Codice di Procedura Civile art. 708 - [Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente] 1[Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente]1 [[I]. All'udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione.] [[II]. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione.] [[III]. Se la conciliazione non riesce, il presidente, anche d'ufficio, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentiti il ricorrente ed il suo difensore.] [IV]. Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento2.]
[1] Articolo così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 23 lett. e-ter) d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Il testo precedentemente in vigore, recitava: «Tentativo di conciliazione, provvedimenti del presidente. - [I]. Il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, procurando di conciliarli. - [II]. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione. - [III]. Se il coniuge convenuto non comparisce o la conciliazione non riesce, il presidente, anche d'ufficio, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questo. - [IV]. Se si verificano mutamenti nelle circostanze, l'ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore a norma dell'articolo 177.». La Corte cost., con sentenza 30 giugno 1971, n. 151 aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo, unitamente all'art. 707, nella parte in cui ai coniugi, comparsi personalmente davanti al presidente del tribunale, e in caso di mancata conciliazione, era inibito di essere assistiti dai rispettivi difensori. Successivamente abrogato dall'art. 3, comma 49, lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". [2] Comma aggiunto dall'art. 21l. 8 febbraio 2006, n. 54. V. disposizioni di cui al successivo art. 4 l. n. 54, cit. InquadramentoIl Presidente tenta, dopo l'audizione dei coniugi, anche separatamente, la conciliazione degli stessi, redigendone, nel caso cui pervenga alla stessa, processo verbale. In mancanza saranno adottati i provvedimenti provvisori aventi ad oggetto, di regola, l'autorizzazione a vivere separati, la determinazione dell'assegno di mantenimento a favore dell'un coniuge e dei figli, l'affidamento di questi ultimi (Picardi, § 220.3). L'ordinanza ha immediata efficacia esecutiva, fatta eccezione per le spese straordinarie relative alla prole minorenne, neppure determinabili, per le quali, presentata la relativa documentazione, il coniuge avente diritto al rimborso può ricorrere in sede monitoria per ottenere un decreto ingiuntivo di pagamento (Cass. n. 4543/2011). La provvisorietà dei provvedimenti comporta che essi possano essere modificati o travoltiex tuncdalla sentenza che pronuncia sulla separazione personale (o sul divorzio). Tuttavia, le somme maggiori eventualmente corrisposte al coniuge non sono ripetibili (Cass. n. 6864/2009). I provvedimenti provvisori sono reclamabili dinanzi alla Corte d'Appello e possono essere revocati ex art. 709, comma 4, se vengono dedotte nuove circostanze (o circostanze delle quali non si era avuta conoscenza in precedenza: Trib. Pistoia 7 gennaio 2010, in Foro it., 2010, I, 2199, con note di Cea e Proto Pisani). Ai sensi dell'art. 189, comma 2, disp. att., i provvedimenti provvisori sopravvivono all'estinzione del giudizio di separazione. Tentativo di conciliazioneLa prima attività alla quale è destinata l' udienza che si svolge dinanzi al presidente è quella volta a tentare la conciliazione tra le parti. I coniugi hanno per questo l'onere di comparire personalmente ed, a seguito delle ultime riforme, necessariamente con l'assistenza del proprio difensore. Il presidente ascolterà i coniugi prima separatamente e poi insieme, tentando di conciliarli. Nell'ipotesi in cui il tentativo di conciliazione riesca, il procedimento si concluderà con un processo verbale che dà atto dell'avvenuta conciliazione. In ordine alla valenza probatoria delle dichiarazioni rese dalle parti all'udienza presidenziale, la S.C. ha chiarito che, vertendosi in materia di diritti indisponibili, le ammissioni di una parte non possono assumere valore di confessione in senso stretto, a norma dell'art. 2730 c.c., ma possono essere utilizzate dal giudice del merito quali presunzioni ed indizi liberamente valutabili (Cass. n. 22786/2004). Poiché il tentativo di conciliazione non costituisce condizione di procedibilità della domanda, l'omissione dello stesso non determina alcuna nullità del procedimento (in arg. D'Ascola, 15). Provvedimenti provvisoriNell'ipotesi di fallimento del tentativo di conciliazione, il Presidente è chiamato ad emanare i provvedimenti provvisori nell'interesse della prole e dei coniugi, idonei a regolamentare con efficacia immediata, ma temporanea, in quanto destinati ad essere sostituiti dalla successiva decisione sulla domanda di separazione, l'assetto della crisi familiare. In sede applicativa, è stato più volte ribadito il principio per il quale, ove il tentativo di conciliazione non sia riuscito, il presidente del tribunale ha piena facoltà discrezionale, senza la necessità di effettuare ulteriori accertamenti, di disporre in via provvisoria ed urgente, ai sensi dell'art. 708, comma 3, c.p.c., provvedimenti inerenti l'assegno di mantenimento, l'assegnazione della casa familiare, l'affido dei figli (Trib. Chieti, 27 aprile 2015, n. 2581, in Ilfamiliarista, 10 luglio 2015). È tuttavia possibile per il presidente differire l'emanazione dei provvedimenti in esame all'esito degli accertamenti ritenuti a tal fine strettamente necessari. In tale prospettiva, si è ad esempio ritenuto che qualora al presidente del tribunale appaia necessario — data anche la presenza di una figlia minore e data la necessità di assegnare motivatamente il godimento della casa familiare abitata dai coniugi impegnati in un giudizio per separazione personale con richiesta di addebito — emettere i provvedimenti urgenti e provvisori (a lui riservati dall'art. 708) con cognizione sufficiente, pur se sommaria, di causa, egli può disporre d'ufficio, prima di emettere i provvedimenti necessari e più opportuni, una sollecita consulenza tecnica psichiatrica qualora uno dei coniugi sia affetto da non lieve, certa e ricorrente patologia psichiatrica che lo ha spinto ad incolpare il marito di sottrarre dalla casa familiare mobili ed arredi di notevole valore, depauperando così i beni della famiglia, senzaa avere dato prova alcuna dell'illecito asseritamente imputato al coniuge (Trib. Trani I, 8 maggio 2015, in Dir. fam. e pers., 2015, n. 3, 996). La competenza del presidente in questa fase è limitata all'emissione di tali provvedimenti (sicché non potrebbe, ad esempio, definire l'intero processo con una declaratoria di litispendenza: App. Catania 21 luglio 2011, in Dir. fam. pers., 2013, n. 3, 915, con nota di Castelli). Per altro verso, si è talvolta ritenuto che il presidente possa pronunciare i provvedimenti in esame, attesa l'urgenza sottesa agli stessi, anche ove ritenga che il proprio ufficio giudiziario sia privo di competenza sul merito della controversia (v. Trib. Messina 29 marzo 2013, in Dir. fam e pers. 2013, n. 4, 1426, con nota di Zingales). La natura dei provvedimenti presidenziali pronunciati in conformità alla norma in esame è controversa. Per alcuni, infatti, tali provvedimenti rientrano nella giurisdizione volontaria, in quanto autonomi dalla sentenza di separazione o di divorzio ed aventi quale contenuto costante l'autorizzazione ai coniugi a vivere separati e, come contenuto eventuale, le determinazioni in ordine al mantenimento di uno dei coniugi da parte dell'altro ed all'affidamento della prole (Cipriani 1970, 463 ss.). Per altri, invece, le ordinanze provvisorie ed urgenti emanate nell'interesse della prole e dei coniugi sono provvedimenti giurisdizionali a cognizione sommaria, provvisori, esecutivi ed anticipatori della decisione finale (Mandrioli 1964, 551 ss.). Secondo una tesi ancora diversa, tali provvedimenti hanno funzione eminentemente cautelare, essendo volti a regolamentare la crisi familiare in attesa della decisione di merito (Merlin, 1996, 429 ss.). Nella pratica, l'oggetto dei provvedimenti comprende pressoché costantemente — anticipando il contenuto della decisione di merito — l'autorizzazione a vivere separati, la determinazione dell'assegno di mantenimento a favore di uno dei coniugi e dei figli, l'affidamento di questi ultimi (Picardi, § 220.3). Poiché il criterio fondamentale cui devono ispirarsi i relativi provvedimenti è rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale dei figli (previsto in passato dall'art. 155 c.c. e ora dall'art. 337 ter c.c.) con la conseguenza che il giudice non è vincolato alle richieste avanzate ed agli accordi intercorsi tra le parti e può quindi pronunciarsi anche "ultra petitum" (Cass. n. 25055/2017). Circa la rilevanza delle dichiarazioni fiscali presentate dalle parti per i provvedimenti di natura economica, si è evidenziato, in sede applicativa, che, ai fini della previsione e della conseguente determinazione dell'assegno per il contributo al mantenimento dei figli, alla documentazione fiscale delle parti non può attribuirsi un'efficacia probatoria privilegiata, atteso che le dichiarazioni dei redditi, in quanto documento tipicamente fiscale, non possono assumere valore vincolante per il Giudice nell'ambito di controversie relative a rapporti diversi dal contenzioso tributario, sicché il giudice è tenuto a fondare il proprio convincimento su altre risultanze probatorie (Trib. Savona, 12 agosto 2015). Alla luce delle novità introdotte con la l. n. 55/2015 sul divorzio c.d. breve, nella prassi applicativa si è evidenziato che, in caso di separazione consensuale, il termine semestrale per la proposizione del ricorso per divorzio decorre dalla comparizione dei coniugi innanzi al Presidente che li autorizza a vivere separati, mentre, nell'ipotesi di separazione giudiziale trasformata in consensuale, il termine semestrale decorre ugualmente dall'udienza ex art. 708 e non da quella ex art. 711, altrimenti si creerebbe una inutile disparità di trattamento, peraltro contraria ai principi del giusto processo ex art. 101 Cost., e all'obiettivo stesso enunciato dalla novella legislativa, che è quello di ridurre i tempi necessari allo scioglimento del vincolo (Trib. Milano IX, 9 luglio 2015, n. 37959). L'ordinanza costituisce titolo esecutivo. Tuttavia, non richiede la spedizione in forma esecutiva ai sensi dell'art. 475, in quanto si tratta di provvedimento di natura cautelare — poiché contiene «provvedimenti temporanei e urgenti» ed è reclamabile innanzi a un organo giurisdizionale differente — per la cui attuazione l'art. 669-duodecies rimanda agli artt. 491 ss. (Trib. Reggio Emilia 27 aprile 2012, n. 785). L'ordinanza con la quale il presidente del tribunale pronuncia i provvedimenti temporanei ed urgenti non costituisce titolo per la emanazione di una successiva ingiunzione di pagamento ai sensi dell'art. 633, trattandosi di provvedimento autonomamente presidiato da efficacia esecutiva, almeno con riguardo alle somme che risultino determinate ovvero determinabili con un semplice calcolo aritmetico (Cass. n. 4543/2011). Tale determinabilità, peraltro, non sussiste anche per le spese straordinarie relative ai minori, genericamente considerate nell'ordinanza del Presidente del tribunale, che non sono autonomamente garantite da efficacia esecutiva, ma necessitano di un titolo esecutivo ad hoc, che può essere ottenuto anche mediante la presentazione di un ricorso per ingiunzione di pagamento (Cass. n. 4543/2011). Tale orientamento, ormai consolidato, riprende la distinzione, effettuata dalla giurisprudenza di merito, per la quale, in ordine alla natura di titolo esecutivo dei provvedimenti provvisori emessi nell'ambito del giudizio di separazione, occorre distinguere: in particolare, essi assumono detta efficacia solo allorquando, così come prescritto dall'art. 474 comma 1, risultano relativi a crediti certi, liquidi ed esigibili, come nel caso di indicazione di una specifica somma, determinata o determinabile nel suo ammontare, a titolo di mantenimento mensile. In assenza di tali parametri, così come accade nel caso di generica condanna alla rifusione delle spese straordinarie, non si è in presenza di un titolo esecutivo, con la conseguenza che è onere di colui che assume essere creditore, richiedere la formazione di un titolo esecutivo per accertare l'effettiva entità del credito (Trib. Piacenza 2 febbraio 2010, n. 82, in Giur. mer., 2011, n. 4, 992, con nota di Giusti). I provvedimenti adottati in sede presidenziale, hanno in ogni caso carattere interinale, sicché la sentenza può integrare (o ridurre), con effettoex tunc,decorrente dalla domanda, l'importo dell'assegno di mantenimento stabilito in quella sede provvisoria (Cass. n. 19309/2013). Tuttavia, nell'ipotesi di riduzione dell'assegno già prevista dai provvedimenti provvisori, le eventuali maggiori somme percepite dal coniuge, in virtù di provvedimenti provvisori, non sono ripetibili, considerato che l'assegno provvisorio è ontologicamente destinato ad assicurare mezzi adeguati al sostentamento del beneficiario, il quale non è tenuto ad accantonarne una parte in previsione dell'eventuale riduzione (Cass. n. 6864/2009). In ogni caso, sono ripetibili le somme versate da uno dei coniugi, in forza del provvedimento presidenziale poi revocato dal giudice istruttore, per il mantenimento di un figlio non comune ad entrambi i coniugi, ma del solo beneficiario dell'assegno (Cass. I, n. 21675/2012, in Foro it., 2013, n. 4, 1193, con nota di Casaburi). Peraltro, l'assegno perequativo disposto dal giudice nella sentenza di separazione decorre dalla data della decisione e non da quella della proposizione della domanda, trattandosi di una pronuncia determinativa che non può operare per il passato, per il quale continuano a valere le determinazioni provvisorie di cui agli artt. 708 e 709 (Cass. I, n. 18538/2013). Reclamo In passato, anche in ragione delle diverse tesi affermate in dottrina in ordine alla natura dei provvedimenti presidenziali, sono state espresse in giurisprudenza posizioni i variegate in ordine al regime degli stessi. In particolare, secondo un primo orientamento, rimasto minoritario, detti provvedimenti sarebbero impugnabili, alla medesima stregua delle misure cautelari, mediante reclamo al collegio ai sensi dell'art. 669-terdeciesc.p.c. (Trib. Genova, 16 marzo 2001, in Foro it., 2001, I, 2356). Diversamente, la giurisprudenza di merito prevalente, sull'assunto della natura non cautelare dei provvedimenti presidenziali, non riconosceva alle parti la garanzia del reclamo di cui all'art. 669-terdecies richiamando il disposto dell'art. 189 disp. att. in virtù del quale tali ordinanze sopravvivono all'estinzione del processo (cfr., tra le altre, Trib. Napoli 26 ottobre 2005, in Corr. Merito, 2005, 1253; Trib. Trani 26 novembre 1997 e Trib. Pavia 9 gennaio 1997, in Foro it., 1998, I, 232; Trib. Arezzo 11 giugno 1997, in Foro it., 1998, I, 2285). Autorevole dottrina, tuttavia, aveva proposto di svincolare la complessa questione della natura dei provvedimenti ex art. 708 c.p.c. rispetto a quella del regime degli stessi, sottolineando l'esigenza, in ogni caso, di uno strumento di controllo avverso gli stessi (Cipriani, 1994, 211 ss.). Proprio in tale prospettiva, l'art. 2 della l. n. 54/2006, recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e di affidamento condiviso dei figli, ha introdotto un nuovo comma all'interno dell'art. 708, che innova in punto di regime dei provvedimenti presidenziali prevedendone la reclamabilità, nel termine di dieci giorni dalla notificazione, dinanzi alla Corte di Appello che deciderà sul ricorso in camera di consiglio. Tale previsione è applicabile anche qualora tali provvedimenti siano stati resi nel corso del giudizio di divorzio, stante l'art. 4, secondo co., della richiamata legge sull'affidamento condiviso (cfr. Carratta 2007, 1485; Doronzo, 582 s.). Il legislatore, pur avendo riconosciuto l'esperibilità del reclamo avverso i provvedimenti urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole, non abbia preso posizione anche sulla natura degli stessi in quanto, ai fini della disciplina del mezzo di gravame, non è stato operato, come in altre occasioni, un rinvio diretto al reclamo cautelare ex art. 669-terdecies c.p.c., bensì posta una specifica disciplina. In particolare, quanto alla competenza, in deroga alla regola generale, affermata anche dall'art. 669-terdecies, per la quale i provvedimenti emanati dal giudice singolo sono reclamabili dinanzi al collegio del medesimo ufficio, il giudice competente per il reclamo è individuato nella Corte d'Appello (Luiso-Sassani, 245). Il comma 4 della norma in esame stabilisce, poi, che il reclamo avverso i provvedimenti provvisori ed urgenti nell'interesse della prole e dei coniugi deve essere proposto nel termine perentorio di 10 giorni dalla notificazione degli stessi, in una regola del tutto simile a quella sancita dall'art. 739, comma 2, c.p.c. in tema di reclamo avverso i provvedimenti camerali (Carratta 2007, 1485) e che invece si differenzia significativamente rispetto alla disciplina in parte qua oggi posta dal comma 1 dell'art. 669-terdecies c.p.c. per il reclamo cautelare. Il legislatore è tuttavia rimasto silente in ordine alla decorrenza ed alla determinazione del termine in questione nell'ipotesi in cui manchi la notifica su istanza della parte interessata, circostanza che potrebbe risultare tutt'altro che infrequente nella prassi poiché l'art. 709, comma 1, c.p.c. prevede che il coniuge ricorrente abbia l'onere di notificare l'ordinanza presidenziale soltanto al convenuto non comparso. Le opinioni della dottrina appaiono sul punto discordanti. Per alcuni, infatti, non potrebbe escludersi l'operatività, in assenza di notificazione, del termine c.d. lungo di un anno (Luiso-Sassani, 145), mentre secondo altri, qualora entrambi i coniugi abbiano partecipato all'udienza, il dies a quo dei 10 giorni per la proposizione del reclamo decorrerebbe dall'udienza nella quale è stata pronunciata l'ordinanza o dalla comunicazione della stessa mediante biglietto di cancelleria qualora avvenuta fuori udienza (Carratta 2007, 1486). Sulla questione, in sede applicativa si è ritenuto che, in tema di separazione, il termine di dieci giorni per la proposizione dinanzi alla corte d'appello del reclamo avverso l'ordinanza presidenziale decorre dalla notifica del provvedimento stesso, sicché, in caso di omissione di tale adempimento, il reclamo può essere proposto anche a distanza di tempo superiore a dieci giorni dalla sua comunicazione, e fino all'udienza di comparizione innanzi al giudice istruttore (App. Napoli, 26 giugno 2007, in Corr. Merito, 2007, n. 11, 1251). In sostanza, in sede di reclamo avverso un provvedimento presidenziale, non è normalmente consentito svolgere un'autonoma attività istruttoria che sfoci nella audizione di testimoni, nell'effettuazione di consulenze tecniche, e nell'esame di documenti diversi da quelli considerati nella fase presidenziale (App. Bari 28 marzo 2014, in Dir. fam. e pers., 2014, n. 3, 1090, con nota di Zingales). La disposizione in esame è rimasta silente, invece, quanto al procedimento che la Corte di Appello deve seguire ai fini della decisione sul reclamo: in dottrina si è sottolineato, peraltro, che il procedimento in questione dovrebbe seguire le forme camerali di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., richiamate anche dall'art. 669-terdecies in tema di reclamo cautelare (per tale rilievo v. Doronzo, 584). Circa l'attività istruttoria che può essere espletata in sede di reclamo, secondo una parte della giurisprudenza di merito, rilevano unicamente i profili di erroneità dell'ordinanza immediatamente rilevabili e non da accertare a mezzo di complessa attività istruttoria (App. Bologna 8 maggio 2006, in Giur. mer., 2007, n. 6, 1654). Sotto un distinto e più generale profilo, non si può, inoltre, trascurare che l'odierna reclamabilità dei provvedimenti presidenziali nell'interesse della prole e dei coniugi deve essere coordinata con quanto previsto dall'art. 709, comma 4, c.p.c., così come sostituito a propria volta dalla l. 14 maggio 2005, n. 80, secondo cui il giudice istruttore può modificare e revocare nel corso del giudizio tali provvedimenti (v. anche Commento all'art. 709 c.p.c.). Precedentemente, invero, la possibilità per il giudice istruttore di revocare o modificare i provvedimenti presidenziali era espressamente subordinata ad un mutamento delle circostanze. Rispetto all'attuale assetto normativo, in dottrina è stata affermata la tesi per la quale, a differenza di quanto previsto in tema di misure cautelari dal combinato disposto degli artt. 669-decies e 669-terdecies anche alla luce delle recenti riforme processuali, i rimedi della revoca e del reclamo avverso i provvedimenti presidenziali nell'interesse della prole e dei coniugi costituiscono strumenti del tutto indipendenti l'uno dall'altro (Siracusano, 386 s.), con la conseguenza che nessuna limitazione al potere di revoca o modifica del g.i. potrebbe trarsi dalla necessità di un coordinamento dello stesso con il rimedio del reclamo, sicché nell'esercizio dello stesso il g.i. sarebbe svincolato da ogni accertamento relativo alla sopravvenienza di fatti nuovi, potendo operare una semplice rivalutazione delle circostanze già esaminate dal Presidente, lasciando così libera la parte interessata di optare tra gli strumenti del reclamo e della revoca (Cfr. Doronzo, 604; Siracusano, 387; Salvaneschi, 2006, 147). In giurisprudenza sembra prevalere, tuttavia, una posizione diversa. Invero, si è evidenziato che nella pendenza del termine per la proponibilità del reclamo in Corte d'Appello, in forza del principio di alternatività dei mezzi di tutela, ed al fine di evitare contrasti tra provvedimenti, non è possibile chiedere al giudice istruttore la modifica o la revoca dei provvedimenti presidenziali, adottati nelle cause di separazione, anche in ipotesi di sopravvenienze (Trib. Napoli 9 novembre 2006, in Corr. Merito, 2007, n. 1, 26; conf. Trib. Modena 5 ottobre 2006, in Giur. mer., 2007, n. 7-8, 1949). È stato al contempo chiarito, rispetto al concorso tra tali rimedi, che ove la parte lamenti errori di valutazione da parte del Presidente del tribunale su fatti portati alla sua conoscenza dovrà proporre reclamo, entro il termine perentorio previsto dall'art. 708 comma 4, avanti alla Corte d'Appello; qualora, invece, affermi l'esistenza di circostanze sopravvenute o anche di fatti preesistenti di cui, però, si sia acquisita conoscenza successivamente, ovvero alleghi fatti emergenti da una successiva attività istruttoria, dovrà richiedere al giudice istruttore la revoca o la modifica del provvedimento presidenziale ex art. 709, comma 4 (Trib. Lamezia Terme 30 novembre 2010, in Giur. mer., 2013, n. 10, 2108, con nota di Serrao). Questa posizione appare sostanzialmente condivisa anche dalla giurisprudenza secondo la quale il reclamo in esame alla Corte d'appello deve ritenersi alternativo al potere del giudice, ai sensi dell'art. 709 c.p.c., di revocare o modificare in ogni momento detta ordinanza, per cui, una volta esperito il reclamo, non è più consentita la modifica o la revoca del provvedimento impugnato, a meno che si siano verificati mutamenti delle circostanze di fatto (Trib. Modena 5 ottobre 2006, in Corr. Merito, 2007, n. 3, 297). Quanto all'oggetto del sindacato operato nell'ambito del giudizio di reclamo previsto dal comma 4 della norma in esame, sempre in sede di merito si è ritenuto che il reclamo avverso i provvedimenti presidenziali resi ai sensi dell' art. 708 c.p.c. – introdotto, con una disposizione immediatamente applicabile ai procedimenti in corso dall' art. 2 l. 8 febbraio 2006, n. 54 – ha natura di «revisio prioris instantiae»: ne deriva che a fondamento dello stesso possono essere posti esclusivamente i fatti e documenti già esaminati dal Presidente onde consentire un sindacato del provvedimento emanato dallo stesso ed individuare la sussistenza di eventuali vizi di diritto o di merito (App. Catania, sez. fam., 16 gennaio 2020, n. 402, in ilfamiliarista.it; App. Salerno 18 luglio 2006 , in Giur. mer., 2007, n. 7-8, 1966). Secondo un certo orientamento, poiché i provvedimenti che la Corte d'appello può adottare in sede di reclamo ex art. 708, comma 4, hanno gli stessi requisiti di precarietà ed approssimatività delle misure presidenziali reclamate, la decisione della corte si giustifica solo in quanto, precedendo l'udienza di comparizione e trattazione davanti al giudice istruttore, abbia un apprezzabile margine temporale di applicazione, al fine di esplicare appieno la sua efficacia cautelare ed in ogni caso sia volta a modificare provvedimenti presidenziali che, per la loro abnormità o non manifesta rispondenza alle emergenze della causa già evidenziatesi, siano oggettivamente in grado di danneggiare le parti anche nel breve lasso di tempo che separa l'udienza presidenziale da quella di prima comparizione davanti al giudice istruttore ( App. Firenze 9 aprile 2010 , in Foro it., 2010, n. 7-8, con note di Cea e Proto Pisani). Più di recente, sulla questione, sempre in sede applicativa, si è evidenziato che la fissazione dell'udienza per la trattazione del reclamo in una data successiva a quella di ammissione delle prove in primo grado non influisce sul diritto del coniuge di richiedere ed eventualmente ottenere la revisione dei provvedimenti provvisori da parte del giudice d'appello, fermo restando che la decisione della Corte non ha però carattere vincolante sui poteri del giudice istruttore che, in presenza di fatti nuovi rispetto a quelli valutati dal giudice del reclamo, potrà regolare in modo diverso i rapporti patrimoniali e personali dei coniugi ( App. Catania, 29 febbraio 2016 ). Il provvedimento che decide il reclamo avverso i provvedimenti presidenziali provvisori ed urgenti emessi in sede di separazione giudiziale dei coniugi ha natura immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 189 disp. att. ( Trib. Modena, II, 3 maggio 2012, n. 710 ). La S.C. ha di recente precisato che nel corso del giudizio di separazione personale dei coniugi, la Corte d'appello adita in sede di reclamo avverso l'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 708, comma 3, c.p.c., non deve statuire sulle spese del procedimento, poiché, trattandosi di provvedimento cautelare adottato in pendenza della lite, spetta al tribunale provvedere sulle spese, anche per la fase di reclamo, con la sentenza che conclude il giudizio (Cass. VI, n. 10195/2021; analogamente, Cass. I, n. 8432/2020). L'art. 1, comma 23, della legge delega n… 206 del 2021, alla lettera r) stabilisce che debba essere dal legislatore delegato disciplinato il regime della reclamabilità dei provvedimenti urgenti assunti alla prima udienza dal giudice relatore nell'interesse della prole e dei coniugi dinanzi al “giudice che decide in composizione collegiale”. Non si comprende allo stato se il termine giudice debba essere inteso come tribunale con conseguente reclamabilità delle relative ordinanze dinanzi al collegio ovvero se vi sia spazio per confermare il regime attuale di reclamabilità delle stesse dinanzi alla Corte d'appello. Ricorso straordinario per cassazione Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio per il quale avverso il decreto emesso dalla Corte d'appello sul reclamo contro il provvedimento adottato, ai sensi dell'art. 708, dal presidente del tribunale all'esito dell'udienza di comparizione dei coniugi, non è ammesso il ricorso straordinario per cassazioneexart. 111 Cost., essendo lo stesso privo del carattere della definitività in senso sostanziale, in quanto il predetto provvedimento presidenziale anche dopo la previsione normativa della sua impugnabilità con reclamo in appello, pur se confermato o modificato in tale sede ex art. 708, comma 4, continua ad avere carattere interinale e provvisorio, essendo modificabile e revocabile dal giudice istruttore ed essendo destinato a essere trasfuso nella sentenza che decide il processo, impugnabile per ogni profilo di merito e di legittimità (Cass. n. 19587/2011). Tale principio trova applicazione anche nell'ipotesi in cui la Corte d'Appello abbia dichiarato l'inammissibilità del reclamo proposto (Cass. I, n. 12177/2011). Ultrattività dei provvedimenti presidenziali nell'ipotesi di estinzione del giudizio Qualora il procedimento di separazione si estingua, in deroga all'art. 310 (che riconnette la sopravvivenza del provvedimento giudiziale al carattere decisorio di esso) ed analogamente a quanto previsto per le ordinanze anticipatorie di condanna (Picardi, § 220.3), l'art. 189, comma 2, disp. att. statuisce che i provvedimenti presidenziali sopravvivono fintanto che non vengano modificati in un nuovo giudizio di separazione, instaurabile in ogni tempo. Per alcuni l'art. 189 disp. att. detta una disciplina autonoma che trova applicazione a prescindere dalla fase o dal grado del procedimento nel quale si è verificata l'estinzione (Cipriani, 1970, 295). Per altri, invece, la norma opera con limitato riguardo al giudizio di primo grado (Mandrioli, 1994, 231). Casistica Nel caso di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, ai sensi degli artt. 155, comma 4, c.c., in tema di separazione personale, e 6, comma 6, l. n. 898/1970 (come sostituito dall'art. 11, l. n. 74/1987), in tema di divorzio, il relativo provvedimento — in quanto avente per definizione data certa, sia esso la sentenza che definisce il giudizio di separazione o di divorzio, sia il provvedimento provvisorio pronunziato dal Presidente del tribunale ai sensi degli artt. 708 e 4, comma 8, l. n. 898/1970 e successive modifiche — è opponibile al terzo acquirente del bene in epoca successiva al provvedimento medesimo, nel termine di nove anni, ed anche oltre se il provvedimento sia stato trascritto (Cass. I, n. 28229/2013). L'assegnazione della casa coniugale disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi acquirenti, né al coniuge non assegnatario che voglia proporre domanda di divisione del bene immobile di cui sia comproprietario, poiché l'opponibilità è ancorata all'imprescindibile presupposto che il coniuge assegnatario della casa coniugale sia anche affidatario della prole, considerato che in caso di estensione dell'opponibilità anche all'ipotesi di assegnazione della casa coniugale come mezzo di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, si determinerebbe una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà dell'altro coniuge, in quanto la durata del vincolo coinciderebbe con la vita dell'assegnatario (Cass. II, n. 4735/2011). La revoca dell'assegnazione della casa familiare, contenuta nella sentenza con cui il tribunale definisce il giudizio di separazione tra coniugi, costituisce titolo idoneo per il rilascio, senza necessità che, con la pronuncia, sia esplicitato altresì un apposito comando, rivolto al coniuge ex assegnatario e diretto al suo allontanamento dall'immobile (Cass. III, n. 1367/2012). Il contributo al mantenimento della prole deve tenere conto delle esigenze complessive di vita dei minori e nel determinarlo si deve fare riferimento non solo ai redditi dei genitori ma anche alle concrete capacità lavorative ed alle potenzialità reddituali (App. Catania, 28 gennaio 2015). Va riformato, in sede di reclamo, il provvedimento presidenziale con cui, a titolo di mantenimento del coniuge più debole, si è posto a carico dell'altro coniuge il pagamento di una somma mensile superiore alla richiesta formulata dalla stessa parte beneficiaria (App. Bari 28 marzo 2014, in Dir. fam e pers., 2014, n. 3, 1090, con nota di Zingales). Al fine di stabilire l'ammontare del reddito da lavoro dipendente del coniuge debitore dell'assegno di separazione personale, si deve avere riguardo al lordo della busta paga percepita da quest'ultimo, detratte le ritenute fiscali e previdenziali, ma non quelle sindacali, mentre le ritenute per cessione del quinto vanno considerate solo se la cessione si sia resa necessaria per fare fronte a spese indispensabili, quali quelle sanitarie. Pertanto, il ricorrente che lamenti la mancata considerazione da parte del giudice di appello delle trattenute in busta paga, deve specificarne i titoli, onde consentire di valutarne la rilevanza (Cass. I, n. 10380/2012, in Dir. fam., 2013, n. 1, 37, con nota di Vaccarella). L'ordine di protezione, emesso in sede di art. 708 c.p.c., assume la natura giuridica dell'ordinanza che lo contiene ed è quindi reclamabile dinanzi alla Corte d'appello (App. Catania 29 febbraio 2016, in Ilfamiliarista, 3 maggio 2016). In tema di separazione giudiziale dei coniugi, il giudice, già nella fase presidenziale, individua il regime di affidamento dei figli minori con esclusivo riferimento al loro concreto interesse morale e materiale, non rilevando di per sé, anche per i minori preadolescenti, la c.d. astratta maternal preference (App. Catania, 3 luglio 2017, in Foro it., 2017, n. 10, I, 3186, la quale ha confermato, in sede di reclamo, l'ordinanza presidenziale che, in regime di affidamento condiviso, aveva collocato una bambina di circa dieci anni di età presso il padre, ritenuto idoneo, a differenza della madre, a garantirle la continuità dell'assetto di vita nella abitazione e nella località preferita della minore stessa, ascoltata dal giudice e ritenuta capace di discernimento). Le previsioni della legge delega n. 206 del 2021 incidenti sulla prima udienzaL'art. 1, comma 23, della legge n. 206 del 2021 ha inserito una serie di criteri di delega che riguardano anche la fase iniziale dei procedimenti in esame. Novità assoluta, nella prospettiva dell'unitarietà del giudizio, è lo svolgimento, sin dalla prima udienza volta al tentativo di conciliazione dei coniugi e finalizzata all'assunzione, in difetto di accordo, dei provvedimenti nell'interesse della prole e dei coniugi, del procedimento dinanzi al giudice relatore (senza la pregressa e tradizionale scissione, dunque, tra fase presidenziale e fase dinanzi al giudice istruttore e ciò sebbene la lettera m) del predetto comma 23 faccia riferimento, probabilmente in un refuso, al Presidente). Si stabilisce infatti che il Governo venga delegato a prevedere che, qualora il tentativo di conciliazione non riesca, il giudice, anche d'ufficio, sentite le parti ed i rispettivi difensori, assuma con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse della prole e dei coniugi. Significativa e opportuna novità è la prevista non necessità di esperire il tentativo di conciliazione nelle ipotesi in cui sia stata allegata da una delle parti qualsiasi forma di violenza domestica prevista dalla Convenzione del Consiglio d'Europea sulla previsione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata con legge 27 giugno 2013, 77: in queste ipotesi la comparizione delle parti dovrà, anzi, avvenire in orari differenti. Sembra inoltre resa possibile, ai sensi della lettera t) del comma 23 dell'art. 1, che il giudice possa disporre, ai fini dell'assunzione delle proprie determinazioni, l'audizione diretta del minore (audizione che dovrà essere in ogni caso oggetto di videoregistrazione), anche infradodicenne purché capace di disscernimento (sulla relativa facoltà del giudice di disporre l'audizione anche al fine di verificare tale capacità di discernimento cfr. Cass. I, n. 21230/2019), adottando provvedimenti a tutela dei minori anche d'ufficio e in assenza di istanze. Le relative questioni dovranno nondimeno essere segnalate alle parti come si desume dall'esigenza indicata dalla stessa lettera t), di preservare il contraddittorio tra le parti, a pena di nullità dei provvedimenti. L'oggetto dei provvedimenti temporanei e urgenti è individuato nella lettera r) dell'art. 1, comma 23, della legge n. 206 del 2021, ossia in quelli richiesti dalle parti stesse con le rispettive domande e nell'inteesse dei figli minori (o comunque portatori di handicap grave o econonomicamente non autosufficiente), disposti anche d'ufficio. Assoluta novità è la delega al Governo, contenuta nella stessa lettera r), a prevedere che nell'adottare i predetti provvedimenti il giudice formuli una proposta di piano genitoriale con la quale illustri la complessiva situazione di vita del minore e le sue esigenze in vista dell'affidamento e dei tempi di frequentazione con i genitori, nonché del suo mantenimento, istruzione, educazione e assistenza morale, nel rispetto dei principi contemplati dall'art. 337-ter c.c., indicando i punti sui quali vi è accordo tra i genitori e stabilendo che il mancato rispetto del piano costituisca condotta sanzionabileex art. 709-ter c.p.c. La circostanza che il giudizio abbia sin dall'origine una struttura unitaria giustifica la previsione contenuta nella prima parte della lettera u) del più volte richiamato art. 1, comma 23, della legge n. 206 del 2021 per la quale il Governo è delegato a stabilire che i provvedimenti temporanei ed urgenti debbano contenere le modalità e i termini di prosecuzione del giudizio. Sanzioni penaliIl d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ha inserito nel codice penale l'art. 570-bis, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio, estendendo espressamente le pene previste dall'articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli. Pertanto, non vi è più dubbio che tale responsabilità penale possa essere sancita,a prescindere dallo stato di bisogno dell'altro coniuge, ogni qual volta il coniuge onerato violi gli obblighi di natura economica assunti o determinati in sede di separazione nonché quelli in tema di affidamento dela prole. La nuova disposizione ha quale obiettivo quello di ampliare le tutele rispetto a quelle tradizionalmente previste dall'art. 570 c.p., in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, che è particolarmente limitativo in tal senso, stabilendo che le stesse pene vengano applicate nei confronti di colui che fa mancare i mezzi di assistenza ai discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia separato per sua colpa. Nell'assetto anteriore all'introduzione dell'art. 570-bis c.p., pertanto, le sanzioni penali erano comminabili soltanto ove sussistesse una situazione di bisogno del coniuge separato o della prole minorenne ed in relazione ai minimi mezzi di sussistenza. Pronuncia dei provvedimenti presidenziali e scioglimento della comunione coniugaleLa riforma di cui alla l. n. 55/2015 sul c.d. divorzio breve ha inciso espressamente sul momento dal quale si verifica lo scioglimento della comunione legale prevedendo, mediante una modifica dell'art. 191 c.c., che ciò avvenga a seguito della pronuncia dei provvedimentiexart. 708 ovvero della sottoscrizione del verbale di separazione consensuale dinanzi al Presidente, purché omologato. Il legislatore resta invece silente, ancora una volta, con riguardo al momento nel quale si determina lo scioglimento della comunione coniugale ove le parti decidano di separarsi mediante procedure stragiudiziali come la negoziazione assistita o le relative dichiarazioni dinanzi all'ufficiale di stato civile: il problema che si pone non è di poco momento, non essendo prevista alcuna comparizione delle parti in udienza dinanzi ad un giudice. Una soluzione potrebbe essere, come argomentato in dottrina, quella di ascrivere tale effetto alla sottoscrizione degli accordi di negoziazione assistita certificati dai difensori (ovvero alla dichiarazione della volontà di separarsi formulata dinanzi all'ufficiale di stato civile), che ex art. 6 d.l. n. 132/2014 sono equiparati ai relativi provvedimenti giudiziali, fermo l'operare della condizione risolutiva determinato dalla mancanza di nulla osta o autorizzazione (Tizi, 1082). Differente era il «diritto vivente» antecedente alla novellazione normativa. Invero, sebbene fossero state affermate, sia da parte di autorevole dottrina che nella giurisprudenza di merito, anche altre tesi (cfr. Trib. Ravenna, 17 maggio 1990, in Giust. civ., 1991, con nota di Finocchiaro), costituiva jus receptum in sede di legittimità il principio in forza del quale lo scioglimento si determina con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale (ovvero con la definitività del decreto di omologa). Sul punto, è stato più volte ribadito che, poiché l'art. 191 c.c. prevede le cause di scioglimento della comunione e, tra essi, la separazione personale (giudiziale o consensuale), lo scioglimento si perfeziona con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale o l'omologa di quella consensuale, sicché nel passaggio in giudicato o nell'omologa si individua il momento nel quale sorge l'interesse ad agire, concreto ed attuale, volto allo scioglimento della comunione ed alla divisione, ma esso può anche riguardarsi come il fatto costitutivo del diritto ad ottenere tale scioglimento e la conseguente divisione (v., tra le molte, Cass. n. 4757/2010). Peraltro, erano stati evidenziati in dottrina gli inconvenienti cui detta impostazione dava luogo (e che inducevano molti ad optare per il regime della separazione dei beni), «costringendo» i coniugi che ormai avevano da tempo vite separate e che spesso erano in conflitto tra loro a continuare ad avere sino al passaggio in giudicato della sentenza sulla separazione il regime della comunione dei beni (Oberto, 615). Nel sistema riformato, invece, una volta che il Presidente abbia pronunciato i provvedimenti di cui all'art. 708 ovvero sia stato sottoscritto il verbale di separazione consensuale, potrà essere proposta domanda di divisione giudiziale dei beni, essendo venuta meno la comunione legale degli stessi ex art. 191 c.c. Occorre ricordare, sulla questione, che sinora la giurisprudenza ha sempre affermato, in coerenza con l'interpretazione dell'art. 191 c.c. avallata in parte qua, che la domanda di divisione poteva invece essere formulata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza sulla separazione giudiziale (ovvero dopo l'omologazione di quella consensuale), con conseguente improponibilità della stessa se proposta prima di quel momento (Cass. n. 6234/1998). Tuttavia, era stato al contempo chiarito che il passaggio in giudicato della sentenza sulla separazione non costituiva presupposto processuale ai fini della proposizione della domanda di divisione, bensì condizione di tale azione, sicché, se prima della definizione del giudizio di divisione maturava tale condizione, il giudice adito poteva decidere sulla divisione dei beni coniugali (Cass. n. 4757/2010). Volendo applicare i principi sopra enunciati nel sistema oggi novellato possiamo quindi dire che: a) la domanda di divisione dei beni può essere proposta solo dopo la pronuncia dei provvedimenti ex art. 708; b) peraltro, ove il giudizio divisorio proposto prima di detto momento non sia stato ancora definito, atteggiandosi l'emanazione dei provvedimenti presidenziali alla stregua di una condizione dell'azione di divisione, la pronuncia degli stessi consentirà una decisione sul merito di detta azione. Sul piano sostanziale, inoltre , l'anticipata cessazione della comunione legale consente anche di evitare che i beni acquistati dai coniugi nelle more del giudizio di separazione ricadano, ai sensi dell'art. 177, primo 1, lett. a), c.c., nella comunione legale. Con riferimento al nuovo assetto, in sede applicativa si è affermato che alla luce delle novità introdotte con l. n. 55/2015, in caso di separazione consensuale il termine semestrale per la proposizione del ricorso per divorzio decorre dalla comparizione dei coniugi innanzi al Presidente che li autorizza a vivere separati (art. 708 c.p.c): in caso di separazione giudiziale trasformata in consensuale il termine semestrale decorre ugualmente dall'udienza ex art. 708 c.p.c. e non da quella ex art. 711 c.p.c., altrimenti si creerebbe una inutile disparità di trattamento, peraltro contraria ai principi del giusto processo ex art. 101 Cost., e all'obiettivo stesso enunciato dalla novella legislativa, che è quello di ridurre i tempi necessari allo scioglimento del vincolo (Trib. Milano IX, 9 luglio 2015, n. 37959). 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