Codice Civile art. 239 - Reclamo dello stato di figlio (1) (2).

Francesco Bartolini

Reclamo dello stato di figlio (1) (2).

[I]. Qualora si tratti di supposizione di parto o di sostituzione di neonato, il figlio può reclamare uno stato diverso

[II]. L'azione di reclamo dello stato di figlio può essere esercitata anche da chi è nato nel matrimonio ma fu iscritto come figlio di ignoti, salvo che sia intervenuta sentenza di adozione.

[III]. L'azione può inoltre essere esercitata per reclamare uno stato di figlio conforme alla presunzione di paternità da chi è stato riconosciuto in contrasto con tale presunzione e da chi fu iscritto in conformità di altra presunzione di paternità.

[IV]. L'azione può, altresì, essere esercitata per reclamare un diverso stato di figlio quando il precedente è stato comunque rimosso

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la «Sezione II: "Delle prove della filiazione legittima"» con il «Capo II: "Delle prove della filiazione"».

(2) Articolo sostituito dall’art. 14, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Il testo recitava: «Supposizione di parto o sostituzione di neonato. [I]. Qualora si tratti di supposizione di parto o di sostituzione di neonato, ancorché vi sia un atto di nascita conforme al possesso di stato, il figlio può reclamare uno stato diverso, dando la prova della filiazione anche a mezzo di testimoni nei limiti e secondo le regole dell'articolo. [II]. Parimenti si può contestare la legittimità del figlio dando anche a mezzo di testimoni, nei limiti e secondo le regole sopra indicati, la prova della supposizione o della sostituzione predette». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

La norma dettata dall'art. 239 deroga al disposto del precedente art. 238 e stabilisce che, nonostante la concomitante sussistenza di un atto di nascita e del possesso di stato, è consentito in taluni casi reclamare uno stato diverso da quello da essi risultante. La situazione di titolarità formale derivante dall'atto di nascita può non corrispondere alla titolarità sostanziale della filiazione; come può mancare un accertamento pubblico della filiazione, come avviene quando sono ignoti i genitori. In tali casi è possibile raggiungere, attraverso l'esercizio dell'azione di reclamo, la prova di una situazione diversa, nel rispetto delle condizioni dettate dal citato art. 239. In pratica, l'azione consente di superare l'incontestabilità della titolarità formale di figlio derivante dall'atto di nascita e dal concomitante possesso di stato.

Ambito di applicazione della norma

Le modifiche apportate dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, hanno soppresso ogni differenza di status tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori dal matrimonio. La precedente normativa è stata adattata al nuovo principio con interventi che hanno fatto sorgere qualche problema interpretativo. Nel caso dell'azione di reclamo, l'art. 239 era in origine dedicato a risolvere questioni di filiazione legittima, per l'ottenimento dello stato di figlio nato in costanza di matrimonio. Il testo normativo risultante dalle modifiche ha fatto sorgere la questione relativa all'ambito della sua applicazione, se ancora da riferirsi soltanto ad una azione esercitata da un figlio nato nel matrimonio o se invece estesa a dare legittimazione al figlio nato fuori dal matrimonio. La prevalente dottrina (Sesta, 975; Celentano, Lume, Sica, 103) ritiene di dover concludere nel senso di un ambito riservato al figlio nato nel matrimonio per una convergente serie di elementi che si desumono dal testo delle norme. È, infatti, esplicitamente disposto dagli artt. 239, secondo e terzo comma, e 249, quarto comma, che: l'azione può essere esercitata da chi è nato nel matrimonio ma fu iscritto come figlio di ignoti; l'azione può essere esercitata per reclamare uno stato di figlio conforme alla presunzione di paternità; nel giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori. La prima indicazione è univoca nel menzionare la nascita in periodo di matrimonio. La seconda richiama la presunzione per la quale il padre è il marito della madre. E il litisconsorzio con i genitori conferma che essi devono essere conosciuti per tali; e costituisce una circostanza di piena convergenza con le precedenti indicazioni.

Casi di reclamo

Le disposizioni contenute nella norma in commento sono state profondamente modificate, dapprima dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219, e successivamente dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. Essa prevedeva in precedenza come fattispecie che consentivano il reclamo i soli casi della supposizione di parto e la sostituzione di neonato. L'elaborazione dottrinale e l'esperienza concreta avevano indicato ipotesi che richiedevano di essere ricomprese nell'ambito di applicazione della norma predetta e in questo senso il legislatore ha provveduto. Residuano, per la dottrina, situazioni ulteriori che non sono menzionate nel testo della norma ma che legittimano all'azione di reclamo. Si cita, ad esempio, il caso del reclamo di stato del figlio della madre, coniugata o no, che nell'atto di nascita ha dichiarato di non voler essere nominata. E si aggiungono i casi in cui l'atto di nascita indica soltanto uno dei genitori; o i veri genitori abbiano dichiarato il figlio come figlio naturale.

È stato osservato (Celentano, Lume, Sica, 113) che se la madre, coniugata, non consente di essere nominata nell'atto di nascita le presunzioni di cui agli artt. 231 e 232 non possono operare e non si verificano quindi le condizioni per l'acquisto dello stato di figlio del marito della madre. La giurisprudenza ha considerato legittimo il comportamento in questo senso della donna coniugata, pur se impedisce al figlio l'acquisto dello stato di figlio nato nel matrimonio; e ha stabilito che tale comportamento non integra (se veritiero) il delitto di alterazione di stato, di cui all'art. 567 c.p. In questo caso si ammette che il figlio possa reclamare uno stato conforme alla presunzione di paternità, ai sensi dell'art. 239 c.c.

Il Tribunale di Roma, in un noto caso di scambio di embrioni affermò che doveva intendersi per madre colei che aveva condotto a termine la gestazione ed aveva partorito; e nella motivazione affermò che non sarebbe stata consentita l'azione di reclamo, in quanto ammessa soltanto per i casi di sostituzione di neonato o di supposizione di parto (ord. 20 agosto 2014, in Dir. fam. e pers., 2015, 2, 549, nota di Mendola).

Cass. I, n. 19824/2020 ha affermato che, dopo la morte della donna che non ha voluto essere nominata al momento del parto, può essere promossa dal figlio biologico l’azione volta all’accertamento dello status, in forza di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 269 c.p.c. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. S.U. n. 1946/2017) avevano ammesso la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che aveva dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione; e ciò con modalità procedimentali idonee ad assicurare la massima riservatezza e il più assoluto rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio incontra un limite insuperabile quando la dichiarazione iniziale non è rimossa in seguito all’interpello.

In questo ordine di idee Cass. I, ord. n. 7093/2022 e Cass. I, ord. n. 22497/2021 hanno  affermato che il figlio nato da parto anonimo ha diritto di conoscere le proprie origini, ma il suo diritto deve essere bilanciato con il diritto della madre a conservare l'anonimato, e deve pertanto consentirsi al figlio di interpellare la madre biologica al fine di sapere se intenda revocare la propria scelta, occorrendo però tutelare anche l'equilibrio psico fisico della genitrice; pertanto il diritto all'interpello non può essere attivato qualora la madre versi in stato di incapacità, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la propria scelta di anonimato.

I casi nei quali è consentita l'azione di reclamo dello stato di figlio e che sono espressamente menzionati dall'art. 239 sono attualmente i seguenti:

a) Supposizione di parto o sostituzione di neonato

L'azione di reclamo è rivolta a contestare la maternità, attraverso la prova che il reclamante non è stato partorito dalla donna indicata come madre nell'atto di nascita. Il reclamo si fonda su circostanze che, se dimostrate, escludono necessariamente il collegamento natale tra madre e figlio. Sia che il parto sia stato soltanto simulato e sia che il neonato sia stato scambiato con un altro, in entrambi i casi suddetti la madre è persona diversa da quella che risulta dall'atto di nascita. L'azione non è diretta a disconoscere una maternità (per la quale occorre intraprendere l'azione apposita) ma al recupero di una verità di fatto che è stata alterata da precise condotte di interferenza.

La fattispecie rimanda alle figure delittuose previste e punite dal codice penale agli artt. 566 (supposizione o soppressione di stato) e 567 (alterazione di stato). Commette il primo di questi reati chi fa figurare nei registri dello stato civile una nascita inesistente e chi, mediante l'occultamento di un neonato, ne sopprime lo stato civile; realizza il secondo reato chi, mediante la sostituzione di un neonato, ne altera lo stato civile e chi, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità. A fondare l'azione di reclamo non è necessario che sussistano tutti gli estremi costitutivi degli illeciti penali ma è sufficiente che, con le condotte descritte dalle norme incriminatrici o con altre che producono lo stesso effetto, si attribuisca ad un neonato una madre che in realtà non ha partorito; o che si attribuisca ad una donna, che ha partorito, la maternità di un bambino che non è suo.

Per la Corte di cassazione penale la condotta di occultamento consiste nel nascondere, per un apprezzabile periodo di tempo, il neonato a tutti i soggetti legittimati a denunciare la nascita all'ufficiale di stato civile; il reato si protrae fino alla dichiarazione tardiva o alla formazione d'ufficio dell'atto di nascita (Cass. n. 26097/2013). La stessa Corte ha affermato che la fattispecie delittuosa di cui all'art. 567 c.p. punisce l'attribuzione al neonato di un genitore diverso da quello naturale; pertanto, non risponde del delitto la madre che, nel dichiarare all'ufficiale di stato civile che il figlio è stato concepito da una unione naturale, occulta il suo stato di persona coniugata (Cass. n. 4453/2005). Giurisprudenza risalente ha chiarito che il termine «neonato», di per sé impreciso, va inteso nel senso che si riferisca anche ai bambini che, per il grado di sviluppo determinato dall'età, non hanno ancora maturato il concetto della propria individualità nei rapporti con i terzi (Cass. n. 6707/1987; App. L'Aquila 4 maggio 1982, in Giust. civ., 1982, I, 1899).

L'art. 569 c.p. faceva conseguire alla condanna pronunciata contro il genitore per alcuno dei delitti di supposizione o soppressione di stato, di alterazione di stato o di occultamento di stato di un figlio la perdita della responsabilità genitoriale. Questo effetto automatico è stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale (Corte cost. 23 febbraio 2012, n. 31, e 23 gennaio 2013, n. 7) in quanto preclusivo di ogni possibilità di valutazione dell'interesse del minore nel caso concreto.

b) Iscrizione come figlio di ignoti

L'azione di reclamo è consentita per far risultare che chi era stato dichiarato, nell'atto di nascita, figlio di genitori ignoti era, in realtà, nato nel matrimonio tra due persone determinate. Anche in questo caso l'azione è rivolta a far emergere una realtà che era stata nascosta (e non anche a contestare una presunzione di paternità). Una realtà costituita da una nascita avvenuta nella costanza di matrimonio dei genitori; idonea a far operare la presunzione di paternità di cui all'art. 231 c.c. Va osservato che l'art. 231 menziona, ai fini della presunzione di paternità, la nascita ed anche il concepimento. Nel caso dell'azione di reclamo il riferimento alla situazione di fatto è effettuato alla sola nascita. La differenza trova ragione nel disposto dell'art. 234 che abilita, per altro verso, il figlio a dimostrare «in ogni caso» di essere stato concepito nel matrimonio.

L'azione di reclamo non è consentita se è intervenuta sentenza di adozione.

È consentita l'azione di reclamo di stato di figlio della madre, coniugata o no, che nell'atto di nascita ha dichiarato di non voler essere nominata (Trib. Parma, 17 ottobre 2008). Lo stesso tribunale di Parma, 17 ottobre 1998, aveva ritenuto consentita la proposizione dell'azione di reclamo della legittimità (da proporsi nei confronti di entrambi i genitori da un curatore speciale del minore) al fine di far acquistare all'infante lo status, del tutto veridico, di figlio legittimo, in un caso in cui esso era stato registrato allo stato civile come nato da padre ignoto e da donna che non consentiva di essere nominata. La circostanza era dovuta a gravi e drammatici problemi psicologici affliggenti i genitori (la prematura morte di un gemello del figlio, nato prematuro, in difficili condizioni fisiche e con pesanti problemi di integrità personale futura).

c) Reclamo di stato conforme alla presunzione di paternità

Con l'azione di reclamo può chiedersi uno stato di figlio conforme alla presunzione di paternità da chi è stato riconosciuto in contrasto con tale presunzione e da chi fu iscritto in conformità di altra presunzione di paternità. L'azione è rivolta a far risultare la verità storica che è stata travisata. Il figlio riconosciuto dal padre o dalla madre come nato fuori dal matrimonio può agire per far risultare che doveva essere applicata la presunzione di paternità, per nascita o per concepimento, in costanza di matrimonio.

Il figlio può reclamare lo status di figlio nato nel matrimonio, in conformità alla presunzione di paternità, quando lo stesso è stato riconosciuto in contrasto con tale presunzione (Trib. Messina, 3 marzo 2016).

d) Reclamo di uno stato di figlio diverso da quello che è stato rimosso

Si tratta della previsione di una fattispecie di azione del tutto residuale, predisposta per munire di un mezzo di tutela il figlio che viene ad essere privato dello stato di cui godeva. L'art. 238 dispone che nessuno può reclamare uno stato contrario a quello che gli attribuiscono l'atto di nascita di figlio nato nel matrimonio e il possesso di stato conforme all'atto stesso. Ciò comporta che il figlio, interessato ad esercitare l'azione di reclamo, deve prima contestare il titolo utilizzando le apposite azioni di stato; e successivamente provare la maternità, il matrimonio della madre e la nascita in costanza di matrimonio.

Legittimazione e azione di reclamo (rinvio)

Si veda sub artt. 241 e 249.

Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, ha introdotto il rito unificato per le controversie in materia di stato delle persone, di famiglia e di minori, disciplinato dagli artt. 473-bis e seguenti c.p.c. Il procedimento si instaura con ricorso. La competenza appartiene al tribunale territorialmente individuato secondo le regole del giudizio ordinario di cognizione (art. 473-bis.11). Se devono essere adottati provvedimenti riguardanti minori, è competente il tribunale del luogo di ultima residenza del minore; se vi è stato trasferimento non autorizzato, entro l'anno dal trasferimento la competenza spetta al tribunale dell'ultima residenza abituale del minore.  Ricevuto il ricorso, il presidente del tribunale nomina con decreto il giudice relatore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questi. Prima dell'udienza il convenuto deve costituirsi, a pena di decadenze da facoltà difensive. L'attore può controbattere con una memoria scritta alla comparsa del convenuto; il convenuto, a sua volta, può rispondere con memoria scritta che l'attore ha ancora facoltà di  contestare, prima dell'udienza. Quando la causa è matura per la decisione il giudice relatore (o istruttore se vi è stata assunzione di mezzi probatori) fissa l'udienza nella quale rimetterà le parti alla decisione del collegio e assegna ad esse tre termini successivi entro i quali esse devono: depositare le conclusioni; depositare la comparsa conclusionale; depositare le memorie di replica (art. 473-bis.28). All'udienza il giudice si riserva di riferire al collegio. La decisione è pronunciata con sentenza depositata entro 60 giorni dalla rimessione. La sentenza è impugnabile con appello.

Disciplina intertemporale

L'art. 35 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, dispone che le  nuove norme si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023; le norme sulle impugnazioni con appello si applicano ai gravami proposti successivamente alla stessa data. Ai procedimenti pendenti a tale data continuano ad applicarsi le norme  in quel momento vigenti. 

Bibliografia

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