Codice Civile art. 129 bis - Responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo 12.

Giuseppe Buffone

Responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo 12.

[I]. Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio [117, 122] è tenuto a corrispondere all'altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto [156]. L'indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. È tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati [433].

[II]. Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato, l'indennità prevista nel comma precedente.

[III]. In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la nullità del matrimonio è solidalmente responsabile con lo stesso per il pagamento dell'indennità.

 

[1] Articolo inserito dall'art. 21 l. 19 maggio 1975, n. 151.

[2] V. l'art. 1, commi 5, 20, l. 20 maggio 2016 n. 76 (Regolamentazioni delle unini civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).

Inquadramento

L'art. 129-bis c.c. si riferisce al caso in cui uno dei coniugi, in buone fede, abbia confidato, senza colpa, nella validità del matrimonio e sia stato dunque travolto dalla pronuncia caducatoria del negozio per effetto della mala fede del partner, il quale ha provocato il vizio invalidante la stipula, da solo o in concorso con terzi i quali, peraltro, possono anche rispondere esclusivamente per la nullità del vincolo. L'articolo in rassegna, richiede, dunque, il positivo accertamento dei seguenti requisiti: l'imputabilità esclusiva della nullità del matrimonio al coniuge tenuto alla corresponsione dell'assegno, la sua mala fede, la buona fede dell'avente diritto.

La giurisprudenza di legittimità ha diversamente modulato le condizioni di applicabilità di quest'ultima norma, richiedendo per il coniuge cui sia imputabile la nullità che, ai fini della responsabilità, exart. 129-bisc.c., del coniuge in malafede cui sia imputabile la nullità del matrimonio, non è sufficiente la riferibilità oggettiva della causa di invalidità e non basta neppure la consapevolezza, certa o probabile, di essa, occorrendo altresì un comportamento ulteriore, commissivo od omissivo, del responsabile, contrario al generale dovere di correttezza, che abbia contribuito alla celebrazione del matrimonio nullo, la cui dimostrazione può anche derivare direttamente da una sentenza ecclesiastica di accertamento dell'invalidità — la quale fa stato anche in ordine agli accertamenti di fatto che costituiscono il presupposto della finale decisione — o dalla utilizzazione che il giudice faccia della facoltà di desumere elementi di convincimento dalle risultanze della sentenza medesima in ordine a punti non coperti dal giudicato (Cass. n. 9484/2013).

Responsabilità del coniuge in mala fede

L'art. 129-bis c.c. predica una responsabilità di colui il quale, in mala fede, abbia dato origine a un matrimonio invalido per tale ragione caducato per effetto di successiva pronuncia di nullità. Il responsabile può essere il coniuge ma anche un terzo oppure entrambi insieme. discussa la natura giuridica della norma. Secondo un filone dottrinale, si tratterebbe di una fattispecie con carattere sanzionatorio avuto riguardo al fatto che il criterio di imputazione soggettiva è rappresentato dalla mala fede del coniuge. Questa tesi non può essere oggi più sostenuta. Il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 ha introdotto nell'Ordinamento, per la prima volta, un ordito generale di principi e norme regolativi degli «illeciti con sanzioni pecuniarie civili» (a norma dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67) prevedendo che una disposizione possa avere carattere sanzionatorio purché l'obbligazione pecuniaria consequenziale imponga al trasgressore di pagare l'importo ad ente pubblico (Cassa delle Ammende) e non anche alla vittima. Al lume di questa novità, salvo casi eccezionali, è consentito ritenere che il discrimine tra responsabilità risarcitoria/indennitaria e responsabilità sanzionatoria sia da intravedere nella destinazione del tantundem monetario versato dall'autore dell'illecito: se esso importo è rivolto al soggetto passivo dell'illecito, non si versa nella cornice applicativa della sanzione civile.

Ciò detto, appare dunque più conferente nel caso di specie, la tesi che legge l'art. 129-bis c.c. nel senso di fattispecie a carattere risarcitorio (Dogliotti, Gli effetti del matrimonio invalido. Il matrimonio putativo in Tr. ZAT, I, Milano 2002, 720) anche perché la disposizione espressamente discorre di «danno sofferto» che pure viene sottoposto all'onere della prova agevolato (si presume a favore del soggetto leso). L'utilizzo del termine «indennità» è, allora, atecnico anche perché la fattispecie indennitaria, in genere, origina dal danno causato da atto lecito.

Responsabilità del terzo

Anche il terzo — al quale sia imputabile la nullità del matrimonio — è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato, l'indennità prevista a carico del coniuge in mala fede, e l'obbligazione può essere posta a carico di terzo e coniuge in mala fede secondo il regime della solidarietà.

Presupposti

La Suprema Corte ha affermato con principio consolidato che ai fini del riconoscimento della indennità di cui all'art. 129-bis c.c. va accertata non solo la riferibilità oggettiva della causa d'invalidità al coniuge e la sua consapevolezza certa o probabile di essa, ma anche la circostanza che egli abbia posto in essere un comportamento, commissivo od omissivo, contrario al generale dovere di correttezza, il quale abbia contribuito alla celebrazione del matrimonio nullo (Cass. n. 9484/2013); secondo il diritto vivente, inoltre, il requisito della buona fede dell'altro coniuge, da presumersi fino a prova contraria, si identifica nella incolpevole ignoranza della specifica circostanza per la quale, nella concreta vicenda, è stata pronunciata la nullità (Cass. n. 1780/1996). Questa trama di principi è tutto vitale nella giurisprudenza, anche di merito, ove si afferma che la condizione di buona fede presa di mira dall'art. 129-bis c.c. equivale alla ignoranza, al momento della celebrazione delle nozze, delle circostanze da cui dipende l'invalidità; esclude la tutela rimediale di cui all'art. 129-bis c.c. anche l'ignoranza «colpevole» e, cioè, quel comportamento che ha provocato la mancanza conoscenza della causa di invalidità omettendo l'adozione delle ordinarie e normali cautele e informazioni secondo l'id quod plerumque accidit (Trib. Milano, 6 maggio 2015; Trib. Milano 20 maggio 2015).

Quantum debeatur

Il regime risarcitorio enucleato nell'art. 129-bis c.c. si fonda su elementi presuntivi: il danno sofferto si presume e, in particolare, si presume corrisponda almeno a una somma corrispondente al mantenimento per tre anni.

Il coniuge responsabile ex art. 129-bis c.c. è tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati.

Unione civile

La normativa sulle unioni civili (art. 1 comma 20, l. 20 maggio 2016, n. 76), prevede una clausola generale di estensione agli uniti civili delle norme ordinamentali dedicate ai coniugi: «al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso». Questa estensione però ha dei limiti. Infatti è espressamente previsto che essa «non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge». Pertanto, si applicano alle unioni civili solo le disposizioni del c.c. richiamate in modo esplicito. La disposizione qui in commento è tra quelle espressamente richiamate e, quindi, applicabili.

Bibliografia

V. sub art. 126 c.c.

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