Codice Civile art. 251 - Autorizzazione al riconoscimento (1) (2).Autorizzazione al riconoscimento (1) (2). [I]. Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. [II]. Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal giudice (3). (1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo le parole «Capo II. "Della filiazione naturale e della legittimazione"»; «Sezione I. "Della filiazione naturale» e la rubrica del paragrafo 1 «Del riconoscimento dei figli naturali» con le parole: «Capo IV. "Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio"». (2) Articolo così sostituito dall'art. 1, l. 10 dicembre 2012, n. 219. Il testo precedente, risultante dalle modifiche adottate dall'art. 103 l. 19 maggio 1975, n. 151, recitava: «Riconoscimento di figli incestuosi - [I] I figli nati da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela anche soltanto naturale, in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, non possono essere riconosciuti dai loro genitori, salvo che questi al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra di loro o che sia stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l'affinità. Quando uno solo dei genitori è stato in buona fede, il riconoscimento del figlio può essere fatto solo da lui. [II] Il riconoscimento è autorizzato dal giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.». (3) L'art. 22, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito le parole: «tribunale per i minorenni», con la parola: «giudice». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoL'articolo di commento non ha subito rilevanti modifiche, rispetto alla formulazione conseguente alla riforma del diritto di famiglia del 1975, a seguito degli interventi testuali disposti dapprima dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219, e poi, in minor grado, dal d.lgs. 13 ottobre 2014, n. 153 in tema di filiazione. In particolare, nella precedente formulazione, si prevedeva che il figlio poteva essere riconosciuto dagli affini in linea retta, quando questi al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra di loro, e quando fosse stato dichiarato nullo il matrimonio da cui derivava l'affinità. Si faceva salva l'ipotesi in cui uno solo dei genitori fosse stato in buona fede, consentendo unicamente a lui di effettuare il riconoscimento del figlio. Anche nei casi in cui era ammissibile, si prevedeva che il riconoscimento fosse autorizzato dal giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. Nonostante detta previsione relativa alla necessità di autorizzazione del giudice in funzione della tutela dell'interesse del minore, tuttavia, nella logica del legislatore del 1975 prevaleva un intento sanzionatorio nei confronti del genitore consapevole della relazione incestuosa, in conseguenza del disvalore, sotto il profilo sociale e morale, che accompagna la relazione tra consanguinei (Farolfi, 2015, 1019) La connotazione sanzionatoria della disposizione in esame era avvalorata dalla previsione che il divieto non operasse nei confronti dei genitori o anche di uno di essi, che ignorassero la sussistenza del vincolo di parentela. In tal caso la dichiarazione operava con effetto ex tunc e dunque doveva escludersi sin dall'inizio la condizione dei figli incestuosi (Ferrando, 1987, 156). In modo analogo, sempre seguendo la suindicata ratio, si escludeva che il divieto sussistesse rispetto alla vittima di violenza sessuale. Compatibilmente con lo spirito innovatore della riforma della filiazione introdotta con l. 10 dicembre 2012, n. 219, in cui si attribuisce preminente rilievo alla tutela dell'interesse del minore, fu abrogata la previsione relativa alla possibilità di riconoscimento da parte del genitore in buona fede. In particolare, la modifica più significativa fu l'abolizione del divieto assoluto di riconoscimento del figlio nato da rapporto di parentela, accompagnata dalla soppressione della definizione di sapore discriminatorio di figlio «incestuoso». In particolare, furono abolite le clausole di salvaguardia relative alla possibilità di riconoscimento dei figli nati da affini in linea retta e in capo a genitori in buona fede, mentre si consentì, previa autorizzazione del giudice, il riconoscimento dei figli nati da rapporti di parentela in linea retta o linea collaterale nel secondo grado, ovvero da affinità in linea retta. Tale innovazione, stante l'intento che l'ispirava, costituì uno degli elementi più significativi della riforma in esame (per le diverse opinioni in sede di lavori parlamentari, Auletta, Riconoscimento dei figli incestuosi, in Nuove leggi civ. comm. 2013, 483). Peraltro, tale regime fu esteso anche ai rapporti di parentela nascenti da adozione, ovvero da procreazione medicalmente assistita, anche di tipo eterologo o da maternità surrogata (Auletta, 2013, 476). Il riconoscimento è tuttora consentito su autorizzazione del giudice, avuto riguardo all'interesse del minore e alla necessità di evitargli ogni pregiudizio, intendendosi per tale il pericolo di una lesione così grave da compromettere seriamente il suo sviluppo psicofisico, sicché l'elemento centrale è divenuto l'interesse del minore a non ricevere un pregiudizio maggiore rispetto a quello patito dal mancato riconoscimento (Picaro, 2013, 264). Sul versante dei genitori, si pone il problema del rapporto con il reato di incesto di cui all'art. 564 c.p., che viene risolto ritenendo che il riconoscimento del figlio, in caso di rapporti occasionali tra i genitori, escluda il verificarsi del pubblico scandalo (Auletta, 2013, 487). La Corte costituzionale risolse, a suo tempo, un problema di coordinamento tra la disciplina del riconoscimento e quella della dichiarazione giudiziale di paternità. Infatti, con sentenza Corte cost.n. 494/2002 la Corte dichiarò la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 278, comma 1, c.c., nella parte in cui escludeva la dichiarazione giudiziale della paternità e maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui, a norma dell'art. 251, primo comma, c.c., il riconoscimento dei figli incestuosi era vietato. La Corte costituzionale aveva colto appieno la portata discriminatoria della disposizione in esame nella previgente formulazione, e aveva argomentato che il figlio che intenda richiedere l'adempimento nei propri confronti dei doveri «naturali» che gravano sui suoi genitori – il mantenimento, l'istruzione e l'educazione – avrebbe dovuto esercitare un'azione, quella prevista dall'art. 279 ricordato, che era riferibile solo ai «figli incestuosi», in quanto solo rispetto ad essi «non può proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità». Di conseguenza, il figlio nato da un rapporto tra le persone indicate nell'art. 251, per ottenere l'adempimento dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione nei suoi confronti, veniva a trovarsi nella necessità di proclamare egli stesso la propria condizione di discriminato. Ne discendeva che l'attribuzione dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale anche ai figli incestuosi, alla stessa stregua di quanto spettava ai figli naturali riconoscibili, era conforme alla classificazione operata dalla Costituzione all'art. 30, secondo il quale vi sono solo due categorie di figli: quelli nati entro e quelli nati fuori del matrimonio, senza ulteriori distinzioni tra questi ultimi. La natura dell'autorizzazione al riconoscimentoSecondo una tesi minoritaria, l’autorizzazione al riconoscimento viene considerata come una condizione di validità del riconoscimento, con conseguente possibilità di esperimento dell’azione di nullità di cui all’art. 1418 c.c., per contrarietà dell’autorizzazione a norme imperative (Mancini, 1967, I, 96), mentre altra tesi considera la suddetta autorizzazione quale condizione di ammissibilità del riconoscimento, che incide sulla sua efficacia, in quanto rimozione di un ostacolo al riconoscimento medesimo (Carraro, 1992, 118; Auletta, 2013, 488). Secondo questa impostazione, sarà necessaria l’autorizzazione e, successivamente l’assenso del figlio che abbia compiuto i quattordici anni, così come quella del genitore che ha già effettuato il riconoscimento, se il figlio è invece minore di quattordici anni (Carraro, 1992, 118). La dottrina non manca di sottolineare come l’autorizzazione al riconoscimento, intesa come valutazione giudiziale della rispondenza all’interesse del minore, si giustifica per il riconoscimento del minore, anche in considerazione dell’abbassamento ai quattordici anni dell’età per l’assenso, mentre non si giustifica la sua estensione al soggetto maggiore di età, essendo questi in grado di valutare il proprio interesse (Lisella, 2013). Sotto questo aspetto, è apparso inconcepibile attribuire al giudice il compito di valutare che cosa rientri nell’interesse di una persona maggiorenne, pienamente capace di autodeterminarsi in relazione alle scelte fondamentali di orientamento della propria vita (Lenti, 2013, 451). Nei lavori parlamentari, si è comunque evidenziata l’esigenza di tutelare anche l’interesse dei parenti della persona riconosciuta e l’intento di verifica della volontà del figlio a rendere pubblico il carattere incestuoso del concepimento (Relazione al disegno di legge 20 aprile 2010, n. 2122, XVI legislatura, Magistrelli e altri, in Senato.it). La valutazione compiuta dal giudice in sede di autorizzazione non si estende alla veridicità del riconoscimento, ed è necessaria anche in caso di matrimonio nullo a maggior ragione nella disciplina novellata, che non fa più riferimento alla nullità del matrimonio (Dogliotti, 2015, 235). Il riconoscimento non autorizzato va rimosso con il rimedio tipico dell’impugnativa ex art. 263 c.c. (Sesta, 2011, 262; Auletta, 2013, 488). Fermo restando che il minore che abbia compiuto i quattordici anni deve esprimere il suo assenso, è comunque principio acquisito l’ascolto del minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, purché abbia sufficiente capacità di discernimento, ai sensi dell’art. 315-bis c.c.. Inoltre, la necessità del consenso del genitore che per primo ha riconosciuto il figlio è prevista a ulteriore tutela dell’interesse del figlio, in considerazione anche del fatto che è proprio con il secondo riconoscimento che si manifesta il rapporto di parentela tra i genitori (Auletta, 2013, 487). Si annoverano sull’articolo in esame dei provvedimenti di merito, tra i quali Trib. min. Caltanissetta, 20 dicembre 2013, che ha ritenuto ammissibile il riconoscimento del figlio nato da relazione incestuosa quando ciò risponda all’interesse dello stesso. In contrasto con l’orientamento della dottrina prevalente, che individua nell’autorizzazione una condizione di efficacia del riconoscimento, tale pronuncia ha affermato che il riconoscimento di figlio incestuoso effettuato senza la necessaria autorizzazione è radicalmente viziato. In epoca più risalente, il Trib. min. Roma, 13 dicembre 1984, ha affermato che nel procedimento ex art. 251, secondo comma, c.c., il tribunale per i minorenni, ove neghi l’autorizzazione al riconoscimento del figlio incestuoso già riconosciuto, senza alcuna autorizzazione, da uno dei genitori, pur consapevole del rapporto di parentela esistente con l’altro genitore, può, d’ufficio, autorizzare il minore ad impugnare il riconoscimento a norma degli artt. 263 e 264 c.c., nominando all’uopo un curatore speciale e può contestualmente, nell’interesse del figlio, dispone l’apertura del procedimento di adottabilità, sospendendo la potestà (oggi responsabilità) genitoriale, nominando un tutore provvisorio al minore e confermando l’allontanamento di quest’ultimo dai genitori. Sempre nella già esaminata ottica sanzionatoria a fondamento della precedente formulazione dell’art. 251 c.c., la stessa sentenza ha precisato che giudice non può autorizzare il riconoscimento del figlio incestuoso, a prescindere dalla sussistenza dell’interesse di quest’ultimo, ove accerti che i genitori, al tempo del concepimento, non ignoravano il vincolo parentale fra di loro esistente. Profili processualiIl comma secondo dell'art. 251 fu modificato dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, con una disposizione che sopprimeva dal testo il riferimento al tribunale per i minorenni, quale organo competente a pronunciare i provvedimenti di cui agli artt. 251 e 317-bis c.c., e che sostituiva questa indicazione con la generica espressione di «giudice». Contestualmente il medesimo decreto modificava il testo del primo comma dell'art. 38 disp. att. c.c. inserendovi la disposizione che assegnava al tribunale per i minorenni la competenza in ordine ai procedimenti di cui ai detti artt. 251 e 317-bis. La modifica non mutava pertanto la competenza e si limitava a trasferire in un ambito normativo diverso la menzione del criterio individuativo della sua attribuzione. L'intervento non risolveva il dubbio riguardante la competenza al procedimento autorizzativo quando esso avesse riguardato un soggetto maggiorenne. In proposito la dottrina si era espressa nel senso che la competenza doveva essere riconosciuta in capo al tribunale ordinario (cfr.Farolfi, 2015, 1021). La normativa risultante dalle cennate modifiche degli artt. 251 c.c. e 38 disp. att. è stata conservata dagli interventi normativi disposie in successivo ordine di tempo. La l. 26 novembre 2021, n. 206, di delega per la riforma del processo civile, ha sostituito il primo comma dell'art. 38 con effetti a decorrere dal centottantesimo giorno dalla sua pubblicazione ma non ha apportato variazioni per quanto si riferisce alla competenza del tribunale per i minorenni in ordine ai provvedimenti autorizzativi di cui agli artt, 251 e 317-bis. Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n.149, di riforma del processo civile, ha aggiunto all'art. 38 disp. att. ritocchi di sola precisazione. Le vere e proprie innovazioni dovute ai provvedimenti di riforma hanno riguardato la disciplina dei procedimenti, già attribuiti al tribunale ordinario, al giudice tutelare e al tribunale per i minorenni, in tema di stato delle persone, di minori e di famiglia. Le norme in proposito sono entrate in vigore con decorrenza dal 28 febbraio 2023 per i procedimenti instaurati a decorrere da tale data. Essi seguono le forme di cui agli artt. 473-bis e seguenti c.p.c. che hanno introdotto un rito unificato per le procedure nelle dette materie dello stato delle persone, di minorenni e della famiglia, per le quali è attualmente competente il tribunale ordinario, in attesa dell'istituzione del tribunale per la famiglia. Il provvedimento ha lasciato pressoché immutata la disciplina dei procedimenti camerali e, in difetto di qualunque indicazione di diritto positivo, è lasciato all'interprete individuare quale sia la forma processuale cui far capo per la richiesta e il rilascio dell'autorizzazione in argomento. Nel silenzio della legge, si è ritenuta l'applicabilità del rito camerale. Secondo la dottrina l'autorizzazione è concessa a seguito di un procedimento in camera di consiglio, con la partecipazione del P.M. e il procedimento si conclude con decreto motivato, impugnabile con reclamo, ai sensi dell'art. 739 c.p.c. e ricorribile per Cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost. (Finocchiaro, 2013, 71). L'art. 38 disp. att. c.c. assegna la competenza a provvedere all'autorizzazione al tribunale per i minorenni. Il citato d.lgs. n. 149/2022 ha disciplinato ex novo i procedimenti in materia di stato delle persone, di minori e di famiglie anche con riferimento alle procedure già di competenza del tribunale per i minorenni, qual è il caso di cui all'art. 251; e li ha affidati alla cognizione del tribunale ordinario. In quanto riguardante lo status di filiazione, anche il procedimento in questione rientra nel novero della normativa introdotta a proposito del rito unico familiare. Con riguardo alle controversie instaurate dopo il 28 febbraio 2023 il rito unificato in materia di stato delle persone, di famiglia e di minori, disciplinato dagli artt. 473-bis e seguenti c.p.c, l'art. 473-bis.12 c.p.c. dispone che il procedimento si instaura con ricorso. La competenza appartiene al tribunale territorialmente individuato secondo le regole del giudizio ordinario di cognizione (art. 473-bis.11). Se devono essere adottati provvedimenti riguardanti minori, è competente il tribunale del luogo di ultima residenza del minore; se vi è stato trasferimento non autorizzato, entro l'anno dal trasferimento la competenza spetta al tribunale dell'ultima residenza abituale del minore. Ricevuto il ricorso, il presidente del tribunale nomina con decreto il giudice relatore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questi. Nello schema disegnato dalla riforma il convenuto deve costituirsi, a pena di decadenze da facoltà difensive, prima dell'udienza. L'attore può controbattere con una memoria scritta alla comparsa del convenuto; il convenuto, a sua volta, può rispondere con memoria scritta che l'attore ha ancora facoltà di contestare, prima dell'udienza. Quando la causa è matura per la decisione il giudice relatore (o istruttore se vi è stata assunzione di mezzi probatori) fissa l'udienza nella quale rimetterà le parti alla decisione del collegio e assegna ad esse tre termini successivi entro i quali esse devono: depositare le conclusioni; depositare la comparsa conclusionale; depositare le memorie di replica (art. 473-bis.28). All'udienza il giudice si riserva di riferire al collegio. La decisione è pronunciata con sentenza depositata entro 60 giorni dalla rimessione. La sentenza è impugnabile con appello. Può dubitarsi che occorra osservare il complesso di questi adempimenti, con riguardo ad una procedura sostanzialmente non contenziosa e di natura soltanto autorizzativa qual è quella disciplinata dall'art. 251 c.c. Condizioni irrinunciabili sono l'osservanza del contraddittorio ove vi siano soggetti controinteressati, e l'ascolto del minore se il procedimento riguarda un soggetto minorenne. Formalità ulteriori possono essere considerate eccedenti lo scopo e la natura del processo. Qualora, successivamente al riconoscimento di uno dei genitori, anche l'altro genitore lo effettui, anche costui dovrà munirsi di autorizzazione ai sensi dell'art. 251 c.c. e, in caso di opposizione del genitore che abbia effettuato per primo riconoscimento, l'altro dovrà esperire la procedura di cui all'art. 250, quarto comma, al fine di ottenere una sentenza che tenga luogo del consenso mancante (Finocchiaro, 2013, 71). BibliografiaAmadio, Macario, Diritto di famiglia, 2016; Amore, nota a Cass, 26097/2013 in Cass. Pen., 2014, 6, 2134; G.E. 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