Codice Civile art. 234 - Nascita del figlio dopo i trecento giorni (1) (2).Nascita del figlio dopo i trecento giorni (1) (2). [I]. Ciascuno dei coniugi e i loro eredi possono provare che il figlio, nato dopo i trecento giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, è stato concepito durante il matrimonio. [II]. Possono analogamente provare il concepimento durante la convivenza quando il figlio sia nato dopo i trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale [151], o dalla omologazione di separazione consensuale [158], ovvero dalla data di comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione [707, 711 c.p.c.] o dei giudizi previsti nel comma precedente [126]. [III]. In ogni caso il figlio può provare di essere stato concepito durante il matrimonio (3) (1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo VII, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), quella del Capo (la precedente era «Della filiazione legittima»), e sopprimendo la «Sezione I: "Dello stato di figlio legittimo"». (2) Articolo così sostituito dall'art. 92 l. 19 maggio 1975, n. 151. (3) L’art. 10, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il comma. Il testo precedente recitava: «In ogni caso il figlio può proporre azione per reclamare lo stato di legittimo ». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoL'art. 234 c.c. completa la disciplina dell'attribuzione di status al figlio concepito durante il matrimonio prevista dall'art. 232 c.c. Mentre quest'ultimo pone la presunzione che il figlio nato nei 300 giorni dopo uno degli eventi ivi descritti sia stato concepito durante il matrimonio acquisendo lo status di figlio dei coniugi, in ossequio al principio del favor legitimatis; l'art. 234 c.c. consente, mediante un'azione costitutiva di status, ai coniugi o ai loro eredi di provare che il figlio nato dopo i 300 giorni dalla dissoluzione formale del vincolo coniugale, sia stato comunque concepito in costanza di matrimonio, espressione del favor veritatis. L'ultimo comma, introdotto dal d.lgs. n. 154/13, consente anche al figlio nato dopo i 300 giorni dalla cessazione del matrimonio di promuovere un'azione volta a dimostrare che è stato concepito durante il matrimonio. Funzione, effetti ed ambito di applicazione della norma dopo le modifiche apportate dal d.lgs. n. 154/2013La formulazione codicistica originaria dell'articolo in esame è stata oggetto di modifica ad opera della legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, al fine di eliminare l'incertezza circa la situazione del figlio nato dopo i trecento giorni dallo scioglimento o annullamento del matrimonio e circa l'analogia apparente tra detta situazione e quella di cui all'art. 233 c.c. L'originaria formulazione dell'art. 234 infatti, ricalcando nella sostanza l'art. 169 c.c. del 1865, attribuiva lo status di legittimità, salvo contestazione, al figlio nato trascorsi trecento giorni dallo scioglimento o dall'annullamento del vincolo coniugale (Biscontini, 47; Cicu, 1969, p. 33; De Cupis, 17); si discuteva, conseguentemente dibattito sull'originaria legittimità o illegittimità del figlio e, finanche, e si evidenziava che, in difetto di uno dei presupposti di legittimità, quest'ultima fosse addirittura «apparente» (Sesta, 17; Biscontini, 46; Cicu, 46; Cicu, 379; Menconi, 874 ss.; Delitala, 66; Deiana, 567). La novella del '75 ha pertanto novellato il 2° co., allineandolo al disposto dell'art. 232, 2° comma c.c., ammettendo la prova del concepimento durante la convivenza realizzata nel tempo in cui la presunzione legale non opera. In base alla formulazione attuale della norma, l'art. 234, 1° co., c.c, consente di «recuperare alla legittimità», il figlio nato nelle condizioni previste mediante un'azione costitutiva di reclamo (Biscontini, 47; Cattaneo, 70; Mantovani, 250). Essendo preclusa la formazione di un atto di nascita di figlio legittimo, il nato, sino a quando non verrà esperita vittoriosamente l'azione di reclamo della legittimità, verrà a trovarsi nella condizione di figlio naturale riconosciuto da chi se ne assuma la maternità (Cattaneo, 39; Tamburrino, 32 ss.). Ciascuno dei coniugi, o i loro eredi ed il figlio stesso (quest'ultimo ex art. 234, ult. co.) potranno provare, in omaggio al principio del favor veritatis di cui la disposizione è espressione, una gestazione di durata eccezionale, addirittura superiore ai trecento giorni consentendo così l'operatività della presunzione di cui all'art. 231 c.c. e l'attribuzione al figlio dello stato di figlio legittimo, con efficacia retroattiva. Si afferma, altresì, che la norma è applicabile, oltre alla durata eccezionale del parte, anche nelle ipotesi di convivenza dei coniugi dopo il divorzio, durante la quale avvenga il concepimento (Tamburrino, op. cit. p. 33). Nella formulazione previgente, la mancata attribuzione immediata dello stato di legittimo al figlio considerato nell'art. 234 c.c. segnava quindi la profonda differenza tra la condizione di questi e la condizione del figlio nato prima che siano decorsi centottanta giorni dal matrimonio (art. 233 c.c.), per quanto anche quest'ultimo fosse stato concepito fuori dalla presunta durata, massima e minima, della gestazione, che circoscrive la presunzione di concepimento in costanza di matrimonio (in tal senso De Cupis, op. cit. p. 21). La prova che l'art. 234 consente di fornire riguarda il concepimento in costanza di matrimonio o durante la convivenza. Il titolo dello stato, in questo caso, si forma irregolarmente in quanto viene meno la presunzione di concepimento in matrimonio: a giudizio di alcuni dovrà promuoversi un giudizio di rettificazione; a giudizio di altri, (Cicu, 99) occorrerà invece agire in contestazione ovvero in rettificazione (Cattaneo, op. cit. p. 21). Il terzo comma è stato introdotto dall'art. 10 del d.lgs. n. 154/13; l'attuale formulazione discende dalla unificazione dello stato di figlio con conseguente eliminazione dell'azione di reclamo della legittimità. Per lo stesso motivo, ossia per l'unificazione dello stato di figlio concepito durante il matrimonio ed al di fuori del matrimonio, è stato soppresso l'art. 233 c.c. la cui formulazione è divenuta prima di giustificazione. Pertanto, i rilievi critici formulati dalla dottrina coeva alla previgente formulazione, in ordine ai rapporti tra l'art. 234 e 233 c.c. non sono più attuali a cagione della soppressione di quest'ultima disposizione. Si afferma in dottrina che il figlio nato dopo i 300 giorni dalla cessazione del vincolo coniugale potrà agire giudizialmente non per reclamare lo stato di figlio legittimo ma per provare di essere stato concepito durante il matrimonio (Figone, 17). L'art. 234 comma 2 c.c. consente ai coniugi di riconoscere il figlio nato dopo 300 giorni dalla separazione o dal divorzio. Laddove la moglie dichiari che il figlio, nato in tali condizioni, sia stato concepito dal marito da cui si separi poco dopo, può rimediare con il procedimento di rettificazione di stato. In sentenza n. 7530/86, infatti, la Cassazione ha precisato che il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile, disciplinato dal titolo IX del R.d. 9 luglio 1939 n. 1238, può essere promosso per l'eliminazione di ogni ipotesi di difformità fra la realtà effettiva, alla stregua della normativa vigente, e quella riprodotta negli atti stessi, indipendentemente dalla ragione di tale difformità e dal soggetto che l'abbia causata. Pertanto, ove la nascita di un figlio venga dichiarata dalla madre in qualità di «coniugata», con la conseguente attribuzione del cognome del marito, il suddetto procedimento, qualora la denunciante sia in effetti «divorziata», e non operi nei confronti del figlio la presunzione di concepimento durante il matrimonio secondo le disposizioni dell'art. 232 c.c., può essere attivato non soltanto per la correzione nell'atto di nascita dello «status» della dichiarante, ma anche per l'emenda dell'errore consistente nella assegnazione al neonato del cognome dell'ex coniuge. Nel caso in cui sia il marito a non voler riconoscere il figlio nato dopo i 300 giorni dalla separazione o dal divorzio, contestando la sua paternità biologica, per non aver avuto più rapporti sessuali con la ex coniuge, non può esercitare l'azione di contestazione di legittimità di cui all'art. 248 c.c., che configura una disposizione residuale, diretta a contestare lo «status» di figlio legittimo indipendentemente dalla paternità del marito e, quindi, non escludendo necessariamente che possa trattarsi di figlio naturale, ancorché illegittimo, di questi, ma esclusivamente l'azione di disconoscimento di paternità di cui all'art. 235 c.c. (ora art. 243-bis c.c. La pronuncia risale al periodo antecedente alla riforma del 2013) con gli adeguati adattamenti sull'onere della prova. Infatti, in tal caso a differenza dell'ipotesi di concepimento durante il matrimonio (in cui non è consentito al marito superare la presunzione di paternità, su di lui ricadente a norma dell'art. 231 c.c., se non nei casi tassativamente elencati dall'art. 235) non operando detta presunzione, a norma del secondo comma dell'art. 232 c.c., si ha un ristabilimento delle normali regole sulla ripartizione dell'onere della prova, sicché al marito spetta di provare soltanto lo stato di separazione legale, mentre incombe alla moglie dimostrare la paternità del marito come se agisse al di fuori del matrimonio e, quindi, ai sensi dell'art. 269 c.c., con ogni mezzo, con insufficienza, però, della «sola dichiarazione della madre» e della «sola esistenza di rapporti» (Cass. n. 2098/92); in particolare, la madre dovrà fornire la prova della paternità mediante la dimostrazione di coabitazione o comunque di rapporti con il marito nel periodo corrispondente al concepimento, conseguendone che la totale carenza di tale prova giustifica di per sé l'accoglimento di detta domanda di disconoscimento di paternità (Cass. n. 3541/85). Tale principio deriva dalla constatazione che la nascita del figlio dopo i trecento giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero ancora dall'autorizzazione data ai coniugi di vivere separati nel giudizio di separazione personale, quando oltre i termini in cui opera la presunzione di paternità ex art. 232 c.c., il figlio medesimo deve considerarsi illegittimo, con la conseguenza che, ai fini dell'onere della prova, nell'azione di disconoscimento della paternità, non spetta al marito provare (oltre la separazione) la mancanza assoluta di rapporti intimi, ma alla moglie, che si oppone al disconoscimento, dimostrare che vi è stata riunione temporanea, con possibilità di incontri intimi (Cass. n. 2603/86 ove si conferma che l'ambito di applicazione della norma si estende anche ai concepimenti a seguito di rapporti sessuali tra gli ex coniugi dopo lo scioglimento formale del vincolo, oltre che per la durata eccezionale del rapporto). Un'altra tematica interessante ed innovativa attiene all'ammissibilità del diritto per la madre di attribuire il cognome e la paternità al marito del figlio nato 300 giorni dopo il decesso del padre mediante la tecnica di fecondazione assistita post mortem con utilizzo del seme del marito impiantato nell'utero della moglie. Detta ammissibilità venne postulata inizialmente in una risalente pronuncia di merito (Trib. Palermo, ord. del 08 gennaio 1999) ed il principio di diritto ha successivamente trovato conferma nella giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 13000/2019) ove si precisa che l'art. 8 della l. n. 40/2004, recante lo status giuridico del nato a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, è riferibile anche all'ipotesi di fecondazione omologa "post mortem" avvenuta mediante utilizzo del seme crioconservato di colui che, dopo aver prestato, congiuntamente alla moglie o alla convivente, il consenso all'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ai sensi dell'art. 6 della medesima legge e senza che ne risulti la sua successiva revoca, sia poi deceduto prima della formazione dell'embrione avendo altresì autorizzato, per dopo la propria morte, la moglie o la convivente all'utilizzo suddetto. Ciò pure quando la nascita avvenga oltre i trecento giorni dalla morte del padre. BibliografiaBiscontini, La filiazione legittima, in Trattato Bonilini-Cattaneo, III, Torino, 1997, 45 ss.; Cattaneo, Della filiazione legittima, sub artt. 231-249, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 70 ss.; Cicu, La filiazione, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, II ed., vol. III, tomo II, Torino, 1969, p. 99 ss.; Cicu, Sulla legittimazione del figlio nato entro i centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio, in Scritti Minori, I, 1, Milano, 1965, 379 ss.; De Cupis, Art. 233, in Comm. Gian, Oppo, Trabucchi, IV, Padova, 1992, 13 ss.; De Cupis, Della filiazione legittima, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da Cian-Oppo-Trabucchi, IV, Padova, 1992, 42 ss.; Deiana, Filiazione legittima, in Comm. Carrara, Oppo, Trabucchi, I, 2, Padova, 1977, 567; Delitala, La filiazione legittima e i suoi profili attuali, Milano, 1979; Falletti, Il riconoscimento del figlio naturale dopo la riforma, Rimini, 2013; Ferrando, Filiazione legittima e naturale, in Digesto civ., VIII, Torino, 1992, 306 ss.; Mantovani, La Filiazione, in Tratt. dir. fam. a cura di Zatti, II, Milano, 2002; Menconi, Ancora sullo stato del figlio nato entro i centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1952, 874 ss.; Palazzo, La filiazione, in Tratt. dir. civ. diretto da Cicu-Messineo-Mengoni- Schlesinger, II ed., Milano, 2013, 261 ss.; Palazzo, La riforma dello status di filiazione, in Riv. dir. civ., 2013, I, 245 ss.; Sesta, La filiazione, in Trattato Besone, Il diritto di famiglia, IV, 3, Torino, 1999, 1 ss.; Tamburrino, La Filiazione, in Giurispr. sist. di diritto civile e comm., a cura di Bigiavi, Torino, 1984, 32 ss. |