Codice Civile art. 330 - Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli (1) (2).Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli (1) (2). [I]. Il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale (2) quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti [147; 570 c.p.] o abusa dei relativi poteri [320, 324; 571, 572 c.p.] con grave pregiudizio del figlio. [II]. In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare [333; 38, 51 att.] ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore (3). (1) Articolo così sostituito dall'art. 152 l. 19 maggio 1975, n. 151. (2) L'art. 50, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito alla parola «potestà», le parole: «responsabilità genitoriale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. (3) Comma così modificato dall'art. 37 1 l. 28 marzo 2001, n. 149. Il testo originario recitava: «In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare». InquadramentoAl pari della maggior parte delle disposizioni contenute nel titolo IX, anche l'art. 330 c.c. è stato oggetto di un restilying lessicale, intimamente connesso con la riforma della filiazione e con il principio di bigenitorialità, mediante sostituzione del riferimento alla «potestà» con la «responsabilità genitoriale». La norma in commento disciplina l'ipotesi in cui la condotta, posta in essere dal genitore in violazione dei doveri su di lui gravanti, sia gravemente pregiudizievole per il figlio e per la sua serena crescita e prevede che in tal caso possa essere dichiarata la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale. I doveri del genitore, invero, sono previsti e disciplinati da diverse disposizioni, non solo del codice civile, ed in primo luogo dall'art. 30 Cost. che riconosce il diritto-dovere del genitore di mantenere, educare ed istruire i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Tali doveri sono stati quindi ribaditi dagli artt. 147 c.c. e 316-bis c.c., dall'oramai abrogato art. 261 c.c. e, soprattutto, dall'art. 315-bis c.c. che costituisce oggi, lo statuto dei diritti del figlio (Bianca, 331). I doveri del genitore sono vari ed eterogenei, spaziando da quelli di natura strettamente economica a quelli attraverso i quali si consente al minore di esplicare la propria personalità. Attraverso lo statuto dei diritti del figlio (315-bis c.c.) è possibile poi delineare i doveri del genitore in quanto funzionali alla realizzazione dei primi. Il figlio ha diritto ad essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Egli ha altresì il diritto di crescere nella propria famiglia, di mantenere rapporti significativi con i parenti e di essere ascoltato, sia nei procedimenti che lo riguardano sia nell'ambito della famiglia, affinché possa esprimere la propria volontà e possano essere attuate e valorizzate le sue capacità, aspirazioni ed inclinazioni naturali. Una corretta valutazione della condotta del genitore non può in alcun modo prescindere dalla valutazione della centralità dei diritti del minore atteso che il pregiudizio si realizza mediante la loro violazione. È stato condivisibilmente osservato che i comportamenti antidoverosi del genitore possono essere indici più o meno gravi di inadempienze (quali la mancanza di assistenza morale e materiale, la privazione di un ambiente familiare idoneo ed altre) ma è all'interesse esclusivo del minore che deve farsi riferimento e agli effetti negativi che possono portare tali violazioni allo sviluppo psicofisico del fanciullo (Figone-Ravot, 81). Gli inadempimenti dei genitori possono realizzati mediante condotte positive o negative, non esercitando la propria funzione o esercitandola in modo non conforme all'interesse del figlio, di quello specifico del minore in considerazione della sua personalità e delle sue inclinazioni. Pertanto, l'inadempimento può anche concretarsi nel non aver individuato quel che fosse ad esso meglio rispondente nel caso concreto o nell'aver deliberatamente avuto di mira un interesse diverso da quello del figlio (in questo caso abusando dei propri poteri), nell'aver fatto ricorso a mezzi di correzione troppo energici, nel non aver impiegato la dovuta diligenza (Bucciante, 661; sul punto anche Auletta, 374,). L'inadempimento può essere costituito anche dall'aver posto in essere in danno del figlio condotte penalmente rilevanti, come maltrattamenti e lesioni personali volontarie (Trib. min. Catania, 16 maggio 1987, in Dir. fam. pers., 1988, 326; Trib. min. Bologna, 19 settembre 2013, in Fam e dir., 2014, 4, 371). Quanto più grave è la condotta (violativa, trascurante o abusante) posta in essere dal genitore (e conseguentemente quanto più gravi sono gli effetti della stessa sulla serena crescita del minore) tanto più incisiva potrà essere la risposta dell'ordinamento. Qualora infatti la condotta pregiudizievole sia talmente grave ed irreversibile, tanto da costituire espressione di un stato di abbandono del minore ben potrà essere disposta la sua adozione, recidendosi così ogni legame con la famiglia d'origine. Diversamente, per l'ipotesi in cui la condotta, pur grave, fosse suscettibile di essere oggetto di un intervento temporalmente limitato da parte dell'Autorità giudiziaria, il legislatore ha previsto due distinti strumenti a tutela del minore e dei suoi diritti fondamentali: la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale, disciplinata dalla norma in commento, e la pronuncia di provvedimenti convenienti di cui all'art. 333 c.c. La prima può essere pronunciata quando il genitore viola o trascura i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale o abusa dei relativi poteri, determinando un grave pregiudizio per il figlio, mentre i provvedimenti convenienti possono essere pronunciati qualora la condotta posta in essere (da uno o da entrambi i genitori) non sia tale da dar luogo alla pronuncia di decadenza. Deve quindi sussistere un rapporto di causalità tra la condotta del genitore ed il grave pregiudizio determinatosi in danno del figlio. L'attualità del pregiudizio di cui agli artt. 330 e 333 c.c., per taluni, è una condizione necessaria per l'applicazione del rimedio (Ferri, 148), mentre, per altri, sarebbe sufficiente che sia solo potenziale e probabile purché inerente ad un pericolo serio e grave (Bucciante, 661, Pelosi, 404). Nel dettaglio, alcuni autori ritengono che, in assenza di un concreto pregiudizio, all'Autorità giudiziaria sia inibito intervenire, anche in caso di condotta astrattamente contrarie ai principi in materia di esercizio della responsabilità genitoriale (Vercellone, 1043). Peraltro, qualora la violazione dei doveri da parte dei genitori si concreti con intensità e gravità differenti, l'Autorità giudiziaria può, anche nello stesso decreto, pronunciare nei confronti di uno la sola sospensione e dell'altro la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale. Sicché, ove la condotta della madre, sottoposta ad arresti domiciliari per il reato di detenzione in concorso di un consistente quantitativo di sostanza stupefacente, consenta comunque di verificare l'esistenza di un rapporto autentico con le figlie e la possibilità di «un completo recupero della funzione genitoriale», sarebbe possibile dichiarare nei suoi confronti la sola sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale. Mentre potrebbe essere contestualmente dichiarata la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti del padre disinteressa tosi totalmente delle figlie tanto da non rendere ipotizzabile una ripresa adeguata del ruolo genitoriale (in merito Trib. min. Genova, 9 febbraio 2017). La dichiarazione di decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale non costituisce una vera e propria sanzione, al pari della sospensione del relativo esercizio di essa ed agli ulteriori atipici provvedimenti che possono essere pronunciati ai sensi dell'art. 333 c.c. Essa ha difatti una funzione essenzialmente preventiva, non essendo tesa a sanare l'avvenuta lesione illecita di un interesse giuridicamente tutelato ma ad evitare un pregiudizio per il minore o il protrarsi di esso. La dichiarazione di decadenza, così come i provvedimenti convenienti di cui all'art. 333 c.c., mira, pertanto, non già a punire i genitori per gli inadempimenti commessi ovvero all'eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli già verificatesi per il minore ma essenzialmente ad evitare che si possano reiterare analoghi atti dannosi o si possano protrarre ulteriormente conseguenze già verificatesi (Cicu, 366). Poiché il rimedio ha funzione preventiva, il pregiudizio del figlio deve ritenersi non solo quello verificatosi in forza degli atti compiuti dai genitori ma anche quello futuro (in questo senso Bucciante, 662), dovendosi intendere con tale espressione ogni danno, non solo patrimoniale, arrecato al figlio, (si veda in merito Pelosi, 404). In questo senso si è pronunciata Cass. I, n. 14145/2017, affermando che i provvedimenti modificativi ed ablativi della responsabilità genitoriale sono preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli. Muovendo da tale assunto è stato quindi evidenziato che essi non costituiscono una sanzione a comportamenti pregiudizievoli posti in essere dai genitori, fondandosi invece sull'accertamento degli effetti lesivi che hanno prodotto o possono ulteriormente produrre in danno dei figli. Laddove, infatti, si ritenga necessario adottare siffatto provvedimento, il giudice di merito deve esprimere una prognosi sull'effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l'aiuto di parenti o di terzi e avvalendosi dell'intervento dei servizi territoriali (Cass I, n. 12237/2023). La decadenza, secondo una condivisibile opinione, non presuppone anche la colpa dei genitori potendo, in ipotesi, la loro inettitudine ad educare o ad amministrare derivare da una incapacità (Cicu, 367; Bucciante, 661; Figone-Ravot, 82). Si pensi infatti al caso del genitore che per la patologia dalla quale è affetto non sia in grado di comprendere il disvalore del proprio comportamento. Per converso, secondo altri autori sarebbe necessario un giudizio di colpevolezza, in termini di dolo o di colpa (si vedano in merito: Pelosi, 404 il quale ritiene inoltre che la condotta debba essere cosciente e volontaria e che, in caso di incapacità permanente, trovi applicazione la differente disposizione di cui all'art. 317 c.c.; Bianca, 354, il quale definisce la decadenza come «una sanzione che presuppone l'inadempimento imputabile del genitore»). La dichiarazione di decadenza, peraltro, può essere pronunciata dall'Autorità giudiziaria anche nel caso di unica condotta pregiudizievole, sempreché di gravità tale da giustificare la totale elisione della responsabilità genitoriale. Questo vale soprattutto per quegli interventi che si realizzino mediante la sostituzione della volontà del genitore a quella del figlio minorenne (ma capace di discernimento) in occasione di una specifica situazione che, in ipotesi, avrebbe imposto al primo di considerare la volontà espressa dal secondo. Medesime considerazioni operano per il caso di violazione dei doveri estremamente gravi, al pari del conseguente danno. Si pensi, in ipotesi, ad una scelta in ambito sanitario difforme dalla volontà espressa lucidamente dal figlio minorenne. In queste circostanze si «ritiene possibile effettuare una prognosi negativa della futura condotta del genitore anche solo con riferimento alla persistenza degli effetti negativi sul rapporto di fiducia tra genitore e figlio» (in questo senso Vercellone, 1045 le cui affermazioni anche alla luce della l. 22 dicembre 2017, n. 219, ed in particolare dell'art. 3, restano tuttora attuali). Il rimedio previsto dalla norma costituisce, pertanto, una extrema ratio, potendo essere adottato quando ogni altro rimedio sia inidoneo a tutelare il minore (si pensi all'eterogeneità dei provvedimenti pronunciabili ai sensi dell'art. 333 c.c.). In conclusione, mentre i provvedimenti limitativi ed integrativi della responsabilità genitoriale attribuiscono al Giudice la possibilità di fornire la soluzione del caso concreto attraverso rimedi, dal contenuto atipico e variabile, concepiti «a misura delle esigenze del minore», la decadenza dalla responsabilità genitoriale, invece, è un meccanismo più radicale, da utilizzarsi quando il rapporto non sia più facilmente recuperabile ed il pregiudizio per il minore sia ormai irreversibile» (La Rosa, 1004). Effetti della pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitorialeLa dichiarazione di decadenza importa, per tutto il tempo della sua durata, la sospensione di uno o di entrambi i genitori dall'esercizio della responsabilità genitoriale. Ciò comporta che il decaduto non possa assumere alcun tipo di decisione nei confronti del figlio minore, non possa amministrarne i di lui beni né quindi godere dell'usufrutto legale su essi (ex art. 324 c.c.), restando però fermi gli obblighi ed i doveri nei confronti della prole con conseguente persistenza, quindi, del dovere di mantenimento. La decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale, infatti, non incide sulla responsabilità penale del genitore e, pertanto, non preclude la commissione del reato di cui all'art. 570 c.p. e non ne fa venire meno la permanenza. La Suprema Corte, nel recente passato, ha in particolare affermato, così confermando taluno degli orientamenti dottrinali sopra indicati, che la decadenza in esame, che ai sensi dell'art. 330 c.c. il giudice civile pronuncia nei confronti del genitore che viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio, è un provvedimento di natura sanzionatoria. Esso, fondato sui medesimi presupposti, opera sul piano civilistico — con la sottrazione al genitore inadempiente dei poteri di rappresentanza e di amministrazione dei beni del figlio nonché dell'usufrutto legale sugli stessi, finalizzato alla sua educazione ed istruzione — parallelamente alle sanzioni previste dal codice penale che l'art. 570 c.p. riconduce a chiunque si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla «potestà dei genitori» (Cass. pen. VI, n.43288/2009; sul punto si vedano anche: Cass. pen. VI, n. 535/2016; Cass. pen. VI, n. 21482/2015; Cass. pen. VI, n. 20133/2015; Cass. pen. VI, n. 16559/2007). Lo stesso dicasi per i reati che abbiano ad oggetto la distrazione o dilapidazione dei beni del minore da parte del genitore (Cass. I, n. 22401/2008). Peraltro il raggiungimento della maggiore età da parte del minore in pendenza del procedimento per la dichiarazione di decadenza, determinando automaticamente la cessazione della responsabilità genitoriale, indipendentemente dall'inosservanza dei doveri posti a carico dei genitori, comporta la pronuncia di cessazione della materia del contendere con conseguente caducazione dei provvedimenti eventualmente pronunciati, assumendo rilievo solo la tutela del minore dai comportamenti pregiudizievoli dei genitori e non già l'interesse del genitore all'accertamento negativo dei fatti allegati a sostegno della domanda (Cass. I, n. 23019/2019). La riforma della filiazione ha peraltro introdotto l'art. 448-bis c.c. che prevede un ulteriore effetto-sanzione della dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale. Secondo quanto prevede la disposizione testé citata il figlio, anche adottivo, ed in sua mancanza i discendenti prossimi, non sono tenuti all'adempimento dell'obbligo di prestare alimenti al genitore nei confronti del quale sia stata pronunciata la decadenza della responsabilità genitoriale e, per i fatti non integranti casi di indegnità di cui all'art. 463 c.c, possono altresì escluderlo dalla successione (sul punto si veda: Magri, 1141; sulle critiche alla norma che ha introdotto questa nuova fattispecie di indegnità si veda: Anceschi; per un'analisi della disposizione di cui all'art. 448-bis c.c. si veda Paradiso, 621). Deve comunque osservarsi al riguardo che il genitore decaduto può essere comunque reintegrato nell'esercizio della responsabilità genitoriale secondo quanto prevede l'art. 332 c.c. Tra gli effetti della dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale non vi è la rescissione del legame familiare, essendo essa un rimedio posto ad esclusiva tutela del minore. Ne deriva che il genitore dichiarato decaduto può comunque opporsi alla dichiarazione di adottabilità del figlio minorenne. Qualora peraltro il provvedimento venga pronunciato nei confronti di entrambi i genitori, dovranno contestualmente essere trasmessi gli atti al Giudice tutelare affinché nomini un tutore al minore secondo quanto prevedono gli artt. 343, 344, 345 c.c. L'art. 345 c.c. prevede difatti che il cancelliere, entro quindici giorni dalla pubblicazione o dal deposito in cancelleria, debba dare notizia al Giudice tutelare delle decisioni dalle quali derivi l'apertura di una tutela. In questa sede si ritiene peraltro opportuno evidenziare che oltre alla decadenza, intesa come rimedio civile alle condotte pregiudizievoli poste in essere dal genitore, esiste la decadenza intesa quale pena accessoria. Quest'ultima, ove pronunciata in sede penale ai sensi dell'art. 34 c.p., ha carattere sanzionatorio, tale da rendere superflua la pronuncia di cui all'art. 330 c.c. (in merito si veda Trib. min. Roma, 20 luglio 1992, in Dir. fam., 1993, 222). La decadenza, quale pena accessoria ad una condanna penale, si ritiene peraltro produca effetto nei confronti di tutti i figli (Bucciante, 598). La condotta posta in essere dal genitore, che determini la decadenza dalla responsabilità genitoriale, come peraltro già chiarito in sede di inquadramento, può essere fonte di danno per il minore, non solo patrimoniale, essendo così esperibile l'azione di risarcimento del danno a tutela del minore (in merito Facci, 125). L'allontanamento del minore e del genitore dalla residenza familiareIl secondo comma della disposizione in esame attribuisce al Tribunale per i minorenni, per gravi motivi, il potere di allontanare dalla residenza familiare il minore o, alternativamente, il genitore. Mentre la possibilità di allontanare il minore dall'abitazione familiare era stata prevista dal legislatore sin dalla riforma del diritto di famiglia (con l. 19 maggio 1975, n. 151) il potere di allontanamento del genitore è stato previsto solo con la l. 28 marzo 2001 n. 149, nello stesso anno nel quale è stato introdotto nel codice civile il titolo XI bis nonché disciplinati gli ordini di protezione contro gli abusi familiari (di cui agli artt. 342-bis e 342-ter c.c.). Particolare rilevanza assume la possibilità, nel caso di condotta pregiudizievole posta in essere dal genitore, di «allontanare» non il minore ma il genitore maltrattante o abusante. In questo modo si realizzanda un duplice risultato: viene tutelata la serenità del minore, con contestuale cessazione della condotta pregiudizievole, e viene conservato l'habitat domestico, circostanza di rilievo per la conservazione dell'equilibrio del fanciullo. L'allontanamento è difatti uno strumento volto a tutelare il minore laddove la convivenza stabile con gli altri membri del nucleo familiare possa essere gravemente pregiudizievole per la sua serena ed equilibrata crescita e, quindi, ove la convivenza possa determinare la prosecuzione delle condotte legittimanti l'adozione del provvedimento di decadenza (Pelosi, 405). Pertanto, è stato correttamente osservato in dottrina che qualora debba disporsi l'allontanamento i Giudici siano tenuti a valutare rigorosamente la disponibilità e la capacità degli altri soggetti che resteranno con il minore nella casa familiare, dovendo gli stessi accudirlo e difenderlo dal genitore o dal convivente allontanato. In assenza dei detti presupposti, per i sostenitori della tesi in argomento, sembrerebbe preferibile ricorrere all'allontanamento del minore, ancorché da valutarsi certamente come extrema ratio (Figone-Ravot, 103). La possibilità di allontanare il genitore è stata peraltro prevista anche dall'art. 333 c.c. che, come sopra già evidenziato, consente al Tribunale, nel caso di condotta non tale da determinare la decadenza dalla responsabilità genitoriale, di pronunciare «i provvedimenti convenienti» variabili nel contenuto in relazione alla situazione concretamente esistente. Si ritiene peraltro che l'allontanamento debba inoltre essere disposto contestualmente al provvedimento di decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale (Bucciante, 599). Circa le modalità attuative dell'allontanamento, il Tribunale per i minorenni di Ancona ha ritenuto che l'allontanamento possa essere realizzato mediante l'uso della forza pubblica in caso di inottemperanza (Trib. min. Ancona, 5 febbraio 2002, in Fam. e dir., 02, 637, con nota di Tommaseo). Come sopra evidenziato, oltre alla disposizione in commento, anche l'art. 342-bis c.c., che disciplina gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, prevede la possibilità di allontanare dall'abitazione il convivente maltrattante. In questo secondo caso però è il Giudice ordinario, in composizione monocratica a disporre l'allontanamento del convivente, attraverso un particolare procedimento nell'ambito del quale possono essere adottate anche disposizioni di natura patrimoniale. A ciò si aggiunga che gli ordini di protezione possono essere adottati non solo nei confronti del genitore ma anche nei confronti di altro convivente che compia le condotte disciplinate dall'art. 342-bis c.c. (si veda altresì sub. artt. 342-bis e 342-ter c.c., paragrafi relativi ai rapporti tra i provvedimenti de potestate e gli ordini di protezione, ai quali si rinvia; sul punto si vedano: Pacia Depinguente, 759; Scalera, 231). Sicché ove la condotta venga posta in essere dal genitore in danno del minore, per il principio di specialità si è ritenuto, in relazione alla disciplina previgente ed applicabile ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023,che trovi applicazione la presente disposizione e non l'art. 342-bis c.c., con conseguente competenza del Tribunale per i minorenni (Scalera, 232; Figone-Ravot, 105). Sul punto giova osservare tuttavia che l'art. 473-bis.69 c.p.c., introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, ed applicabile ai procedimenti instaurati in data successiva al 28 febbraio 2023, prevede che gli ordini di protezione possano essere emanati dal Tribunale per i minorenni, anche su istanza del pubblico ministero, quando la condotta può causare danno al minore. Sicché la celerità che caratterizza il procedimento volto alla emanazione dell'ordine di protezione, laddove la condotta possa inquadrarsi nell'ambito di entrambe le disposizioni sembra apparire maggioremente confacente alle esigenze di tutela immediata del minore l'adozione dell' ordine di protezione. Impugnabilità dei provvedimenti de potestateI provvedimenti art. 330 c.c., così come tutti i provvedimenti di volontaria giurisdizione (ex artt. 332 c.c. e 333 c.c.), sono storicamente considerati non impugnabili mediante ricorso straordinario per Cassazione (es. art. 111 Cost.), in quanto espressione di giurisdizione volontaria e non contenziosa, perché non risolvono conflitti fra diritti posti su un piano paritario ma preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli nonché soggetti alle regole generali del rito camerale, sia pure con le integrazioni e specificazioni previste dagli artt. 330 c.c. e art. 336 c.c. In quest'ottica detti provvedimenti, sebbene adottati dalla corte d'appello in esito a reclamo, non sono idonei ad acquistare autorità di giudicato, nemmeno «rebus sic stantibus», in quanto modificabili e revocabili non solo «ex nunc», per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche «ex tunc», per un riesame (di merito o di legittimità) delle originarie risultanze, con la conseguenza che esulano dalla previsione dell'art. 111 Cost. (Cass. I, n. 18562/2016, Cass. VI, n. 24477/2015; si veda, nello stesso senso, anche Cass. I, n.11756/2010). Una delle principali ragioni sulle quali si fonda la non ricorribilità dei citati provvedimenti è data dalla circostanza per la quale gli stessi sono ritenuti revocabili in ogni tempo ed aventi la funzione «non di decidere una lite tra due soggetti, attribuendo ad uno di essi “un bene della vita” ma di controllare e governare gli interessi dei minori» (Cass. S.U., n. 11026/2003). In applicazione del citato principio è stato ritenuto inammissibile il ricorso straordinario per cassazione (ex art. 111 Cost.) avverso i provvedimenti emessi in sede di volontaria giurisdizione, quale, nella specie, il rigetto del reclamo avverso la richiesta di reintegra della responsabilità genitoriale, stante la mancanza dei requisiti della decisorietà e della definitività del provvedimento impugnato (Cass.VI, n. 24477/2015). Di recente la Suprema Corte si è però discostata dal costante orientamento sopra riportato attraverso un'interpretazione particolarmente sensibile alla ratio legis delle recenti novità normative che hanno riguardato anche il procedimento di cui all'art. 336 c.c. Per Cass. I, n. 23633/2016, in particolare, il provvedimento dichiarativo della decadenza dalla responsabilità genitoriale assume attitudine al giudicato rebus sic stantibus, non è revocabile o modificabile, salva la sopravvenienza di fatti nuovi, ed è, pertanto, anche impugnabile con ricorso per Cassazione, dopo che la Corte d'appello lo abbia confermato, revocato o modificato in sede di reclamo. Nel dettaglio, la Suprema Corte ha specificato che, sebbene i provvedimenti de potestate non abbiano natura prettamente contenziosa, non può escludersi «la presenza di parti processuali fra loro in conflitto». In seguito all'ultima novella legislativa, infatti, con riferimento ai procedimenti ex art. 336 c.c. è previsto che il genitore ed i minori debbano essere assistiti da un difensore, è ritenuto necessario l'ascolto del minore (qualora dodicenne o comunque dotato di capacità di discernimento) così come deve essere sentito il genitore la cui responsabilità genitoriale si intenda limitare. Successivamente a tale ultima decisione il principio da essa sancito è stato definitivamente consacrato da S.U. n. 32359/2018. Cass. I, n. 1668/2020 ha infine, in aderenza a quanto statuito da S.U. n. 32359/2018, affermato che sono impugnabili con ricorso per Cassazione anche i decreti pronunciati dalla Corte d'appello sul reclamo avverso quello del Tribunale per i minorenni. La citata ordinanza ha quindi chiarito che detti provvedimenti hanno, al pari del decreto reclamato, carattere decisorio e definitivo poiché incidono su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale, e sono modificabili e revocabili soltanto per la sopravvenienza di nuove circostanze di fatto; sicché essi sono idonei ad acquistare efficacia di giudicato rebus sic stantibus (in questo senso altresì Cass. I, n. 1777/2020). Già nel recente passato autorevole dottrina aveva comunque auspicato il detto mutamento di indirizzo interpretativo del Giudice di legittimità in tema di ricorribilità per cassazione, ex art. 111 Cost. , dei provvedimenti de potestate, stante il «carattere fondamentalissimo» dei diritti su cui essi incidono (Proto Pisani, 128). Deve infine osservarsi che fino all’istituzione del Tribunale Unico per le Persone, i Minorenni e le Famiglie (che dovrà a decorrere dal 24.12.2024) i provvedimenti previsti dalla disposizione in commento restano di competenza del Tribunale per i minorenni ed ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023 si applicano le unitarie disposizioni previste dal nuovo titolo IV-bis del codice di procedura civile “Norme per il procedimento in materia delle persone, minorenni e famiglie”, inserito ex art. 3, comma 33, del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149. Riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenniUno dei problemi processuali più rilevanti è quello relativo al riparto di competenza tra il Tribunale ordinario ed il Tribunale per i minorenni laddove nel corso di un giudizio di separazione personale, di divorzio o di modifica delle condizioni di separazione, debba essere pronunciato uno dei provvedimenti di cui agli art. 330 e seguenti c.c. Tale nodo interpretativo è stato risolto dall'art. 38 disp. att. c.c., il cui attuale primo comma attua il c.d. principio della concentrazione delle tutele. Tale disposizione oggetto nel tempo di diverse modifica di cui l'ultima è stata effettuata dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, è stata preceduta da un lungo e complesso percorso giurisprudenziale che ha rilevato la sostanziale indistinguibilità della domanda di affidamento esclusivo per comportamento pregiudizievole dell'altro genitore dalla richiesta di un provvedimento limitativo della potestà genitoriale, proposta in pendenza di un conflitto familiare, sottolineando l'esigenza che sia un unico giudice a decidere per entrambi i profili in ossequio al principio di concentrazione delle tutele, in virtù del quale le soluzioni processuali devono essere ispirate a principi di coerenza logica e ancorate alla valutazione concreta del loro impatto operativo. La Suprema Corte ha in particolare argomentato muovendo dalla constatazione del forte grado d'incisività dei provvedimenti de potestate sulla sfera relazionale primaria delle persone e della sempre più frequente interrelazione degli stessi con i provvedimenti da assumere nell'interesse dei figli minori nei conflitti familiari, nonché dalla presa d'atto dell'attribuzione al giudice di tali conflitti del potere di adottare provvedimenti incidenti sulla potestà, «andando anche ultra petitum» (Cass. VI, n. 21348/2017; sul punto si vedano altresì: Cass. VI, n. 20352/2011, espressamente richiamata dalla decisione del 2017 da ultimo citata, e Cass. I, n. 11412/2014). Tali principi sono stati altresì posti alla base della novella del 2012. L'art. 38 disp. att. c.c., modificato dall'art. 3 della l. 10 dicembre 2012, n. 219, ha così previsto che siano di competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90, 330, 332, 334, 335, 371, ultimo comma, c.c. Per i procedimenti di cui all'art. 333 c.c. rimanendo invece esclusa la competenza del Tribunale per i minorenni, nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio ovvero un giudizio ex art. 316 c.c. In tale ipotesi, però, sempre in forza delle disposizione in argomento, per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati «dalle disposizioni richiamate nel primo periodo», spetta al giudice ordinario. Al Tribunale per i minorenni è stata riconosciuta la competenza relativamente ai provvedimenti contemplati dagli artt. 251 e 317-bis c.c. Il citato art. 38 è stato, sebbene teso alla evidente concentrazione delle tutele presso un unico Giudice, tuttavia anche nell'attualità foriero di dubbi interpretativi, con annesse conseguenze applicative, attese anche le perplessità manifestate dalla dottrina in merito all'espressione nelle disposizioni richiamate nel primo periodo « ed alla sua effettiva portata, nonché con riferimento alla espressione tra le stesse parti», non essendo perfettamente coincidenti le parti del processo dinanzi al Tribunale per i minorenni e quelle dinanzi al Tribunale ordinario (si vedano in merito: Proto Pisani, 126; Danovi, 537; Antoniotti, 200; Tizi, 1110, e liuzzi, 106). La Suprema Corte ha in merito affermato che il primo comma della novellata disposizione sopra indicata deve essere interpretato nel senso che la competenza del Tribunale per i minorenni resta esclusa soltanto nell'ipotesi, espressamente contemplata dalla citata disposizione, in cui al momento dell'instaurazione del relativo procedimento sia già pendente quello dinanzi al giudice ordinario, non operando altrimenti la vis attractiva della competenza di quest'ultimo. Tale conclusione, attuazione del principio della perpetuatio jurisdictionis, secondo cui la competenza si determina con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda ex art. 5 c.p.c., è inoltre determinata da esigenze di economia processuale e di tutela dell'interesse del minore, suffragate da norme costituzionali, quali l'art. 111 Cost., e sovranazionali, quali l'art. 8 della CEDU e l'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Esse impongono di evitare che resti vanificato il percorso processuale svolto anteriormente all'instaurazione del giudizio avente ad oggetto la risoluzione del conflitto familiare (Cass. I, n. 432/2016; Cass. VI, n.2833/2015; sul punto si vedano anche: Cass. VI, n. 21348/2017; Cass. VI, n. 1349/2015; Cass. I, n. 21633/2014; Cass. I, n. 3490/2021). In questi casi, pertanto, ove il provvedimento de potestate sia stato pronunciato dal Giudice ordinario, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano, in applicazione del principio contenuto nell'art. 38 disp. att. c.c., al Giudice del conflitto familiare, individuabile nel Tribunale ordinario, se ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella Corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass. VI, n. 1349/2015). Sempre in applicazione del citato principio la Suprema Corte ha statuito che nel caso in cui penda un giudizio per la modifica delle condizioni di separazione tra i coniugi e venga successivamente instaurato un procedimento ex art. 330 c.c. dinanzi al Tribunale per i minorenni, è competente il Tribunale ordinario previamente adito anche relativamente ai procedimenti de potestate. In tal senso si veda Cass. I, n. 432/2016, la quale ha assunto particolare importanza avendo affrontato la questione, attualmente controversa, della non perfetta coincidenza tra i soggetti del procedimento instaurato dinanzi al Tribunale ordinario e quelli del procedimento instaurato dinanzi al Tribunale per i minorenni (tra i quali figura obbligatoriamente il Pubblico Ministero). Essa in merito specifica che la detta non perfetta coincidenza non sia determinante ai fini di escludere la competenza del Tribunale ordinario, atteso che possono essere previsti meccanismi di raccordo tra il Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni e quello presso il Tribunale ordinario, nelle forme processuali previste per la loro partecipazione nel procedimento ex art. 70 c.p.c. Per quanto concerne i limiti della competenza del tribunale ordinario, Cass. I, n.16569/2021 ha ulteriormente specificato, in aderenza a quanto statuito da Cass.. 6-1, n. 3490/2021, che i provvedimenti da adottare nell'interesse dei minori, di cui agli artt. 330,332,333,334 e 335 c.c., ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., nel testo sostituito dall'art. 3 della l. n. 219 del 2012, sono riservati alla competenza del tribunale per i minorenni, salvo che sia in corso tra i genitori un giudizio di separazione o di divorzio o un giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c., perché in tali ipotesi la competenza spetta al tribunale ordinario, restando tuttavia escluso che la vis attractiva possa estendersi alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale riservata in ogni caso al giudice minorile. La disciplina di cui all'art. 38 citato peraltro non opera inoltre in caso di pendenza del giudizio di paternità naturale e, pertanto, non determina l'attrazione al tribunale ordinario dei procedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale (Cass. I, n.20241/2021). La disciplina di cui all'art. 38 citato peraltro non opera inoltre in caso di pendenza del giudizio di paternità naturale e, pertanto, non determina l'attrazione al tribunale ordinario dei procedimenti abliativi o limitativi della responsabilità genitoriale (Cass. I, n. 20241/2021). Ciò in forza di una scelta legislativa del tutto ragionevole, che lascia illesi i diritti di difesa e al giusto processo poiché, in sede minorile, le parti fruiscono di una tutela comunque garantistica ed anche più rapida, per effetto della trattazione secondo il rito camerale, e considerato che fino a quando non è accertata la paternità, il sedicente padre non assume la titolarità del rapporto genitoriale, né può esercitare la relativa responsabilità, non essendo neppure legittimato a contraddire su temi che attengono ad essa e, soprattutto, all'interesse del minore (Cass. I, n. 20241/2021). Deve evidenziarsi che le problematiche innanzi evidenziate sono destinate progressivamente a scomparire con la istituzione del Tribunale Unico per le Persone, i Minorenni e le famiglie, previsto a decorrere dal 24 dicembre 2024. L'art. 38 disp.att. c.c., inoltre, è stato oggetto di ulteriori modifiche, ad opera del d.lgs. n. 149 del 2022 tese a semplificare ulteriormente il difficile riparto di competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni. Nel dettaglio la disposizione prevede la competenza del Tribunale per i minorenni in relazione ai procedimenti previsti dagli artt. 84, 250, ultimo comma, 251, 317 bis, ultimo comma, 330, 332, 333, 334, 335, 371, ultimo comma, del codice civile. La norma attribuisce anche al Tribunale ordinario la competenza a pronunciar i provvedimenti di cui agli artt. 330, 332, 334, 335, anche se instaurati su ricorso del pubblico ministero, quando è già pendente o instaurato successivamente, tra le stesse, parti, giudizio di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero giudizio ai sensi degli artt. 250, quarto comma, 268,277, secondo comma e 316 del codice civile, ovvero un procedimento per la modifica delle condizioni dettate da precedenti provvedimenti a tutela del minore. In tale circostanza il Tribunale per i minorenni, d'ufficio o su richiesta di parte, entro il termine di 15 giorni giorni dalla richiesta , adotta tutti i provvedimenti opportuni temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al Tribunale ordinario dinanzi al quale, previa riunione, continua il procedimento. L'art. 38 disp.att. c.c., così come da ultimo modificato dall'art. 4, del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, si applica ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023. Cass. I, n. 14104/2024 ha chiarito, da ultimo, che la nuova formulazione dell'art. 38 disp.att. c.c., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, nella parte in cui dispone l'attrazione alla competenza del tribunale ordinario non solo quando è già pendente, ma anche quando è successivamente instaurato, tra le stesse parti, un giudizio di separazione o divorzio innanzi al giudice ordinario, si applica solo ai ricorsi depositati dopo l'entrata in vigore della riforma (22 giugno 2022), poiché la norma transitoria non fa riferimento alla data in cui si verifica la litispendenza, bensì a quella di instaurazione dei procedimenti della cui competenza si discute, operando negli altri casi il generale principio di cui all'art. 5 c.p.c. Il principio di cui innanzi è stato affermato con riferimento ad un ricorso de potestate depositato in cancelleria in data 21 giugno 2022, sebbene iscritto a ruolo il giorno successivo, ritenendo irrilevanti, ai fini della pendenza della lite, gli ulteriori adempimenti eventualmente compiuti in ritardo dal cancelliere. Comportamenti pregiudizievoli: casisticaLe condotte che possono determinare la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale sono varie e possono essere omissive e commissive, come già evidenziato in sede di inquadramento oltre che nei precedenti paragrafi. In un procedimento, antecedente alla introduzione del nuovo art. 317-bis c.c., finalizzato all'accertamento del diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti del genitore scomparso, è stato in merito ritenuto che il comportamento ostativo del genitore superstite costituisse una condotta pregiudizievole secondo la previsione degli artt. 330 e s.s. c.c., in quanto tale da rescindere, nella fase evolutiva della formazione della personalità del minore, una sfera affettiva e identitaria assolutamente significativa, esponendolo ad una vicenda esistenziale particolarmente dolorosa (Cass. I, n. 5097/2014; sul punto si veda anche Cass. S.U., n. 22238/2009). Costituisce altresì condotta gravemente pregiudizievole quella del genitore che con il suo comportamento gravemente ostruzionistico abbia cercato di impedire il rientro del minore presso il genitore affidatario (Trib. min. Torino, 16 giugno 1980, in Giur. it. 80, 561). Altre condotte ritenute gravi, ai fini della pronuncia di decadenza sono: la generica opposizione all'obbligo di vaccinazione dei figli minori; l'affidamento del figlio a terzi a scopo di adozione; il totale disinteresse per il figlio con rifiuto del proprio ruolo genitoriale; la violazione delle prescrizioni imposte dal Giudice, con rifiuto degli incontri con il figlio ed il Servizi sociali incaricati; improntare l'educazione del figlio all'illegalità (per l'ampia casistica di cui innanzi si vedano: Trib. Roma, 15 settembre 2016; App. min. Bari, 12 febbraio 2003; Trib. min. Messina, 28 marzo 2000, in Dir. Fam. 00, 1176; Trib. min. Roma, 7 aprile 1977, in Foro it., 1978, 1, 512; Trib. min. L'Aquila, 27 febbraio 2008, in Dir. fam., 2008, 1333; Trib. min. L'Aquila, 8 giugno 2007; Trib. min. Bari 17 gennaio 2007, in Min. e giust., 2007, 8, 16). Nell'ampia casistica presente viene in considerazione inoltre il decreto pronunciato dal Trib. min. Reggio Calabria, 8 marzo 2016, con il quale è stato dichiarato decaduto dall'esercizio della responsabilità genitoriale il padre di due minori, avente ruolo apicale in una organizzazione criminale e latitante. Nel caso di specie il minore è risultato essere «inserito in un contesto familiare, territoriale e sociale gravemente pregiudizievole al punto tale da comprometterne la possibilità di un equilibrato sviluppo della personalità con correlato e concreto rischio di devianza». Nella fattispecie il Tribunale per i minorenni ha ritenuto che entrambi i genitori avessero palesato gravissime lacune educative così dimostrando la loro inidoneità a svolgere la funzione genitoriale. La giurisprudenza di merito ha altresì ritenuto rilevanti, sempre ai fini della pronuncia di decadenza, il pericolo di danno eventuale (App. Perugia, 27 febbraio 1997, in Rass. G. Umbra, 1997, 382), nonché comportamenti ripetutamente violenti, aggressivi, vessatori del padre verso i figli e verso il partner, realizzati mediante costanti e violente minacce di morte, percosse, danneggiamento delle suppellettili (qualora risulti certa e grave la instabilità psichica del padre stesso), oltre che la condotta della madre, inerte di fronte al comportamento aggressivo del partner (Trib. min. L'Aquila, 7 dicembre 1993, in Dir. fam., 1994, 1043). Seguendo il medesimo iter logico-giuridico è stata altresì ritenuta condotta gravemente violativa dei doveri gravanti sul genitore quella omissiva del genitore non attivatosi per preservare l'incolumità psichica e la moralità sessuale del figlio, pur essendo a conoscenza della violenza sessuale consumata da terzi in danno di quest'ultimo (Trib. min. Palermo, 5 agosto 1996, in Dir. Fam., 97, 216 con nota di Conte). Diversamente è stato escluso che possa costituire condotta pregiudizievole quella del genitore che provveda direttamente all'istruzione dei figli, in quanto espressione di un diritto costituzionalmente garantito, purchè ciò avvenga sotto il controllo delle autorità competenti e nel rispetto delle regole stabilite (Cass. I, n. 23802/2023). La decadenza dalla responsabilità genitoriale può essere pronunciata anche nel caso in cui la condotta del genitore si sostanzi nella reiterata violazione dei doveri genitoriali, determinanti un grave pregiudizio per il figlio, concretatasi nella violazione del dovere di assistenza morale, materiale nonché in condotte violente nei suoi riguardi (Trib. Mantova, 21 marzo 2017; si veda altresì Trib. Genova, 9 febbraio 2017). Sempre nell'ambito della violazione del dovere di assistenza morale, di educazione nonché del diritto del minore a mantenere rapporti significativi con la famiglia paterna si colloca una recente decisione del Tribunale di Roma. Con tale pronuncia è stato dichiarato decaduto il padre che, pur essendo consapevole dell'esistenza del rapporto di filiazione, per anni si era disinteressato del figlio, non volendolo frequentare, dichiarando con fermezza la sua volontà di astenersi dall'intrattenere rapporti con il minore (Trib. Roma, 15 settembre 2016, nella specie è stata peraltro riscontrata anche la violazione del diritto a mantenere rapporti significativi con i parenti, non essendo emerso che alcuno dei fratelli, nati nel matrimonio, fosse a conoscenza dell'esistenza del minore). Nell'ambito delle condotte maltrattanti ben possono difatti rientrarvi, oltre che quelle integranti il reato di cui all'art. 572 c.p., quelle illecite determinanti un pregiudizio di carattere psico-fisico per il minore (in merito si veda Cass. V, n. 42566/2015). Sul punto si veda anche Trib. min. L'Aquila, 18 giugno 1999(in Dir. fam., 2000, 174) per il quale la grave violazione dei doveri gravanti sul genitore, unitamente alla commissione di delitti a sfondo sessuale nei confronti del minore stesso, potrebbe determinare la pronuncia di cui all'art. 330 c.c. Per quanto concerne le condotte che si sostanzino in un abuso dei doveri da parte del genitore va evidenziato che in diverse decisioni esso è stato identificato anche nell'abuso sessuale (Cass. IV, n. 3419/2006; per la giurisprudenza di merito si veda Trib. Trento, 13 febbraio 2007, in Fam. e min., 2007, 7, 83) ovvero nell'uso scorretto della responsabilità genitoriale (App. Ancona, 11 agosto 2015). Per converso, l'esercizio della prostituzione da parte del genitore, non accompagnato da condotte pregiudizievoli per la crescita del figlio, la scelta terapeutica non empirica e non ancora recepita dalla medicina tradizionale non importano la decadenza dalla responsabilità genitoriale, in quanto non costituiscono condotte violativa dei doveri gravanti sul genitore ai sensi degli artt. 147 e 316-bis c.c. (per la condotta integrante esercizio della prostituzione si vedano: Trib. Roma, 7 aprile 1995, in Giur. it., 1996, I, 124; App. Firenze, 3 marzo 1995, in Foro it., 1995, I, 1323; Trib min. Bologna, 1 luglio 1966, in Giur. it., 1967, 1, 81; per la condotta caratterizzata da scelte terapeutiche non empiriche si veda App. Ancona, 26 marzo 1999, in Dir. fam., 1999, 6599). Il Giudice civile può infine prendere in considerazione tutti i fatti che emergano dall'istruzione probatoria effettuata in sede penale, senza essere vincolato, se non in specifici e puntuali casi previsti dalla legge, dalle prove c.d. legali (Trib. min. Milano, 14 settembre 2009, in Giur. mer., 2010, 4, 1003). Deve infine rilevarsi che la violazione del diritto alla bigenitorialità da parte del genitore che ostacoli i rapporti del figlio con l'altro genitore (anche ponendo in essere condotte che integrino forme di abuso psicologico) e la conseguente necessità di garantire l'attuazione di tale diritto, non comportano, necessariamente la pronuncia di decadenza del genitore malevolo dalla responsabilità genitoriale e l'allontanamento del minore dalla sua residenza. Tali provvedimenti costituiscono misure estreme idonee a recidere ogni rapporto, giuridico, morale ed affettivo con il figli sicché, ai fini della loro applicazione, deve previamente verificarsi, in applicazione del principio del superiore interesse del minore, la possibilità che tale rimedio incontri, nel caso concreto, un limite nell'esigenza di evitare un trauma, anche irreparabile, allo sviluppo fisico-cognitivo del figlio, in conseguenza del brusco e definitivo abbandono del genitore con il quale aveva sempre vissuto e della correlata lacerazione di ogni consuetudine di vita (Cass. I, n. 9691/2022). Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che non aveva effettuato una corretta ricognizione degli art. 330 ss., c.c., avendo «omesso tale bilanciamento, obliterando dunque la concreta eventualità che l'attuazione del diritto alla bigenitorialità attraverso la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre» potesse tradursi, di fatto, in una immediata sofferenza per il minore con le relative conseguenti ripercussioni sul suo futuro. Legittimazione ad opporsi al procedimento di adozioneIn tema di procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, i genitori dell'adottando sono litisconsorti necessari, sicché, ove la loro mancata partecipazione al giudizio non sia stata rilevata né dal giudice di primo grado, né da quello d'appello, l'intero giudizio è viziato. A tale riguardo, infatti, non assume rilievo che nei confronti dei genitori sia stata pronunciata la decadenza dall'esercizio della «potestà» nei confronti del figlio ai sensi dell'art. 330 c.c., poiché permane il loro interesse ad opporsi all'adozione per evitare le più incisive e definitive conseguenze dell'adozione che comportano, oltre alla perdita della «potestà», il venir meno di ogni rapporto nei riguardi del figlio (Cass. I, n. 24482/2013, con riferimento a fattispecie antecedente alla novella legislativa del 2013 che ha sostituito alla «potestà» la responsabilità genitoriale). Competenza territorialeAi fini dell'individuazione del tribunale per i minorenni territorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale ex artt. 330 e 333 c.c., deve aversi riguardo al luogo della dimora abituale del minore alla data della domanda. Per individuare quale sia il luogo di abituale dimora la Suprema Corte ha in diverse decisioni evidenziato che non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza o dalla maggiore durata del soggiorno, essendo invece necessaria una prognosi sulla probabilità che la «nuova» dimora diventi l'effettivo e stabile centro di interessi del minore e non mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale. Nel senso di cui innanzi si veda Cass. I, n. 24482/2013, che, nella specie, non ha ritenuto idoneo a modificare la competenza lo spostamento della minore all'insaputa dell'altro genitore, avvenuto il giorno precedente all'introduzione del procedimento (negli stessi termini: Cass. S.U., n. 1984/2012; Cass. I, n.2171/2006). Sicché, nei procedimenti de potestate la competenza per territorio va determinata con riferimento al luogo in cui il minore dimori abitualmente, a prescindere quindi dagli eventuali trasferimenti di carattere contingente e transitorio (sul punto si veda Cass. I, n. 11022/1997, la quale, nel caso di specie, ha qualificato contingente e transitorio l'allontanamento dal luogo di abituale dimora conseguente all'attuazione del programma di protezione per collaboratori di giustizia, ciò in relazione ad una vicenda di evasione dell'obbligo scolastico). Con specifico riferimento ai procedimenti di affidamento eterofamiliare di minori, qualora il provvedimento iniziale di affidamento, di regola soggetto a durata non superiore ai ventiquattro mesi, necessitasse di essere seguito da un'ulteriore proroga o, viceversa, da una cessazione anticipata, queste ultime vicende integrerebbero provvedimenti camerali nuovi, per i quali il principio della «perpetuatio» necessiterebbe di essere temperato quello di prossimità. Sicché, il Giudice competente per territorio dovrebbe essere individuato nel Tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore legittimamente si trova, dovendo darsi rilievo ad eventuali sopravvenuti cambiamenti di residenza. In tal senso si è pronunciata Cass. S.U., n. 28875/2008, che ha dichiarato la competenza del Tribunale per i minorenni del distretto ove risiedeva la famiglia cui il minore era stato affidato con provvedimento di un altro Tribunale per i minorenni, nel cui distretto originariamente risiedeva con la propria madre (nello stesso senso si vedano: Cass. I, n. 2171/2006; Cass. I, n. 1058/ 2003; Cass. I, n. 2184/1996). Qualora, poi, il minore, nel corso del procedimento, si trasferisse in altro distretto resterebbe ferma la competenza del Tribunale per i minorenni del luogo di residenza abituale dello stesso, in caso di coincidenza tra il nuovo provvedimento richiesto all'Autorità giurisdizionale successivamente adita e quello indicato nel primo ricorso introduttivo. Nei termini di cui innanzi si è pronunciata Cass. VI, n. 7161/2016, così confermando il proprio orientamento in merito alla competenza territoriale nei procedimenti relativi alla responsabilità genitoriale ed in particolare in ordine al rapporto esistente tra il principio di prossimità e quello della perpetuatio jurisdictionis. Nella specie è stato accolto il regolamento di competenza d'ufficio sollevato dal Tribunale per i minorenni di Brescia, dinanzi al quale era stato riattivato, nei medesimi termini originari, il procedimento de potestate dopo la pronuncia di incompetenza del Tribunale per i minorenni di Bologna, adito dal Pubblico Ministero, motivata sul trasferimento, in corso di causa, della madre, insieme alle minori, in un comune in provincia di Brescia. L'orientamento appena evidenziato evoca il concetto di «residenza abituale» che è stato di recente specificato dalle Sezioni Unite, ancorché in tema di determinazione della giurisdizione circa la materia della sottrazione internazionale. Cass. S.U., n. 17676/2016, ha difatti precisato che, in tema di responsabilità genitoriale, al fine di stabilire la potestà giurisdizionale, occorre dare rilievo — per principio generale — al criterio della residenza abituale del minore al momento della domanda. Intendendo come tale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto (in applicazione del principio la Suprema Corte ha ritenuto corretta la motivazione del giudice di merito per la quale doveva considerarsi abitualmente residente in Brasile il minore che vi aveva vissuto tra i tre ed i sei anni di età, periodo intensamente relazionale, con un intervallo di appena sei mesi trascorso in Italia). Premesso quanto innanzi, sembra comunque il caso di rilevare che di recente la Suprema Corte, ancorché in materia di amministrazione di sostegno, ha dato maggiore risalto al criterio di prossimità. La Cass. VI, n. 23772/2017, ha in particolare ritenuto che la competenza territoriale si radichi con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza anagrafica, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore. Ciò che forse, in questa sede, più rileva è però l'argomentazione per la quale (ancorché sempre in tema di amministrazione di sostegno) non rileverebbe il principio della perpetuatio jurisdictionis, trattandosi di giurisdizione volontaria non contenziosa, rilevando la competenza del giudice nel momento in cui debbono essere adottati determinati provvedimenti sulla base di una serie di sopravvenienze. Qualora infine i genitori propongano dinanzi a giudici diversi domande di reciproca decadenza dalla potestà sui figli si pone il problema di stabilire quale sia il giudice competente a decidere le stesse. Nella fattispecie di cui innanzi la riunione delle cause per il simultaneus processus non può realizzarsi dinanzi al giudice della causa principale o dinanzi a quello preventivamente adito, come disposto dall'art. 40 c.p.c., bensì davanti al giudice del luogo di residenza del minore, la cui competenza riguardo alla domanda di decadenza della potestà di genitore è funzionale e non derogabile (Cass. I, n. 9359/1993). Deve infine osservarsi che a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 , è stato introdotto l’art. 473bis.11. c.p.c. il quale prevede, quale criterio prevalente, che per tutti i procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che riguardano un minore è competente il Tribunale nel quale il minore ha la residenza abituale da individuarsi nel luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda, salvo il caso di illecito trasferimento, con ciò codificandosi gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di Cassazione. La disposizione da ultimo citata prevede altresì che in caso di trasferimento non autorizzato, ove non sia decorso un anno, è competente il Tribunale del luogo dell’ultima residenza abituale del minore prima del trasferimento. 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