Codice Civile art. 336 - Legittimazione ad agire 123.

Annachiara Massafra

Legittimazione ad agire 123.

[I]. I provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso dell'altro genitore, dei parenti , del curatore speciale se già nominato o del pubblico ministero [69 c.p.c.] e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato45.

 

[II].I genitori e il minore sono assistiti da un difensore6.

 

[1] Rubrica sostituita dall'art. 1, comma 4, lett. d), n. 4, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". Si riporta il testo anteriore alla suddetta modificazione«Procedimento». 

[2] Articolo così sostituito dall'art. 157 l. 19 maggio 1975, n. 151.

[3] Per la disciplina transitoria v. art. 12d.l. 1° luglio 2002, n. 126, conv., con modif., in l. 2 agosto 2002, n. 175: «In via transitoria e fino alla emanazione di nuove disposizioni che regolano i procedimenti di cui all'articolo 336 del codice civile, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai medesimi procedimenti continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 24 aprile 2001, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2001, n. 240». Il suddetto termine è stato prorogato:

- al 30 giugno 2004 dall'art. 15 d.l. 24 giugno 2003, n. 147, conv., con modif., in l. 1° agosto 2003, n. 200;

- al 30 giugno 2005 dall'art. 2 d.l. 24 giugno 2004, n. 158, conv., con modif., in l. 27 luglio 2004, n. 188;

- al 30 giugno 2006 dall'art. 8 comma 2 d.l. 30 giugno 2005, n. 115, conv., con modif., in l. 17 agosto 2005, n. 168;

- al 30 giugno 2007 dall'art. 1 comma 2 l. 12 luglio 2006, n. 228.

[4] Comma modificato dall'art. 1, comma 4, lett. d), n. 1, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149  che ha inserito le parole «, del curatore speciale se già nominato» dopo le parole  «dei parenti» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".Il presente comma era dapprima stato aggiunto dall'art. 373l. 28 marzo 2001, n. 149 e successivamente modificato dall'art. 299 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che aveva abrogato le parole «anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge» che figuravano dopo la parola «difensore».

[5] Gli originari  secondo e terzo comma sono abrogati dall'art. 1, comma 4, lett. d), n. 2, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". Si riporta il testo anteriore alla suddetta modificazione«Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero; dispone, inoltre, l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito. - In caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche di ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio». Precedentemente l'originario secondo comma era stato sostituito dall'art. 52, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Il testo precedente recitava: «Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

[6] Comma modificato dall'art. 1, comma 4, lett. d), n. 3, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149  che ha sostituito le parole «I genitori» alle parole «Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".Il presente comma era dapprima stato aggiunto dall'art. 373l. 28 marzo 2001, n. 149 e successivamente modificato dall'art. 299 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che aveva abrogato le parole «anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge» che figuravano dopo la parola «difensore».

Inquadramento

La disposizione in esame ha disciplinato, il procedimento attraverso il quale possono essere adottati i provvedimenti de potestate, modificativi o ablativi della responsabilità genitoriale, di cui alle norme precedenti.

L'art. 336 c.c. è stato oggetto di diversi interventi legislativi nel corso degli ultimi anni. Dapprima con la l. 28 marzo 2001, n. 149 è stata introdotta la disposizione per la quale il genitore ed il figlio debbano essere assistiti (comma 4) da un difensore. Successivamente, il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ha abrogato l'originario inciso «anche a spese dello stato» (di cui al comma 4) ed il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il comma 2, ai sensi del quale il Tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il Pubblico ministero, disponendo altresì l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici ovvero di età inferiore ma capace di discernimento. A seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 è stata modifica la rubrica, oggi intitolata “legittimazione ad agire”,  sono stati abrogati i commi  secondo e terzo e modificati i restanti. 

La disposizione prevede che sia i genitori che il minore debbano essere assistiti da un difensore ed individua i soggetti legittimati a proporre il ricorso  includendovi tra questi il curatore speciale del minore, ove già nominato.

La necessità della nomina del curatore speciale del minore, a pena di nullità, nei giudizi riguardanti l'adozione di provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale, era stata da tempo affermata dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. I, n. 38719/2021): tale nomina è oggi prevista esplicitamente dagli artt. 78 e 473-bis.8 c.p.c.

Il procedimento avente ad oggetto l'adozione di provvedimenti de potestate è  oggi disciplinato dal titolo IV-bis del codice di procedura civile, introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ed è applicabile ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023.

 In precedenza, comunque, si era osservato come nel tempo fosse stato fortemente giurisdizionalizzato il procedimento dinanzi al Tribunale per i minorenni e tale circostanza era stata oggetto di attenta valutazione da parte di Cass. I, n. 23633/2016, tanto da essere posta a fondamento, insieme ad altre circostanze, della ritenuta possibilità di ricorrere per Cassazione avverso i decreti ablativi e limitativi della responsabilità genitoriale.

In considerazione del rito camerale previsto per i citati procedimenti, la dottrina aveva ritenuto che la pronuncia del Tribunale per i minorenni non avesse ad oggetto un diritto soggettivo perfetto bensì le sole modalità di esercizio del diritto medesimo (in merito e per una ricostruzione della questione in connessione con il rito camerale, si veda Lai, 728).

Il procedimento ed i soggetti legittimati secondo l’art. 336 c.c. nella formulazione antecedente al d.lgs. n. 149/2022

Legittimati a presentare i ricorsi de potestate sono: il Pubblico ministero presso il Tribunale per i Minorenni, l'altro genitore, i parenti, e lo stesso genitore interessato qualora si tratti di revocare deliberazioni già adottate nei suoi confronti (in questo senso Bucciante, 668).

Sono esclusi dal novero dei soggetti legittimati lo stesso minore, i servizi sociali e gli affini. Tuttavia, in caso di inerzia da parte dei parenti legittimati, soccorre il Pubblico ministero che ben può agire a seguito delle segnalazioni e denunce. Il detto Ufficio, difatti, nell'ambito dei procedimenti de potestate  assume una posizione di rilievo, essendo il Pubblico ministero litisconsorte necessario e potendo promuovere, anche su sollecitazione dello stesso minore o dei servizi sociali, il ricorso  de potestate  nonché impugnare i provvedimenti pronunciati dal Tribunale per i minorenni all'esito del relativo procedimento (Dogliotti, 540).

Sono altresì esclusi dal novero dei soggetti legittimati ad agire gli affidatari del minore, ex art. 5, comma 1, l.n. 184/1983, così come sostituito dalla l. n. 173/2015.

Essi, tuttavia, devono essre convocati a pena di nullità nei procedimenti in oggetto e hanno la facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore oltre a poter rivolfgere richieste o segnalazione al PM affinchè attivi il procedimento, Gli affidatari, infine, sono legittimati a far valere la violazione degli artt. 315-bis e 336-bis c.c. per la mancata audizione del minore nei procedimenti de potestate in quanto tale censura attiene al diverso aspetto della proroga dell'affidamento eterofamiliare per cui hanno presentato richiesta (Cass.. I, n. 18542/2019).

Sempre circa la legittimazione ad agire, si ritiene che gli uniti paranti che possono presentate un ricorso de potestate siano quelli entro il sesto grado (Pelosi, 415), ai quali, sempre deve essere aggiunto il genitore privo dell'esercizio della responsabilità genitoriale (Pelosi, 416; Finocchiaro-Finocchiaro, 2203).

È stata evidenziata, criticandola, la differenza della posizione processuale del minore nei procedimenti  de potestate  ed in quello di cui all'art. 321 c.c. In quest'ultima fattispecie infatti egli può adire direttamente il giudice per far valere un proprio diritto mentre in caso di condotte potenzialmente pregiudizievoli, poste in essere dal genitore, il figlio non può adire direttamente il giudice per chiedere un provvedimento in sua tutela (Vercellone, 1308; Pelosi, 414). L'evidenziata diversità, tuttavia, è giustificata dalla diversità dell'oggetto del procedimento, l'uno relativo alla amministrazione del patrimonio del minore, l'altro all'esercizio della responsabilità nei confronti del figlio che rende inopportuna la partecipazione del minore, in qualità di parte, nel procedimento de potestate che lo riguarda direttamente e che è spesso teatro del conflitto tra i genitori (in merito ed in questo senso si vedano: Bucciante, 668, Vercellone, 1308).

Diversamente, parte di dottrina sviluppatasi prima della novella legislativa del 2012-2013, ritiene che alla luce degli ultimi interventi legislativi ed in virtù della normativa internazionale, in forza di un'interpretazione evolutiva e sistematica della norma in commento, in collegamento con gli artt. 316 e 321 c.c., il minore possa agire in giudizio per ottenere un provvedimento nel suo interesse (Busnelli, 66). Il riconoscimento della legittimazione ad agire e di partecipare ai giudizi in tema di potestà, secondo questo orientamento, offre al minore la possibilità di far valere le sue ragioni e, se capace di discernimento, di operare scelte autonome con l'intervento del Giudice specializzato e dei servizi sociali (La Rosa, 1050).

In seguito alle varie novelle intervenute anche con riferimento all'art. 336 c.c., susseguitesi nel tempo ed in particolare dal 2001 fino all'ultima del 2013, sono stati introdotti tre «obblighi» nel procedimento in esame:

l'obbligo del Tribunale di sentire il genitore nei cui confronti il provvedimento deve essere adottato;

l'obbligo di assistenza di un difensore per il genitore e per il minore nei procedimenti de potestate (si ricorda tuttavia che è stato abrogato, dall'art. 299 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, l' inciso finale del terzo comma che recitava «anche a spese dello stato nei casi previsti dalla legge»);

l'obbligo del Tribunale di sentire il minore che abbia compiuto dodici anni ovvero di età inferiore ma che abbia capacità di discernimento.

L'art. 336 c.c. stabilisce, quindi, quali sono i soggetti legittimati a presentare il ricorso, dispone che sia i genitori che il minore siano assistiti da un difensore, afferma l'obbligo di ascolto del minore che abbia compiuto i dodici anni, ovvero di età inferiore se capace di discernimento. A ciò si aggiunga che il decreto  che dispone la limitazione o la decadenza della responsabilità genitoriale incide su diritti di natura personalissima ( in merito Cass. I., n. 26633/2016 ).

Ciò determina, inevitabilmente, delle conseguenze sul piano processuale ed in particolare determina la necessità che in caso di conflitto tra il minore ed i genitori, parti necessarie del procedimento, debba essere nominato un curatore speciale.

In questi termini si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione che, con decisione n. 5256 del 2018, ha specificato che nei giudizi de potestate, che riguardino entrambi i genitori ed ove non sia stato nominato un tutore provvisorio, l'art. 336, comma quarto, richiede la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. stante la presenza di un conflitto di interessi con entrambi gli esercenti la responsabilità genitoriale (da ultimo in questo senso Cass. I, n. 11786/2021).

La Corte di Cassazione peraltro nei procedimenti che incidono sulla responsabilità genitoriale afferma che la posizione del figlio risulta sempre contrapposta a quelle di entrambi i genitori, anche quando il provvedimento venga richiesto nei confronti di uno solo di essi, non potendo in questi casi stabilirsi ex ante la coincidenza e l'omogeneità dell'interesse del minore con quello dell'altro genitore e dovendo pertanto trovare applicazione il principio “ secondo cui  è ravvisabile il conflitto di interessi tra chi è incapace di stare in giudizio personalmente ed il rappresentante legale - con conseguente necessità della nomina d'ufficio di un curatore speciale che rappresenti ed assista l'incapace - ogni volta che l'incompatibilità delle loro rispettive posizioni è anche solo potenziale, a prescindere dalla sua effettività” ( Cass. I, n. 5256/2018 ; Cass. I, n. 1957/2016; Cass. I., n. 16533/2010 citate dalla sentenza di cui innanzi).

La necessaria presenza di un curatore che rappresenti gli interessi del minore peraltro comporta, secondo la richiamata decisione della Suprema Corte, che ove non si sia provveduto alla predetta nomina il procedimento debba ritenersi nullo ai sensi dell'art. 354 c.p.c. con conseguente rimessione della causa al primo giudice affinché provveda all'integrazione del contraddittorio.

Tanto è stato recentemente ribadito da Cass.I, n.1471/2021la quale ha altresì evidenziato come la nomina di un curatore ex art. 78 c.p.c.non sia necessaria negli altri giudizi riguardanti minori, costituendo tuttavia il mancato ascolto del minore - ove non giustificato da un'espressa motivazione -, violazione del principio del contraddittorio e dei suoi diritti (in questo senso altresì da ultimo Cass. I, n. 8627/2021).

Il procedimento, una volta instaurato su ricorso dei soggetti legittimati sopra indicati, viene definito mediante un decreto motivato, adottato in camera di consiglio previa acquisizione del parere del Pubblico ministero; esso è infine annotato nel registro delle tutele, ex art. 51 disp. att. c.c.

È opportuno evidenziare in questa sede che nel giudizio dinanzi al Tribunale per i minorenni la delicatezza dei contenuti degli atti processuali potrebbe indurre a ritenere possibile la loro secretazione. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha chiarito che anche in questi procedimenti tutti gli atti contenuti nel fascicolo d'ufficio devono essere conoscibili dalle parti, ex art. 76 disp.,att. c.p.c., con la conseguenza che il difensore ha il diritto di ottenere il rilascio di copia di tutti gli atti contenuti nel fascicolo d'ufficio (Cass. I, n. 4643/1994, con particolare riferimento al procedimento per la dichiarazione di adottabilità).

La revoca dei provvedimenti de potestate La revoca dei provvedimenti de potestate nel procedimento ante d.lgs. n. 149/2022

I rapporti tra l'art. 742 c.p.c., che disciplina la revoca dei provvedimenti emessi all'esito di procedimenti in camera di consiglio, e i provvedimenti emessi ex artt. 334 c.c., 335 c.c. e 332 c.c., i quali prevedono particolari condizioni affinché il provvedimento possa essere revocato, necessitano di una disamina particolare. Nel dettaglio, l'art. 332 c.c. prevede che possa essere disposta la reintegrazione nell'esercizio della responsabilità genitoriale, del genitore decaduto da esso, in caso di cessazione delle ragioni poste a fondamento del provvedimento, mentre l'art. 335 c.c. prevede che il genitore possa essere riammesso nell'esercizio dell'amministrazione dei beni del minore qualora siano cessati i motivi determinanti il provvedimento di rimozione.

La dottrina, in particolare, si è chiesta se tali disposizioni disciplinino in via esclusiva la possibilità ed i presupposti in forza dei quali i decreti possano essere revocati ovvero se, ove non si verifichino la condizioni da esse contemplate, possa trovare applicazione per le ulteriori fattispecie l'art. 742 c.p.c. La risposta negativa al quesito dipende dalla peculiarità della disciplina, difatti si ritiene che ove il legislatore abbia previsto delle regole speciali non possano trovare applicazione, in subordine, quelle generali di cui all'art. 742 c.p.c. (Pelosi, 407).

Per la giurisprudenza di legittimità, invero, i procedimenti de potestate soggiacciono alle regole generali del rito camerale sia pure con le integrazioni e specificazioni previste dalle citate norme (ex plurimis: Cass. I, n. 18562/2016; Cass. I, n. 11582/2002; Cass. n. 8619/1997)

Gli interventi della Consulta in materia di procedimenti de potestate

La Corte Costituzionale in diverse circostanze è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla conformità della disposizione in commento ai principi contenuti nella Carta fondamentale.

In particolare, essa ha dichiarato manifestamente non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate (dalle Corti d'appello di Genova e di Torino) con riferimento all'art. 316 c.c., nella sua formulazione applicabile ratione temporis ante riforme susseguitesi dal 2001 al 2013, nella parte in cui non prevede(va) la pena di nullità l'obbligatorietà di ascolto del genitore, del minore ultradodicenne ovvero di età inferiore ma capace di discernimento, l'obbligatorietà di un termine per il provvedimento urgente adottato  inaudita altera parte , l'assenza di un curatore speciale per il minore  e la non obbligatorietà dell'audizione del genitore nei cui confronti il provvedimento è richiesto (si vedano, in particolare: Corte cost. n. 1/2002, in Foro it., 2003, I, 423, con riferimento ai profili di seguito evidenziati; Corte cost. n. 528/2000; nonché App. Genova, 11 febbraio 2000, in Fam. e dir., 2000, 443)

Con particolare riferimento al profilo inerente l'audizione dei genitori, trattasi di sentenza interpretativa di rigetto. La Consulta ha difatti evidenziato che secondo l'interpretazione risultante dal coordinamento della disciplina dettata dal codice civile e dalla l. 27 maggio 1991, n. 176, che ha reso esecutiva la Convenzione sui diritti del fanciullo, nel procedimento camerale ablativo o modificativo della potestà genitoriale devono essere sentiti entrambi i genitori. Così ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 336, comma 2, c.c. in riferimento agli artt. 3, commi 1 e 2, 24, comma 2, 30, comma 1, 31, comma 2, e 111, comma 1 e 2, Cost., sull'erroneo presupposto interpretativo secondo cui il genitore contro cui il provvedimento non è richiesto, non abbia diritto ad essere sentito (Corte cost. n. 1/2002).

Parimenti, trattasi di sentenza interpretativa di rigetto anche con riferimento al profilo inerente l'ascolto del minore ed a taluno degli altri innanzi prospettati. Sempre la citata Corte cost. n. 1/2002, difatti, ha chiarito che l'art. 12 della medesima Convenzione di cui innanzi, è idoneo ad integrare la disciplina dell'art. 336, comma 2, c.c., nel senso di configurare il minore capace di discernimento come «parte» del procedimento che lo concerne, con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale. Così ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 336, comma 2, c.c. sollevata, in riferimento agli articoli 2,31, comma 2, 3, commi 1 e 2, 111, commi 1 e 2, 24, comma 2, 30, comma 1, Cost., sull'erronea premessa interpretativa che nei procedimenti camerali concernenti la potestà dei genitori, non sia prevista l'audizione del minore ultradodicenne e, se opportuno, anche quello di età inferiore, o altrimenti i suoi genitori o il tutore (in merito si veda anche Corte cost. n. 528/2000).

Circa invece il provvedimento temporaneo assumibile nelle more del procedimento, la medesima sentenza n. 1 del 2002, ha invece dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 336, comma 3, c.c., sollevata in riferimento agli artt. 3, comma 1, 24, comma 2, 111, commi 1 e 2, Cost., nella parte in cui non prevede che il provvedimento temporaneo assunto nell'interesse del figlio, nell'ambito del procedimento urgente in materia di potestà genitoriale, abbia, a pena di nullità, una durata massima, individuabile in trenta giorni, e che debba essere, nello stesso termine, confermato, modificato o revocato in contraddittorio. Il Giudice rimettente, in particolare, non aveva valutato la possibilità di dare della norma impugnata una interpretazione idonea a porla al riparo dai dubbi di legittimità costituzionale. Occorrendo invece verificare se il procedimento in esame, attesa la sua natura cautelare, possa ritenersi assoggettato alla disciplina generale del procedimento cautelare prevista dall'art. 669-sexies c.p.c.

I provvedimenti temporanei d'urgenza: oggetto, termine di efficacia e «partecipazione» del Pubblico ministero

La disposizione in esame prevedeva, al terzo comma, che in caso di urgente necessità il Tribunale potesse adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei a tutela del minore. Si è discusso se oggetto del provvedimento potessero essere, o meno, essere anche questioni afferenti all'amministrazione del patrimonio. Parte di dottrina aveva al riguardo fornito risposta positiva, purché si trattasse di decisioni relative all'esercizio della responsabilità potestà genitoriale (Pelosi, 417).

Per converso, la giurisprudenza di legittimità, muovendo dalla loro natura, ha escluso che i provvedimenti urgenti potessero avere ad oggetto l'amministrazione del patrimonio (ancorché con sentenza risalenti, tra le quali Cass. n. 4080/1957, in Giur. it., 1958, I, 1, 970).

Il legislatore nel prevedere la possibilità di adottare provvedimenti urgenti non aveva ritenuto di introdurre un termine di efficacia, differentemente da quanto previsto con riferimento al procedimento di adottabilità ex art. 10 della l. 4 maggio 1984, n. 183 (così come modificata dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154). Tale ultimo articolo, in particolare, dispone difatti che il Giudice, monocratico, possa adottare un provvedimento urgente che deve essere confermato, revocato o modificato entro 30 giorni dal Tribunale in composizione Collegiale, sentito il Pubblico ministero e le parti interessate nonché assunta ogni necessaria informazione.

L'assenza, da parte del legislatore, di una (esplicita) indicazione di un termine di efficacia con riferimento ai provvedimenti temporanei d'urgenza in esame aveva  suscitato aspre critiche dottrinal-giurisprudenziali. Si è osservato come in assenza di un limite temporale, il provvedimento urgente avrebbe potuto e di fatto trasformarsi in definitivo. In particolare si è sostenuto che sebbene nel provvedimento provvisorio viene assorbito nella decisione definitiva che lo conferma mentre perde di efficacia con la decisione definitiva che provveda diversamente (Finocchiaro- Finocchiaro , 2213), ma è altrettanto vero che dopo il provvedimento provvisorio urgente viene, di regola, effettuata attività istruttoria i cui tempi sono variabili a seconda della concreta situazione esistente e sovente, non esigui.

In merito, spunti di riflessione sono stati offerti da Corte cost. n. 1/2002, la quale (come già anticipato nel precedente paragrafo) ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 336, comma 3, c.c., sollevata in riferimento agli artt. 3, comma 1, 24, comma 2, 111, commi 1 e 2, Cost., nella parte in cui non prevede che il provvedimento temporaneo assunto nell'interesse del figlio, nell'ambito del procedimento urgente in materia di potestà genitoriale, abbia, a pena di nullità, una durata massima, individuabile in trenta giorni, e che debba essere, nello stesso termine, confermato, modificato o revocato in contraddittorio. Il Giudice rimettente, in particolare, non aveva valutato la possibilità di dare della norma impugnata una interpretazione idonea a porla al riparo dai dubbi di legittimità costituzionale, occorrendo invece verificare se il procedimento in esame, attesa la sua natura cautelare, possa ritenersi assoggettato alla disciplina generale del procedimento cautelare prevista dall'art. 669-sexies c.p.c.

La giurisprudenza di merito , antecedente e successiva all'intervento della Consulta, ha affrontato e variamente risolto il problema in esame (anche se con pronunce non sempre recenti).

Il Tribunale di Roma ha in particolare ritenuto che i provvedimenti temporanei, adottati ai sensi del terzo comma dell'art. 336 c.c., debbano contenere un termine ragionevolmente breve, connaturato con la loro funzione, nonché essere adottati solo in caso di necessità e di urgenza, in mancanza sarebbero «abnormi» in quanto adottati in totale carenza di potere (in questo senso, App. Roma, 27 marzo 1987, in Temi rom., 1987, 669). Nell'ottica di cui innanzi, la Corte d'Appello di Napoli, ha dichiarato l'illegittimità del decreto pronunciato in via d'urgenza dal Tribunale per i minorenni in quanto sprovvisto dell'indicazione di un termine di efficacia (App. Napoli, 16 febbraio 1995, in Dir. fam., 1996, 103; sul punto si veda anche App. Roma, 11 settembre 1989, in Foro it., 1990, I, 1375). Tale carenza di indicazione è stata ritenuta altresì in contrasto con l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Libertà fondamentali da App. Caltanissetta, 13 novembre 2003 (in Giur. mer., 2004, 1362).

L'orientamento sopra riportato, teso ad individuare un termine ragionevole al provvedimento emanato in via d'urgenza, è certamente condivisibile ed è auspicabile un percorso dottrinal-giurisprudenziale che conduca alla piena considerazione dell'input fornito dalla citata Corte cost. n. 1/2002 al fine di evitare l'adozione di provvedimenti provvisori ed urgenti ma sostanzialmente definitivi nei riguardi dei minori e delle situazioni familiari a loro riferibili.

Parimenti foriera di dubbi interpretativi è stata la posizione del Pubblico ministero, sempre con riferimento ai provvedimenti provvisori in esame, in quanto l'art. 336 c.c. non chiariva se tale Ufficio dovesse essere messo in condizioni di interloquire prima della loro adozione.

Parte della dottrina riteneva necessario almeno comunicare al Pubblico Ministero presso il tribunale per i minorenni il decreto adottato affinché questi, in quanto soggetto legittimato, chiedesse successivamente l'adozione di un provvedimento definitivo di conferma ovvero la revoca di quello provvisorio (Vercellone, 1310).

La giurisprudenza di merito , dal canto suo, ancorché con risalente decisione, sembra essersi spinta oltre le prospettazioni dottrinali di cui innanzi sanzionando con la nullità il provvedimento d'urgenza adottato in assenza di previa audizione del Pubblico ministero (App. Torino, 15 dicembre 1988, in Dir. fam., 1989, 119).

 

Impugnabilità dei provvedimenti de potestate

I provvedimenti de potestate (artt. 330-336 c.c.) sono sempre stati considerati non impugnabili mediante ricorso straordinario per Cassazione, ex art. 111 Cost.

Detti provvedimenti sono infatti dotati di alcune specifiche caratteristiche che non li renderebbero idonei al giudicato: 1) configurano espressione di giurisdizione volontaria non contenziosa; 2) non risolvono conflitti fra diritti posti su un piano paritario; 3) sono preordinati alla esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli; 4) sono soggetti alle regole generali del rito camerale; 5) sono modificabili e revocabili non solo «ex nunc», per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche «ex tunc», per un riesame (di merito o di legittimità) delle originarie risultanze (si vedano, ex plurimis: Cass. I, n. 18562/2016, e Cass. VI, n. 24477/2015). Le due principali, invero determinanti, ragioni sulle quali si fonda la non ricorribilità dei citati provvedimenti sono, quindi, la loro revocabilità in ogni tempo nonché la funzione alla quale sono preordinati, «non di decidere una lite tra due soggetti, attribuendo ad uno di essi «un bene della vita», ma di controllare e governare gli interessi dei minori» (Cass.S.U., n. 11026/2003).

In applicazione del citato principio è stato di recente ritenuto inammissibile il ricorso straordinario per cassazione (ex art. 111 Cost.) avverso i provvedimenti emessi in sede di volontaria giurisdizione, quale, nella specie, il rigetto del reclamo avverso la richiesta di reintegrazione della responsabilità genitoriale, stante la mancanza dei requisiti della decisorietà e della definitività del provvedimento impugnato (Cass. VI, n. 24477/2015).

La disposizione in commento è però stata dapprima modificata dalla l. 28 marzo 2001, n.149, attraverso l'introduzione di significative modifiche in punto di diritto di difesa che, unitamente agli ulteriori e successivi interventi normativi in tema di filiazione (fino agli ultimi del 2012-2013), hanno indotto Cass. I, n. 23633/2016a ritenere ammissibile il ricorso straordinario avverso i provvedimenti di cui innanzi, una volta confermati o revocati in sede di reclamo

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La Suprema Corte, in particolare, ha chiarito che il provvedimento (adottato dal Tribunale) di decadenza dei genitori dalla responsabilità genitoriale assume «attitudine al giudicato rebus sic stantibus», non è «revocabile o modificabile, salva la sopravvenienza di fatti nuovi». Sicché, esso, dopo che la Corte d'appello lo abbia confermato, revocato o modificato in sede di reclamo, è anche «impugnabile con ricorso per Cassazione», ex art. 111 Cost.

Lo stesso Giudice di legittimità si si preoccupato di precisare che l'orientamento da ultimo esplicitato non si pone in contrasto con il precedente che, invece, è stato ritenuto superato proprio «alla luce delle sopravvenute novità legislative». Pur non potendo riconoscersi ai procedimenti de potestate natura prettamente contenziosa, la Suprema Corte ha escluso che in essi sia comunque preminente o addirittura esclusiva, un'attività di controllo del giudice sull'esercizio della responsabilità genitoriale tale da escludere la presenza di «parti in conflitto». Con la novella del 2001, in particolare, è stato difatti stabilito che entrambi i genitori e lo stesso minore debbano essere assistiti da un difensore e che debba essere sentito il genitore nei cui confronti è richiesto un provvedimento limitativo della responsabilità. A ciò si aggiunge la circostanza per la quale «il decreto che dispone la limitazione o la decadenza della responsabilità genitoriale incide su diritti di natura personalissima, di primario rango costituzionale».

L'iter logico-giuridico di Cass. I, n. 23633/2016ha considerato, superandoli, anche gli altri elementi tradizionalmente posti a suffragio della non ricorribilità, ex art. 111 Cost., dei provvedimenti de potestate, quali: la loro inerenza non all'esercizio della responsabilità bensì alla compressione della relativa titolarità e l'adottabilità nell'esclusivo interesse del minore.

La titolarità della responsabilità ben può difatti essere regolata mediante la sua compressione, ha chiarito la Suprema Corte che ha concluso precisando che «nell'ambito di un giudizio di separazione, divorzio, o promosso ai sensi dell'art. 316 c.c. i provvedimenti concernenti l'affidamento dei minori sono assunti nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole»; sicché, essendo volti a soddisfare esigenze pubblicistiche, «sono sottratti alla disponibilità delle parti».

A quanto innanzi è stato aggiunto che la recente modifica dell'art. 38 disp. att. c.c., che attribuisce al Tribunale ordinario la competenza in merito a provvedimenti ablativi della responsabilità ove pendente un giudizio di separazione. Apparirebbe dunque quantomeno contraddittorio ritenere ricorribile ex art. 111 Cost. il provvedimento assunto ai sensi degli artt. 337-bis c.c. e s.s. ed al tempo stesso escludere l'accesso a tale tutela con riferimento a quelli assunti nello stesso procedimento e con lo stesso provvedimento ai sensi dell'art. 333 c.c. (Cass. I, n. 23633/2016).

Successivamente il principio a  è stato ribadito da Cass. S.U. n. 32359/2018.

Dal novero dei provvedimenti impugnabili devono escludersi quelli provvisori (come quello in cui il Tribunale autorizza il servizio sociale a sospendere gli incontri tra genitore e figlio) essendo privi del carattere di decisorietà, perché sprovvisti dell’attitudine al giudicato “rebus sic stantibus”,  stante la loro natura provvisoria,  perché non definitivi, in quanto non emessi a conclusione di un procedimento e perché sempre modificabili anche in assenza  di nuovi elementi sopravvenuti (Cass.. I, n. 28724/2020; Cass. I, n. 2816/2022). Diversamente si esprime Cass. I, n. 9691/2022 la quale afferma che il decreto pronunciato dalla Corte d'appello sul reclamo avverso quello del Tribunale per i minorenni è impugnabile con il ricorso per cassazione, avendo, al pari del decreto reclamato, carattere decisorio e definitivo, in quanto incidente su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale, ed essendo modificabile e revocabile soltanto per la sopravvenienza di nuove circostanze di fatto e quindi idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure "rebus sic stantibus", anche quando non sia stato emesso a conclusione del procedimento per essere stato, anzi, espressamente pronunciato "in via non definitiva", trattandosi di provvedimento che riveste comunque carattere decisorio, quando non sia stato adottato a titolo provvisorio ed urgente, idoneo ad incidere in modo tendenzialmente stabile sull'esercizio della responsabilità genitoriale.

 S.U. n. 22423/2023 ha, infine, statuito che i  provvedimenti "de potestate" adottati dal tribunale ordinario, quando competente ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., nel corso dei giudizi aventi ad oggetto la separazione e lo scioglimento (o cessazione degli effettivi civili) del matrimonio, nel sistema normativo antecedente alla riforma di cui al d.lgs. n. 149 del 2022, non sono impugnabili con il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7, della Costituzione, trattandosi di provvedimenti temporanei incidenti su diritti soggettivi (in tal senso decisori) ma non definitivi, in quanto privi di attitudine al giudicato seppur "rebus sic stantibus", essendo destinati ad essere assorbiti nella sentenza conclusiva del grado di giudizio e, comunque, revocabili e modificabili in ogni tempo per una nuova e diversa valutazione delle circostanze di fatto preesistenti o per il sopravvenire di nuove circostanze.

Già nel recente passato autorevole dottrina aveva comunque auspicato il detto mutamento di indirizzo interpretativo del Giudice di legittimità in tema di ricorribilità per cassazione, ex art. 111 Cost., dei provvedimenti de potestate, stante il «carattere fondamentalissimo» dei diritti su cui essi incidono (Proto Pisani, 128).

Competenza territoriale

Ai fini dell'individuazione del Giudice territorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale ex artt. 330 e 333 c.c., deve aversi riguardo al luogo della dimora abituale del minore alla data della domanda ex art. 473-bis.11. c.p.c.

Stante l'identità delle questioni, devono essere ribadite in questa sede le osservazioni già effettuate con riferimento agli artt. 330 e 333 c.c. (ai cui commenti si rinvia).

Per individuare quale sia il luogo di abituale dimora la Suprema Corte ha nel passato evidenziato come non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza o dalla maggiore durata del soggiorno, essendo invece necessaria una prognosi sulla probabilità che la «nuova» dimora diventi l'effettivo e stabile centro di interessi del minore e non mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale.

Nel senso di cui innanzi si veda Cass. I, n. 24482/2013, che, nella specie, non ha ritenuto idoneo a modificare la competenza lo spostamento della minore all'insaputa dell'altro genitore, avvenuto il giorno precedente all'introduzione del procedimento (negli stessi termini: Cass. S.U., n. 1984/2012; Cass. I, n. 2171/2006, e Cass. I, n. 3587/2003).

Sicché, si è affermato che nei procedimenti de potestate la competenza per territorio va determinata con riferimento al luogo in cui il minore dimori abitualmente, a prescindere quindi dagli eventuali trasferimenti di carattere contingente e transitorio (sul puto si veda Cass. I, n. 11022/1997, la quale, nel caso di specie, ha qualificato contingente e transitorio l'allontanamento dal luogo di abituale dimora conseguente all'attuazione del programma di protezione per collaboratori di giustizia, ciò in relazione ad una vicenda di evasione dell'obbligo scolastico).

Con specifico riferimento ai procedimenti di affidamento eterofamiliare di minori, qualora il provvedimento iniziale di affidamento, di regola soggetto a durata non superiore ai ventiquattro mesi, necessitasse di essere seguito da un'ulteriore proroga o, viceversa, da una cessazione anticipata, queste ultime vicende integrerebbero provvedimenti camerali nuovi, per i quali il principio della «perpetuatio» necessiterebbe di essere temperato quello di prossimità. Sicché, il Giudice competente per territorio dovrebbe essere individuato nel Tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore legittimamente si trova, dovendo darsi rilievo ad eventuali sopravvenuti cambiamenti di residenza. In tal senso si è pronunciata Cass.S.U., n. 28875/2008, che ha dichiarato la competenza del Tribunale per i minorenni del distretto ove risiedeva la famiglia cui il minore era stato affidato con provvedimento di un altro Tribunale per i minorenni, nel cui distretto originariamente risiedeva con la propria madre (nello stesso senso si vedano: Cass. I, n. 2171/2006; Cass. I, n. 1058/ 2003; Cass. I, n. 2184/1996).

Qualora, poi, il minore, nel corso del procedimento, si trasferisse in altro distretto resterebbe ferma la competenza del Tribunale per i minorenni del luogo di residenza abituale dello stesso, in caso di coincidenza tra il nuovo provvedimento richiesto all'Autorità giurisdizionale successivamente adita e quello indicato nel primo ricorso introduttivo. Nei termini di cui innanzi si è pronunciata Cass. VI, n. 7161/2016, così confermando il proprio orientamento in merito alla competenza territoriale nei procedimenti relativi alla responsabilità genitoriale ed in particolare in ordine al rapporto esistente tra il principio di prossimità e quello della perpetuatio jurisdictionis. Nella specie è stato accolto il regolamento di competenza d'ufficio sollevato dal Tribunale per i minorenni di Brescia, dinanzi al quale era stato riattivato, nei medesimi termini originari, il procedimento de potestate dopo la pronuncia di incompetenza del Tribunale per i minorenni di Bologna, adito dal Pubblico Ministero, motivata sul trasferimento, in corso di causa, della madre, insieme alle minori, in un comune in provincia di Brescia.

L'orientamento appena evidenziato evoca il concetto di «residenza abituale» che è stato di recente specificato dalle Sezioni Unite, ancorché in tema di determinazione della giurisdizione circa la materia della sottrazione internazionale. La Cass. S.U., n. 17676/2016, ha difatti precisato che, in tema di responsabilità genitoriale, al fine di stabilire la potestà giurisdizionale, occorre dare rilievo — per principio generale — al criterio della residenza abituale del minore al momento della domanda. Intendendo come tale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto (in applicazione del principio la Suprema Corte ha ritenuto corretta la motivazione del giudice di merito per la quale doveva considerarsi abitualmente residente in Brasile il minore che vi aveva vissuto tra i tre ed i sei anni di età, periodo intensamente relazionale, con un intervallo di appena sei mesi trascorso in Italia.

Qualora infine i genitori propongano dinanzi a giudici diversi domande di reciproca decadenza dalla potestà sui figli si pone il problema di stabilire quale sia il giudice competente a decidere le stesse. Nella fattispecie di cui innanzi la riunione delle cause per il simultaneus processus non può realizzarsi dinanzi al giudice della causa principale o dinanzi a quello preventivamente adito, come disposto dall'art. 40 c.p.c., bensì davanti al giudice del luogo di residenza del minore, la cui competenza riguardo alla domanda di decadenza della potestà di genitore è funzionale e non derogabile (Cass. I, n. 9359/1993).

Per quanto concerne la competenza territoriale, è previsto inoltre dalla legge innanzi citata che il criterio prevalente sia quello della residenza abituale del minore da individuarsi nel luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda, salvo il caso di illecito trasferimento.   

Bibliografia

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