Codice Civile art. 277 - Effetti della sentenza (1)

Valeria Montaruli
Francesco Bartolini

Effetti della sentenza (1)

[I]. La sentenza che dichiara la filiazione (2) produce gli effetti del riconoscimento [258 ss.].

[II]. Il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per l'affidamento, il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui [147] (3).

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la rubrica del paragrafo 2 della sezione I del capo II del libro primo del codice civile «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale», con: «Capo V. "Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità"»

(2) L'art. 34, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso la parola «naturale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

(3) Comma così sostituito dall'art. 119 l. 19 maggio 1975, n. 151, e modificato dall'art. 34, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, che, dopo le parole: «che stima utili per» ha aggiunto: «l'affidamento».

Inquadramento

A norma dell'art. 277, comma primo, c.c., la sentenza che dichiara la filiazione (è stato espunto l'aggettivo «naturale») produce gli effetti del riconoscimento; il successivo comma 2º afferma che il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per l'affidamento (riferimento, quest'ultimo, aggiunto dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del figlio e per la tutela dei suoi interessi patrimoniali.

L'introduzione ad opera del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, di uno status unitario di figlio (art. 315 c.c.), ha portato a riorganizzare all'interno del titolo IX del libro I del codice civile l'intera disciplina relativa ai diritti e ai doveri dei figli e alla responsabilità genitoriale. Tale riorganizzazione normativa ha coerentemente condotto all'abrogazione dell'art. 261 c.c., ove era previsto che il riconoscimento comportasse da parte del genitore l'assunzione dei doveri e dei diritti che il medesimo ha nei confronti dei figli legittimi, primariamente compendiati, sulla scorta di quanto sancito dall'art. 30, comma 1º, Cost., all'interno dell'art. 147 c.c., laddove il successivo art. 148 c.c. indicava le relative modalità di adempimento, norme entrambe modificate dal d.lgs. 154/2013 (Balestra, 2014, 1223).

Cass. II n. 169/2018 ha affermato che la revocazione del testamento ai sensi dell'art. 687, comma 1, c.c. si verifica non solo quando il testatore riconosce un figlio ma anche quando viene esperita nei suoi confronti vittoriosamente l'azione di accertamento della filiazione, senza che abbia rilievo che la dichiarazione giudiziale di paternità o la proposizione della relativa azione intervengano dopo la morte del de cuius né che quest'ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza.

La sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell'art. 277 c.c., e, quindi, a norma dell'art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 c.c. e la relativa obbligazione si collega allo status genitoriale assumendo di conseguenza decorrenza dalla nascita del figlio (Cass. I, n. 15756/2006).

Dalla data di nascita del figlio, l'altro genitore che lo abbia riconosciuto e che nel frattempo abbia da solo integralmente provveduto al suo mantenimento, può ottenere dal genitore giudizialmente dichiarato il relativo rimborso pro quota (Cass. I, n. 26575/2007; Cass. I, n. 23596/2006; Cass. I, n. 15756/2006).

Natura ed effetti della sentenza di dichiarazione giudiziale della paternità o maternità

Quanto alla natura della sentenza dichiarativa della paternità o maternità, si ritiene che sia dichiarativa dello stato biologico di procreazione. La dichiarazione comporta ex lege l'accollo a carico del genitore di tutti tutti i doveri propri dalla procreazione nata dal matrimonio, tra i quali assumono  un particolare rilievo  quelli menzionati specificamente nell'art. 147: l'obbligo di mantenere i figli, di educarli  e di assisterli moralmente con il rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. In quanto fondati sul mero evento della procreazione, gli effetti della sentenza di accertamento della filiazione retroagiscono al momento della nascita del figlio. Tale retroattività viene desunta da alcuni autori, non tanto dalla natura della sentenza, quanto piuttosto dal valore che essa assume e dalla natura specifica di ciascuno degli effetti (Majello, 1982, 220)., che si collega allo status di genitore e assume di conseguenza decorrenza dalla nascita del figlio.

La giurisprudenza ha espresso principi conformi alle interpretazioni dottrinarie. L'obbligo del genitore di concorrere all'educazione ed al mantenimento dei figli, ai sensi degli artt. 147 e 148 c.c., sorge al momento della procreazione, anche qualora questa sia stata accertata successivamente con la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti allo "status" di genitore (Cass. III, n. 15148/2022). Cass. I, n. 7386/2003 ha ribadito che la sentenza di accertamento della filiazione naturale pone a carico del genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, compreso quello del mantenimento; tale obbligazione decorre dalla data della nascita, e non da quella della relativa domanda giudiziale In senso conforme si è poi pronunciata la stessa Corte, precisando che la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell'art. 277 c.c., e, quindi, giusta l'art. 261 c.c., la dichiarazione effettuata  implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 c.c.. La relativa obbligazione si collega allo «status» genitoriale ed assume, di conseguenza, pari decorrenza, dalla nascita del figlio, con il corollario che l'altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l'onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui al citato art. 148 c.c.), ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dall'art. 1299 c.c. nei rapporti fra condebitori solidali. Tuttavia, mentre la condanna al rimborso di detta quota per il periodo precedente la proposizione dell'azione non può prescindere da un'espressa domanda della parte, attenendo tale pronuncia alla definizione dei rapporti pregressi tra debitori solidali, la necessità di analoga domanda non ricorre riguardo ai provvedimenti da adottare in relazione al periodo successivo alla proposizione dell'azione, atteso che, durante la pendenza del giudizio, resta fermo il potere del giudice adito, in forza della norma suindicata, di adottare di ufficio i provvedimenti che stimi opportuni per il mantenimento del minore (cfr. Cass. I, n. 7960/2017).

Per i suoi risvolti di ordine pratico si rivela particolarmente importante l'obbligo di mantenimento, Anch'esso sorge con efficacia retroattiva dalla data di nascita (e non già dalla data della domanda giudiziale: BiancaC.M., 2014, 391; De Cupis, 1992, 197). Da questa decorrenza conseguono effetti di rilievo. L'obbligo di mantenimento dei figli minori ex art. 316-bis c.c. spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l'altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l'inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui. Pertanto, l'obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli - che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori e non costituisce una mera surroga del dovere gravante sul genitore - va inteso non solo nel senso che l'obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo, se l'altro è in grado di provvedervi; così come il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., legato alla prova dello stato di bisogno e dell'impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge soltanto qualora i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo (Cass. I, n. 13345/2023).

L'altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l'onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui all'art. 148 c.c.), ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dall'art. 1299 c.c. (Lena - Magli, 2015, 1080) dettate a proposito dei rapporti fra condebitori solidali. Il diritto al rimborso delle spese in favore del genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio fin dalla nascita, ancorché trovi titolo nell'obbligazione legale di mantenimento imputabile anche all'altro genitore, la cui paternità (o maternità) sia stata successivamente dichiarata, ha natura in senso lato indennitaria, essendo diretto a ristorare colui che ha effettuato il riconoscimento dagli esborsi sostenuti, sicché il giudice di merito, ove l'importo non sia altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare, può utilizzare il criterio equitativo, tenendo conto delle molteplici e variabili esigenze del figlio (soddisfatte o da soddisfare), legate allo sviluppo e alla formazione di studio e professionale, restando comunque indiscutibili le spese di sostentamento, sin dalla nascita, in base ad elementari canoni di comune esperienza (Cass I,  n. 16916/2022). .Secondo i principi generali, la condanna al rimborso di detta quota per il periodo precedente alla proposizione dell'azione non può prescindere da un'espressa domanda della parte, attenendo tale pronunzia alla definizione dei rapporti pregressi tra debitori solidali, ossia a diritti disponibili. La specifica domanda di parte occorre anche quando il procedimento riguarda soggetti minorenni, poiché l'azione patrimoniale di regresso non incide sull'interesse superiore del minore, che soltanto legittima l'esercizio dei poteri officiosi attribuiti al giudice dall'art. 277, comma secondo, c.c., e dall'art. 473-bis.2 c.p.c., Una analoga necessità di analoga domanda non ricorre riguardo ai provvedimenti da adottare in relazione al periodo successivo alla proposizione dell'azione, atteso che, durante la pendenza del giudizio, resta fermo il potere del giudice adito, in forza delle norme suindicate, di adottare di ufficio i provvedimenti che stimi opportuni per il mantenimento del minore (Cass. I, n. 15100/2005). Nel senso che il diritto al rimborso delle spese sostenute per il mantenimento del figlio anteriormente alla dichiarazione giudiziale di paternità naturale è disponibile, e, quindi, non può essere riconosciuto con una decorrenza anteriore rispetto a quella fatta valere dal suo titolare, si pronuncia Cass. I, n. 7285/1987.

La condanna al rimborso potrà essere pronunciata solo a fronte di una espressa domanda in tal senso formulata dal genitore iure proprio e non in rappresentanza del figlio, nell'ambito della definizione di rapporti pregressi tra debitori solidali ex art. 1299 c.c. in relazione a diritti disponibili (Cass. I, n. 26575/2007; Cass. I, n. 15100/2005; Cass. I, n. 5586/2000; da ultimo Cass. I, n. 11211/2014). Nel quantificare l'ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. I, n. 4145/2023: principio affermato in un caso di accertamento giudiziale della paternità, nel quale la sentenza di merito aveva dato conto della sola situazione reddituale del padre e degli esborsi mensili sullo stesso gravanti, oltreché della condizione di studentessa universitaria della figlia, non autonoma economicamente, senza però indagare sulle risorse patrimoniali e reddituali della madre).

In termini generali, tra le altre, sulla autonomia dell'azione di regresso ex art. 1299 c.c., Cass. n. 22860/2007; Cass. n. 5331/2007; Cass. n. 2500/2001.

In considerazione dello stato di incertezza che precede la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il diritto al rimborso pro quota delle spese sostenute dalla nascita del figlio, spettante al genitore che lo ha allevato, non è utilmente esercitabile se non dal momento della sentenza di accertamento della filiazione naturale, con la conseguenza che detto momento segna altresì il dies a quo della decorrenza della prescrizione del diritto stesso ( Cass. I, n. 23596/2006 ; Cass. I, n. 2328/2006 ; Cass. I, n. 2907/1994 ).

Il dies a quo del termine (ordinario) di prescrizione del predetto diritto al rimborso pro quota, trovando quest'ultimo il proprio indefettibile presupposto nel definitivo accertamento del rapporto di filiazione, coincide con quello del passaggio in giudicato della sentenza (Cass. I, n. 17914/2010; Cass. I, n. 23596/2006; Cass. I, n. 15100/2005. Vedi da ultimo Cass. I, n. 7986/2014). E, peraltro, la domanda di rimborso può essere avanzata anche unitamente alla domanda di accertamento giudiziale, non potendo tuttavia trovare accoglimento se non in quanto il giudice pronunci con efficacia di giudicato sulla qualità di figlio o in quanto tale giudicato si sia in precedenza formato (Cass. I, n. 23596/2006; Cass. I, n. 17914/2010).

A seguito della dichiarazione giudiziale di paternità, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. La norma di cui all'art. 262, comma 2, c.c. (ha affermato in proposito il Tribunale di Modena, 5 maggio 2020, n. 511) prospettando in termini di mera eventualità l'assunzione del cognome paterno in caso di riconoscimento o accertamento della filiazione nei confronti del padre successivamente al riconoscimento da parte della madre, esclude la configurabilità di tale vicenda come effetto automatico del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale di paternità, attribuendo al figlio nato fuori dal matrimonio una facoltà discrezionale, cui corrisponde una situazione di soggezione del genitore.

I provvedimenti utili

Il secondo comma della disposizione in esame, riferendosi al figlio minore, prevede che il giudice, allo stato il tribunale ordinario, assume anche d'ufficio i provvedimenti più opportuni, a carattere personale o patrimoniale, in relazione alla responsabilità genitoriale, all'affidamento e al mantenimento del minore. Si tratta di provvedimenti provvisori e non reclamabili, che verranno recepiti o anche modificati nella pronuncia definitiva e potranno costituire oggetto di impugnazione.

Con la riforma del diritto di famiglia introdotta dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 si stabiliva all'art. 4 che le relative disposizioni si applicavano anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, purché si trattasse di figli già riconosciuti. Con l'introduzione della regola generale dell'affidamento condiviso, si riteneva implicitamente abrogata la previsione di cui all'art. 317-bis c.c. per cui il giudice, nell'interesse del minore, poteva escludere entrambi i genitori dall'esercizio della potestà. Il processo di unificazione della disciplina relativa ai figli nati nel matrimonio e fuori dal matrimonio è proseguito con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che ha unificato nel capo II, titolo IX del codice civile, il regime della responsabilità dei genitori e dei diritti e doveri dei figli, nonché l'esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio o all'esito dei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio (Dogliotti, 2015, 445). La l. 20 maggio 2016, n. 76. Ha poi esteso alle unioni civili l'applicazione delle disposizioni previste dal Capo III e dal Capo X del Titolo I, dal Titolo II e dal Capo II e dal capo V-bis del Titolo IV del libro secondo del codice civile.

A seguito della riforma del 2013, è indiscutibile che la sentenza di accertamento della filiazione, che attiene ai figli nati fuori dal matrimonio, fa sorgere in capo al genitore tutti i doveri di cui all'arti. 315-bis c.c., propri della procreazione nata nel matrimonio, compreso quello di mantenimento, che unitamente ai doveri di educare, istruire e assistere moralmente i figli nel rispetto del loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, obbliga i genitori, ai sensi dell'art. 316-bis c.c., a provvedere a una molteplicità di esigenze, non strettamente riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale (Lena - Magli, 2015, 1084).

Spetterà dunque il giudice valutare se sia conforme all'interesse del minore il regime dell'affidamento condiviso ad entrambi i genitori, fermo restando che l'affidamento mono – genitoriale dovrebbe costituire un regime eccezionale (Dogliotti, 2015, 446).

La Cassazione ha affermato che, nella determinazione del contributo previsto dall'art. 277 c.c., in tema di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la regola dell'affidamento condiviso a entrambi i genitori ai sensi dell'art. 155 c.c., non implica una deroga al principio secondo il quale ciascun genitore deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni dei figli in misura proporzionale al suo reddito. In applicazione di essa, pertanto, il giudice deve disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico che, in caso di collocamento prevalente presso un genitore, va posto a carico del genitore non collocatario, prevedendone lo stesso art. 155 c.c. la determinazione in relazione ai tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore (Cass. I, n. 22502/2010).

Più in generale, in tema di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la regola dell'affidamento condiviso a entrambi i genitori ai sensi dell'art. 155 c.c. – applicabile anche ad essi in forza del rinvio operato dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 4 – non implica deroga al principio secondo il quale ciascun genitore deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni dei figli in misura proporzionale al suo reddito. In applicazione di essa, pertanto, il giudice deve disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico che, in caso di collocamento prevalente presso un genitore, va posto a carico del genitore non collocatario, prevedendone lo stesso art. 155 c.c. la determinazione in relazione ai tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore (Cass. I, n. 23411/2009; Cass. I, n. 23630/2009).

Ai fini della determinazione dell'entità del contributo al mantenimento, in applicazione dei principi generali, il giudice deve tenere conto non solo delle esigenze attuali del figlio, ma anche delle risorse economiche dei genitori, in modo da realizzare il principio generale, oggi sancito dall'art. 316-bis, comma primo, c.c., secondo cui i genitori devono concorrere al mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo (Cass.I, n. 11772/2010). Le esigenze del figlio, necessariamente correlate ad un autonomo e compiuto sviluppo psico-fisico dello stesso, non riguardano solo il profilo alimentare, ma anche quello abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, di assistenza morale e materiale, nonché l'opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica (Cass. I, n. 11772/2010).

Presupposto per la pronuncia di tali provvedimenti è l'istanza, ancorché generica, della parte che richiede la condanna del convenuto alla corresponsione dell'assegno di mantenimento (Cass. n. 2739/1985). Trattasi di provvedimenti che il giudice può irrogare anche di ufficio (Cass. n. 15100/2005). In generale, il giudice può scindere l'an dal quantum, rimettendo ad una separata sede la determinazione del contributo al mantenimento e irrogando una condanna generica, salvo che sia formulata una domanda di condanna al contributo al mantenimento. Quanto al carattere ufficioso del provvedimento di mantenimento, in quanto emesso nell'interesse del minore, la Cassazione ha affermato che, ove la parte attrice, nell'atto introduttivo del giudizio, dopo aver indicato quale petitum un certo importo di tale contributo, abbia usato l'espressione «ovvero la minore o maggiore somma dovuta» o altra espressione equivalente, il giudice di merito che liquidi un importo maggiore di quello richiesto non viola il principio di cui all'art. 112 c.p.c., sia perché deve ritenersi che la parte attrice, con l'uso dell'espressione predetta, non abbia posto un limite preciso all'ammontare della somma richiesta, ma si sia rimessa agli elementi probatori da acquisire nel corso del giudizio ed alla loro valutazione ad opera del giudice, sia perché, in ordine alla condanna del padre naturale al pagamento del contributo, il giudice che ha accertato il rapporto di paternità non è vincolato alla domanda della parte, in quanto l'art. 277, comma secondo, c.c. conferisce a detto giudice il potere di adottare di ufficio, in ragione dell'interesse superiore del minore, i provvedimenti che stimi opportuni per il mantenimento del minore stesso (Cass. I n. 11211/2014 e Cass. I, n. 13296/2004).  

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