Codice Civile art. 245 - Sospensione del termine (1) (2).

Francesco Bartolini

Sospensione del termine (1) (2).

[I]. Se la parte interessata a promuovere l'azione di disconoscimento di paternità si trova in stato di interdizione per infermità di mente ovvero versa in condizioni di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, la decorrenza del termine indicato nell'articolo 244 è sospesa nei suoi confronti, sino a che duri lo stato di interdizione o durino le condizioni di abituale grave infermità di mente.

[II]. Quando il figlio si trova in stato di interdizione ovvero versa in condizioni di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, l'azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del pubblico ministero, del tutore, o dell'altro genitore. Per gli altri legittimati l'azione può essere proposta dal tutore o, in mancanza di questo, da un curatore speciale, previa autorizzazione del giudice

(1)L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la «Sezione III: " «Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo di legittimità» con: «Capo III. "Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio"»

(2) Articolo così sostituito dall'art. 19, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Il testo recitava: «Se la parte interessata a promuovere l'azione di disconoscimento della paternità si trova in stato di interdizione per infermità di mente, la decorrenza del termine indicato nell'articolo precedente è sospesa, nei suoi confronti, sino a che dura lo stato di interdizione. L'azione può tuttavia essere promossa dal tutore». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. La Corte costituzionale, con sentenza 25 novembre 2011, n. 322, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo, nella parte in cui non prevedeva «che la decorrenza del termine indicato nell'art. 244 c.c. è sospesa anche nei confronti del soggetto che, sebbene non interdetto, versi in condizione di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, sino a che duri tale stato di incapacità naturale. L'articolo era già stato sostituito dall'art. 96 l. 19 maggio 1975, n. 151.

Inquadramento

L'art. 245 si limitava, nel testo precedente alla sua sostituzione operata dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a prevedere la sospensione ex lege del termine stabilito dall'art. 244 per l'esercizio dell'azione di disconoscimento nel caso in cui il soggetto interessato a proporla fosse in stato di interdizione per infermità di mente. Questa disposizione è stata sostanzialmente conservata, con una aggiunta di rilievo. La sospensione si verifica anche nel caso in cui il soggetto legittimato si trovi in condizioni di abituale grave infermità di mente, tale da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi.

Questa aggiunta costituisce l'adeguamento alla pronuncia della Corte costituzionale (sent. n. 322 del 25 novembre 2011, che aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 245 nella parte in cui non dava rilievo all'incapacità naturale di intensità tale da privare il soggetto legittimato a proporre l'azione di disconoscimento della capacità di provvedere ai suoi interessi. Inoltre, il testo vigente della disposizione citata, a differenza di quanto era previsto in precedenza, distingue:

- come regola generale, per la parte interessata che si trovi nelle dette condizioni di interdizione o di abituale grave infermità di mente, la sospensione opera per tutto il tempo per il quale ha durata lo stato di interdizione o di grave infermità;

- nel caso in cui la parte interessata sia il figlio, ugualmente la sospensione si protrae per quanto perdurano l'interdizione o la condizione di incapacità ma l'azione di disconoscimento può essere promossa da un curatore speciale nominato dal giudice; nel caso in cui siano interdetti o incapaci gli altri legittimati, l'azione può essere proposta dal tutore o, in mancanza di questo, da un curatore speciale, dietro autorizzazione del giudice; in entrambe le situazioni, dunque, può prescindersi dalla sospensione del termine.

La legittimazione attribuita al curatore speciale e al tutore trova ragione nell'avvertita esigenza di non lasciare nell'incertezza situazioni giuridiche suscettibili di contestazione e di controversia per tutta la durata di condizioni di infermità di imprevedibile evoluzione e, in genere, di difficile reversibilità. Va notato che nel caso dell'azione nell'interesse del figlio, interdetto o comunque incapace, la legittimazione non è attribuita al tutore ma ad un curatore speciale. Si è inteso evitare il rischio di affidare l'esercizio dell'azione ad una persona più direttamente coinvolta nelle vicende dell'incapace e che può trovarsi in conflitto di interessi con costui (ad esempio, se il tutore è il marito della madre). La necessaria autorizzazione del giudice è finalizzata a prevenire situazioni di incompatibilità.

Le cause di sospensione sono tassative e non consentono di essere estese ad altre fattispecie in via di interpretazione. Ai fini dell'applicazione dell'art. 245 ha rilievo lo stato di interdizione per infermità di mente: non anche l'interdizione legale e neppure l'inabilitazione (Sesta, 2015, 996).

Entrambe queste situazioni giuridiche riguardano la capacità a gestire rapporti patrimoniali, e sia l'interdetto legale che l'inabilitato conservano, invece, la capacità a tutelare direttamente i loro diritti personalissimi. Sul punto la Corte di cassazione (Cass. n. 2348/1992) aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 245 che non prevedeva come causa di sospensione anche l'inabilità della parte dovuta ad infermità di mente. La pronuncia aveva tratto argomento dall'affermata esistenza di una fondamentale differenza tra interdizione e inabilitazione, che non avrebbe consentito una equiparazione di effetti.

D

Per la dottrina la sospensione del termine si applica anche a favore di coloro che acquistano legittimazione all'azione di disconoscimento per effetto della trasmissione dell'azione, ai sensi dell'art. 246.

L'art. 245 ha conservato il richiamo riferito al termine di cui all'art. 244, come era previsto anteriormente alla ricordata sua sostituzione. Sennonché, attualmente la norma richiamata indica plurimi termini, di natura diversa, e di essi stabilisce altresì durate diverse, senza che il legislatore abbia introdotto alcun elemento che consenta di chiarire l'esatta portata del detto richiamo. E tuttavia deve osservarsi che l'azione del figlio è imprescrittibile, sì che per questo aspetto la questione dell'ambito applicativo della norma non si pone. Il termine semestrale dell'azione della madre resta un termine di decadenza, pur dopo che esso è stato dimezzato dal ricordato d.lgs. 154/2013. Tale riduzione non può avere inciso sulla riferibilità ad esso della sospensione ex art. 245, la quale, pertanto, resta tuttora applicabile.

A diversa conclusione deve pervenirsi quanto al termine quinquennale stabilito per l'azione della madre e per talune ipotesi dell'azione del padre dai commi primo e secondo dell'art. 244. Per la dottrina, questo termine non ha natura decadenziale ma condiziona la proponibilità della domanda.

Il legislatore, introducendo tale termine, ha inteso garantire l‘interesse del figlio al mantenimento del suo status, considerato prevalente rispetto a quello personale degli altri legittimati ed a quello, più generale, della verità storica dei fatti. Trascorso pertanto un determinato periodo di tempo, la situazione del figlio deve consolidarsi e rimanere stabilizzata. In questo senso la dottrina accenna ad un termine «tombale» per ogni contestazione dello stato del figlio (Sesta, 2015, 997). Per questo aspetto la sospensione in argomento risulta non applicabile. Una parte della dottrina rileva, però, che la mancata sospensione del termine di improponibilità si pone in contrasto con l'esigenza di tutelare la sfera individuale del singolo, come interesse preminente da assicurare in ogni occasione.

La sospensione ha inizio con la pubblicazione della sentenza dichiarativa dell'interdizione e cessa con la morte dell'interdetto o con la revoca dell'interdizione. Nel caso di incapacità naturale, questa (che non richiede attestazioni formali) deve costituire l'oggetto di un accertamento in fatto ad opera del giudice, cui spetta di valutare, in particolare, le caratteristiche di abitualità e di gravità dell'infermità di mente.

Diritto intertemporale

L'art. 35 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, dispone che le  nuove norme si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023; le norme sulle impugnazioni con appello si applicano ai gravami proposti successivamente alla stessa data. Ai procedimenti pendenti a tale data continuano ad applicarsi le norme  in quel momento vigenti.  

Bibliografia

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