detto rilascio costituisce un atto dovuto, a fronte dell'obbligo di facilitarne il conseguimento che il diritto comunitario impone agli Stati membri. Costituisce un secondo ed altrettanto irrinunciabile aspetto del diritto all'unità familiare l'obbligo per l'autorità di pubblica sicurezza di rilasciare al coniuge straniero giunto in Italia un permesso di soggiorno o, ai sensi dell'art. 30, comma 4, d.lgs. n. 286/1998 (in caso egli risulti in Italia per ricongiungimento o per coesione familiare), la carta di soggiorno di cui all'art. 9 del medesimo decreto legislativo. Il diritto al rilascio del permesso di soggiorno è riconosciuto, del pari, anche allo straniero, coniuge di un cittadino italiano e con lui convivente, il quale abbia contratto matrimonio in Italia a norma dell'art. 116 c.c. A tali conclusioni si giunge in ossequio al diritto del singolo al rispetto alla sua vita privata e familiare di cui all'art. 8 CEDU. In tali casi, infatti, il rilascio del permesso di soggiorno è presupposto necessario dello svolgimento sereno della vita familiare e non può essere negato.

Il superiore interesse del minore

Il comma 3 sancisce il principio fondamentale secondo cui in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti minori deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo conformemente a quanto previsto dalla Convenzione di New York dal 20 novembre 1989.

La Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata all'unanimità dall'assemblea dell'ONU il 20 novembre 1959, pur non essendo un documento avente forza cogente, è dotato di un forte valore simbolico. La Convenzione internazionale per la tutela dei diritti del fanciullo, dopo una redazione particolarmente laboriosa, è stata approvato il 20 novembre 1989. È stata ratificata e resa esecutiva dall'Italia con l. 27 maggio 1991, n. 176. Si tratta di un vero e proprio statuto dei diritti del minore in cui viene esplicitamente esclusa qualsiasi discriminazione. Si inizia con una solenne affermazione (art. 2 l. n. 176/1991) del principio di uguaglianza tra minore e minore, contro ogni discriminazione fondata su colore, sesso, lingua, religione, opinioni politiche o di altro genere, origine nazionale, etnica o sociale, proprietà, disabilità, nascita. L'altro principio, che costituisce oggi il fondamento e la ratio di molte leggi in materia minorile, anche nel nostro ordinamento, è la preminente tutela dell'interesse del bambino: anch'esso è solennemente affermato dalla convenzione (art. 3 l. n. 176/1991).

Il «best interests of the child» rappresenta il principio informatore, a vocazione universalistica, di tutta la normativa a tutela del fanciullo, garantendo che in tutte le decisioni che lo riguardano il giudice deve tenere in considerazione il superiore interesse del minore. Ogni pronuncia giurisdizionale, pertanto, è finalizzata a promuovere il benessere psicofisico del bambino e a privilegiare l'assetto di interessi più favorevole a una sua crescita e maturazione equilibrata e sana.

Questo quadro che contrappone in posizione di subordinazione i diritti soggettivi di natura privatistica degli adulti ai diritti soggettivi dei minori che i pubblici poteri sono tenuti a proteggere e promuovere, si complica, tuttavia, notevolmente qualora la realizzazione del pieno godimento dei diritti del minore entri in conflitto con l'interesse pubblico generale alla sicurezza del territorio e delle frontiere.

La Suprema Corte (Cass. I, n. 26831/2019) ha affermato che la norma d'indirizzo generale di cui all' art. 3 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo (ratificata dalla l. n. 176 del 1991 e richiamata dall' art. 28 del d. lgs. n. 286 del 1998), secondo cui "l'interesse del fanciullo deve essere una considerazione preminente", prescrive che gli Stati vigilino affinché il minore non sia separato dai genitori, facendo salva, tuttavia, l'ipotesi in cui la separazione sia il risultato di provvedimenti legittimamente adottati da uno Stato-parte, sicché, ove lo straniero sia colpito da un provvedimento di espulsione, le esigenze di legalità e sicurezza sottese a tale provvedimento non sono di per sé recessive rispetto all'interesse, pur preminente, del fanciullo. A riguardo si pone in evidenza che anche la Corte di giustizia dell'Unione Europea ha ammesso che "in circostanze eccezionali, uno Stato membro può adottare una misura di espulsione [del genitore d'un minore residente nello stato membro] a condizione che essa sia fondata sulla condotta personale di detto cittadino di uno Stato terzo, la quale deve costituire una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave che pregiudichi un interesse fondamentale della società di detto Stato membro, e che si basi su una presa in considerazione dei diversi interessi esistenti, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare"(CGUE 13.9.2016, in causa C - 304/14, Secretary of State).

Il principio generale di tutela del minore impone che allo stesso debba essere apprestata la tutela prevista dalla Convenzione di New York e, nel caso di conflitto con altri interessi, quello del bambino viene riconosciuto sempre primario e superiore, anche ai sensi dell'art. 28 d.lgs. n. 286/1998 (da ultimo, Trib. Lecce, 10 febbraio 2021). Tuttavia, si deve considerare che il best interest of the child non può assumere una posizione egemonica e di automatica prevalenza, ma occorre che venga bilanciato con gli altri interessi costituzionalmente rilevanti che si riscontrano nel caso di specie. Dunque, l'interesse del minore non può – e non deve – divenire un interesse tiranno capace di prevalere, per il solo fatto di essere presente, su qualsiasi altro bene giuridicamente tutelato (C. Cost., 85/2013; C. Cost., 10/2015; C. Cost., 63/2016; C. Cost., 20/2017; C. Cost., 58/2018; C. Cost., 9/2020 e C. Cost., 33/2021). Pertanto, laddove l'interesse del minore risulti confliggente con un altro interesse meritevole di tutela, si dovrà operare un attento bilanciamento dei valori costituzionali protetti e sottesi alle diverse posizioni d'interesse contrastanti nel caso concreto.

Le fonti

Le formule normative con le quali vengono indicati i criteri di valutazione del preminente interesse del minore appartengono, generalmente, alla categoria delle clausole generali «in bianco» da riempire di contenuto attraverso una rigorosa attività interpretativa che consenta un equilibrato contemperamento degli interessi in contrasto. A tal fine è necessaria un'indagine complessiva delle fonti relative alla tutela del minore.

Nella Costituzione italiana, così come nella Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, manca una norma autonomamente e specificamente rivolta alla definizione dello «statuto» dei diritti e della posizione di preminenza dell'interesse del minore. Questa condizione di priorità si desume in particolare dagli artt. 30 e 31, ultimo comma d.lgs n. 286/1998, che pongono il minore al centro di un sistema di protezione e fruizione di diritti da esercitarsi nei confronti dei genitori (art. 30) e dei pubblici poteri (art. 31 ultimo comma). Tra le fonti vanno annoverati altresì gli artt. 10,11 e 117, comma 1 Cost. perché il diritto internazionale convenzionale ha integrato in misura decisiva lo «statuto» dei diritti del minore e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ha, con l'art. 24, «costituzionalizzato» (quanto meno con riferimento alle materie di competenza del diritto dell'Unione Europea) il principio del superiore interesse del minore.

La Corte Costituzionale, con piena consapevolezza della pluralità delle fonti di riferimento e del rilievo dei trattati internazionali sui diritti umani fondamentali, ha fornito precise indicazioni sulla natura e l'ampiezza dei diritti dei minori. Con la sentenza Corte cost. n. 199/1986, la Corte ha affermato espressamente che l'art. 2 Cost. non può non essere implicitamente richiamato come norma di garanzia dei diritti umani operante anche nei confronti dello straniero (...). In tale prospettiva i doveri inderogabili di solidarietà richiamati dallo stesso art. 2 Cost. appaiono essere quelli dell'autorità deputata dalle leggi ordinarie a dare effettiva tutela ed esercizio ai diritti umani, tra cui, nella specie del minore abbandonato, alla famiglia degli affetti in mancanza di quella del sangue. Assume altresì rilievo il richiamo della Corte ai doveri di solidarietà imposti ai pubblici poteri nella tutela dei diritti umani. Si tratta di un principio che nell'ambito dei diritti dei minori, cittadini italiani o stranieri, è destinato ad operare in modo ancora più incisivo rispetto alla persona adulta, essendo tenuto l'ordinamento statuale, in tutte le sue articolazioni, a darne puntuale attuazione. Il principio dell'applicazione generale e paritaria dei diritti umani fondamentali è ribadito con specifico riferimento alla condizione degli stranieri in Corte cost. n. 28/1995 e Corte cost. n. 203/1997, entrambe riguardanti l'estensione del diritto al ricongiungimento al familiare dello straniero regolarmente soggiornante in Italia, nel quadro normativo anteriore alla l. n. 40/1998 (attualmente riprodotta negli artt. 28 e ss. del d.lgs. n. 286/1998). In entrambe le pronunce, viene affermato che la garanzia della convivenza del nucleo familiare si radica nelle norme costituzionali che assicurano protezione alla famiglia e, in particolare, nell'ambito di questa, ai figli minori; e che il diritto dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con sé, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell'unità della famiglia, sono diritti fondamentali della persona che perciò spettano in linea di principio anche agli stranieri.

Con la successiva pronuncia, Corte cost. n. 376/ 2000, il diritto all'unità familiare merita una speciale protezione secondo la Corte, in particolare quando riguarda il destino di figli minori, perché oltre a ricevere una diretta tutela costituzionale è affermato da alcune disposizioni di trattati internazionali ratificate dall'Italia: la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (art. 8 e 12 CEDU); Il Patto internazionale relativo ai diritti economici sociali e culturali (art. 10) e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (art. 23) del 1966, ratificati e resi esecutivi con l. n. 881/1977 nonché la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (art. 9 e 10) ratificata dalla l. n. 176/1991. Questa pronuncia assume particolare rilievo per l'ampia ricognizione del sistema delle fonti che riconoscono preminente tutela al minore sotto lo specifico profilo dell'interesse a conservare e non disgregare il proprio nucleo familiare di riferimento ed in quanto individua come criterio di bilanciamento tra gli interessi in conflitto, specifiche e motivate esigenze volte alla tutela delle stesse regole di convivenza democratica. Nella successiva pronuncia Corte cost. n. 295/2003, la Corte afferma che il preminente interesse del minore costituisce il principio guida del riconoscimento del diritto all'unità familiare in tutte le forme di tutela contenute negli articoli da 28 a 33 del d.lgs n. 286/1998, senza che assuma alcuna rilevanza l'attribuzione della competenza al Tribunale dei minorenni o al giudice ordinario, in quanto il diritto all'unità familiare e la tutela del minore straniero costituiscono un'endiadi e non due diversi ambiti di tutela tra i quali possa sorgere un conflitto. Il superiore interesse del minore si pone quindi, anche nell'impianto della normativa in commento, come un criterio valutativo «mobile», in quanto non comporta per la pubblica autorità l'obbligo di dare sempre e comunque prevalenza all'unità familiare o di consentire la permanenza del minore nel paese, ma impone di considerare nel caso concreto quale delle possibili soluzioni sia più favorevole al minore e di adottarla con preferenza rispetto ad ogni altra.

Bibliografia

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