Legge - 4/05/1983 - n. 184 art. 28
1. Il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei modi e termini che essi ritengono più opportuni. 2. Qualunque attestazione di stato civile riferita all'adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l'esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore e dell'annotazione di cui all'articolo 26, comma 4. 3. L'ufficiale di stato civile, l'ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell'autorità giudiziaria. Non è necessaria l'autorizzazione qualora la richiesta provenga dall'ufficiale di stato civile, per verificare se sussistano impedimenti matrimoniali. 4. Le informazioni concernenti l'identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la responsabilita' genitoriale, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l'informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore1. 5. L'adottato, raggiunta l'età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L'istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza. 6. Il tribunale per i minorenni procede all'audizione delle persone di cui ritenga opportuno l'ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l'accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento all'equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l'istruttoria, il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l'accesso alle notizie richieste. 7. L'accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell' articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 2 34. 8. Fatto salvo quanto previsto dai commi precedenti, l'autorizzazione non è richiesta per l'adottato maggiore di età quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili. [1] Comma modificato dall'articolo 100, comma 1, lettera p), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154 a decorrere dal 7 febbraio 2014 come indicato dall' articolo 108, comma 1, del citato decreto. [2] Comma sostituito dall'articolo 177, comma 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196. [3] La Corte Costituzionale, con sentenza 22 novembre 2013, n. 278 (in Gazz.Uff., 27 novembre, n. 48), ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del presente comma, come sostituito dall' articolo 177, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), nella parte in cui non prevede - attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza - la possibilita' per il giudice di interpellare la madre - che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell' articolo 30, comma 1, del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell' articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127 ) - su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione. [4] Articolo sostituito dall'articolo 24, comma 1, della Legge 28 marzo 2001, n. 149. InquadramentoUn aspetto di grande rilievo introdotto dalla l. n. 149/2001 è quello del riconoscimento del diritto da parte dell'adottato ad essere informato del suo status, e, a determinate condizioni, a potere accedere alle informazioni relative alla sua origine e ai suoi genitori biologici. Il diritto alla conoscenza delle originiNé la l. 5 giugno 1967, n. 431, istitutiva della c.d. «adozione speciale», né la l. 4 maggio 1983, n. 184, nella sua originaria formulazione, hanno previsto il diritto dell'adottato di prendere conoscenza delle proprie origini. L'art. 28 l. 4 maggio 1983, n. 184, anzi, stabiliva che qualunque attestazione di stato civile riferita all'adottato dovesse essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l'esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità ed alla maternità del minore. La stessa disposizione soggiungeva poi che «l'Ufficiale di stato civile e l'Ufficiale di anagrafe debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell'autorità giudiziaria». L'art. 73 della stessa legge estendeva il divieto di dare informazioni a tutti i soggetti aventi conoscenza di procedure di adozione per ragioni d'ufficio o di servizio. Mette conto rammentare che l'art. 30, comma 1, d.P.R. 3 novembre 2000, n.396, sancisce che la dichiarazione di nascita deve essere effettuata nel rispetto dell'eventuale volontà della madre di non essere nominata. L'art. 20, commi 2 e 3, della citata Convenzione di Strasburgo il 24 aprile 1967, d'altronde, prevedeva che l'identità dell'adottante potesse non essere rivelata alla famiglia del minore, e che potesse impedirsi alle persone che non avessero un interesse legittimo di venire a conoscenza dell'adozione dell'identità dei genitori naturali. Gli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata in Italia con l. 27 maggio 1991, n. 176, e gli artt. 30 e 31 della Convenzione de L'Aja sulla tutela dei minori e cooperazione in materia di adozione internazionale del 29 maggio 1993 hanno invece riconosciuto al minore adottato il diritto alle informazioni sulle sue origini. Sulla tale scia l'art. 28 della legge sulle adozioni, nel testo oggi vigente, stabilisce che il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei modi e termini che essi ritengono più opportuni (v. sul tema Pane, 240). Resta fermo che qualunque attestazione di stato civile riferita all'adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l'esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore e dell'annotazione di cui all'art. 26, comma 4, concernente la sentenza di adozione. L'ufficiale di stato civile, l'ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio debbono dunque rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell'autorità giudiziaria. Non è necessaria l'autorizzazione qualora la richiesta provenga dall'ufficiale di stato civile, per verificare se sussistano impedimenti matrimoniali. Le informazioni concernenti l'identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la responsabilità genitoriale, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l'informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore. L'adottato, raggiunta l'età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L'istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza. Il tribunale per i minorenni procede all'audizione delle persone di cui ritenga opportuno l'ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l'accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento all'equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l'istruttoria, il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l'accesso alle notizie richieste. L'accesso alle informazioni non è tuttora consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi del cit. art. 30. Il giudice delle leggi ha tuttavia dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 28, comma 7, l. 4 maggio 1983 n. 184, come sostituito dall'art. 177, comma 2, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, nella parte in cui non prevede — attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza — la possibilità per il giudice di interpellare la madre — che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell'art. 30, comma 1, d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 — su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione. La disposizione censurata prefigura una sorta di «cristallizzazione» o di «immobilizzazione» nelle modalità di esercizio della scelta della madre per l'anonimato, che assume connotati di irreversibilità destinati, sostanzialmente, ad «espropriare» la persona titolare del diritto a conoscere le proprie origini ai fini della tutela dei suoi diritti fondamentali da qualsiasi ulteriore opzione, ma, mentre può ritenersi ragionevole che la scelta per l'anonimato legittimamente impedisca l'insorgenza di una «genitorialità giuridica», con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro, non appare invece ragionevole che quella scelta risulti necessariamente e definitivamente preclusiva anche sul versante dei rapporti relativi alla «genitorialità naturale», potendosi quella scelta riguardare, sul piano di quest'ultima, come opzione eventualmente revocabile (in seguito alla iniziativa del figlio), proprio perché corrispondente alle motivazioni per le quali essa è stata compiuta e può essere mantenuta, mentre sarà compito del legislatore introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all'anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della pertinente verifica (Corte cost. n. 278/2013, in Dir. fam. pers., 2014, 13, con nota di Lisella). La S.C. ha quindi affermato che, in tema di parto anonimo, per effetto della sentenza delle Corte cost. n. 278/2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte suddetta, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il più assoluto rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l'anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità (Cass. S.U., n. 1946/2017). Inoltre, la morte della madre, che si era avvalsa della facoltà di non essere nominata nell'atto di nascita del figlio, dato in adozione, senza che abbia potuto essere interpellata ai fini dell'eventuale revoca di tale dichiarazione, conformemente a quanto statuito da Corte cost. 278/13, non osta all'accoglimento della domanda del figlio stesso, che chiede di conoscerne le generalità, fermo che il trattamento di siffatti dati concernenti la sua identità personale deve essere eseguito in modo corretto e lecito, senza cagionare danni, anche non patrimoniali, all'immagine, alla reputazione e ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati quali discendenti e familiari (Cass. n. 22838/2016). È dunque legittima la pretesa del figlio nato da una donna che ha chiesto di non essere nominata al momento del parto di poter accedere ai dati riguardanti le sue origini biologiche contenuti nella cartella clinica redatta alla nascita nel caso di impossibilità di reinterpello della madre riguardo alla persistenza della sua volontà di rimanere anonima, a causa del decesso della stessa (Cass. n. 15024/2016). Peraltro, è stato detto che, qualora il soggetto nato da parto anonimo che desideri conoscere le proprie origini si avvalga dell'istituto dell'interpello ed emerga il dato per cui la madre sia defunta, non sarà possibile procedere alla divulgazione dei dati materni nel caso in cui si accerti che la de cuius aveva avuto altri figli durante la sua vita. Il diritto a conoscere le proprie origini necessita di essere bilanciato con il (qui preminente) diritto alla tutela della vita privata e familiare ex art. 8 CEDU: ne discende, pertanto, che la richiesta di rivelazione dei dati materni al nato da parto anonimo non può essere accolta in quanto non potrebbe che avvenire con modalità atte a ledere l'equilibrio psicoemotivo degli altri figli, verosimilmente all'oscuro dell'esistenza di altri fratelli (Trib. Min. Genova 23 maggio 2019). Va ancora aggiunto che l'adottato ha diritto, nei casi di cui all' art. 28, comma 5, della l. n. 184/1983 , di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti non solo l'identità dei propri genitori biologici, ma anche quelle delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all'accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell'esercizio del diritto (Cass. I, n. 6963/2018). 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