Codice Civile art. 276 - Legittimazione passiva (1) (2).

Valeria Montaruli
Francesco Bartolini

Legittimazione passiva (1) (2).

[I]. La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità (3) deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso.

[II]. Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse.

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la rubrica del paragrafo 2 della sezione I del capo II del libro primo del codice civile «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale», con: «Capo V. "Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità"»

(2) Articolo sostituito dall'art. 1, l. 10 dicembre 2012, n. 219. Il testo originario recitava: «[I] La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi. [II] Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse».

(3) L'art. 33, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso la parola «naturale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

In merito alla legittimazione passiva, l’art. 276, primo comma, c.c. prescrive che la domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità deve essere promossa nei confronti del presunto genitore, ovvero, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. La disposizione in esame era rimasta invariata sino alla l. 10 dicembre 2012, n. 219, che l’ha modificata nel senso di riconoscere l’ammissibilità dell’azione, anche in mancanza di eredi, nei confronti di un curatore speciale nominato dal giudice.

Nella sua formulazione anteriore alla legge citata si era invero posta la questione, rilevante per il coinvolgimento dei valori costituzionali, della possibilità per il figlio di agire, ove gli eredi del presunto genitore defunto fossero stati anch’essi mancanti. Vi era in dottrina contrasto tra chi sosteneva che in mancanza di eredi l’azione dovesse essere esercitata nei confronti dei parenti prossimi del de cuius (De Cupis, 1992, 195) e chi contestava tale interpretazione, essendo un successore ex lege sempre individuabile, quantomeno nello Stato (Majello, 1982, 214).

La ratio di tale previsione, comune a molte innovazioni apportate dalla riforma della filiazione del 2012-2013, è ravvisabile nell’intento di uniformare la disciplina dell’azione giudiziale di paternità a quella dell’azione di disconoscimento di paternità, nonché di contestazione e di reclamo dello stato di figlio, nella specie introducendo una previsione analoga a quella contenuta nell’art. 247 c.c., ed estendendo la tutela dei diritti fondamentali del figlio all’identità personale e al riconoscimento delle proprie origini biologiche: diritti che sarebbero stati  irrimediabilmente lesi allorquando il presunto padre fosse deceduto senza lasciare eredi (Lena - Magli, 2015, 1080).

In merito alla questione relativa alla possibilità per il figlio di agire ove gli eredi del presunto genitore defunto fossero stati anch’essi mancanti, le sezioni unite della Cassazione, prima della riforma sulla filiazione del 2012, avevano affermato che, in tale ipotesi, unici soggetti legittimati passivamente fossero gli eredi diretti; con la conseguenza che, in caso di decesso anche di questi ultimi, il figlio naturale, pur essendo legittimato all’esperimento di un’azione esplicitamente qualificata come imprescrittibile, si ritrovava nella pratica impossibilità di avviare il giudizio per mancanza di contraddittori (Cass. S.U., n. 21287/2005, cfr. sub art. 276 c.c.). Le Sezioni Unite avevano escluso qualsiasi contrasto della soluzione adottata con la regola dell’imprescrittibilità dell’azione, sulla base del rilievo che diversi erano i piani di operatività ed i profili effettuali della imprescrittibilità e quelli della legittimazione passiva in ordine ad una data azione. La Cassazione non aveva mancato di evidenziare che tale disciplina presentasse un punto di debolezza e di perfettibilità rispetto alle sempre più avvertite esigenze di tutela dell’interesse del figlio naturale all’accertamento della genitorialità, anche per il profilo del suo diritto alla identità personale.

In tale prospettiva era auspicata l’integrazione della normativa nel senso dell’adeguamento, intervenuto poi con la riforma del 2012 della medesima, con la previsione dell’art. 247 c.c. relativa alla nomina del curatore speciale in assenza di altri legittimati passivi. Si suggeriva, in tal senso, oltre che un intervento legislativo, anche una pronunzia additiva della Corte costituzionale.

Il giudice delle leggi, più volte chiamato ad esprimersi sulla legittimità costituzionale dell’art. 276, comma primo, c.c., ha tuttavia sempre dichiarato la questione manifestamente inammissibile, sulla base del rilievo che la richiesta di pronuncia additiva rientrava nella discrezionalità del legislatore ordinario, che, allo scopo di realizzare la pretesa del figlio, avrebbe potuto indicare quali legittimati passivi, in caso di premorienza del presunto genitore e dei suoi eredi, un curatore speciale ovvero anche gli eredi degli eredi (Corte cost. n. 379/2008; Corte cost. n. 80/2009; Corte cost. n. 278/2009).

La legittimazione passiva

La dottrina ha affermato che legittimato passivo all'azione è il solo genitore nei cui confronti si intende accertare la filiazione, e che l'altro genitore rimane estraneo all'azione, in quanto lo status di figlio rispetto a un genitore non coniugato può essere accertato individualmente verso ciascuno dei genitori, a differenza di quanto avviene nell'azione di reclamo ex art. 249 c.c. (Majello, 1982, 215).

Se invece il genitore è minore, si era precisato, in sua vece sta in giudizio il suo legale rappresentante, mentre era da escludersi la possibilità per il minore ultrasedicenne di resistere personalmente argomentando dalla previsione di cui all'art. 250, quinto comma c.c., che consente al medesimo di riconoscere il proprio figlio, trattandosi di un'ipotesi di capacità speciale, di carattere eccezionale e quindi insuscettibile di applicazione analogica (Majello, 1982, 215; analogamente, De Cupis, 1992, 195).

A seguito del decesso del preteso genitore, l'azione va proposta nei confronti degli eredi. La legittimazione passiva non viene tuttavia attribuita ex lege ai discendenti, come avviene per la legittimazione attiva, bensì agli eredi, i quali sono portatori di un interesse immediato e diretto a non veder pregiudicate le proprie ragioni successorie (Basini, 1987, 206).

In tal senso Cass. I, ord. n. 14615/2021 per la quale la norma è riferita ai soli eredi in senso stretto, con esclusione di coloro che abbiano validamente rinunciato all'eredità; costoro, infatti, non possono subire gli effetti patrimoniali dell'estensione dell'asse ereditario derivante dall'eventuale accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità, essendosi volontariamente determinati ad essere esclusi da qualsiasi vicenda accrescitiva o riduttiva dei diritti ereditari astrattamente conseguiti ex lege.

Problemi si pongono nell'ipotesi in cui erede universale del presunto attore sia lo stesso attore. Parte della dottrina ritiene che in tal caso l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità sia improponibile, in quanto in capo al figlio verrebbero a cumularsi il potere di chiedere l'accertamento del suo status e il potere di contrastare tale accertamento (Majello, 1982, 217). Secondo altra dottrina, che appare maggiormente in linea con la successiva evoluzione normativa e giurisprudenziale, l'instaurazione del contraddittorio sarà possibile nei confronti dei congiunti più prossimi e, in mancanza, di un curatore speciale nominato dal defunto in conformità a quanto disposto nell'azione di disconoscimento di paternità dall'art. 247 c.c. (Bonilini, 1997, 207). Invero, tale interpretazione appare sintonica con la modifica apportata dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219, secondo cui in mancanza di eredi del presunto genitore la domanda va proposta nei confronti di un curatore speciale di nomina giudiziaria. La dottrina ha chiarito che con tale modifica, l'ordinamento ha voluto assicurare che ci sia sempre un legittimato passivo, e che dunque sia sempre possibile agire, consentendo nello stesso tempo la presenza in giudizio di un soggetto chiamato a rappresentare e ad esprimere gli interessi del presunto genitore (Bonilini, 1997, 334).

In dottrina si è evidenziato che, pur non essendo esplicitato dal legislatore del 2012 se gli eredi del presunto genitore siano soltanto quelli diretti, o anche gli eredi degli eredi, si propende per la tesi che la legittimazione vada riconosciuta, in mancanza di un'espressa previsione in senso diverso, nei confronti dei soli eredi diretti (Balestra, 2014, 1223). Si ritiene che tra gli eredi vi sia litisconsorzio necessario (De Cupis, 1992, 165).

In tema di legittimazione passiva, anche in giurisprudenza si è posta la questione, nell'ipotesi di morte del preteso genitore, relativa alla necessità di agire, oltre che nei confronti degli eredi diretti, anche nei confronti degli eredi degli eredi. Il prevalente orientamento (Cass. I, n. 1693/1987; Cass. I, n. 9829/1990; Cass. I n. 8915/1993; Cass. I n. 10171/1993; Cass. I n. 3143/1994; Cass. I n. 12187/1997), limitava la legittimazione passiva ai soli eredi del preteso genitore, pervenendo a respingere le impugnazioni per denunciato difetto del contraddittorio (nei confronti di ulteriori parenti del presunto genitore) formulate avverso sentenze di merito dichiarative della reclamata paternità.

In termini opposti si pronunciava, Cass. I, n. 9033/1997, secondo cui la domanda di dichiarazione di paternità naturale, implicando questioni attinenti allo status delle persone, rende indispensabile la partecipazione di tutti i soggetti la cui sfera giuridica, tanto per l'aspetto personale che patrimoniale, è suscettibile di effetti in seguito alla formazione di uno status diverso da quello originario. Affermava pertanto che nel procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, la legittimazione spettasse, in mancanza del presunto genitore, ai suoi eredi, che non venivano considerati semplici interessati ai sensi del comma secondo dell'art. 276 c.c., ma che acquistavano la veste di litisconsorti necessari.

Il contrasto, come già anticipato supra, è stato risolto dalle Sezioni Unite in senso conforme al primo orientamento, per cui contraddittori necessari, passivamente legittimati, in ordine all'azione per dichiarazione giudiziale di paternità naturale sono, ex art. 267 c.c., in caso di morte del genitore, esclusivamente i suoi eredi e non anche gli eredi degli eredi di lui o altri soggetti, comunque portatori di un interesse contrario all'accoglimento della domanda, cui è, invece, riconosciuta la sola facoltà di intervenire in giudizio a tutela dei rispettivi interessi. (Cass. S.U., n. 21287/2005). Successivamente, Cass. I, n. 10783/2014 ha riconosciuto agli eredi indiretti la sola facoltà di intervenire in giudizio. Si argomenta che tale soluzione risponde ad una interpretazione, letterale e sistematica, dell'art. 276 c.c., che, nel prevedere che l'azione deve essere proposta nei confronti degli eredi diretti ed immediati del preteso genitore defunto, ne esclude, implicitamente, la possibilità di altri (ai quali, diversamente, resterebbe preclusa la possibilità di intervenire) e trova conferma nella nuova formulazione della norma, che contempla, in mancanza di eredi, la possibilità di agire nei confronti di un curatore nominato dal giudice.

In senso analogo, si è ritenuto che la posizione di altri soggetti, portatori di interessi, patrimoniali e non patrimoniali, contrari all'accertamento della filiazione, quali il coniuge e i figli legittimi del presunto genitore, resta regolata dal secondo comma dell'art. 276 c.c., che attribuisce loro la legittimazione a contraddire alla domanda intervenendo nel processo, ma non anche quella a essere citati in giudizio come contraddittori necessari, senza che ciò comporti contrasto con i precetti di cui agli art. 3,29 e 30 Cost. (Cass. I, n. 19603/2011).

Si afferma altresì che, poiché il disposto dell'art. 276 c.c. limita la legittimazione passiva nella azione per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale al presunto genitore o ai suoi eredi, salva la facoltà di contraddire per chiunque vi abbia interesse, la dichiarazione giudiziale fa stato esclusivamente nei confronti del padre naturale, mentre l'identità della madre si pone nell'ambito di tale giudizio come un accertamento di fatto che può essere compiuto anche in via incidentale (Cass. I, n. 12187/1997).

L'intervento in giudizio

A norma dell'art. 276, secondo comma, c.c. alla domanda volta ad ottenere l'accertamento della paternità o della maternità può contraddire chiunque vi abbia interesse. Si esprimono nel senso che i parenti prossimi del preteso genitore hanno la possibilità di fare valere le loro ragioni in giudizio con un intervento volontario adesivo, basato sull'interesse che essi hanno, come membri della famiglia, ad evitare che un estraneo consegua lo stato di figlio naturale, il De Cupis, 1992, 277, nonché, nel senso che si tratta di una specie di intervento volontario ad adiuvandum, il Majello, 1982, 218.

L'interesse che muove l'interveniente può essere innanzitutto di natura non patrimoniale. Si è sostenuto che fosse configurabile in capo ai membri della famiglia legittima del preteso genitore, ovvero ai parenti di costui, un interesse alla tutela del nome di famiglia di cui, per effetto dell'accertamento del rapporto di filiazione, il figlio potrebbe avvalersi (Majello, 1982, 216). Più di recente si ritiene che, alla luce della ratio sottesa alla riforma, può fondatamente dubitarsi che un siffatto interesse possa in epoca odierna superare il vaglio della meritevolezza di tutela alla stregua dell'ordinamento (Balestra, 2014, 1223).

La partecipazione del terzo al processo è stata tradizionalmente qualificata alla stregua di un intervento volontario adesivo ai sensi dell'art. 105, secondo comma, c.p.c. Si è affermato che, nell'ipotesi di maggior età di colui che richiede l'accertamento, non può configurarsi un interesse principale ad agire della madre naturale ai sensi dell'art. 276, ultimo comma, c.c., non essendo in tale evenienza ravvisabile un obbligo legale di assistenza o mantenimento nei confronti del figlio, potendo peraltro essa svolgere un intervento adesivo dipendente, allorché sia ravvisabile un suo interesse di fatto tutelabile in giudizio (Cass. I, n. 12198/2012).

Tale inquadramento è stato tuttavia recentemente confutato in giurisprudenza con argomenti condivisibili. Si è in particolare posto in rilievo che la previsione, in tanto può avere un senso, in quanto non si risolva in un'inutile ripetizione di quanto previsto dal predetto secondo comma dell'art. 105 c.p.c.

D'altra parte il potere di contraddire contemplato nella norma in commento costituisce il pendant della legittimazione riconosciuta dall'art. 263 c.c. ad ogni interessato in ordine all'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità; di modo che, così come il riconoscimento può essere impugnato da chiunque vi abbia interesse, allo stesso modo deve riconoscersi un diritto di intervento autonomo in capo a chiunque abbia interesse a contrastare l'accertamento del rapporto di filiazione in sede giudiziale (Cass. I, n. 8355/2007).

In ordine all'intervento previsto dall'art. 276, secondo comma, c.c. si è precisato, in giurisprudenza che:

- nel giudizio per la dichiarazione della paternità (o maternità) naturale, poiché lo status di figlio naturale è accertabile individualmente verso ciascuno dei genitori, legittimato passivo è il solo genitore (e, in mancanza, i suoi eredi) nei cui confronti si intende accertare la filiazione, mentre la posizione degli altri soggetti (ivi compreso l'altro genitore) resta regolata dal secondo comma dell'art. 276 c.c., che attribuisce la legittimazione a contraddire alla domanda, intervenendo nel processo, ma non anche quella di essere citati in giudizio come contraddittori necessari (Cass. I, n. 3143/1994);

- nel procedimento per la dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale, la legittimazione passiva spetta, in mancanza del presunto genitore, esclusivamente ai suoi eredi (art. 276, primo comma, c.c.), dovendosi negare, indipendentemente dalle eventuali finalità patrimoniali della domanda, che possano assumere la qualità di litisconsorti necessari gli aventi causa di detti eredi, ovvero altri soggetti portatori di un interesse contrario all'accoglimento della domanda, cui è riconosciuta soltanto la facoltà di intervenire a tutela di detto interesse (Cass. I, n. 1963/1987).

Anche qualora vi siano finalità di tipo patrimoniale, si nega che possano assumere la qualità di litisconsorti necessari gli aventi causa di detti eredi, ovvero altri soggetti portatori di un interesse contrario all'accoglimento della domanda, cui è riconosciuta soltanto la facoltà di intervenire a tutela di detto interesse (Cass. I n. 10171/1993).  

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