Legge - 1/12/1970 - n. 898 art. 8

Giuseppe Pagliani
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Art. 8.

[ 1. Il tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può imporre all'obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6.

2. La sentenza costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 del codice civile.

3. Il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell'assegno, dopo la costituzione in mora a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento del coniuge obbligato e inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, può notificare il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato con l'invito a versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al coniuge inadempiente 1.

4. Ove il terzo cui sia stato notificato il provvedimento non adempia, il coniuge creditore ha azione diretta esecutiva nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovutegli quale assegno di mantenimento ai sensi degli articoli 5 e 62.

5. Qualora il credito del coniuge obbligato nei confronti dei suddetti terzi sia stato già pignorato al momento della notificazione, all'assegnazione e alla ripartizione delle somme fra il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell'assegno, il creditore procedente e i creditori intervenuti nell'esecuzione, provvede il giudice dell'esecuzione 3.

6. Lo Stato e gli altri enti indicati nell'art. 1 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, nonché gli altri enti datori di lavoro cui sia stato notificato il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno e l'invito a pagare direttamente al coniuge cui spetta la corresponsione periodica, non possono versare a quest'ultimo oltre la metà delle somme dovute al coniuge obbligato, comprensive anche degli assegni e degli emolumenti accessori 4.

7. Per assicurare che siano soddisfatte o conservate le ragioni del creditore in ordine all'adempimento degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può disporre il sequestro dei beni del coniuge obbligato a somministrare l'assegno. Le somme spettanti al coniuge obbligato alla corresponsione dell'assegno di cui al precedente comma sono soggette a sequestro e pignoramento fino alla concorrenza della metà per il soddisfacimento dell'assegno periodico di cui agli articoli 5 e 65. ]6

 

[6] Articolo abrogato dall'articolo 27, comma 1, lettera d) del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197.

Inquadramento

La norma conteneva la disciplina delle garanzie che assistono le prestazioni patrimoniali conseguenti al divorzio, e cioè l'assegno di divorzio verso l'ex coniuge e il contributo per il mantenimento della prole. A fronte, infatti, del pericolo di inadempimento dell'ex coniuge tenuto alle obbligazioni di carattere patrimoniale, di solito a carattere periodico, la legge 898/1970 approntava  un sistema di strumenti di tutela, analogo a quello previsto dalle norme codicistiche in tema di separazione. Alcuni di questi strumenti risultavanomutilizzabili soltanto mediante intervento necessario dell'autorità giudiziaria; altri  erano disponibili per via non giudiziale, per iniziativa dell'avente diritto, sulla base della previsione normativa di un'azione diretta esecutiva apposita.

L'art. 8 rimane in vigore unicamente per i procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023. In tal senso ha disposto l'art. 27 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile. I procedimenti instaurati dopo la data suddetta seguono le forme del rito unificato in materia di famiglia, di persone e di minori (artt. 473-bis e segg. c.p.c.). Le disposizioni dettate dall'art. 8 sono state trasferite, senza sostanziali modifiche, negli artt. da 473-bis.36 a 473-bis.39. 

Di seguito richiamiamo alcune acquisizioni interpretative e applicative enunciate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ritenute ancora significative, rimandando, per il resto, al commento alle disposizioni sopra citate del codice di procedura civile.

Garanzie

Gli obblighi a contenuto patrimoniale che danno corpo alla c.d. solidarietà postconiugale, (v. sub art. 5 l. 1 dicembre 1970, n. 898) restano, pur dopo la ricordata riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022, assistiti da vari strumenti volti, nel complesso, a garantirne l'effettività, cioè l'adempimento da parte del soggetto che ne è vincolato. Ciò avviene sia mediante la possibilità di ottenere in via preventiva l'imposizione di vere e proprie garanzie patrimoniali, e sia mediante strumenti esecutivi, diretti o indiretti,  finalizzati al conseguimento forzoso della prestazione.

Ai sensi dell'art. 8 l. n. 898/1970  e poi dell'attuale art. 473-bis.36 c.p.c., l'onere di prestare garanzia può essere imposto dal tribunale nel caso di pericolo di inadempimento agli obblighi «di cui agli articoli 5 e 6», cioè alle obbligazioni patrimoniali nei confronti, rispettivamente, dell'ex coniuge e della prole; a norma del primo comma della norma in commento, la garanzia, sia reale che personale, può essere ordinata già con la sentenza che pronuncia il divorzio. Il presupposto dell'imposizione non è un inadempimento già verificatosi, in quanto, per la natura cautelare del provvedimento, è sufficiente il solo pericolo che il coniuge obbligato possa sottrarsi all'adempimento, pericolo che deve essere concreto e connotato dalla presenza di elementi, d'ordine obiettivo o anche soggettivo, che rendono attuale il predetto rischio. L'art. 473-bis.36, secondo comma, utilizza la medesima espressione letterale per indicare i presupposti che giustificano il potere del giudice: il pericolo che il soggetto obbligato al contributo economico possa sottrarsi all'adempimento. La normativa del rito di famiglia ha dunque mantenuto la larga discrezionalità del giudicante nell'apprezzamento, di volta in volta, del rischio di inadempimento. La domanda di imposizione dell'onere di fornire una garanzia va presentata al giudice che procede; in mancanza, al giudice che è competente per la revisione dei provvedimenti di divorzio (art. 473-bis.29).

Una forma di garanzia che il creditore può attivare a sua iniziativa e senza necessità di intervento giudiziale, è prevista dal secondo comma della norma in commento, per il quale la sentenza di divorzio costituisce titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale; per questa cautela non occorre inadempimento e nemmeno pericolo, potendo essere effettuata l' iscrizione sulla base della sola pronuncia di divorzio, contenente statuizioni patrimoniali. Analoga disposizione è dettata dall'art. 473-bis.36, primo comma, c.p.c. per i procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023. L'idoneità all'iscrizione è estesa, da questa disposizione, ai provvedimenti temporanei (in materia di contributo economico). L'idoneità all'iscrizione dell'ipoteca è aspetto strettamente connesso all'immediata esecutività.

In tema di assegno mensile di mantenimento separativo o divorzile, l'iscrizione di ipoteca sui beni dell'obbligato fino alla concorrenza di una somma corrispondente all'importo della capitalizzazione del suddetto assegno, ai sensi dell'art. 8 della l. n. 898 del 1970, consente al creditore, nell'espropriazione forzata dei beni ipotecati, di far valere il suo credito soltanto nei limiti dei ratei già maturati alla data dell'intervento nella procedura e, comunque, non oltre il momento in cui il processo si chiude con la distribuzione del ricavato (Cass. III, n. 12216/2023). Quando è richiesta la revoca dell'iscrizione, il giudice è tenuto a verificare la sussistenza o meno del pericolo di inadempimento dell'obbligo (Cass. I, ord. n. 1076/2023).

Richiesta di versamento diretto

Oltre all'iscrizione di ipoteca, a garanzia delle proprie ragioni il creditore dispone (nella normativa abrogata come in quella sopravvenuta) della possibilità di ottenere che una quota dei redditi o dei proventi di lavoro dell'obbligato gli venga versata direttamente: il versamento diretto agli aventi diritto delle somme dovute da terzi all'ex coniuge obbligato, e in particolare di una quota dei redditi o dei proventi di lavoro dell'obbligato è previsto anche per la separazione. Mentre, tuttavia, per il coniuge separato occorre un procedimento giudiziario (art. 156, comma 6, c.c.), la corresponsione diretta dell'assegno da parte del terzo nel divorzio, ai sensi del terzo comma della norma in commento, è chiesta direttamente e in via stragiudiziale, su iniziativa dell'avente diritto, mediante la notifica al terzo, tenuto a corrispondere periodicamente somme di denaro, dell'invito al versamento diretto, accompagnata dalla comunicazione all'obbligato: una volta effettuata la notifica al terzo debitore, l'avente diritto ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti per le somme spettantegli (quarto comma della norma in commento). Per i procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023 l'art. 473-bis.37 c.p.c. riprende sostanzialmente, con maggiore precisione, le disposizioni già dettate dall'art. 8 legge divorzio.

I presupposti per il pagamento diretto previsti dal citato art. 473-bis.37 sono: l'avente diritto deve essere creditore di corresponsioni periodiche di contributo economico per sé o della prole; il debitore (ex coniuge) tenuto a prestarle deve essere stato messo in mora per una inadempienza protrattasi per almeno trenta giorni; il terzo cui rivolgere la richiesta di pagamento deve essere un soggetto tenuto a corrispondere periodicamente somme di denaro al debitore ex coniuge; al terzo l'avente diritto alla prestazione economica da divorzio deve notificare il provvedimento che costituisce il suo titolo (sentenza; accordo di negoziazione assistita) con contestuale richiesta di destinare il pagamento direttamente a sé, notificante, e non più all'originario creditore; a quest'ultimo deve essere data comunicazione dell'istanza destinata a privarlo delle somme che gli sarebbero spettate. L'esempio di scuola riguarda il soggetto che si rivolge al datore di lavoro dell'ex coniuge per far versare a sé le retribuzioni maturate dall'ex coniuge nel corso del rapporto.

Presupposti necessari per dar luogo all'obbligo di versamento diretto sono la costituzione in mora dell'obbligato ed un inadempimento di almeno trenta giorni. Non è sufficiente una situazione di mero sospetto o di rischio di inadempimento, occorrendo che il pregresso inadempimento dell'obbligato, se il pericolo sorge da questa circostanza, sia «debitamente comprovato» (Trib. Milano, 4 maggio 2010).

Ulteriore presupposto implicito è l'avvenuta pronuncia della sentenza di divorzio o il divorzio stabilito con modalità corrispondente (negoziazione assistita). In corso di giudizio di divorzio può disporsi ancora l'ordine al terzo di cui all'art. 156, 6° c., c.c. del regime di separazione (Trib. Arezzo, 17 settembre 2009; Trib. Milano, 4 maggio 2010), da emanarsi da parte del giudice. Nella nozione di terzo tenuto a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge titolare di assegno divorzile vanno compresi gli enti che erogano trattamenti pensionistici, poiché nell'art. 8 comma 6 l. 1 dicembre 1970 n. 898, non vi è, al riguardo, un'espressa limitazione ai crediti retributivi, mentre, con il richiamo dell'art. 1, comma 1 d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, si fa menzione anche dei soggetti che corrispondo pensioni, indennità, sussidi e compensi di qualsiasi specie, non essendovi, pertanto, alcuna ragione per escludere i crediti pensionistici (Cass. lav., 28 novembre 2011, n. 25043).

In caso di versamento diretto da parte del terzo dell'assegno divorzile, il coniuge creditore di altre somme oltre a quelle derivanti dal divorzio potrà agire nei confronti dell'altro coniuge obbligato nei limiti di quanto disposto dall'art. 8 l. n. 898 del 1970 (Trib. Brindisi, 4 gennaio 2007).

Azione esecutiva diretta

Tanto l'art. 8 l. n. 898/1970 quanto l'art. 473-bis.37 dispongono che, se il terzo, cui è stata notificata la richiesta di pagamento diretto, non adempie alla richiesta, il soggetto che l'ha proposta ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti.  La seconda delle norme citate aggiunge che l'obbligo di corresponsione diretta per il terzo sorge a suo carico dal mese successivo a quello in cui è stata effettuata la notificazione.

L'azione esecutiva è esercitata avvalendosi, come titolo esecutivo, del documento che ha stabilito l'ammontare, la debenza e la periodicità delle corresponsioni collegate al divorzio; della notifica al terzo della domanda di pagamento diretto; della prova della messa in mora dell'ex coniuge debitore; della prova della avvenuta comunicazione dell'istanza di pagamento diretto all'ex coniuge originario creditore.

Limiti di pignorabilità

L'art. 8 l. n. 898/1970 consente il pignoramento   delle somme spettanti al coniuge obbligato con una disposizione che è norma speciale prevalente sulle altre norme in tema di pignorabilità degli stipendi, pensioni o altre indennità, in quanto stabilisce che per il credito derivante dall'assegno periodico dette somme sono pignorabili fino alla concorrenza della metà: quale normativa speciale e comunque posteriore, tale previsione prevale sia rispetto all'art. 545 c.p.c. sia rispetto all'art. 2 d.P.R. n. 180/1950, sicché le somme dovute al coniuge obbligato alla corresponsione dell'assegno divorzile in favore dell'altro coniuge o della prole, sono pignorabili anche oltre il limite del quinto, con determinazione in concreto rimessa alla decisione del giudice dell'esecuzione in sede di assegnazione al creditore pignorante (Trib. Modena, 16 ottobre 2012).

La disposizione non è stata ripresa dalle norme dettate per la riforma del processo civile dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. Valgono in proposito le disposizioni speciali sul pignoramento degli stipendi, pensioni e salari pubblici e privati.

Sequestro

A garanzia delle ragioni del creditore, il tribunale può poi disporre il sequestro dei beni del coniuge obbligato, ai sensi del settimo comma della norma in commento. Si tratta di una forma di tutela della garanzia patrimoniale del creditore, non dissimile da quella tipica del sequestro conservativo (art. 671 c.p.c.), per l'imposizione della quale occorre una analoga valutazione dei presupposti dell'apparenza di fondatezza della domanda (c.d. fumus boni iuris) e del pericolo nel ritardo (c.d. periculum in mora). La disposizione dettata dall’art. 8  che autorizza il sequestro è stata trasportata nel comma terzo dell'art. 473-bis.36 c.p.c. dal d.lgs. n. 149/2022, di riforma del processo civile. Scopo e funzione del sequestro sono rimasti identici: la misura è disposta per assicurare che siano soddisfatte o conservate  le ragioni del creditore cui spetta la corresponsione periodica del contributo in ordine al relativo adempimento. La richiesta è formulata al giudice che procede o, in mancanza, al giudice competente per la revisione dei provvedimenti economici (art. 473-bis.29).

Tuttavia, si tratta di un sequestro cd. atipico, la cui natura non è propriamente cautelare, e che presuppone l'esistenza un credito già dichiarato, sia pure in via provvisoria, nonché l'inadempimento dell'obbligato. In ciò risiede la differenza dal sequestro conservativo (art. 671 c.p.c.), che presuppone la contemporanea sussistenza dei presupposti del periculum in mora e del fumus boni iuris. In dottrina è descritto come una misura coercitiva volta a tutelare l'adempimento degli obblighi di mantenimento, in presenza di un titolo esecutivo già attuale. Pertanto, il ricorso al sequestro atipico si configura come forma di tutela aggiuntiva offerta nella specifica materia dal legislatore, e non come norma sostitutiva della tutela ordinariamente concessa dalle norme del codice di rito (Trib. Perugia I, 1 agosto 2016). La richiesta di un provvedimento di sequestro delle somme percepite dal coniuge va proposta con autonomo ricorso ed esaminata dal tribunale sul presupposto del fumus boni iuris, rappresentato dal presumibile riconoscimento in favore del coniuge beneficiario dell'assegno divorzile e del periculum in mora, costituito dalla dispersione nelle more del giudizio di divorzio di ogni garanzia patrimoniale ad opera dell'obbligato, onde eludere il relativo adempimento (Trib. Trani, 26 settembre 2003).

Il fatto che l'unico e necessario presupposto per l'emanazione del sequestro sia l'effettivo e già verificato inadempimento agli obblighi che hanno costituito oggetto della decisione del giudice, è l'aspetto che principalmente connota la misura in questione con tratti del tutto peculiari, che la differenziano dall'ordinario sequestro conservativo di cui all'art. 671 c.p.c., in quanto i poteri accordati al giudice dalla norma —così come dall'art. 156 c.c.- sono subordinati all'inadempienza. Nell'istituto si ravvisano, pertanto, una funzione esecutiva ed una finalità coercitiva, con esclusione del carattere cautelare che, invece, pervade il provvedimento di sequestro tipico, quale mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale finalizzato al pignoramento. Se, cioè, nel sequestro conservativo si rileva il carattere di strumentalità, come mezzo volto a congelare una situazione patrimoniale, intesa come patrimonio integralmente considerato, per impedire la futura dispersione dei mezzi di soddisfacimento dell'obbligazione sottostante, in funzione ed in stretta connessione con il giudizio di merito destinato a formare ed a dotare il creditore di titolo esecutivo, nel sequestro in materia di famiglia si assiste, invece, ad una forma di coazione all'adempimento di obblighi dei quali si è già riscontrato inadempimento, nonostante un titolo esecutivo già formato, anche se in via provvisoria e pur sempre soggetto a modifica e revisione. 

Il provvedimento è giustificato dalla ricorrenza di presupposti analoghi a quelli che fondano il sequestro previsto dall'art. 156 c.c. L'apparenza di fondatezza, peraltro, risiede nella stessa statuizione patrimoniale contenuta in sentenza; il pericolo nel ritardo è tipizzato dalla legge nel verificarsi di due possibili situazioni. L'una è costituita dal pericolo che l'obbligato possa sottrarsi ai propri obblighi. In tal senso si richiede un reale pericolo per la parte avente diritto alla prestazione sussistente,  sul piano oggettivo, quando lo stesso non è già assistito da specifiche garanzie reali o personali e, sul piano soggettivo, se risultano posti in essere comportamenti potenzialmente lesivi della aspettativa di spontaneo adempimento o anche solo preparatori della diminuzione di disponibilità economiche. Il relativo convincimento può essere tratto da vari elementi, tra i quali lo tesso comportamento dell'obbligato nel corso dello svolgimento del procedimento di merito. Parimenti, la trasformazione di un cespite aggredibile (come un immobile o una partecipazione societaria) in un cespite più difficilmente aggredibile, come il controvalore della sua cessione, in denaro contante, rende concreto il timore di una sopravveniente insufficienza del patrimonio del debitore a soddisfare i crediti scaturiti dalla sentenza. In secondo luogo, assume rilievo ogni comportamento per effetto del quale il rischio per il creditore di perdere la garanzia del proprio credito diviene una situazione di pericolo reale ed obiettiva, concretandosi nella possibilità che il patrimonio del debitore non sia più in grado di soddisfare la funzione di garanzia che gli é propria, e che il debitore non possa più adempiere correttamente la propria obbligazione.

Attesa la natura non cautelare e la finalità di impedire la libera disponibilità dei beni o crediti dell'obbligato a garanzia dell'adempimento degli obblighi di mantenimento, il vincolo imposto con tale sequestro è inidoneo a convertirsi in pignoramento (Trib. Arezzo, 21 giugno 2011).

Impugnazioni

La reclamabilità del provvedimento che dispone il sequestro (art. 669-terdecies c.p.c.) era controversa. La giurisprudenza di merito si era pronunciata prevalentemente nel senso della irreclamabilità del provvedimento emesso dal giudice istruttore (Trib. Foggia, 12 giugno 2000, Foro it. 0201, I, 2054); sinteticamente, gli argomenti addotti  si riferivano, nelle varie impostazioni, all'esclusione della natura cautelare del provvedimento di sequestro in questione, con conseguente inapplicabilità dell'art. 669-duodecies e dell'art. 669-quaterdecies c.p.c., mentre la tesi minoritaria dell'ammissibilità rilevava che il provvedimento è caratterizzato dai requisiti della provvisorietà e della strumentalità. L'ultimo comma dell'art. 473-bis.36 dispone attualmente che qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti che hanno ordinato di prestare garanzia o che hanno disposto il sequestro.

Sono invece reclamabili alla Corte d'appello i provvedimenti di sequestro emessi, dopo la sentenza di divorzio, dal collegio nei provvedimenti di volontaria giurisdizione, ai sensi dell'art. 739 c.p.c.

Le particolari  natura e funzione che connotano gli strumenti di tutela della garanzia patrimoniale a disposizione del coniuge favorito condizionano l'interpretazione per quanto concerne il tema della reclamabilità. Il giudice del divorzio, si afferma, dispone di un complesso di poteri, che, proprio per la struttura particolare del processo, non lascia alcun vuoto di tutela anche se si esclude la reclamabilità dei provvedimenti di sequestro, e non cagiona alla parte sostanziale alcuna lesione del diritto di difesa, anche perché il provvedimento è sempre suscettibile di revoca o modifica con ordinanza da parte del giudice istruttore prima, e del collegio con sentenza poi, ed è soggetto al principio di cui alla clausola rebus sic stantibus che pervade tutta la materia (Trib. Modena, 12 febbraio 2003, Giur. merito 2003, 1977).

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel senso di attribuire natura non cautelare al sequestro nelle procedure di divorzio, così come a quello in materia di separazione, ed è  conforme nel senso di escludere l'ammissibilità del ricorso straordinario per Cassazione. In tal senso si è pronunciata Cass. I, n. 2479/2003, nel caso di impugnazione di un decreto della Corte d'appello, reso in sede di reclamo avverso il provvedimento del tribunale che aveva proposto il sequestro argomentando che non è ravvisabile il carattere della decisorietà nei provvedimenti emessi dal giudice, in forma diversa dalla sentenza, per regolare l'attuazione delle misure cautelari, nonché nelle pronunce rese in sede di reclamo avverso detti provvedimenti, avendo questi ultimi natura strumentale ed essendo gli stessi inidonei ad assumere efficacia di cosa giudicata, sia dal punto di vista formale, che da quello sostanziale (Cass. I, n. 2479/2003). Importante è la decisione della Corte costituzionale n. 258/1996, nel senso della natura non cautelare.

Misure cautelari atipiche

La disponibilità di un sequestro appositamente previsto per l'adempimento degli obblighi patrimoniali del divorzio, ed i tratti del tutto peculiari che lo connotano e che lo differenziano dall'ordinario sequestro conservativo di cui all'art. 671 c.p.c., hanno fatto ritenere che nel procedimento di divorzio non trovino spazio le tradizionali misure cautelari, dovendosi considerare che in sede di giudizio di divorzio, così come in quello di separazione, non è possibile avanzare richieste di misure, come quelle cautelari, non direttamente afferenti alla natura del giudizio medesimo, atteso che la norma di cui all'art. 8 l. n. 898/70 prevede l'adozione del provvedimento cautelare soltanto a garanzia delle obbligazioni di cui agli art. 5-6 della stessa legge.

Bibliografia

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