Codice Civile art. 247 - Legittimazione passiva (1) (2).

Francesco Bartolini

Legittimazione passiva (1) (2).

[I]. Il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari nel giudizio di disconoscimento [102 c.p.c.].

[II]. Se una delle parti è minore o interdetta, l'azione è proposta in contraddittorio con un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso [78 2 c.p.c.].

[III]. Se una delle parti è un minore emancipato o un maggiore inabilitato [390, 424], l'azione è proposta contro la stessa assistita da un curatore parimenti nominato dal giudice [78 2 c.p.c.].

[IV]. Se il presunto padre o la madre o il figlio sono morti l'azione si propone nei confronti delle persone indicate nell'articolo precedente o, in loro mancanza, nei confronti di un curatore parimenti nominato dal giudice.

(1)L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la «Sezione III: " «Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo di legittimità» con: «Capo III. "Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio"»

(2) Articolo così sostituito dall'art. 98 l. 19 maggio 1975, n. 151.

Inquadramento

Le norme del codice civile indicatrici della legittimazione passiva all'azione di disconoscimento non sono state mutate dalla riforma attuata con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. I nuovi principi introdotti dal provvedimento non rendevano necessario mutare un regime giuridico che vedeva e vede tuttora nel presunto padre, nella madre e nel figlio i protagonisti necessari della vicenda oggetto dell'azione di disconoscimento. Tra costoro l'art. 247 dispone un litisconsorzio processuale che è espressamente definito necessario. La relativa disciplina segue le regole che sono proprie di tale tipologia di contraddittorio, in genere, nei vari gradi del giudizio. Pertanto, e ad esempio, a radicare validamente il procedimento è utile anche la sola rituale citazione di una delle parti necessarie, imponendosi poi soltanto l'obbligo per il giudice di ordinare l'integrazione del contraddittorio con la citazione degli altri litisconsorti pretermessi (Sesta, 1001). Inoltre, e sempre per proseguire negli esempi, il litisconsorzio tra i predetti soggetti determina l'inscindibilità della causa nei giudizi di impugnazione.

Si desume dal disposto dell'art. 70 c.p.c. che nel giudizio deve intervenire anche il pubblico  ministero, a pena di nullità, posto che l'azione di disconoscimento riguarda lo stato delle persone. Ai fini di questo intervento la giurisprudenza ritiene sufficiente che esso sia reso possibile attraverso la comunicazione degli atti della causa (art. 71), indipendentemente dalla partecipazione effettiva al giudizio. È, per contro, estraneo alla legittimazione passiva il padre naturale e, defunto costui, lo sono i suoi figli (Cattaneo, 205; Sesta, op. cit., 219). La dottrina sottolinea che questa esclusione è giustificata dalla differenza che esiste tra il disconoscimento di paternità e l'eventuale giudizio diretto ad affermare la paternità del padre naturale. Infatti, il disconoscimento si limita ad accertare la non paternità del marito della madre e lascia del tutto impregiudicata la posizione del soggetto che si sostiene abbia commesso adulterio con la madre del disconoscendo.

Colui che ha ottenuto il disconoscimento, con riferimento ad un determinato soggetto, può agire per  ottenere il riconoscimento della paternità con riguardo ad altra persona (ad esempio, di figlio di colui che ha commesso adulterio con la madre). Nel relativo giudizio la sentenza di disconoscimento passata in giudicato impedisce che la dichiarazione in essa contenuta sia contestata, da chiunque, ma non fa prova piena a favore del riconoscimento. Essa è da valutare nel contesto di tutte le altre risultanze e il convenuto può proporre eccezioni anche di merito, essendo rimasto estraneo alla causa di disconoscimento (Sesta, op. cit., 220).

La persona totalmente incapace è rappresentata in giudizio da un curatore speciale nominato dal giudice. In proposito la normativa prevede quali cause di incapacità la minore età e l'interdizione, dunque, situazioni conclamate da un riscontro anagrafico o da un accertamento giudiziale. Anche in questa fattispecie l'interdizione deve intendersi dichiarata a causa dell'infermità di mente, posto che l'interdetto legale (come l'inabilitato) conserva la sua capacità a tutelare i propri diritti personalissimi.

Nel caso di morte del presunto padre, della madre o del figlio, l'azione di disconoscimento è esercitata nei confronti dei soggetti indicati nell'art. 246 o, in loro mancanza, di un curatore speciale nominato dal giudice. Quei soggetti sono coloro a cui favore si trasmette l'azione, con la relativa legittimazione attiva, nel caso di morte del titolare dell'azione prima di aver potuto esercitare l'azione e per la cui proposizione non è scaduto il termine di decadenza. Essi, in particolare, sono gli ascendenti, i discendenti e, nel caso di morte del figlio, il coniuge e i discendenti. Anche nei confronti di costoro sussiste il litisconsorzio necessario (Cattaneo, op. cit., 208).

La nomina di un curatore speciale deve avvenire prima che il giudizio venga promosso, come si desume chiaramente dal disposto del comma secondo dell'art. 247 in commento. In vece e luogo del tutore e del curatore agisce, per il soggetto minorenne o inabilitato, il curatore speciale, appositamente nominato. L'esclusione del tutore e del curatore è motivata dall'esigenza di evitare possibili collusioni o conflitti di interesse con il minore e di affidare al giudice, di volta in volta, un penetrante controllo in proposito.

La competenza a conoscere dell'azione spetta al tribunale ordinario, come si desume dall'art. 38 disp. att. al c.c., che non comprende la fattispecie oggetto dell'art. 247 tra le materie attribuite alla cognizione del tribunale per i minorenni.

Tale tribunale diverrà il tribunale per lo stato delle persone, della famiglia e dei minori quando tale ufficio sarà istituito in osservanza del d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile. Le norme del nuovo rito unificato in tali materie, introdotte dal detto provvedimento (artt. 473-bis e seguenti c.p.c.), si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023, data della sua entrata in vigore; ai procedimenti pendenti in tale momento continuano ad applicarsi le norme ante vigenti. Il procedimento unificato si instaura con ricorso. La competenza appartiene al tribunale territorialmente individuato secondo le regole del giudizio ordinario di cognizione (art. 473-bis.11). Se devono essere adottati provvedimenti riguardanti minori, è competente il tribunale del luogo di ultima residenza del minore; se vi è stato trasferimento non autorizzato, entro l'anno dal trasferimento la competenza spetta al tribunale dell'ultima residenza abituale del minore.  Ricevuto il ricorso, il presidente del tribunale nomina con decreto il giudice relatore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questi. Prima dell'udienza il convenuto deve costituirsi, a pena di decadenze da facoltà difensive. L'attore può controbattere con una memoria scritta alla comparsa del convenuto; il convenuto, a sua volta, può rispondere con memoria scritta che l'attore ha ancora facoltà di  contestare, prima dell'udienza. Quando la causa è matura per la decisione il giudice relatore (o istruttore se vi è stata assunzione di mezzi probatori) fissa l'udienza nella quale rimetterà le parti alla decisione del collegio e assegna ad esse tre termini successivi entro i quali esse devono: depositare le conclusioni; depositare la comparsa conclusionale; depositare le memorie di replica (art. 473-bis.28). All'udienza il giudice si riserva di riferire al collegio. La decisione è pronunciata con sentenza depositata entro 60 giorni dalla rimessione. La sentenza è impugnabile con appello.

Non hanno legittimazione a partecipare al processo, come convenuti o come intervenienti, i presunti e possibili fratelli naturali e neppure il padre biologico (Cass. n. 4035/1995; Cass. n. 5704/1980). In particolare, Cass. n. I, 487/2014, ha escluso la legittimazione a contraddire dei futuri fratelli naturali anche nel caso in cui l'azione di disconoscimento preludeva ad una successiva azione di dichiarazione giudiziale della vera paternità, con creazione di legame di parentela con i detti fratelli naturali. A sua volta, Cass. n. 430/2012, nel confermare il difetto di legittimazione del padre naturale e dei suoi eredi, ha affermato che la sentenza di accoglimento della domanda di disconoscimento è opponibile nei loro confronti, essendo inerente a uno status della persona, anche se non hanno preso parte al giudizio. La sentenza che accoglie la domanda di disconoscimento della paternità, si è affermato, assume autorità di cosa giudicata erga omnes; pertanto, nella controversia che il figlio, dopo aver ottenuto il disconoscimento della paternità del marito della madre, promuova per sentir dichiarare giudizialmente la paternità di un terzo, deve escludersi che quest'ultimo possa contrastare la domanda deducendo e chiedendo di provare che la qualità di padre spetta al predetto marito della madre (Cass. n. 194/1985).

Quando deve agire il curatore speciale, egli non abbisogna di una autorizzazione del giudice all'azione, posto che una forma di autorizzazione va ravvisata nella stessa nomina all'incarico affidatogli (Cass. n. 5727/1977).

Diritto intertemporale

L'art. 35 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, dispone che le  nuove norme si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023; le nuove norme sulle impugnazioni con appello si applicano ai gravami proposti successivamente alla stessa data. Ai procedimenti pendenti a tale data continuano ad applicarsi le norme  in quel momento vigenti.  

Bibliografia

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