Legge - 19/02/2004 - n. 40 art. 14 - (Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni).(Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni). Art. 14. 1. È vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194. 2. Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell'evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall'articolo 7, comma 3, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre (1). 3. Qualora il trasferimento nell'utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile (2). 4. Ai fini della presente legge sulla procreazione medicalmente assistita è vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194. 5. I soggetti di cui all'articolo 5 sono informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell'utero. 6. La violazione di uno dei divieti e degli obblighi di cui ai commi precedenti è punita con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro. 7. È disposta la sospensione fino ad un anno dall'esercizio professionale nei confronti dell'esercente una professione sanitaria condannato per uno dei reati di cui al presente articolo. 8. È consentita la crioconservazione dei gameti maschile e femminile, previo consenso informato e scritto. 9. La violazione delle disposizioni di cui al comma 8 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro. (1) La Corte Costituzionale, con sentenza 8 maggio 2009, n. 151 (in Gazz. Uff., 13 maggio 2009, n. 19), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, limitatamente alle parole «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre». (2) La Corte Costituzionale, con sentenza 8 maggio 2009, n. 151 (in Gazz. Uff., 13 maggio 2009, n. 19), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna. InquadramentoLa disciplina della sperimentazione sugli embrioni nella sua originaria formulazione — ovvero prima dell'intervento risolutivo della Corte costituzionale (che ha, con Corte cost. n. 229/2015, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3 lett. b e 4 nell'aver previsto come reato la condotta di selezione degli embrioni anche quando sia finalizzata esclusivamente ad evitare l'impianto nell'utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui al comma 1, dell'art. 6 l. n. 194/1978) — evidenziava un approccio fortemente restrittivo del legislatore italiano, in evidente contrasto con le impostazioni decisamente più liberali e vicine ai principi fondanti e diritti riconosciuti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo nella maggioranza degli ordinamenti europei. Con la disciplina in questione il legislatore italiano sostanzialmente tendeva a disconoscere il diritto della coppia alla procreazione assistita nel caso in cui la coppia richiedente non si trovasse in situazione di sterilità, ma invece afflitta dalla presenza di malattia genetica trasmissibile, negando dunque, nell'impossibilità di selezionare a tal fine gli embrioni sani, il diritto ad una vita privata e familiare soddisfacente, spesso riconosciuto a livello europeo ai sensi dell'art. 8 della Convenzione (Salanitro, 1 ss.) Questa impostazione è stata disconosciuta dalla giurisprudenza europea che, nel noto caso Costa — Pavan/Italia, ha condannato lo Stato italiano al risarcimento del danno per lesione del diritto alla vita privata e familiare di coppia sana portatrice di malattia genetica, poiché aveva discriminato i loro bisogni dato che l'accesso alla PMA era da ritenere consentito solo a coppie caratterizzate da diagnosi di sterilità ed infertilità. Viene in particolare affermato il diritto della coppia ad avere un figlio non affetto da fibrosi cistica. Il mancato accesso alla diagnosi pre-impianto per le coppie fertili ma affette da malattia genetica viene quindi ritenuto elemento di sproporzione e inadeguatezza rispetto alle finalità in questa materia, ripetutamente, evidenziate dal governo (tutela dell'embrione, derive eugenetiche), anche in considerazione della diversa prospettiva seguita dalla legislazione italiana in materia di interruzione della gravidanza. In tal senso anche l'iniziale impostazione del Governo, che con le linee guida del 2004, aveva limitato l'attività d'indagine sugli embrioni al mero contesto c.d. osservazionale è stato ritenuto in contrasto con il diritto della coppia di essere sempre adeguatamente informata rispetto alle condizioni di salute dell'embrione. La tutela dell'embrione con relativi divieti e sanzioni, la ricerca scientifica e il mero dato osservazionaleDevono essere richiamate le osservazioni articolate al paragrafo 2 del capo 2 in ordine all'estensione alle coppie sane, ma portatrici di malattie genetiche, della disciplina in materia di PMA. Il problema che pone principalmente l'articolo in commento è quello relativo al bilanciamento di interessi tra la tutela dell'embrione e la possibilità di una proficua ricerca scientifica. Come già detto, originariamente il legislatore italiano ha dimostrato un approccio estremamente rigido e limitante nei confronti dell'attività di ricerca sugli embrioni. In concreto poteva essere ritenuta ammessa solo ed esclusivamente la ricerca volta a realizzare una terapia e una diagnosi per lo sviluppo stesso dell'embrione, con preclusione di qualsiasi altra attività diagnostica ad esempio preventiva in materia di malattie trasmissibili. L'ambito e portata della possibile ricerca è stato molto discusso con particolare riferimento alla necessità che l'embrione sia o meno vitale o all'estensione o meno del divieto solo al vero e proprio embrione (sul cui concetto ci sono diverse e rilevanti differenze di valutazione portata come già detto) o anche alle cellule staminali. L'orientamento prevalente tende ad escludere comunque che nel divieto siano comprese anche le cellule staminali (Dolcini, 1 ss.). La previsione complessivamente evidenzia come non sia consentito alcun tipo di sperimentazione se non a fine procreativo, escludendo e vietando così esplicitamente la finalità eugenetica della ricerca, così come qualsiasi alterazione del patrimonio genetico dell'embrione in applicazione del principio di tutela del genoma umano di cui si è già detto; il divieto di clonazione rappresenta un'evidente esplicitazione della volontà del legislatore di tutelare la dignità umana. La violazione del divieto di sperimentazione sugli embrioni è sanzionata penalmente, proprio per la rilevanza che il legislatore ha voluto attribuire all'embrione come soggetto giuridico. Quanto agli embrioni come si è già detto (v. capo 2) emerge una tendenza ad una tutela rafforzata, con previsione del divieto di soppressione. La disciplina va poi integrata con la previsione del comma 4, ove consente comunque la applicazione della disciplina in materia di interruzione di gravidanza nel caso di gravidanze plurigemellari derivanti da tecniche di PMA che possano arrecare pregiudizio per la salute della donna. La diagnosi pre-impianto e l'intervento della Corte costituzionaleGià prima dell'intervento della Corte cost., che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 2, si era discusso della possibilità di effettuare diagnosi pre-impianto allo scopo di verificare le condizioni di salute dell'embrione, ciò in quanto, sebbene tale divieto non sia esplicitamente previsto, tuttavia erano emerse forti spinte interpretative nel senso di consentire una diagnosi sullo stato di salute solo all'interno del corpo materno (Villani, 1 ss.), con possibilità quindi di interruzione di gravidanza, ma non di diagnosi prenatale per evitare una gravidanza che avrebbe poi potuto portare ad una interruzione di gravidanza. Questo divieto tuttavia non sembra direttamente desumibile dalla formulazione normativa, sebbene il legislatore e il potere esecutivo abbiano evidenziato la volontà di considerarlo compreso in tale articolo come dimostrano i contenuti delle linee guida adottate nell'anno 2004, che limitavano le possibilità di ricerca al mero dato osservazionale. Alcuni autori hanno tuttavia evidenziato come il divieto di cui alla lettera b) debba essere inteso in senso restrittivo, quindi limitato al divieto di quelle tecniche di impianto che tendano alla realizzazione di selezione o manipolazione genetica (Casini-Casini-Di Pietro, 1 ss.). Anche la particolare severità della sanzione prevista in caso di violazione sembra da riferire, non potendo essere riscontrata una volontà in senso modificativo della disciplina sull'interruzione di gravidanza, proprio al caso in cui con la ricerca ci si dedichi ad attività di manipolazione genetica. La legittimità della diagnosi preimpianto era stata ritenuta da alcuni autori in considerazione del previsto diritto di informazione sullo stato di salute degli embrioni nel periodo intercorrente tra la fecondazione e l'impianto ai sensi dell'art. 14. Nella previsione dell'art. 14, al comma 2, era stato sancito un obbligo per il medico di non produrre un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario e comunque non superiore a tre, con previsione, a seguito della produzione di embrioni, di un unico e contestuale impianto nell'utero della donna. La rigidità di tale previsione era correlata alla possibilità di differire l'impianto solo per gravi ragioni integranti forza maggiore da una parte e dall'altra dal divieto di crioconservazione degli embrioni soprannumerari. Le ragioni di forza maggiore erano state individuate nell'insorgere prevedibile di una condizione di salute che avrebbe di fatto impedito l'impianto dell'embrione (e dunque sempre allo scopo di tutelare l'impianto e la sua prospettiva di giungere ad una vita futura). Alcuni autori avevano evidenziato l'illegittimità costituzionale della disciplina relativa all'obbligo di impianto, osservando come tale previsione non tenesse in adeguata considerazione un corretto bilanciamento di interessi tra la tutela dell'embrione la tutela della salute della donna (Modugno). La sentenza della Corte costituzionale ha reso possibile non solo un'effettiva tutela della salute della donna, ma anche una piena possibilità di effettuare, per coppie affette da malattie genetiche, la diagnosi preimpianto. Alcuni profili non sembrano esplicitamente affrontati e lasciano degli spazi di ambiguità, come quelli relativi alla sorte degli embrioni residui in caso di raggiungimento della gravidanza; la valutazione delle più recenti linee guida sembra condurre ad un criterio di crioconservazione sino a naturale estinzione (Salanitro, 1 ss.; Casaburi, 1 s.). La sentenza del T.A.R. Lazio 21 agosto 2008 ha affrontato il tema della ricerca e sperimentazione in relazione alla disciplina della l. n. 40/ 2004, dichiarando ingiustificata la disciplina restrittiva, introdotta dalle linee guida adottate con d.m. 21 luglio 2004, dell'indagine diagnostica, ammessa solo in quanto di tipo osservazionale. In particolare il TAR ha affermato che per quanto riguarda l'ambito oggettivo di delimitazione della disciplina della PMA, il potere relativo non può che competere al legislatore; pertanto deve essere considerata illegittima la previsione contenuta nelle linee guida dettate con il d.m. 21 luglio 2004, trattandosi di atto amministrativo di natura regolamentare, di provenienza ministeriale, le cui finalità consistono nel potere di dettare la disciplina delle procedure e delle tecniche di PMA e non in quello di intervenire, positivamente, sull'oggetto della procreazione medicalmente assistita, che rimane consegnata alla legge. Il decreto ministeriale è stato conseguentemente annullato evidenziando come la limitazione alla mera attività osservazionale si pone in contrasto con la disciplina di cui all'art. 13, volta a realizzare una piena tutela dell'embrione anche quanto alla ricerca scientifica e diagnostica, ammessa appunto allo scopo di realizzare la tutela e lo sviluppo dell'embrione. La soluzione adottata dal giudice amministrativo porta quindi a limitare la portata dei limiti alla ricerca pre-impianto, potendosi ritenere tale limite come argine solo ed esclusivamente alle pratiche eugenetiche, ma non di ostacolo per la circa e la tutela dell'embrione ed anche della donna nel caso in cui sia portatrice di malattie geneticamente trasmissibili. La legittimità della diagnosi pre-impianto (quale correlativo tecnico del diritto ad ottenere informazione sullo stato di salute dell'embrione) era stata riconosciuta da quasi tutta la giurisprudenza di merito, ad eccezione di un'iniziale decisione del Trib. Catania 3 maggio 2004, che è stata fortemente criticata a causa della valutazione della domanda posta secondo canoni di valutazione etici e morali piuttosto che tecnici e giuridici. Emerge comunque nell'ambito di tutte le decisioni di merito l'ampia considerazione per la donna, a prescindere dalla diagnosi pre-impianto, di rifiutare l'impianto ove ciò possa rappresentare un danno per la sua salute. La questione relativa alla legittimità dell'art. 13 per violazione dell'art. 2 e 32 della Cost. era stata posta esplicitamente dal Trib. Cagliari 16 luglio 2005, quanto al pericolo per la salute della donna nel caso di impossibilità di conoscere lo stato di salute dell'embrione prima dell'impianto, ma la Corte cost. con ordinanza del 9 novembre 2006 aveva dichiarato inammissibile la questione. Conseguentemente molte decisioni hanno evitato di sollevare formalmente la questione di legittimità costituzionale giungendo ad un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma e ritenendo ammessa, proprio perché non vietata, la diagnosi pre-impianto (Trib. Cagliari 24 settembre 2007; Trib. Firenze 17 dicembre 2007; Trib. Firenze 12 luglio 2008; Trib. Firenze 26 agosto 2008). Tra queste decisioni di merito vale la pena segnalare, per l'ampiezza e completezza dell'impianto argomentativo, Trib. Cagliari 24 settembre 2007, nell'ambito della quale si è precisato come la questione si ponga in considerazione da una parte dell'aspettativa di vita del singolo embrione ai sensi dell'art. 1 l. n. 40/2004 e dall'altra con l'interesse della collettività alla libertà di ricerca e sperimentazione scientifica. In sostanza, per giungere poi alla decisione di consentire a coppia affetta da malattia genetica la diagnosi pre — impianto, il giudice evidenzia come in diverse elaborazioni tecniche e scientifiche si tenda a distinguere nettamente il concetto di diagnosi pre — impianto da quello di ricerca scientifica. La disciplina dell'art. 13 tuttavia evidenzia una volontà di tutela assoluta dell'embrione, senza una precisa considerazione dell'eventuale bilanciamento di interessi con altro valore costituzionalmente garantito che è appunto quello della ricerca scientifica. Nella decisione si evidenzia tuttavia come la diagnosi pre-impianto trovi possibilità e fondamento a legislazione invariata quando la stessa sia stata richiesta da soggetti che abbiano avuto legittimo accesso alle tecniche di PMA, quando l'accertamento diagnostico trovi la sua ragione d'essere nel soddisfacimento del diritto, riconosciuto dall'art. 14, comma 5, dei futuri genitori di essere adeguatamente informati sulle condizioni dell'embrione. Con conseguente distinzione tra il caso di informazione della coppia, da considerare parte integrante della l. n. 40, rispetto al caso di applicazione della ricerca scientifica su eventuali embrioni residuali, informazione alla quale consegue una imprescindibile valutazione di prevalenza del diritto alla salute della donna a non vedere impiantato un embrione eventualmente affetto da grave patologia che potrebbe poi portare ad una legittima interruzione di gravidanza. La disciplina della PMA in considerazione del disposto di cui agli artt. 13 e 14 deve dunque esser eletta in applicazione dei principi costituzionali della piena consapevolezza dei trattamenti sanitari ai quali si accede, del diritto alla salute, del principio di uguaglianza, con conseguente riconoscibilità della diagnosi pre — impianto quando sia stata richiesta ex art. 14, comma 5, della legge. La valutazione della situazione relativa alla possibilità di una diagnosi pre-impianto ha continuato ad essere posta ai giudici di merito ed ha portato infine alla decisione della sentenza Corte cost. n. 229/2015 con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 13, comma 3 lett. b), e 4 nella parte in cui prevede che integri fattispecie delittuosa la selezione di embrioni seppure esclusivamente finalizzata ad evitare l'impianto in utero di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili (da ritenere gravi ex art. 6 l. n. 194/1978). Dunque non solo piena legittimità della diagnosi pre impianto, ma anche correttezza, con assenza di qualsiasi rilievo, per la condotta del medico che ad esito della diagnosi pre-impianto selezioni per il trasferimento solo ed esclusivamente embrioni non affetti da malattie genetiche. La sentenza in questione trae origine dalla rimessione effettuata incidentalmente dal Tribunale di Napoli dinnanzi al quale pendeva un procedimento penale a carico di medici ai quali veniva imputata la condotta di aver creato embrioni per finalità diverse da quelle prevista dalla legge (legate ovviamente alla possibilità di evitare l'impianto nella donna di embrioni affetti da malattia geneticamente trasmissibile). La Corte motiva la propria decisione richiamando la sentenza Corte cost. n. 96/2015 quanto alla dichiarazione d'illegittimità costituzionale della l. n. 40/2004 poiché escludeva dall'accesso alle cure di PMA le coppie affette da malattie geneticamente trasmissibili. L'effetto della pronuncia additiva richiamata esclude dunque dal campo dell'illiceità penale quelle condotte che sono necessarie per giungere alla cura di persone affette da malattie genetiche trasmissibili. Recentemente è ancora intervenuto sulla diagnosi pre-impianto il Trib. Milano ord. 18 aprile 2017, con la quale ha condannato una struttura sanitaria ad effettuare la diagnosi genetica preimpianto, o a provvedere all'erogazione della prestazione anche in altra struttura in caso di mancanza della strumentazione, a favore di una coppia affetta da malattia genetica grave, tale da poter portare ad un aborto terapeutico. Sempre in relazione alla ampiezza e portata della ricerca scientifica sugli embrioni deve essere letta la sentenza della Corte cost. n. 84/2016. La decisione deriva da un ricorso ex art. 700 c.p.c. introdotto da una coppia eterosessuale, che aveva richiesto al centro al quale si era rivolta per un trattamento di PMA la consegna degli embrioni ritenuti inadeguati per l'impianto al fine di destinarli alla ricerca scientifica. Le parti in giudizio hanno rilevato profili di incostituzionalità della disciplina della l. n. 40/2004 sia in relazione al divieto di destinazione alla ricerca scientifica degli embrioni crioconservati inidonei all'impianto, che in quanto al profilo della revocabilità del consenso (di cui si è già detto nel commento all'art. 6), garantita solo fino al momento della fecondazione degli ovuli, senza alcun riferimento al momento dell'impianto (con ipotetica configurazione di un conseguente trattamento sanitario obbligatorio in caso di dissenso della coppia, confronta sub art. 6). Quanto alla libertà di ricerca scientifica, le parti avevano evidenziato dinnanzi al Trib. di Firenze la irragionevolezza di un divieto a carattere assoluto, che non realizzava alcuna distinzione, quanto alla possibilità di ricerca, tra embrioni sani ed embrioni invece affetti da malattie genetiche e dunque inutilizzabili per l'impianto queste osservazioni sono state recepite dall'ordinanza di rimessione che ha evidenziato la forte genericità, dal punto di vista della definizione del concetto di embrione, della legge, cosa che eventualmente consentirebbe di limitare il divieto di ricerca solo all'embrione propriamente definito, che secondo il giudice remittente andrebbe inteso come entità organica al terzo giorno dalla fecondazione. La Corte cost. n. 84/2016 ha dichiarato inammissibili entrambe le questioni poste dal Trib. di Firenze poiché la Corte non ha considerato integrato il profilo della rilevanza, non più attuale poiché la coppia aveva comunque accettato di procedere all'impianto, quanto al profilo del consenso; mentre in relazione al divieto di ricerca scientifica, la Corte dopo aver prospettato la questione nel conflitto tra diritto della scienza e diritto dell'embrione, pur richiamando le sue precedenti decisioni (quanto all'eliminazione del limite di creazione di un numero di embrioni non superiore a tre, con conseguente possibilità di crioconservazione, in alcuni casi evidentemente affetti da patologie essendo rimessa al medico la piena discrezionalità nella scelta se procedere o meno all'impianto) ha affermato che la dignità dell'embrione non cede tutela e posizione a causa della loro eventuale condizione patologica, nonostante tale valutazione trovi un valore costituzionalmente garantito con il quale confrontarsi, che è quello della ricerca scientifica ex art. 9 Cost. La decisione della Corte sembra in concreto seguire la stessa impostazione della Corte EDU nel caso Parrillo/Italia, nell'ambito del quale è stata esclusa la violazione dell'art. 8 della convenzione nel caso sollevato da una donna che, in ragione del decesso del marito, aveva richiesto la destinazione degli embrioni in precedenza realizzati e per i quali non voleva procedere ad impianto, alla ricerca scientifica. In concreto le decisioni evidenziano la necessità di rimettere al legislatore la valutazione e comparazione di interessi in gioco in casi come quelli esaminati. La soluzione adottata dalla Corte cost. accede sostanzialmente alla impostazione costante secondo la quale l'embrione, qualunque sia la sua condizione (affezione da patologie o meno) non rappresenta mai mero materiale biologico, ma è da ritenere dotato di un grado più o meno sviluppato di soggettività giuridica. La Corte cost. n. 151/2009 , ha considerato irragionevole il limite massimo di produzione di tre embrioni, proprio perché tale limite non consentirebbe di raggiungere il miglior risultato possibile in termini procreativi. Come già evidenziato in precedenza, la Corte ha dato atto della circostanza che una tale limitazione non terrebbe conto delle più diverse situazioni di difficoltà procreativa che si potrebbero presentare; in molti casi correlate all'età della donna ed allo stress psicofisico al quale risulterebbe sottoposta per i numerosi cicli di stimolazione ormonale (dai quali possono derivare numerose patologie) e da altro punto di vista in considerazione della pesantezza per la donna degli eventuali effetti di un impianto unico con possibilità di gravidanza plurigemellari, dalle quali deriverebbe la possibilità di giungere a pratiche abortive ove incidessero appunto sulla salute complessiva della donna. Con successiva sentenza n. 161 del 2023 la stessa Corte ha chiarito che la PMA mira a favorire la vita, volendo assistere la procreazione e la nuova nascita e non la sola fecondazione; il rapporto regola-eccezione relativo al divieto di crioconservazione originariamente impostato dalla legge n. 40 del 2004 si è rovesciato a seguito del rilievo attribuito al diritto alla salute psicofisica della donna dalla Corte costituzionale. Si è così determinata la possibilità di una dissociazione temporale, anche significativa, tra il consenso prestato alla PMA e il trasferimento in utero. La decisione supera dunque la considerazione di una tutela in via assoluta dell'embrione (in realtà implicita nella previsione della stessa l. n. 40/ 2004 visto che era possibile che su tre embrioni alcuni avrebbero potuto essere dispersi a seguito dell'impianto). Emerge dunque un chiaro limite, da ritenere irragionevole anche quanto all'attività del medico, che dovrebbe poter scegliere il trattamento più adeguato in piena autonomia e in applicazione del principio di responsabilità considerato il progresso tecnico e scientifico, trattamento che invece in questo caso risulterebbe imposto. L'imposizione di un vero e proprio regime terapeutico per legge rappresenta quindi una violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. — determinando l'obbligo di applicare il medesimo protocollo in materia di PMA a situazioni che possono essere certamente diverse e da trattare in modo autonomo in relazione alla particolarità del caso concreto — oltre che ex art. 32 Cost. in considerazione della necessaria sottoposizione della donna a ripetuti cicli di stimolazione ovarica con pregiudizio della sua salute. Nel determinare l'illegittimità costituzionale della previsione relativa alla possibilità di un unico impianto e comunque con un numero di embrioni non superiore a tre, la Corte lascia intatto il principio di carattere generale relativo alla produzione di embrioni in numero strettamente necessario alla terapia in atto, con centralità del ruolo del medico nella realizzazione di tale scelta. Preminenza dunque, nel bilanciamento di interessi, della salute della donna rispetto alla possibilità di tutela dell'embrione e alla volontà di limitarne la produzione e l'impianto al numero di tre, sicché la tutela del nascituro concepito non è stato ritenuto valore costituzionalmente superiore al bene salute della donna, con prevalenza degli interessi di chi è già nato rispetto alla posizione di chi deve ancora nascere. Dalla complessa motivazione della sentenza consegue, come logica conseguenza, il principio della possibile crioconservazione degli embrioni. Non essendo infatti più obbligatorio il contestuale impianto degli embrioni, quando ragioni di tutela di salute della donna lo impediscono, gli embrioni residui potranno essere crioconservati allo scopo di realizzare, secondo la previsione di legge nel minor tempo possibile, un nuovo impianto. Tuttavia la valutazione della necessaria situazione ideale per la salute della donna è rimessa al medico, che potrà determinare tempi e modi della crioconservazione e di eventuale impianto, anche uno per volta, degli embrioni. 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