Codice Civile art. 270 - Legittimazione attiva e termine (1) (2).

Valeria Montaruli
Francesco Bartolini

Legittimazione attiva e termine (1) (2).

[I]. L'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità (3) è imprescrittibile riguardo al figlio [2934 2].

[II]. Se il figlio muore prima di avere iniziato l'azione, questa può essere promossa dai discendenti, entro due anni dalla morte (3).

[III]. L'azione promossa dal figlio, se egli muore, può essere proseguita dai discendenti [legittimi, legittimati o naturali riconosciuti] (4).

[IV]. Si applica l'articolo 245 (5).

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la rubrica del paragrafo 2 della sezione I del capo II del libro primo del codice civile «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale», con: «Capo V. "Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità"»

(2) Articolo così sostituito dall'art. 114 l. 19 maggio 1975, n. 151.

(3) L'art. 31, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso la parola «naturale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

(4) L'art. 31, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso le parole: «legittimi, legittimati o naturali riconosciuti». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

(5) Comma aggiunto dall'art. 31, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

La disposizione in esame stabilisce nel primo comma il principio della imprescrittibilità dell'azione, con riguardo al figlio. La disposizione fu introdotta dalla riforma del diritto di famiglia di cui alla l. 19 maggio 1975, n. 151, a seguito della quale legittimato all'azione risulta essere soltanto il figlio, e solo in alcuni casi i discendenti (dentro o fuori il matrimonio). In allora non fu data alcuna legittimazione all'esercizio dell'azione al genitore naturale. Tuttavia, allorché l'azione sia stata esercitata, nel processo è consentito l'intervento di chiunque abbia ne interesse, e nella specie i discendenti, per i quali la norma prevede espressamente una legittimazione attiva in caso di morte del figlio medesimo (Dogliotti, 2015, 413; Majello, 1982, 196).

Prima della riforma, l'art. 271 c.c. prevedeva, per la proponibilità dell'azione di dichiarazione, il limite di decadenza dei due anni dal compimento della maggiore età del figlio, mentre era imprescrittibile l'azione relativa alla maternità. La ratio dei limiti imposti alla legittimazione all'esercizio dell'azione, era quella di garantire il più possibile la stabilità della famiglia legittima (Majello, 1982, 197).

Ripetutamente la Corte di cassazione aveva affermato la manifesta infondatezza delle questioni legittimità costituzionale dell'art. 270 c.c. sollevate in ordine all'imposizione di termini per l'esercizio dell'azione per dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità e delle conseguenti limitazioni al diritto alla tutela giudiziaria. Di recente la stessa Corte ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità della norma citata nella parte in cui prevede termini differenziati quando l'azione è proposta dal figlio o dai discendenti dopo la sua morte, perché l diversità di disciplina trova giustificazione nell'evidente disomogeneità delle situazioni considerate: l'imprescrittibilità dell'azione per il figlio tutela il suo interesse al riconoscimento della propria filiazione e tale interesse resta integro anche dopo la morte del presunto genitore; il termine decadenziale per gli eredi del figlio è giustificato dall'essere portatori di un interesse non diretto ma solo riflesso al riconoscimento della filiazione del loro ascendente. In tal senso Cass. VI, ord. n. 1667/2020, la quale ha anche ribadito in termini più aderenti ai diritti costituzionali della persona, che il diritto del figlio ad uno status filiale corrispondente alla verità biologica, costituisce uno dei componenti più rilevanti del diritto all'identità personale. Già si era affermato che tale diritto accompagna senza soluzione di continuità la vita individuale e relazionale, non soltanto nella minore età, ma in tutto il suo svolgersi. L'incertezza sullo stato filiale può determinare una condizione di disagio ed un vulnus allo sviluppo adeguato ed alla formazione della personalità riferibile ad ogni stadio della vita. La sfera all'interno della quale si colloca il diritto al riconoscimento di uno status filiale corrispondente a verità attiene al nucleo dei diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.; art. 8 CEDU), intesi nella dimensione individuale e relazionale (Cass. I, n. 111887/2015).

Ad ulteriore conferma della preminenza del diritto del figlio ad ottenere il riconoscimento del proprio status filiale, la Corte richiama opportunamente l'intervento del legislatore che, con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, in attuazione della delega contenuta all'art. 2 della l. 10 dicembre 2012, n. 219, consolidando l'irrinunciabile diritto del figlio alla ricerca della verità circa il proprio stato, ha esteso il regime dell'imprescrittibilità a favore del figlio alle azioni di disconoscimento della paternità e di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità. Al riguardo è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità di siffatto regime di imprescrittibilità denunciata sotto il profilo del sacrificio derivante al diritto del presunto padre alla stabilità dei rapporti familiari maturati nel corso del tempo: atteso che la mancata previsione di un termine non significa che un bilanciamento con la contrapposta tutela del figlio sia mancato ma solo che esso è stato operato considerando recessiva l'aspettativa del padre rispetto alle esigenze di vita e di riconoscimento dell'identità personale del figlio (Cass. I, n. 7960/2017).

Sulla piena conformità ai principi costituzionali della regola dell'imprescrittibilità dell'azione, si sono pronunciate anche Corte cost. 10 febbraio 2006, n. 50; Cass. I, n. 12187/1996; Cass. 3 maggio 1988, n. 3298.

Legittimazione attiva e termine per l'azione

  Poiché l'unico legittimato all'azione è il figlio, anche se minore o interdetto, ai sensi dell'art. 273 c.c., non può ricorrere all'azione per vedere dichiarato il rapporto di filiazione fuori dal matrimonio il genitore, che per raggiungere lo scopo ha a propria disposizione lo strumento del riconoscimento (Lena - Magli, 2015, 1072). In conseguenza di ciò, essendo in vita il figlio, nessuno può agire in sua sostituzione, trattandosi di un'azione di natura personale (Zaccaria, 2016, 633). Analogamente, il convenuto con l'azione di dichiarazione giudiziale della paternità, che ritenga di attribuire l'anzidetta paternità ad altro soggetto, anche quando deduca  in giudizio l'exceptio plurium concubentium, non ha il potere di chiedere l'integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo presunto genitore, non potendo evidentemente sostituirsi al soggetto cui la legge attribuisce in via esclusiva la legittimazione attiva (Lena - Magli, 2015, 1072). I discendenti possono invece promuovere l'azione in parola entro due anni dalla morte del figlio, o proseguirla, qualora questi muoia dopo averla promossa. Si ritiene che essi agiscano iure proprio e non iure hereditatis , in quanto l'interesse all'accertamento del rapporto di filiazione è di natura strettamente personale e quindi tale da riguardare soltanto le persone che, a seguito di tale accertamento, possano vantare dei diritti ereditari nei confronti del de ciuius (Majello, 1982, 197).

La Corte di cassazione (ord. n. 19956/2021) ha precisato che nel giudizio di accertamento della paternità di un minore nato in costanza di matrimonio, promosso a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che ha accolto la domanda di disconoscimento della paternità del marito della madre, è inammissibile l'eccezione di tardività di quest'ultima azione, formulata dal presunto padre, perché la sentenza che accoglie la domanda di disconoscimento della paternità, pronunciata nei confronti del P.M. e di tutti gli altri contraddittori necessari, assume autorità di cosa giudicata erga omnes, essendo inerente allo status della persona ed è opponibile al presunto padre anche se non ha partecipato al relativo giudizio.

Quando il figlio muore prima di aver proposto l'azione, i discendenti possono promuoverla iure proprio, nel limite di due anni.

Quanto alla legittimazione attiva dei discendenti, in dottrina si è anche prospettato un dubbio di legittimità costituzionale in relazione alla circostanza che il termine assegnato per l'esercizio dell'azione decorre sempre e comunque dalla morte del figlio, senza considerare che i discendenti potrebbero anche non essere a conoscenza dei fatti che rendono inammissibile l'azione, e dunque non potrebbero essere ammessi a dimostrare di non aver potuto proporre l'azione nel termine di legge, per fattori a loro non imputabili (Finocchiaro, 1984, 183).

La Corte di Cassazione ha precisato (Cass. I, n. 14615/2021) che l'art. 276 c.c., nell'indicare i legittimati passivi diversi dal presunto padre, si riferisce ai soli eredi in senso stretto, ed esclude coloro che abbiano validamente rinunciato all'eredità; costoro, di conseguenza, non possono subire gli effetti patrimoniali dell'estensione dell'asse ereditario conseguente all'eventuale accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità, essendosi volontariamente determinati ad essere esclusi da qualsiasi vicenda accrescitiva o riduttiva dei diritti ereditari astrattamente conseguiti ex lege .

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, analogamente a quanto affermato dalla dottrina, il carattere personalissimo, ai sensi dell'art. 270 c.c., della domanda giudiziale per la dichiarazione di paternità proposta dal soggetto già maggiorenne all'atto della sua introduzione, esclude la concorrente legittimazione ad agire della madre o del padre naturale (Cass. I, n. 10131/2005).

La Cassazione ha affermato che, nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale, la nomina del curatore speciale è eventuale e frutto di una scelta discrezionale del giudice, che non determina una legittimazione concorrente con quella del genitore, né, tantomeno, la esclude (Cass. I, n. 23170/2007).

Con riferimento alla problematica relativa al compimento della maggiore età nel corso del giudizio, è stato stabilito che, nonostante il carattere personalissimo dell'azione del figlio per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, la sostituzione processuale di lui da parte della persona esercente la potestà genitoriale (oggi responsabilità genitoriale) non cessa automaticamente allorquando lo stesso raggiunga la maggiore età, se tale circostanza non sia dichiarata in udienza o, comunque, portata a conoscenza delle altre parti mediante notifica (art. 300, comma 1, c.p.c.). Ove, peraltro, il figlio, che abbia compiuto diciotto anni nel corso del giudizio di appello, provveda ad impugnare personalmente con ricorso per cassazione, essendone legittimato, la relativa sentenza, non può concorrere, al riguardo, anche la legittimazione del genitore già esercente la potestà, il quale conserva una propria legittimazione a ricorrere in cassazione soltanto allorché il petitum consista in pretese di carattere economico accessorie alla dichiarazione giudiziale di genitura naturale (Cass. I, n. 10131/2005).

A ulteriore corollario del carattere personalissimo di detta azione, la Cassazione ha stabilito che la legittimazione al suo esercizio compete, dopo la morte del figlio, ai suoi discendenti. Se il soggetto legittimato è legalmente incapace, essa può essere promossa, nel suo interesse, unicamente dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale o dal tutore, in forza delle tassative ipotesi di sostituzione processuale previste dall'art. 273 c.c. Ne consegue che l'eventuale nomina di curatore speciale, a tutela del minore rispetto ai possibili conflitti di interesse con chi ha proposto l'azione, comporta la necessità della presenza del curatore medesimo in giudizio, ma non determina una legittimazione attiva concorrente con quella del genitore o del tutore, né escludente la stessa (Cass. I, n. 2576/1993). 

Quanto al termine per promuovere l'azione di dichiarazione giudiziale di genitorialità stabilito per i discendenti, esso viene considerato come termine di decadenza e non di prescrizione, trattandosi di diritti indisponibili (Majello, 1982, 383). Tuttavia, in questo caso si affievolisce la richiamata esigenza di certezza dei rapporti giuridici, in quanto essa attiene a un interesse mediato, e dunque meno intensamente tutelabile rispetto a quello diretto e personale del figlio defunto (Dogliotti, 2015, 414).

L'ultimo comma dell'art. 270 dichiara applicabile nel procedimento per la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità l'art. 245 c.c. in tema di disconoscimento della paternità. La disposizione richiamata prende in considerazione l'ipotesi in cui la parte interessata all'esercizio dell'azione sia interdetta per infermità di mente, ovvero versi in condizione abituale di infermità mentale, che la rende incapace di provvedere autonomamente ai propri interessi, con la conseguenza che la decorrenza di detto termine è sospesa nei suoi confronti, sino a che duri lo stato di interdizione o di inabilitazione. La dottrina ritiene che la richiamata previsione non riguardi il figlio, per il quale l'azione in esame è imprescrittibile, ma esclusivamente i discendenti del figlio, ai quali è attribuita la legittimazione ad agire nel termine di due anni dalla morte del figlio (Balestra, 2014, 549). Inoltre, trova applicazione anche il secondo comma dell'art. 245 c.c., in relazione alla  previsione per cui l'azione può essere proposta anche da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del pubblico ministero, del tutore o dell'altro genitore. Secondo la dottrina (Salnitro, 682), tale disposizione pone un vero e proprio principio generale di tutta la disciplina delle azioni di stato. Infatti, pur se dettata con specifico riguardo all'azione di disconoscimento della paternità, alla medesima fanno rinvio, oltre all'art. 270 c.c., anche gli artt. 248,249 e 263 c.c., rispettivamente dedicati all'azione di contestazione, di reclamo e di impugnazione del riconoscimento. Essa prende in considerazione l'ipotesi in cui la parte interessata all'esercizio dell'azione sia interdetta per infermità di mente, ovvero versi in condizioni di abituale e grave infermità di mente, che la renda incapace di provvedere ai propri interessi, stabilendo, al primo comma, che in tal caso la decorrenza del termine è sospesa nei suoi confronti, sino a che duri lo stato di interdizione o durino le condizioni di abituale grave infermità di mente. La richiamata previsione non concerne, con tutta evidenza, il figlio, dal momento che, in relazione a quest'ultimo, l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità è imprescrittibile; essa, invece, viene in considerazione con riguardo ai discendenti del figlio, cui l'art. 270, secondo comma, c.c. attribuisce la legittimazione ad agire, ove questi sia morto prima di aver esercitato l'azione, entro due anni dalla morte dello stesso.

Aspetti patrimoniali legati all'imprescrittibilità dell'azione

Richiamato, come sopra, il diritto del figlio all'accertamento del proprio stato alla stregua di diritto fondamentale della persona, con tutti i tratti che caratterizzano tale categoria di diritti, alcune considerazioni possono spendersi con riguardo alla relazione che si pone tra il suddetto diritto e le ragioni, soprattutto patrimoniali, della famiglia del presunto genitore, nonché dei terzi aventi causa di quest'ultimo, nel caso in cui egli muoia prima dell'esperimento dell'azione di cui si tratta. L'imprescrittibilità dell'azione a favore del figlio, infatti, sottopone coloro che hanno preso parte alla successione e i terzi che hanno acquisito diritti tramite atti suscettibili d'essere aggrediti con l'azione di riduzione, alla perpetua instabilità degli acquisti compiuti.

Si pone, pertanto, un'esigenza di bilanciamento tra due situazioni contrapposte: quella del figlio nato al di fuori del matrimonio e quelle della famiglia legittima e degli aventi causa del genitore di cui si sia accertato lo stato di paternità o maternità naturale. Si rileva che solo dando prevalenza ad interessi di natura marcatamente economico-patrimoniale, potrebbe trovare giustificazione una soluzione che, accordando ampio spazio alle ragioni della «famiglia legittima» e a quelle, esclusivamente patrimoniali, degli altri aventi causa, limitasse temporalmente il diritto all'esperimento dell'azione con l'introduzione di un limite decadenziale analogo a quello previsto all'art. 270, comma secondo, c.c. per l'ipotesi in cui ad esperire l'azione non sia il diretto interessato, bensì i di lui discendenti (Perlingieri, 1996, 369; Sesta, 2014, 1-34).

Secondo un importante arresto della Suprema Corte, non è sostenibile una finalità esclusivamente successoria nella dichiarazione giudiziale richiesta in caso di morte del presunto genitore, atteso che la legittimazione attiva all'azione è riconosciuta oltre che al figlio, in caso di sua morte, anche ai discendenti indipendentemente dalla loro qualità di eredi, con la conseguenza che detta azione prescinde da qualunque contenuto successorio quando sia proposta dai discendenti non eredi.

Sebbene le considerazioni che i giudici di legittimità svolgevano in tale occasione avessero come obiettivo la delimitazione della categoria dei soggetti legittimati passivi all'azione di cui agli artt. 269 ss. c.c., le stesse considerazioni valgono a confermare che il diritto del figlio all'accertamento della verità circa il proprio stato, seppure possa involgere interessi di primaria rilevanza per quanto attiene alla successione del proprio genitore, non perde in alcun modo l'essenza di diritto fondamentale della persona (essendo irriducibile ad una sostanza meramente patrimoniale) e, quindi, capace di rimanere insensibile al decorso del tempo, alla morte del genitore verso cui esso viene fatto valere, nonché alle ragioni patrimoniali dei successori e aventi causa di quest'ultimo.

È stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 270 c.c. nella parte in cui prevede l'imprescrittibilità dell'azione per il riconoscimento di paternità naturale proposta dal figlio, con l'effetto di sacrificare il diritto del presunto padre alla stabilità dei rapporti familiari maturati nel corso del tempo, atteso che la mancata previsione di un termine, soprattutto alla luce della previgente norma che lo prevedeva, non significa che un bilanciamento con la contrapposta tutela del figlio sia mancato, ma solo che esso è stato operato rendendo recessiva l'aspettativa del padre rispetto alle esigenze di vita e di riconoscimento dell'identità personale del figlio (Cass. I, n. 7960/2017).

Per converso, contraddittori necessari, passivamente legittimati in ordine all'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, sono, ai sensi dell'art. 276 c.c., in caso di morte del preteso genitore, esclusivamente i suoi eredi, e non anche gli eredi degli eredi di lui, o altri soggetti, comunque portatori di un interesse contrario all'accoglimento della domanda, ai quali è invece riconosciuta la sola facoltà di intervenire in giudizio a tutela dei rispettivi interessi (Cass. S.U., n. 21287/2005).

L'imprescrittibilità dell'azione, inoltre, fa sì che la sentenza che accerti lo status di figlio possa venire emessa anche diverso tempo dopo la morte del genitore e, di conseguenza, dopo l'apertura della successione. Il che rende incerto se il figlio che ha ottenuto giudizialmente l'accertamento del proprio stato possa accettare l'eredità, o fare esercizio degli altri diritti che a questa si collegano, anche dopo che siano decorsi dieci anni dall'apertura della successione. Sul punto sembra concorde la giurisprudenza maggioritaria nel ritenere che, essendo norma generale quella per cui la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2945 c.c.), nella fattispecie in esame il termine di prescrizione dei diritti che spettano al figlio nella successione del dichiarato genitore decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato lo stato genitoriale del de cuius (Cass. I, n. 11934/2001).

Per quanto riguarda, invece, l'azione di riduzione, un rilevante intervento delle Sezioni Unite ha fissato il dies a quo prescrizionale al momento in cui l'erede testamentario effettui accettazione della disposizione lesiva. Infatti, in assenza di accettazione, restando aperta la possibilità che l'erede non accetti e che si faccia luogo alla successione legittima, non sussiste l'interesse ad agire con l'azione di riduzione. Più complesse sono le questioni legate alle esigenze di tutela dei terzi aventi causa dal beneficiario degli atti di disposizione inter vivos o mortis causa suscettibili di riduzione. In tali ipotesi, infatti, non si fa questione di prescrizione del diritto, bensì di tutela dell'acquisto compiuto dal terzo, il quale dovrebbe venire tutelato anche nei casi in cui il tardivo accertamento dello stato di filiazione ha impedito al figlio di fare valere le proprie ragioni entro i termini previsti nell'ambito delle fattispecie disciplinate dall'art. 563 e dall'art. 2652, n. 8 c.c. (Cass. S.U., n. 20644/2004).

In ipotesi di azione di petizione di eredità proposta da un figlio naturale del de cuius successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di riconoscimento del proprio status, gli eredi, che erano stati immessi nel possesso dei beni ereditari in buona fede, permangono in tale condizione sino al momento della notificazione della domanda di restituzione dei beni medesimi, avendo portata generale il principio della presunzione di buona fede, di cui all'art. 1147 c.c., e determinando la proposizione nei confronti del possessore di una domanda volta ad ottenere la restituzione delle cose il mutamento della situazione di buona fede in mala fede, con conseguente obbligo di rispondere dei frutti successivamente percepiti. Gli eredi non possono dunque far valere l'usucapione nei suoi confronti (Cass. I, n. 14917/2012).

Bibliografia

Amadio, Macario, Diritto di famiglia, 2016; Amore, nota a Cass, 26097/2013 in Cass. Pen., 2014, 6, 2134; G.E. Aresini, Quando la verità biologica prevale su quella legale, ilfamiliarista 7-13 febbraio 2019; Bartolini, La riforma della filiazione, Piacenza 2014; Bartolini F. e M., Commentario sistematico del diritto di famiglia, Piacenza, 2016, 276; Bianca (a cura di), Filiazione, Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, 69 ss.; Bianca, Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 2002; Bianca, Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 2002, 258; Bianca C.M., Diritto civile, II, 1, La famiglia, Milano, 2014;  Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, 10° ediz., Torino, 2022; Bonilini (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, Padova, 2022; Buffone, Le novità del «decreto filiazione», Milano, 2014, 40; Busnelli, L'incapacità di intendere e volere nel riconoscimento dei figli naturali, in Foro pad. 1962, I; Cattaneo, Adozione, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., I, Torino, 1987; Cattaneo, Della filiazione legittima, in Commentario c.c. diretto da Scialoja e Branca, sub artt. 231-249, Bologna-Rom, 1988, 152; Cascone, Ardesi, Gioncada, Diritto di famiglia e minorile, Milano, 2021; Cecchini, in Comm. Dir.it. fam., IV, Padova, 1992; Cicu, La filiazione, in Trattato di dir. civ. it., diretto da Vassalli, Torino, 1969, 45;  Coppola, Sub artt. 300-310, in Della famiglia, a cura di Balestra, II, in Commentario, diretto da Gabrielli, Torino, 2010; Corapi, Sulla legittimazione ad agire in reclamo dello stato di figlio. Note sull'accertamento della filiazione nel matrimonio, in Fam. E dir., 2020, 5, 451; Cossu, La famiglia, III, Filiazione legittima e naturale, in Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza, Torino, 2000; De Cupis, Osservazioni sul riconoscimento del figlio premorto, in Riv. dir. civ. 1967, II, 392; De Cupis, Della filiazione legittima, in Comm. alla riforma del dir. fam., diretto da Ciano, Oppo e Trabucchi, sub artt. 231-249, IV, Padova, 1995, 50; De Filippis, Trattato breve di diritto di famiglia, Padova, 2002; De Filippis, Il nuovo diritto di famiglia dopo la riforma Cartabia, Milano, 2023; De Filippis, Trattato breve diritto di famiglia, Padova, 2002, 898; Dogliotti, La filiazione fuori dal matrimonio, in Comm. c.c., Milano, 2015; Farolfi, Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, in Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015; Ferrando, La legge sulla filiazione, profili sostanziali, in jus civile, 2013, 3 ss.; Ferrando, La filiazione e la legittimazione, in Trattato Rescigno, IV, Torino, 1999; Figone, La riforma della filiazione della responsabilità genitoriale, Torino, 2014; Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984; Galgano, Trattato di diritto civile, Padova, 2009; Iadecola, Il principio di unificazione dello status di figlio, in Dir. fam. pers. 2014; Lena - Magli, Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità, in Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015;  Majello, Della filiazione illegittima e della legittimazione, in Comm. S.B., Bologna Roma, 1982;Majello, Della filiazione e della legittimazione, in Comm. S.B., artt. 250-290, Bologna, 1982; Perlingieri, Dichiarazione giudiziale di paternità e prescrizione del diritto di accettare l'eredità, in Rass. dir. civ. 1996; Pino, Il dir. di famiglia, Padova, 1984, 179; Misolino, Revoca del testamento per sopravvenienza di figli: il caso di dichiarazione giudiziale di paternità dopo la morte del de cuius, Riv. not. 2019, 4, II, 833; Mattucci, Revoca del testamento per sopravvenienza di figli e dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, Fam. dir., 2019, 3, 295; Parisi, Manuale del diritto di famiglia, Torino, 2020;  Pomodoro, Giannino, Avallone, Manuale di diritto di famiglia e dei minori, Torino, 2009; Ricci, in Aa.Vv. Commentario compatto al c.c., diretto da Galgano, Piacenza, 2010, 460 ss.; Ruscello, Diritto di famiglia, Milano, 2020; Sesta, Codice della famiglia, Milano, 2015, 971; Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2003, 413; Sesta, L'unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. e dir. 2013, 231; Sesta, Le azioni di stato dopo il decreto n. 154/2013, in Fam. e dir. 2014, 1; Sesta, La filiazione, in Auletta, (a cura di) Filiazione, adozione, alimenti, Torino, 2011; Stefanelli, Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini, in Dir. e fam. I, 2010, 426; Testuzza, Azione di dichiarazione giudiziale della paternità o maternità, ilfamiliarista 31 gennaio 2020; Tommaseo, Sulla tutela del figlio nei giudizi di stato, Fam. dir., 2020, 4, 346; Trabucchi, Istituz. dir. priv., Padova, 2004; Tucci, Paternità biologica e paternità legale di fronte al DNA, in Familia 2004; Zaccaria, Commentario breve al diritto di famiglia, Vicenza, 2016.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario