Codice Civile art. 337 octies - [Poteri del giudice e ascolto del minore ] 1 .[Poteri del giudice e ascolto del minore ]1 . [I]. [ Prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'articolo 337-ter, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d'ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all'ascolto se in contrasto con l'interesse del minore o manifestamente superfluo. [II]. Qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 337-ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli.]
[1] Articolo abrogato dall'art. 1, comma 5, lett. b), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". InquadramentoL' articolo in commento è stato abrogato dalla l. 10 ottobre 2022, n. 149 e trova applicazione nei confronti dei procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 mentre per quelli instaurati in data successiva si applica il rito uniforme in materia di persone famiglie e minori introdotto dalla medesima legge. la discipl. L'art. 337 octies c.c. è stato inserito nel codice civile dal d.lgs. n. 154/2013, che ha sostituito il previgente art. 155-sexies c.c. e deve essere letto unitamente agli artt. 315-bis c.c., 336-bis c.c. e 38-bis disp. att. c.c (quest'ultimi due articoli anch'essi abrogati dalla l. 10 ottobre 2022, n. 149). Di tali disposizioni l'art. 315-bis c.c. costituisce lo statuto dei diritti del figlio al quale sono quindi riconosciuti il diritto di essere mantenuto, educato, istruito, assistito moralmente dai genitori, nonché il diritto mantenere rapporti significativi con i parenti e di essere ascoltato in tutte le questioni e procedure che lo riguardino (l'espressione Statuto dei diritti del figlio è di Bianca, 331). . L'art. 336 bis c.c.definisce e disciplina le modalità attraverso le quali deve essere effettuato l'ascolto del minore, applicabili in tutte le fattispecie ivi incluse quelle non espressamente indicate dall'art. 337 bis c.c, nelle quali debbano essere assunte decisioni riguardanti il minore. . Rileva altresì l'art. 38 bis disp.att.c.c. che disciplina le modalità di ascolto del minore da parte dei difensori, delle parti, del pubblico ministero e del curatore, qualora vi siano indonei mezzi tecnici a garantire la salvaguardia del minore. Il Giudice ed il potere di acquisire mezzi di prova: verso l'attuale ascolto del minoreLe decisioni inerenti i minori non riguardano solo gli interessi privatistici. Nello stabilire, anche in via provvisoria, l'affidamento condiviso o, nei casi previsti dall'art. 337-quater c.c., quello esclusivo, determinando in quale luogo il minore debba essere collocato prevalentemente, il giudice disciplina difatti il diritto/dovere di visita del genitore non collocatario, incidendo profondamente sulla vita del minore, sulle sue abitudini, oltre che, in ipotesi, su desideri ed aspirazioni dello stesso, potendo soprattutto incidere sulla di lui serena crescita. L'importanza fondamentale che riveste la decisione in oggetto, provvisoria o definitiva, e l'effetto che essa ha su interessi super partes giustificano l'attribuzione di poteri istruttori d'ufficio. Il Giudice può, infatti, prima dell'emanazione in via provvisoria dei provvedimenti di cui all'art. 337-ter c.c., assumere, sia su istanza di parte che d'ufficio, mezzi di prova. Nessuna specificazione viene fornita dal legislatore sicché il Giudice potrà avvalersi di tutti i mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile al fine di adottare la decisione più confacente alla situazione concreta ed al preminente interesse del minore. I mezzi istruttori privilegiati in materia, in considerazione dell'oggetto della decisione, sono tuttavia costituiti dalla consulenza tecnica e dalle indagini effettuate tramite i servizi sociali, queste ultime sono valutabili alla stregua della consulenza tecnica in applicazione analogica dell'art. 92 disp. att. c.c. (al riguardo si vedano Trib. Lecce, 11 marzo 1998 (in Giur. merit. 1999, con nota di Trerotola), oltre che, con particolare riferimento all'utilizzabilità della relazione del servizio sociale ai fini della decisione riguardo ai figli (Trib. Catania, 31 dicembre 1992, Foro it., 1994, 1250 ed in Dir. fam., 1993, 681, e Trib. Genova, 8 febbraio 1985, in Dir. fam., 1987, 668). Le indagini effettuate tramite i servizi sociali, nella prassi, costituiscono lo strumento più rapido per effettuare, in tempi brevi, «una fotografia» globale della situazione afferente al minore che non si focalizzi esclusivamente sulla sua condizione personale ovvero sul suo rapporto con i genitori (in merito si veda Dogliotti, 1160). Peraltro, l'indagine in oggetto non esclude possibilità di disporre una consulenza tecnica ed anzi, attraverso il quadro presentato dai Servizi sociali, il Giudice ben può valutare la necessità di effettuare, o meno, ulteriori approfondimenti istruttori, ove ciò risulti necessario. La consulenza tecnica potrà quindi essere disposta d'ufficio o su richiesta di parte fin dall'inizio ovvero, in un secondo momento, in seguito all'acquisizione di elementi probatori che ne evidenzino la necessità o anche la sola opportunità, nel superiore interesse del minore (in merito alla consulenza tecnica Carpignano, 1568; Grimaldi-Maglietta, 57). La possibilità che l'acquisizione della relazione del Servizio sociale e la consulenza tecnica possano, in astratto, essere disposte in due momenti differenti, conduce l'interprete ad un ulteriore quesito, se in particolare vi siano delle preclusioni in merito all'acquisizione di mezzi di prova durante la fase presidenziale (in merito Arceri, 2015, 1346). Il fondamento della risposta risiede nella natura della decisione da assumersi in forza dell'acquisizione di tali mezzi. Essa, anche se assunta in via provvisoria ed urgente, come sopra già evidenziato riguarda il minore, incidendo sulla sua serena crescita, e tale effetto può difatti realizzarsi sia nella fase conclusiva che in quella presidenziale. Autorevole dottrina ritiene quindi che nei procedimenti di separazione e divorzio (con riferimento al previgente art. 155-sexies c.c.), il Presidente del tribunale possa assumere veri e propri mezzi di prova ai fini della valutazione sommaria che in quella sede è chiamato ad effettuare. In particolare si evidenzia che «la previsione si pone in piena sintonia con i poteri probatori concessi in via generale al giudice cautelare dall'art. 669-sexies, comma 1, c.p.c.» (Salvaneschi, 366). Tuttavia anche se questo in astratto potrebbe condurre a ritenere che l'assunzione dei mezzi di prova possa essere effettuata in qualunque fase, anche stante la formulazione letterale della norma, e dunque anche nella fase presidenziale, deve sempre tenersi conto della natura della predetta (in merito si vedano, particolarmente: Arceri, 2015, 1346; Dogliotti-Figone, 115, Dogliotti, 1052). La circostanza per la quale possano essere assunti dei mezzi di prova non vale, tuttavia, a stravolgere la natura delle singole fasi del procedimento. Sicché, i mezzi di prova dovranno comunque essere assunti nei limiti delle necessità derivanti dalla fattispecie concreta ed in funzione del provvedimento che debba disporsi. Ai fini di un provvedimento provvisorio, in ipotesi, ben potrà essere sufficiente l'acquisizione di una relazione sociale alla quale, nella fase a ciò deputata, potrà seguire la consulenza tecnica. È stato in merito condivisibilmente sottolineata, sotto tale profilo, la natura della fase presidenziale e la necessità di non dilatarne eccessivamente i tempi disponendo attività che hanno già una sede appropriata (Servetti 2007; Arceri, 2015, 1346). Qualora l'assunzione di mezzi di prova si riveli necessaria, potrà quindi essere disposta anche nella fase presidenziale (in merito sempre Servetti, 2015, che dopo le perplessità sopra evidenziate afferma come in seguito alle ultime riforme il il presidente possa procedere ad ogni accertamento che valuti direttamente funzionale alla emanazione dei provvedimenti interinali). Si ritiene opportuno segnalare in questa sede una decisione di merito, che conferma quanto sopra evidenziato, con la quale la Corte d'appello ha affermato che il Presidente del tribunale, nell'adozione di provvedimenti urgenti nell'interesse della prole, non può omettere di provvedere sull'affidamento dei minori e ed è tenuto, in particolare, ad esercitare i poteri officiosi che la legge gli conferisce (App. Napoli, 13 luglio 2007, in Corr. mer., 2007, 1251). Il problema peraltro si pone anche con riferimento all'ascolto del minore (di cui ai paragrafi successivi), in quanto anche con riferimento a tale eventualità la norma (art. 337-octies c.c.), nella sua formulazione letterale, non sembra contenere preclusioni a che ciò e avvenga anche nella fase presidenziale. Il quesito di cui innanzi, circa l'obbligatorietà dell'ascolto del minore, è stato peraltro uno dei primi posti in dottrina in seguito all'introduzione del previgente art. 155-sexies c.c. Alcuni autori, cautamente, hanno affermato che la statuizione in esame non chiarisce se venga in considerazione un obbligo del Giudice o una mera facoltà. Trattasi comunque di una norma di grande rilievo che, tuttavia, necessita di essere applicata con le dovute garanzie, in ragione degli effetti negativi che possono derivarne al minore, non soltanto della sua partecipazione al procedimento ma anche dalla consapevolezza di contribuire in modi determinati alla decisione giudiziale in materia di affidamento (Rossi, 243). Altra dottrina ha invece interpretato l'espressione «il giudice dispone» in termini di obbligatorietà dell'adempimento per il Giudice. In particolare, è stato ritenuto che l'obbligo di ascoltare il minore risponda all'esigenza di tutela forte degli interessi di questi, in considerazione della circostanza per la quale attraverso l'audizione si possa inquadrare meglio le realtà celate nelle pieghe delle memorie ovvero non chiaramente espresse o immediatamente divergenti (Ballarani, 2006, 50; sempre in quest'ottica: Quadri, 393; Danovi, 36; Graziosi, 92, e Contiero, 620). Si è altresì posto il problema di stabilire se l'ascolto sia sempre obbligatorio (sul punto: Russo-Sturiale, 2014, 208) ovvero se il Giudice abbia la facoltà di escludere l'ascolto laddove esso sia pregiudizievole per il minore, alla luce della sua ratio del contenuto del previgente art. 155-sexies c.c. (Arceri, 2007, 210; Rossi, 243). Viene infatti evidenziato che il minore non necessariamente trae giovamento dall'opportunità che gli è concessa la quale deve essere sempre ponderata e valutata anche e soprattutto in riferimento al suo interesse, che, anche in subjecta materia, funge da «stella polare» alla quale devono ispirarsi tutte le decisioni dell'Autorità giudiziaria (Arceri, 2007, 210). Con specifico riferimento alla sopra indicata possibilità di effettuare l'ascolto del minore ai fini dell'emanazione dei provvedimenti provvisori, deve ritenersi che se pur in astratto il minore possa essere sentito alla presenza di particolari circostanze, la natura della fase e la necessità di realizzare l'ascolto nella sede appropriata e con modalità e tempistiche con essa compatibili, rendano detta eventualità del tutto residuale. Autorevole dottrina ha infatti ritenuto preferibile limitare l'ascolto del minore, dinanzi al Presidente, ai casi in cui esso sia richiesto dallo stesso minore o dai genitori ovvero quando dalla lettura degli atti introduttivi emerga una situazione familiare estremamente delicata (Arceri, 2007, 203; contra Salvaneschi, 366, la quale ritiene l'ascolto effettuabile senza preclusioni). In merito, ancorché in ordine al previgente art. 155-sexies c.c., si è acutamente evidenziata una diversità terminologica nel comma 1, valendo, tale osservazione, anche con riferimento all'art. 337-octies c.c., in ragione dell'identità delle due disposizioni, con possibilità poi di estendersi anche ai provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio. In particolare, il legislatore con riferimento all'assunzione dei mezzi di prova, utilizza l'espressione «può assumere» mentre con riferimento all'ascolto del minore utilizza la più perentoria espressione «Il giudice dispone inoltre l'ascolto del minore». L'uso del presente indicativo sembrerebbe imporre l'ascolto del minore, attraverso una applicazione rigida delle Convenzioni internazionali, così da renderlo un «passaggio obbligato prima dell'assunzione di qualsiasi provvedimento». Così facendo tuttavia si anticiperebbe l'ascolto del minore dinanzi ad un'autorità che, in quel momento, non può essersi fatta alcuna idea circa la situazione del nucleo familiare nel suo complesso ed i tempi di fissazione e trattazione delle relative udienze «finirebbero con il dilatarsi a dismisura». È stato quindi proposto di leggere la disposizione nel senso di scindere il primo comma in due parti, ipotizzandosi che l'audizione sia sì sempre un passaggio obbligato ma da collocarsi nel momento processuale più opportuno, lasciandone l'individuazione al giudice istruttore. Tale ricostruzione, per i suoi sostenitori, avrebbe l'innegabile vantaggio di garantire il mantenimento dei tempi normali di fissazione dell'udienza presidenziale e, al tempo stesso, di consentire al Giudice istruttore di trovare il momento e, quindi, le modalità convenienti per il suo contatto con il minore, diretto o mediato. Tale opzione ermeneutica, peraltro, non esclude la possibilità per il Presidente di procedere comunque all'ascolto, in considerazione della concreta situazione (Servetti 2007). L'ascolto del minoreL'art. 337-octies c.c. prevede quindi, così come il previgente art. 155-sexies c.c., il dovere del giudice di effettuare l'ascolto del minore che abbia compiuto dodici anni ovvero di età inferiore, se capace di discernimento. Esso è espressione di quel fondamentale canone di civiltà giuridica in ragione del quale non si può consentire lo svolgersi e l'esaurirsi di un procedimento giurisdizionale, tale da influire, in modo decisivo, sulla vita di un soggetto altrimenti privo di tutela senza che costui abbia avuto la possibilità di portare a conoscenza dell'organo decidente propri desideri ed opinioni (così Arceri, 2007, 200). Una ricostruzione, ancorché necessariamente di sintesi, della posizione assunta dalla giurisprudenza nel periodo precedente alla emanazione del previgente art. 155-sexies c.c. deve muovere da Cass. I, n. 6621/1991. Essa aveva affermato, in un'ottica non privilegiante l'ascolto del minore, che il Giudice nel disporre l'affidamento della prole in sede di divorzio o di revisione dei provvedimenti ivi assunti, avrebbe dovuto decidere con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale dei figli. Pertanto egli non avrebbe potuto attribuire valore decisivo alle scelte preferenziali manifestate dai minori durante la loro audizione personale bensì seguire la soluzione più idonea a garantire la formazione della loro corretta personalità oltre che l'armonioso sviluppo psicofisico, previa valutazione di tutti gli elementi influenti su tale risultato. Successivamente però la Suprema Corte, ancorché con statuizione sempre risalente nel tempo, aveva invece ritenuto l'ascolto in oggetto espressione di un'esigenza intesa ad attribuire rilievo alla personalità e alla volontà del minore, in relazione a provvedimenti che solo nel suo interesse trovano la loro ragion d'essere. Con la conseguenza che i provvedimenti nell'interesse del minore non vanno stabiliti a priori, sulla base di un generico criterio di adeguatezza, ma devono essere rapportati alle reali esigenze del caso concreto, che non possono non emergere da un diretto colloquio col soggetto interessato. Tale principio è stato applicato in fattispecie nella quale il Giudice di merito aveva dichiarato lo stato di adottabilità di un minore infradodicenne senza averlo sentito personalmente (Cass. I, 6899/1997, in Dir. fam. e pers., 1998, 1, 54, con nota di Mollica). È però la Corte costituzionale, tuttavia, a riconoscere, nel 2002, l'importanza dell'ascolto del minore alla luce della normativa comunitaria, che per prima lo ha disciplinato. La Consulta ha osservato in particolare che, ex art. 12, comma 1, della citata Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, il minore capace di discernimento ha diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessi. Il successivo comma 2 precisa che, ai fini di cui innanzi, il minore avrà comunque la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura, giudiziaria o amministrativa, che lo concerna, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale. Tale ultima prescrizione, entrata a far parte dell'ordinamento giuridico italiano, ha integrato inizialmente — ove necessario — la disciplina dell'art. 336, comma 2, c.c., nel senso di configurare il minore come parte del procedimento, con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale ai sensi dell'art. 78 c.p.c. (Corte cost., n. 1/2002). Quanto innanzi è stato quindi affermato ancora prima dell'introduzione dell'art. 155-sexies c.c., della nuova formulazione dell'art. 336 c.c. e dunque prima dell'introduzione degli articoli 336-bis c.c., 315-bis c.c. e 38-bis disp. att. c.c. oltre che della disposizione in commento (art. 337-octies c.c.). Al successivo intervento nomofilattico delle Sezioni Unite della Suprema Corte (del 2009) si deve però il riconoscimento in capo al minore di un vero e proprio diritto soggettivo ad essere ascoltato. in particolare nella fattispecie fatta oggetto di Cass. S.U., n. 22238/2009 i minori, nelle more della definizione del procedimento di secondo grado, avevano compiuto rispettivamente dodici e dieci anni ed il Procuratore Generale aveva esplicitamente chiesto l'istruzione ulteriore della causa e la loro audizione. La Corte d'appello, con riferimento alla detta specifica richiesta, non si era pronunciata, sebbene, come esplicitano le stesse citate Sezioni Unite, la Suprema Corte avesse già affermato la sussistenza dell'obbligo di motivazione in ordine alla richiesta in esame ed al relativo rigetto. Nel descritto contesto le citate Sezioni Unite, pur negandone la qualifica di parti (formali) del procedimento, richiamando Corte cost., n. 1/2002 ha ritenuto che i minori sono «portatori di interessi contrapposti o diversi da quelli dei genitori in sede di affidamento o di disciplina del diritto di visita del genitore non affidatario e, per tale profilo, qualificati parti in senso sostanziale». La loro mancata audizione, pertanto, costituirebbe violazione del contraddittorio e dei principi del giusto processo, atteso che la verificata esistenza di interessi rilevanti dei minori renderebbe necessaria la loro audizione (Cass. S.U., n. 22238/2009, in Guida al dir., 2009, n. 48, 36, con nota di Finocchiaro). Conclusivamente, sul punto, la Suprema Corte, ha affermato che l'audizione dei minori, già prevista nell'art. 12 della citata Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giurisdizionali che li riguardino, in particolare in quelle relative al loro affidamento. Ciò anche ai sensi dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (ratificata dall'Italia con l. n. 77/2003), nonché dell'art. 315-bis c.c. (introdotto dalla l. n. 219/2012) e degli artt. 336-bis e 337-octies c.c. (inseriti dal d.lgs. n. 154/2013, che ha altresì abrogato l'art. 155-sexies c.c. Ne consegue che l'ascolto del minore avente almeno dodici anni, ma anche di età inferiore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni, nei procedimenti che lo riguardino, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse (Cass. I, n. 6129/2015, in questo senso altresìCass. I, n. 12018/2019). L'«ascolto», come sopra evidenziato, quindi non costituisce un mezzo di prova ma, nell'attuale interpretazione giurisprudenziale, da un lato, è strumento tramite il quale il minore ha la possibilità di rappresentare la propria volontà, di partecipare al giudizio e di esprimere la «propria posizione rispetto alla decisione» e, dall'altro, costituisce elemento per il Giudice di primaria importanza ai fini della decisione più idonea a tutelarlo ed a garantire il rispetto dei suoi diritti fondamentali, di cui all'art. 315-bis c.c. (in merito si veda sub art. 336-bis c.c.). Esso costituisce quindi «un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentanti dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto» (Cass. I, n. 11687/2013). Autorevole dottrina condivide l'assunto per il quale l'ascolto non debba e non possa essere inteso quale mezzo di prova (tra i tanti: Contiero, 630; Arceri, 2007, 202, e Danovi, 36). Sicché, il Giudice nell'assumere provvedimenti riguardanti i figli, deve tenere in considerazione la volontà del minore ed ove intenda discostarsene è tenuto non solo a sentirlo ma, soprattutto, a considerare la sua volontà, motivando adeguatamente l'eventuale decisione contraria alla stessa (Cass. I, n. 7762/2017) con un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore (Cass. I, n. 7773/2012; in merito si vedano anche: Cass. I, n. 5237/2014, in Nuova giur. civ. comm., 2014, 793, con nota di Taccini, e Cass. I, n. 3319/2017, in tema di ascolto del minore nei procedimenti di sottrazione internazionale, Cass. I, n. 16569/2021; Cass. I. n. 1474/2021; Cass. I. n. 16410/2020). Circa le conseguenze derivanti dal mancato ascolto del minore, nel ribadire in questa sede quanto già esplicitato con riferimento agli artt. 336-bis c.c. e 315-bis c.c. (ai cui relativi commenti si rinvia), deve rimarcarsi che tale omissione, in quanto adempimento necessario nei procedimenti che riguardanti il minore, determina la nullità della relativa decisione (ex plurimis: Cass. VI-I, n. 17992/2013 ; Cass. I, n. 5847/2013 ; Cass. I, n. 11687/2013 ; Cass. I, n. 19007/2014; Cass. I, n. 12957/2018; Cass. I, n. 1474/2021; Cass. I, n.23804/2021; ), suscettibile di essere fatta valere nei limiti di cui all' art. 161 c.p.c. (ex plurimis: Cass. I, n. 11687/2013 , e Cass. I, n. 7479/2014 , la quale specifica che il mancato ascolto costituisce lesione del diritto al contradditorio così come Cass. I, n. 16410/2020; si veda altresì il commento relativo ai precedenti artt. 336-bis c.c. e 315-bis c.c., ai quali si fa rinvio). La possibile esclusione dell'ascolto del minore: presupposti e casiIn ragione di quanto innanzi chiariti, l'«ascolto» è oramai un adempimento necessario nelle procedure che riguardano il minore salvo che il Giudice ritenga, con provvedimento motivato, che esso possa essere in contrasto con gli interessi superiori del minore ovvero arrecargli pregiudizio. In primo luogo l'ascolto non dovrà essere effettuato laddove il minore non sia dotato di capacità discernimento da accertarsi in concreto dall'Autorità giudiziaria (Cass. I, n. 3540/2014; Cass. I., n. 752/2015); così come potrà essere escluso ove possa determinare un pregiudizio per il minore e per il suo equilibrio (in merito Cass. I, n. 16753/2007; Cass. I, n. 12957/2018; da ultimo Cass. I, n. 24626/2023). Tanto è stato recentemente ribadito anche in tema di attribuzione di cognome ex art. 262 c.c. ed è stato quindi escluso l'ascolto di un minore, di età inferiore ai 6 anni, che proprio in considerazione dell'età è stato ritenuto incapace di discernere, in relazione alla materia trattata, il proprio intendimento (Cass. I, n. 4246/2019). Sicché, così come osservato dalla Suprema Corte, l'audizione del minore deve essere esclusa oltre che per la valutazione di non idoneità del minore a renderla, per età o stati psichici particolari, anche nel caso in cui la stessa, per quanto protetta, possa arrecare danni gravi alla serenità del destinatario (Cass. I, n. 9094/2007, in fattispecie relativa ad una sottrazione internazionale). In questo senso non può dunque considerarsi legittima l'esclusione dell'ascolto del minore basato sul presupposto che sia stato già sentito in altra sede ed in forza della ritenuta inutilità dell'adempimento, alla luce della sua incapacità di «esprimere liberamente e consapevolmente una sua propria volontà per essere in balia di un conflitto di lealtà nei confronti dei genitori» (Cass. I, n. 18649/2017). Enunciato l'anzidetto principio, il Giudice di legittimità ha peraltro precisato che nel caso di specie, caratterizzato dall'opposizione della minore al rientro nel Paese di abituale residenza, il Giudice avrebbe dovuto motivare in merito alle «ricadute emotive misurabili in termini di compromissione dello stato di benessere psico-fisico della minore» (Cass. I, n. 18649/2017, in tema di sottrazione internazionale di minore nell'ambito della quale quest'ultima non era stata sentita Tribunale per i minorenni). Non può altresì ritenersi legittima l'esclusione dell'ascolto del minore per ragioni di opportunità derivanti dal mero dato anagrafico (Cass. I, n. 17201/2011). In relazione ai giudizi relativi alla modifica delle statuizioni sull'affidamento o sul collocamento del minore, tenuto conto anche di fattori sopravvenuti quali la modifica della residenza, è stato inoltre affermato che ove lo stesso sia prossimo alla soglia legale del discernimento e sia stata formulata istanza di rinnovo della audizione, il giudice di secondo grado deve procedere all'ascolto o fornire puntuale giustificazione argomentativa del rigetto della richiesta, non essendo di per sé sufficiente che il minore sia stato sentito nel precedente grado di giudizio (Cass. I. n. 6503/2023; in questo senso altresì Cass. I, n. 9691/2022) espressamente che nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il Giudice possa non effettuare l'ascolto, se in contrasto con l'interesse del minore o manifestamente superfluo. L'audizione non è necessaria laddove il minore sia stato già sentito, in un arco di tempo breve, salvo che non lo rendano necessario specifiche circostanze, dovendosi sempre considerare l'effetto che l'ascolto ha anche sulla serenità del predetto (si veda Cass. I, n. 6129/2015, in tema di reiterazione dell'ascolto del minore). Il Giudice peraltro dovrà tenere conto dell'eventuale volontà del minore di non essere ascoltato (in merito Ballarani, 2010, 1807). In questa sede può aggiungersi però che, laddove la decisione verta su circostanze pacificamente acclarare o note ovvero su questioni di carattere meramente patrimoniale, l'ascolto del minore non solo non avrebbe (né potrebbe avere) una qualche utilità per il processo ma potrebbe recare un danno, ancorché potenziale, per il minore. Egli sarebbe difatti chiamato ad esprimere, in ipotesi, la propria volontà rispetto a circostanze sulle quali la sua dichiarazione non potrebbe incidere in un alcun modo. Peraltro, una conferma della non necessità dell'ascolto del minore in tema di questioni patrimoniali, è ravvisabile nella norma contenuta nell'art. 371 c.c. che prevede, in tema di tutela, che il Giudice tutelare senta il minore che abbia compiuto gli anni dieci, solo con riferimento alle questioni relative alla cura ed all'educazione. Sul punto si è pronunciata la giurisprudenza di merito escludendo che il minore possa essere sentito in ordine a questioni di natura patrimoniale ovvero su circostanze del tutto minimali, evidenziandosi la necessità dell'ascolto per le questioni relative alla cura personae e non per quelle relative alla cura patrimonii (Trib. Milano, 20 marzo 2014, in ilcaso.it, che, peraltro, ha escluso l'ascolto in ragione della tenera età del minore e per l'esistenza di un accordo tra le parti circa l'esercizio della responsabilità genitoriale). È stato in un caso anche escluso l'ascolto del minore con riferimento a questioni e circostanze irrilevanti per la vita del minore stesso, ricorrendone le condizioni ritenute legittimanti la detta omissione (Trib. Milano, 30 marzo 2014, in ilcaso.it). Le modalità dell'ascoltoL'ascolto è previsto con riferimento a minore avente compiuto i dodici anni ma anche di età inferiore purché dotato di capacità di discernimento. Il legislatore, nel primo caso, ha adottato una presunzione semplice mentre nei confronti degli infradodicenni ha previsto che debba procedersi ad una valutazione, caso per caso, della capacità di discernimento. Sicché, ogni qualvolta debba essere assunta una decisione che riguardi la prole di età inferiore agli anni dodici dovrà preliminarmente essere verificata la sussistenza di tale capacità e solo in caso di esito positivo potrà disporsi l'ascolto del minore, diretto o indiretto del minore; laddove per l'ultradodicenne potrebbero comunque venire in rilievo circostanze tali da fa propendere per il superamento della presunzione legale di cui innanzi. Per capacità di discernimento deve intendersi la capacità di distinguere e, dunque, di scegliere. Trattasi dunque della capacità del minore di comprendere ciò che è utile per sé, alla stregua della capacità di operare scelte autonome senza subire l'influenza della volontà di altri soggetti (De Leonardis, 20). Le modalità attraverso le quali può essere effettuato l'ascolto sono varie. La prima, espressamente prevista dal legislatore, contempla che vi provveda personalmente il Giudice (inteso quale Presidente del tribunale o un Giudice da lui delegato). Accanto a tale possibilità vi è quella dell'ascolto tramite il consulente tecnico (in merito, ex plurimis: Cass. VI-I, n. 17992/2013, e Cass. I, n. 7282/2010; Cass, I, n.4792/2020). Tale adempimento, ai fini della sua corretta attuazione, impone che il minore, ove non venga disposto l'ascolto diretto da parte del Giudice, sia interpellato o esaminato da soggetti investiti di specifica delega. Quest'ultima deve contemplare anche il dovere di informare il minore in merito al procedimento in oggetto. In applicazione di tale principio la Suprema Corte ha cassato la decisione del giudice di merito emessa sulla base di acquisite relazioni dello psicologo dell'ASL, senza che il minore fosse stato reso edotto del procedimento ed avesse in quella sede espresso la propria volontà (Cass. I, n. 11687/2013). Sempre in questo senso è stato affermato che l'ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento, adempimento previsto a pena di nullità, non può essere sostituito dalle risultanze di una consulenza tecnica di ufficio, la quale adempie alla diversa esigenza di fornire al giudice altri strumenti di valutazione per individuare la soluzione più confacente al suo interesse (Cass. I., n. 23804/2021). A prescindere dalla tipologia dell'«ascolto», diretto o indiretto, può comunque aggiungersi in questa sede che il minore potrà comunque essere sentito in appositi locali del tribunale ovvero nel luogo ritenuto maggiormente idoneo, in considerazione della situazione esistente e di quella dello stesso minore. In merito la Suprema Corte ha rimarcato che l'ascolto del minore non costituisce un atto d'indagine bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore stesso, dovendo svolgersi in modo tale da garantire l'esercizio effettivo del su diritto di esprimere liberamente la propria opinione. Sicché, «al Giudice deve essere riconosciuta la facoltà di adottare tutte le cautele e le modalità suggerite dalle circostanze onde superare la straordinaria asimmetria che si frappone tra la posizione del fanciullo (es. il suo stato emotivo) ed il contesto relazionale ed ambientale in cui lo stesso viene ascoltato» (Cass. I, n. 7282/2010, in Fam. e dir., 2011, 268, con nota di Lea). Tra le cautele adottabili, vi rientra, nell'ottica di cui innanzi, anche la facoltà di vietare l'interlocuzione con i genitori e/o con i difensori, nonché di sentire il minore da solo oltre che quella di delegare l'audizione ad un organo più appropriato e professionalmente preparato (Cass. I, n. 7282/2010; sul punto si veda altresì Cass. I, n. 18132/2002). È altresì possibile delegare per l'ascolto gli assistenti sociali, in ragione, in ipotesi, dell'elevata conflittualità esistente tra i genitori. Come statuito da Cass. I, n. 7479/2014, nell'ambito di un procedimento per sottrazione internazionale di minorenne ed in fattispecie nella quale quest'ultimo era stato sentito dai servizi sociali ed il Giudice, adeguatamente motivando in merito, aveva ritenuto di non effettuare l'ascolto del minore in forza della situazione gravemente conflittuale esistente tra i genitori. Durante l'ascolto, possono, e non devono, essere presenti i difensori ed il Pubblico ministero, ciò dipenderà dal caso concreto, sebbene, ove il Tribunale ne sia provvisto sarà sempre preferibile che gli stessi possano partecipare all'ascolto «a distanza» (ove possibile usufruendo di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico). Del resto la loro partecipazione è altresì garantita dalla possibilità di presentare al Giudice argomenti o temi di approfondimento da trattare durante l'ascolto e successivamente essi potranno visionare il verbale redatto. È infatti auspicabile che vi sia sempre una verbalizzazione, quanto più possibile rappresentativa sia del contegno fisico che delle dichiarazioni rese dal minore, al fine di consentire la ricostruzione della sua volontà e cristallizzarla nel verbale. Conclusivamente, può convenirsi l'assunto per il quale l'«ascolto» costituisca un adempimento necessario nei procedimenti che riguardanti il minore, salvo che sia manifestamente superfluo ovvero pregiudizievole per il minore, costituendo dunque la sua omissione, in ipotesi differenti da quelle di cui innanzi, causa di nullità della conseguente decisione (Cass. I, n. 19327/2015, in fattispecie relativa all'ascolto di un minore di anni dieci, capace di discernimento, che aveva invano fatto richiesta di essere sentito ed in assenza di talune delle circostanze ritenute tali da consentire l'esclusione dell'«ascolto»). La mediazione familiareL'alto grado di conflittualità che si riscontra nei giudizi di separazione e divorzio ed il pregiudizio che ne consegue, soprattutto a carico dei figli minori, impongono la ricerca di strumenti che aiutino i coniugi-genitori ad un dialogo costruttivo (Bianca, 201; sull'argomento si veda anche Bellisario-Mazzoni, passim) e, soprattutto, sembrerebbe il caso di aggiungere in questa sede, che li coadiuvino nella ricerca della soluzione condivisa nel superiore interesse della prole. Tra essi si colloca la mediazione familiare, quale opera psicologica diretta a mettere in contatto i familiari per aiutarli a comprendere le ragioni del loro conflitto ed i loro comuni interessi (Bianca, 202). La Carta europea del 15 ottobre 1992, sulla formazione dei mediatori familiari nelle situazioni di separazione e divorzio, definisce la mediazione familiare un processo in cui il mediatore terzo viene sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dal sistema giudiziario, per fronteggiare la riorganizzazione necessaria dalla separazione, nel rispetto del quadro legale esistente. La mediazione opera dunque per ristabilire la comunicazione tra coniugi-genitori e per il perseguimento del concreto obiettivo costituito dalla realizzazione di un progetto di organizzazione delle relazioni in seguito a separazione o divorzio. In merito, l'art. 337-octies c.c, nel riprodurre il testo del secondo comma del previgente art. 155-sexies c.c., prevede che il Giudice, se lo ritenga opportuno, sospenda l'adozione dei provvedimenti riguardanti la prole per consentire ai genitori di tentare la mediazione avvalendosi di esperti, dopo averli sentiti ed averne acquisito il consenso. La disposizione consente dunque al Giudice di sospendere l'adozione, in qualsiasi momento, dei provvedimenti di cui all'art. 337-ter c.c., non prevedendo preclusioni di sorta; sicché, è ben possibile che essa avvenga durante la fase presidenziale, prima dell'adozione dei detti provvedimenti (in merito si vedano: Dogliotti-Figone, 127; Dogliotti, 1064; Padalino, 221; Defilippis, 196). La scelta di rimettere alla discrezionalità del Giudice l'opportunità di attivare la mediazione tra i genitori può, in questa sede, ritenersi condivisibile in quanto solo il giudicante, in seno al procedimento pendente e grazie ad esso, potrà verificare l'ampiezza e la gravità del conflitto e quindi valutare margini apprezzabili di raggiungimento di una soluzione quanto più possibile condivisa, sempre nel superiore interesse dei figli minori. La disposizione di cui all'art. 337-octies c.c. conferma l'esistenza del potere discrezionale del Giudice (già previsto dal previgente art. 155-sexies c.c.) di rimettere le parti dinanzi ad un mediatore affinché, in quella sede, nascano accordi, tra i coniugi, intesi a regolamentare il nuovo menage familiare successivo alla crisi coniugale. In questi termini, per la giurisprudenza di merito, si veda Trib. Lamezia Terme, 28 novembre 2007 (in Nuova giur. civ. comm., 2008, 943) in fattispecie in tema di divorzio alla quale è stata ritenuta applicabile, in via analogica, la disposizione di cui all'art. 155-sexies c.c., nella formulazione vigente (antecedentemente alla novella del 2013), ove il mediatore è stato ritenuto un ausiliario del giudice (in tale ultimo senso si esprima anche Trib. Bari, 21 novembre 2000, in Fam e dir., 2001, 72; diversamente si è espresso il Trib. Catania, 16 dicembre, 2019 in relazione al coordinatore genitoriale in Il familiarista. it). In senso contrario all'attribuzione al mediatore della veste processuale di ausiliario del Giudice si pone attenta dottrina. Egli è in particolare inteso quale professionista terzo ma non ausiliario del Giudice, che agisce quindi al di fuori del processo, appunto sospeso in attesa degli esiti della mediazione. Il mediatore, è stato in particolare osservato, con la sua attività non mira a perseguire l'interesse di alcuna delle parti ma a trovare la soluzione più idonea ad elidere la conflittualità esistente (In merito alla qualificazione del mediatore come nuova figura extraprocessuale si veda Arceri, 2007, 216). Il Mediatore ha l'obbligo del segreto e non è tenuto a relazionare al Giudice in merito al mancato raggiungimento dell'accordo e, soprattutto, in ordine alle ragioni che hanno determinato il fallimento della mediazione. Se così on fosse, le parti, ab origine, non sarebbero indotte ad aderire alla mediazione per la paura delle possibili conseguenze pregiudizievoli, in danno della finalità sottesa alla sospensione del procedimento, caratterizzata dal perseguimento degli interessi preminenti dei figli ( Bianca, 205). Deve peraltro osservarsi che il mediatore può essere sia un professionista specializzato sia un operatore del servizio sociale al quale può essere attribuito il compito di prestare assistenza psicologica e sociale alla famiglia (Buttiglione, 10). In merito all'applicabilità dell'istituto in esame ai casi di scioglimento del matrimonio, si è espresso favorevolmente Trib. Milano, 14 ottobre 2015. Nella fattispecie, dopo aver richiamato gli effetti della l. n. 98/2013, sul d.lgs. n. 28/2010, si evidenzia che il Giudice è titolare di una nuova facoltà squisitamente processuale utilizzabile indipendentemente dalla natura della controversia e quindi anche in controversie familiari aventi ad oggetto il recupero di un credito insoddisfatto. Nessun obbligo di aderire ad un percorso di mediazione familiare può però essere imposto, sembra appena il caso di evidenziare in questa sede, contrastando l'imposizione con la stessa natura del procedimento volto invece al raggiungimento di un accordo al quale i coniugi-genitori dovrebbero spontaneamente aderire, per far sì che esso possa poi essere rispettato, sempre nel superiore interesse della prole. Si ritiene, infine, che la mediazione possa peraltro coinvolgere ogni aspetto della decisione, anche di natura patrimoniale, che riguardi i figli. Ciò sarebbe funzionale ad un più rapido e semplice passaggio dal rito contenzioso a quello consensuale ed avrebbe altresì l'indubbio vantaggio di ridurre i tempi del processo, evitando un'indagine spesso dolorosa sulle vicende intime della famiglia (Dogliotti, 1067, Dogliotti- Figone, 127, 37). 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Prime osservazioni e nodi problematici, in spaziomef.it; Servetti Separazione e divorzio: udienza presidenziale, 17 giugno 2015 in il Familiarista.it |