Codice Civile art. 240 - Contestazione dello stato di figlio (1) (2).

Francesco Bartolini

Contestazione dello stato di figlio (1) (2).

[I]. Lo stato di figlio può essere contestato nei casi di cui al primo e secondo comma dell'articolo 239.

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la «Sezione II: "Delle prove della filiazione legittima"» con il «Capo II: "Delle prove della filiazione"».

(2) Articolo sostituito dall'art. 15, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Il testo precedente recitava: «Mancanza dell'atto di matrimonio. [I]. La legittimità del figlio di due persone, che hanno pubblicamente vissuto come marito e moglie e sono morte ambedue, non può essere contestata per il solo motivo che manchi la prova della celebrazione del matrimonio, qualora la stessa legittimità sia provata da un possesso di stato che non sia in opposizione con l'atto di nascita». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

L'art. 238, secondo comma, disponeva nel testo originario che nessuno poteva contestare la legittimità di colui il quale ha un possesso di stato conforme all'atto di nascita. L'art. 239 forniva l'eccezione alla regola stabilita: la contestazione poteva proporsi, e provarsi anche con testimoni, nel caso di supposizione di parto o di sostituzione di neonato, secondo le regole stabilite per l'azione di reclamo. L'azione aveva come presupposti, in capo al figlio, un titolo di stato di filiazione legittima oppure un possesso di stato corrispondenti ad uno stato non conforme alla verità biologica. La contestazione non era legata a precisi presupposti di fatto, nella normativa; e pertanto poteva essere proposta per contrastare l'esistenza o la validità del vincolo matrimoniale, o l'effettività del parto della donna indicata come madre nell'atto di nascita o la corrispondenza identitaria tra quella del nato e quella risultante dall'atto di nascita.

La riforma attuata con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha agito su più fronti. Essa ha soppresso il citato secondo comma dell'art. 238 ed ha soppresso, dunque, la regola che in esso era contenuta. Ha modificato, contestualmente, il successivo art. 240, nel quale ha inserito il rinvio, indicativo delle fattispecie che consentono in via di eccezione l'azione di contestazione, ai commi primo e secondo dell'art. 239. Inoltre, ha espunto dall'art. 248 (che indicava e tuttora indica la legittimazione all'azione di contestazione) la menzione della condizione di legittimità del figlio, che di tale azione costituiva il presupposto.

In ordine alla prima delle cennate modifiche va osservato che i casi in cui è ammessa l'azione di contestazione sono rimasti sostanzialmente gli stessi di cui alla normativa precedente: la supposizione di parto o la sostituzione di neonato. Infatti, il richiamo operato dall'art. 240 al primo e al secondo comma dell'art. 239 non può essere inteso nel senso letterale che emerge dal testo. La disposizione contenuta nel secondo comma, infatti, non è riferibile ad alcun possesso di stato, posto che essa è riferita alla situazione in cui si trova il figlio che è stato dichiarato figlio di ignoti. Ne segue che, al riguardo, il richiamo effettuato dall'art. 240 va considerato ultroneo ed errato (Sesta, 979) . Unica ipotesi di contestazione rimane quella di cui al primo comma dell'art. 239, della quale si è riferito nel commento a tale disposizione.

Sul secondo punto deve prendersi atto del diverso ambito applicativo dell'azione, conseguente all'eliminazione dei riferimenti alla condizione di legittimità del figlio. L'azione di contestazione ne risulta non più circoscritta alle situazioni relative al figlio nato nel matrimonio. Proprio per questa diversa situazione, la dottrina (Celentano, Lume, Sica, 108) rileva che deve ammettersi l'azione di contestazione anche nel caso in cui si intenda contrastare lo stato di figlio riconosciuto da genitori non coniugati, quando il riconoscimento è stato effettuato nei riguardi di un figlio non partorito dalla donna indicata come madre. Solo in questo modo, si osserva, si consente a chiunque vi abbia interesse di promuovere l'azione di contestazione oltre i limiti temporali di cui all'art. 263 c.c.: si avrebbe, altrimenti, una ingiustificabile diversità di situazioni tra la filiazione matrimoniale (contestabile senza limiti di tempo) e la filiazione del nato fuori dal matrimonio (che resterebbe contestabile solo nel termine di cinque anni). In senso contrario si era espresso Bianca (Dir. civ., II, 2014, 382), in base alla considerazione per cui nel giudizio di contestazione debbono essere chiamati entrambi i genitori. Deve darsi, a nostro parere, prevalenza allo spirito della riforma del 2013, che ha inteso parificare nello status tutti i figli, indipendentemente dalla loro nascita entro o fuori dal matrimonio.

L'azione di contestazione ha conservato il suo scopo di rimozione dello stato di figlio di chi risulta dall'atto di nascita come figlio di determinati genitori che, in realtà, non sono i suoi veri genitori.

La giurisprudenza, vigente il testo originario dell'art. 240, aveva escluso che esso si applicasse nel caso in cui i genitori della cui legittimità doveva discutersi erano risultati uniti da un matrimonio puramente religioso (Cass. I, 1749/1974). Si è chiarito che non può essere contestata la paternità con l'esercizio dell'azione di cui agli artt. 240 e 248, in quanto tale azione non è concorrente con quella di disconoscimento di paternità né può ad essa derogare. Per rimuovere la presunzione di concepimento durante il matrimonio l'interessato deve avvalersi dell'azione di disconoscimento della paternità; e ciò anche se questi è il figlio nato decorsi trecento giorni dall'omologazione della separazione coniugale o dalla pronuncia della separazione giudiziale (Cass., I, 547/1996; conforme Cass. I, 9463/1995, in un caso di intervenuta dichiarazione di nullità del matrimonio per impotentia coeundi del marito; conforme Cass. I, 658/1988).

Deve ritenersi tuttora attuale l'orientamento della giurisprudenza per il quale l'azione di contestazione era considerata non concorrente con l'azione di disconoscimento ma da reputarsi come azione in posizione residuale, esperibile soltanto ove non fossero previste e regolate altre azioni di contrasto della legittimità (Cass. n. 3259/2000; Cass. n. 547/1996; Cass. n. 2098/1992).

Con ordinanza 21 febbraio 2018 la Corte Suprema ha riaffermato la caratteristica di residualità dell'azione, quale unica azione disponibile al padre qualora non operi la presunzione di paternità ex art. 232 c.c. ed il figlio sia nato da genitori non uniti in matrimonio senza che ne sia successivamente intervenuto il riconoscimento. Nella specie la pronuncia ha cassato la decisione di merito che erroneamente aveva qualificato come disconoscimento di paternità l'azione con la quale colui che all'anagrafe figurava essere il padre di un minore, nato dopo anni dalla pronuncia della sua separazione dalla madre e non riconosciuto, contestava la veridicità delle risultanze anagrafiche.

Legittimazione ed esercizio dell'azione (rinvio)

Si veda il commento all'art. 248. Qui ricordiamo che, se nell'atto di nascita di un figlio viene indicato come padre il marito della stessa, l'unica azione a disposizione del padre, che intende far accertare l'inesistenza di un legame genetico, è la contestazione dello stato di figlio (Cass. I, n. 4194/2018). La fattispecie decisa riguardava un caso in cui non poteva applicarsi la presunzione di paternità ex art. 232 c.c. (coniugi separati da tre anni) ed era stato impropriamente attribuito lo status di figlio nato durante il matrimonio: si è affermato che il marito separato poteva esercitare l'azione residuale e imprescrittibile di contestazione dello stato di figlio, e non quella di disconoscimento di paternità che presuppone l'operatività della detta presunzione.

Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, ha introdotto il rito unificato per le controversie in materia di stato delle persone, di famiglia e di minori, disciplinato dagli artt. 473-bis e seguenti c.p.c. Il procedimento si instaura con ricorso. La competenza appartiene al tribunale territorialmente individuato secondo le regole del giudizio ordinario di cognizione (art. 473-bis.11). Se devono essere adottati provvedimenti riguardanti minori, è competente il tribunale del luogo di ultima residenza del minore; se vi è stato trasferimento non autorizzato, entro l'anno dal trasferimento la competenza spetta al tribunale dell'ultima residenza abituale del minore.   Ricevuto il ricorso, il presidente del tribunale nomina con decreto il giudice relatore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questi. Prima dell'udienza il convenuto deve costituirsi, a pena di decadenze da facoltà difensive. L'attore può controbattere con una memoria scritta alla comparsa del convenuto; il convenuto, a sua volta, può rispondere con memoria scritta che l'attore ha ancora facoltà di   contestare, prima dell'udienza. Quando la causa è matura per la decisione il giudice relatore (o istruttore se vi è stata assunzione di mezzi probatori) fissa l'udienza nella quale rimetterà le parti alla decisione del collegio e assegna ad esse tre termini successivi entro i quali esse devono: depositare le conclusioni; depositare la comparsa conclusionale; depositare le memorie di replica (art. 473-bis.28). All'udienza il giudice si riserva di riferire al collegio. La decisione è pronunciata con sentenza depositata entro 60 giorni dalla rimessione. La sentenza è impugnabile con appello.

Effetti del giudicato

L'azione di contestazione è imprescrittibile. La sentenza, che accerta l'inesistenza dello stato di figlio, ha efficacia erga omnes, in quanto contiene una pronuncia sullo stato delle persone. Essa deve essere annotata in calce all'atto di nascita e comporta la perdita del nome di chi in esso risultava come genitore.

Alla sentenza di rigetto la dottrina attribuisce effetti preclusivi di una nuova azione, salvo i rimedi straordinari della revocazione e dell'opposizione di terzo per dolo o collusione (Sesta, 1004).

Diritto intertemporale

L'art. 104 del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. dispone che, fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della l. 10 dicembre 2012, n. 219, le disposizioni del codice civile da esso modificate si applicano alle azioni di contestazione dello stato di figlio relative ai figli nati prima della sua entrata in vigore.

La medesima norma dispone anche che restano validi e non possono essere modificati gli atti dello stato civile formati nella vigenza della disciplina antecedente, salvo per le modifiche richieste dall'autorità giudiziaria.

Ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 149/2022, di riforma del processo civile, le sue disposizioni processuali si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023; ai procedimenti pendenti in tale momento continuano ad applicarsi le norme ante vigenti.

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