Codice Civile art. 337 - Vigilanza del giudice tutelare (1).Vigilanza del giudice tutelare (1). [I]. Il giudice tutelare deve vigilare sull'osservanza delle condizioni che il tribunale abbia stabilito per l'esercizio della responsabilità genitoriale [333] (2) e per l'amministrazione dei beni [334]. (1) Articolo così sostituito dall'art. 158 l. 19 maggio 1975, n. 151. (2) L'art. 54, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito alla parola «potestà», le parole: «responsabilità genitoriale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoIl Giudice tutelare vigila sull'osservanza delle condizioni che il Tribunale abbia stabilito per l'esercizio della responsabilità genitoriale e per l'amministrazione dei beni. Egli controlla che le parti interessate diano attuazione ai decreti pronunciati dal Tribunale ordinario e dal Tribunale per i minorenni riguardanti i minori, con riferimento ad affidamento e patrimonio. Secondo la dottrina maggioritaria, la vigilanza del Giudice tutelare riguarda altresì i decreti con i quali il genitore sia stato dichiarato decaduto dall'esercizio della responsabilità genitoriale o sospeso dall'esercizio di alcuni poteri ad essa inerenti (Bucciante, 669). Tale vigilanza può realizzarsi mediante la convocazione dei genitori e dei Servizi sociali eventualmente coinvolti, ovvero mediante l'acquisizione di periodiche relazioni da parte del citato ente in merito alla situazione afferente al minore. Si pensi in particolare alla non infrequente ipotesi in cui il minore venga affidato all'ente ovvero venga a quest'ultimo attribuito il compito di regolamentare e sovraintendere agli incontri tra uno dei genitori e la prole. All'esito di tali adempimenti il Giudice tutelare può anche adottare dei provvedimenti, ai fini della puntuale attuazione della decisione adottata dal Tribunale ordinario o dal Tribunale per i minorenni, i quali, tuttavia, non possono incidere sull'esercizio della responsabilità genitoriale, non avendo il Giudice tutelare alcuna competenza in merito. La decisione del Giudice tutelare, infatti, non può tradursi nella emanazione di prescrizioni (di competenza del Tribunale per i minorenni), ma solo nel richiamare i genitori «all'osservanza delle prescrizioni impartite» (De Phampilis-Lena, 1244) non avendo egli poteri sanzionatori (La Rosa, 1060). È stato in merito osservato come compito del Giudice tutelare sia quello di svolgere un'attività di mediazione dei conflitti e promuoverne comunque la composizione, facendo eventualmente ricorso alla collaborazione di altre professionalità (assistenti sociali, psicologi, servizi sociali), essendo questa condizione imprescindibile per un corretto adempimento delle prescrizioni poste dal giudice ordinario o dal giudice minorile nell'interesse dei figli minori (La Rosa, 1060). Per esercitare il detto potere di vigilanza, il Giudice può convocare i genitori per avere le informazioni del caso e quindi, ove verifichi l'inosservanza delle decisioni del Tribunale, esortarli a dare esecuzione al provvedimento ed al rispetto dei diritti fondamentali del minore di cui all'art. 315-bis c.c. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla fattispecie in cui uno dei genitori lamenti l'inosservanza delle statuizioni in tema di diritto di visita. Tuttavia, se i genitori non abbiano violato i detti provvedimenti l'intervento di vigilanza non potrebbe invadere il campo riservato alla discrezionalità del Tribunale (ordinario o per i minorenni), non potendo quindi essere impartite istruzioni sul modo e sui criteri di esercizio della responsabilità genitoriale (Bucciante, 670). Ove infine il gudice tutelare abbia adottato, invano, tutti gli strumenti possibili di sua competenza per persuadere i genitori al rispetto del contenuto del provvedimento giurisdizionale, potrà/dovrà informare il Pubblico ministero minorile affinché questi chieda al Tribunale l'adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 330 c.c. e ss. (in questo senso Bucciante, 670). Il contenuto del potere di vigilanzaDue tra le questioni giuridiche tra le più rilevanti in merito alla competenza del Giudice tutelare attengono all'esecuzione dei provvedimenti di affidamento dei minori ed ai limiti del potere vigilanza, con particolare riguardo alla possibilità che lo stesso possa concretizzarsi in un intervento modificativo del contenuto del provvedimento pronunciato dal Tribunale (ordinario o per i minorenni). Con riferimento alla seconda questione, è stato ampiamente chiarito dalla Giurisprudenza, di merito e, soprattutto, di legittimità, che il Giudice tutelare non ha il potere di emettere statuizioni di tipo modificativo in merito ai provvedimenti pronunciati da altra Autorità giudiziaria, in quanto spettanti al Tribunale ordinario e, qualora si tratti di provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, al Tribunale per i minorenni (Cass. I, n. 6303/1985; Trib. Milano, 6 luglio 2012, in Fam. e dir., 2013, 57; Trib. Bologna, 13 giugno 2007, in Fam. per. succ., 2007, 1044). Il giudice tutelare ben può interpretare le condizioni stabilite dal Tribunale ordinario o dal Tribunale per i minorenni e «specificarne i contenuti» ma non fino al punto di assumere decisioni che possano incidere sull'esercizio della responsabilità genitoriale, di uno o di entrambi i genitori, o modificare le statuizioni assunte da altra autorità. In particolare è stato specificato che il giudice tutelare non è neanche competente a risolvere il conflitto esistente tra i genitori, essendogli inibito l'esercizio di poteri decisori, salvo quelli meramente applicativi delle condizioni già stabilite da altra Autorità giudiziaria. Ciò è stato affermato dalla Suprema Corte in una fattispecie caratterizzata dal disaccordo dei genitori, separati, in merito alla individuazione dell'istituto scolastico che avrebbe dovuto frequentare il figlio, con conseguente negazione della competenza in capo al Giudice tutelare (Cass. I, n. 14360/2000; sul punto si veda anche Cass. I, n. 6306/1985). In questo senso si è altresì ritenuto che il Giudice tutelare possa specificare le condizioni della separazione al fine di rendere concretamente esercitabile il diritto di frequentazione (Trib. Roma, 8 aprile 1988, Foro.it. 1990, 1392). Dare contenuto al detto potere assume fondamentale rilievo atteso che, frequentemente, il ricorso al Giudice tutelare ex art. 337 c.c. ha ad oggetto la richiesta di risoluzione del conflitto tra i genitori, separati e non, con riferimento a questioni di particolare importanza, tra le quali l'attribuzione dell'esercizio della responsabilità genitoriale con riferimento ad uno specifico atto. In taluni casi altresì la richiesta cela, nella sostanza, un'istanza di modifica di talune condizioni stabilite dal tribunale ordinario in sede di separazione. Specificare significa precisare, sicché il Giudice tutelare, nell'esercizio delle funzioni di cui all'art. 337 c.c., può interpretare le condizioni di separazione ma tale attività non può tradursi nell'esplicazione di poteri decisionali ovvero in modificazioni delle decisioni assunte da altra autorità giudiziaria (sul punto La Rosa, 1060). Vigilare evoca invece l'utilizzo di una particolare attenzione affinché qualcosa avvenga in modo voluto ovvero l'attività di sorveglianza necessaria affinché ciò accada. Lo stesso significato del termine scelto dal legislatore aiuta quindi a comprendere le finalità ed i limiti dell'attività svolta dal Giudice, non dovendo dunque essa tradursi nel decidere questioni di particolare importanza afferenti all'istruzione ed all'educazione né nel modificare le decisioni assunte da altra Autorità, sostanziandosi solo in una supervisione della condotta dei genitori tesa a far sì che gli stessi si conformino al contenuto del provvedimento pronunciato dal Tribunale (ordinario o per i minorenni), al fine di tutelare il primario interesse del minore. Il giudice tutelare, al fine di esercitare la propria funzione di supervisione e vigilanza può certamente avvalersi dei Servizi sociali ed anche dichiarare l'eventuale inadempimento da parte del genitore ai doveri su di lui gravanti, sempre che ciò sia verificato nel corso del procedimento, non potendo invece spingersi oltre (come il mancato versamento dell'assegno, in merito, Trib. Pistoia, 28 settembre 2010 con particolare riferimento al riscontro del mancato versamento dell'assegno). Né si può ritenere che con la novella legislativa del 2012 e da ultimo con quella del 2022 la competenza funzione del giudice tutelare sia stata ampliata. Viene al riguardo in considerazione difatti il modificato art. 38 disp. att. c.c., ex d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ai sensi del cui primo comma rientrano nella competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90,, 250, ultimo comma, 251, 317-bis, ultimo comma, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, c.c. La predetta disposizione prevede altresì che sono di competenza del Tribunale ordinario i procedimenti previsti dagli artt. 330, 332, 333, 334, 335, anche se instaurati su ricorso del pubblico ministero, quando è già pendente o instaurato successivamente, tra le stesse parti, giudizio di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero giudizio ai sensi degli artt. 250, quarto comma, 268, 277, secondo comma e 316 del codice civile, procedimento per la modifica delle condizioni dettate dai precedenti provvedimenti a tutela del minore. Tale disposizione, anche a seguito dell’ultima modifica intervenuta, ha quindi attribuito al Tribunale ordinario, e non al Giudice tutelare, la competenza a decidere le controversie di cui all’art. 316 c.c., ridefinendo il riparto di competenze tra il Tribunale ordinario ed il Tribunale per i minorenni senza incidere direttamente o indirettamente sulla competenza funzionale del giudice tutelare. La finalità perseguita con la modifica del citato art. 38 tuttora difatti l’attuazione del principio della concentrazione delle tutele e non la creazione di una nuova competenza in capo ad un Autorità, il giudice tutelare, che, peraltro, continua a non avere attribuzione in merito alla responsabilità genitoriale. Deve pertanto concludersi nel senso dell’attualità del principio, fatto proprio anche dalla giurisprudenza di legittimità, per il quale il giudice tutelare non è competente a decidere in merito alle controversie intervenute tra genitori in merito alle scelte scolastiche relative al figlio minorenne. Il Giudice tutelare è in conclusione competente a vigilare sull’osservanza delle prescrizioni stabilite dal Tribunale ma con esclusione del potere di limitare o escludere la responsabilità genitoriale o di modificare le decisioni assunte da altra Autorità. In caso di contrasto tra genitori in merito all’esercizio della responsabilità genitoriale, quindi, in caso di nucleo genitoriale unito trova applicazione l’art. 316 c.c. ed in caso di genitori separati l’art. 337-ter, comma 3, c.c. (Cass. I, n. 21553/2021). L’approdo della giurisprudenza di merito circa l’ambito dei poteri del giudice tutelare in oggetto si riverbera infine sul tema dell’impugnabilità del decreto pronunciato in seno al procedimento ex art. 337 c.c. Esso ha difatti natura meramente attuativa dei provvedimenti adottati dagli organi giudiziari regolatori della responsabilità genitoriale, sicché, anche se meramente declinatori della competenza, è ritenuto privo dei caratteri della decisorietà e definitività e, pertanto, non impugnabile con il regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c. (Cass. I, n. 17876/2014). Il giudice tutelare come giudice dell'esecuzione dei provvedimenti in tema di famigliaUno dei problemi più rilevanti con riguardo all'attuazione dei provvedimenti che coinvolgono i minori è quello dell'insufficienza ed inadeguatezza degli strumenti di esecuzione delle decisioni giudiziali, le quali esigono forme di attuazione ancorate alla giurisdizione che assicurino vigile controllo e immediata operatività delle decisioni assunte dal giudice (La Rosa, 1061). Tale inadeguatezza si manifesta in modo evidente nel caso di provvedimenti relativi all'affidamento nei casi in cui la persona tenuta alla consegna del minore si rifiuti di adempiere ovvero lo stesso minore manifesti resistenze. È appena il caso di rilevare che per quanto la problematica sia stata affrontata da dottrina e giurisprudenza con prevalente riferimento proprio all'affidamento del minore gli esiti cui sono approdate possono essere considerati con riferimento ai procedimenti relativi alla responsabilità genitoriale. L'obbligo «di consegna» è invero coercibile, si tratta tecnicamente di un pati o di un facere di consegna vera e propria, nel caso di suo inadempimento e quindi possibile la surroga mediante un'attività semplicissima, trattandosi di vincere le resistenze dell'obbligato permettendo all'affidatario di entrare in contatto con il minore (così Canavese, 210). La difficoltà di eseguire le decisioni che coinvolgono la persona del minore ha portato dottrina e giurisprudenza ad cercare soluzioni il più possibile idonee a preservare la serenità del minore. Parte della giurisprudenza di merito ha in particolare riconosciuto al giudice tutelare il compito di eseguire le decisioni del Tribunale ordinario e del Tribunale per i minorenni. Il problema si è posto, ovviamente, nei casi cui l'attuazione del provvedimento dell'autorità giudiziaria necessitasse di attuazione coattiva (Pret. Milano, 8 agosto 1986, in Dir. fam. 1986, 1172; Pret. Roma, 16 dicembre 1987, in Foro it. 1990, I 1392; Pret. Bari, 14 aprile 1999, in Fam. e dir. 1999, 568; Pret. Padova, 20 novembre 1995, in Fam. e dir. 96, 269; Trib. Bari, 14 aprile 1999, in Fam. e dir. 1999, 568). La Suprema Corte, con sentenze risalenti ma univoche nel loro contenuto, ha per converso affermato che, ove si debba dare esecuzione ad una decisione che disciplini i rapporti tra genitori e figli nella famiglia in crisi, trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 612 c.p.c. e ss., specificando, altresì, che compente in merito non è il Giudice tutelare, bensì il giudice dell'esecuzione. (In particolare, si vedano: per la giurisprudenza di legittimità, Cass. I, n. 3374/1998; Cass. I, n. 5696/1984; Cass. I, n. 6912/1982; Cass. I, n. 4571/1982; Cass. I, n. 5374/1980, che individua il giudice competente a seconda della fattispecie concreta; per la giurisprudenza di merito, App. Palermo, 20 aprile 1990, in Fam. e dir. 1990, 1187; sul punto, si veda altresì Corte cost., n. 68/1987). In particolare è stato specificato che nel caso di affidamento del minore disposto con provvedimento interinale, in sede quindi di ordinanza presidenziale o di provvedimenti urgenti ex art. 336 c.c., l'attuazione coattiva deve seguire le forme dell'esecuzione in via breve, stante l'unitarietà della fase. Diversamente, qualora l'affidamento venisse disposto con provvedimento definitivo troverebbero applicazione le disposizioni in tema di esecuzione degli obblighi di fare di cui all'art. 612 c.p.c. (Cass. I, n. 5374/1980, in Giust.civ. 1981, I, 311, con nota di Finocchiaro, Esecuzione forzata dei provvedimenti di affidamento della prole). L'attuazione coattiva dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole non può quindi avere luogo in via amministrativa, cioè attraverso procedure svincolate dalla direzione e vigilanza del giudice, costituendo un momento della funzione giurisdizionale e quindi dovendo svolgersi nelle forme e con le garanzie proprie della stessa, a tutela dell'interesse pubblico alla salvaguardia delle esigenze di vita fisica e morale della prole (così Cass. I, n. 6912/1982, in Giust.civ., I, 792,1983, con nota di Finocchiaro, Ancora sull'esecuzione forzata dei provvedimenti di affidamento della prole). L'orientamento di legittimità di cui innanzi, è stato determinato, come osservato da autorevole dottrina, dall'esigenza di individuare un'esecuzione flessibile, capace quindi di adattarsi alle peculiarità concrete della fattispecie evitando, al contempo, effetti traumatici per il minore (Mantovani, 218). Nonostante ciò, anche in dottrina si assiste a divergenze interpretative in merito alle modalità attraverso le quali eseguire i provvedimenti riguardanti la prole. Taluni hanno ritenuto che l'esecuzione spetti al Giudice tutelare (Morani, 370), altri che debba essere effettuata in via breve (tra questi ultimi si vedano Chiarloni, 120; Canavese, 250), altri ancora hanno sostenuto la tesi propugnata dalla Suprema Corte (Minneci, 786; Graziosi, 884; Ferri, 169) mentre per altro orientamento, l'esecuzione dovrebbe essere effettuata ai sensi dell'art. 605 c.p.c. (per tale ultima tesi si veda Fornaciari, 214). L’orientamento che appare maggiormente convincente sembra essere quello che ritiene l’esecuzione per la via breve la modalità più idonea a garantire la tutela del minore, anche in forza di quanto previsto dall’art. 337-ter c.c. che espressamente attribuisce al giudice che procede il compito di eseguire i provvedimenti, ricalcando il contenuto dell’art. 6, comma 10, della l. n. 898/1970 (trattasi in particolare di tesi, propugnata prima della introduzione dell’art. 337-ter c.c. ma da ritenersi tuttora attuale, per la quale si vedano: Chiarloni, 121; Danovi, 530; Canavese, 250, che individua quale fondamento alla tesi non solo il citato art. 6, comma 10, ma anche l’art. 709-ter c.p.c.; Carpi, 115). Tale modalità sembrerebbe altresì contemperare la tutela dei diritti del minore con l’esigenza che l’esecuzione sia giurisdizionalizzata. È stato in merito evidenziato, con riferimento al citato art. 6, comma 10, il cui contenuto è sostanzialmente ribadito anche nell’art. 337-ter c.c., che la norma in questione non individua solo l’autorità competente a sovraintendere all’esecuzione del provvedimento determinando anche le modalità attraverso le quali effettuarla, optando per l’esecuzione in via breve (Chiarloni, 121). Essa è peraltro caratterizzata dall’essere effettuata mediante procedura informale e flessibile, che si instaura senza particolari formalità, come quelle previste dall’art. 605 c.p.c., dinanzi al Giudice della cognizione il quale, conoscendo la situazione del minore, può individuare le modalità attuative più consone alla situazione esistente (Chiarloni, 121, 122). Deve infine evidenziarsi che la disposizione di cui all’art. 337-ter c.c. prevede che «all’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito, e nel caso di affidamento familiare, anche d’ufficio. A tal fine copia del provvedimento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare». Circa il ruolo del giudice tutelare è stata evidenziata la non univocità delle indicazioni normative dalle quali possa desumersi il suo effettivo ruolo nel procedimento di esecuzione (sul punto, Canavese, 223). Il d.lgs. n. 149/2022 introducendo nel codice di procedura civile l’art. 473-bis.38 ha infine consacrato la competenza del giudice procedente sulle controversie afferenti non solo all’esercizio della responsabilità genitoriale ma anche, per l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento e a tal fine ha abrogato il primo comma dell’articolo 337ter c.c. nella parte in cui precedeva che copia del provvedimento di affidamento dovesse essere trasmessa, ai fini dell’attuazione, al giudice tutelare. In tema di esecuzione dei provvedimenti relativi all’attuazione delle modalità di affidamento del minore sorge altresì il problema della resistenza del minore, tale da determinare, secondo la giurisprudenza di merito, l’improcedibilità dell’azione e spingere la dottrina a propendere per l’applicabilità, nei detti casi, dell’art. 318 c.c. (si vedano in questo senso Fornaciari, 327, Minneci, 787). Esso, ritenuto espressione di un principio generale, attribuisce difatti al giudice tutelare il potere di far rientrare il minore nell’abitazione familiare, nel caso di suo allontanamento in assenza di permesso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale. La c.d. vigilanza attiva« Le modifiche legislative da ultimo introdotte dal d.lgs.10 ottobre 2022, n. 149 inducono ad interrogarsi sul contenuto, oramai residuo, della competenza del giudice tutelare ex art. 337 c.c. atteso che l'art. 473bis.38 c.p.c. individua il giudice competente per l'esecuzione dei provvedimenti di affidamento sia nel caso in cui vi sia un procedimento pendente sia in quello in cui non vi sia. Già nel 2008 pareva ovvio che la «vigilanza» demandata al giudice tutelare non potesse che essere «attiva», idonea cioè ad adottare tutti i provvedimenti che, senza modificare il regime stabilito in sede di cognizione, valessero a consentirne l'applicazione. Non a caso, si precisava, ex art. 344 c.c. il giudice tutelare avrebbe potuto avvalersi dell'ausilio dei soggetti deputati alla cura degli interessi in questione, finendo con il ritenere che detto ausilio, per essere di effettiva utilità, avrebbe dovuto avere finalità non soltanto conoscitive ma anche concretamente operative, capaci cioè di superare le eventuali resistenze delle parti all'applicazione del regime previsto. Ciò era stato affermato da Trib. Arezzo, 14 aprile 2008, all'esito di procedimento ex art. 337 c.c. nel quale il giudice tutelare era stato chiamato ad attuare la decisione del Tribunale in tema di affidamento del minore, per eseguire la quale il l'Autorità adita si era avvalsa dei servizi sociali e della forza pubblica (sul punto si veda anche Trib. Pistoia, 28 settembre 2010). La cd. «vigilanza attiva» è stata quindi intesa alla stregua di potere di dare esecuzione materiale alla decisione del Tribunale ma, successivamente, ad essa è stata conferita una più ampia portata. È stato difatti successivamente ritenuto che il giudice tutelare, potesse incidere sulle questioni accessorie o meramente esecutive, nell'ambito delle quali rientrerebbe la cornice dei tempi di frequentazione tra prole e genitori, ferma restando l'inibizione rispetto alla modifica delle condizioni di separazione disposte dal Tribunale e, quindi, pur non potendo modificare le condizioni di primaria importanza, circoscritte però alle sole questioni relative all'affidamento, al collocamento ed al quantum del mantenimento (Trib. Milano, 22 giugno 2015). In particolare il principio di cui innanzi era stato affermato in una fattispecie nella quale il Tribunale, dopo aver pronunciato un provvedimento regolante l'esercizio della responsabilità genitoriale ed i tempi di frequentazione del minore da parte del genitore non collocatario, era stato nuovamente adito per regolamentare ulteriormente gli incontri testé indicati. All'esito è stata però ritenuta nella specie sussistenza la diversa competenza del giudice tutelare, ex art. 337 c.c., il quale, pur non potendo modificare le condizioni stabilite dal Tribunale per l'esercizio della responsabilità genitoriale, può comunque modificare le questioni «accessorie e meramente esecutive» di cui sopra. Il fondamento giuridico di tale potere di «vigilanza attiva» è stato rinvenuto nell'art. 337-ter c.c., che, nella formulazione antecedente al d.lgs. n. 149 del 2022 ribadiva quanto già previsto dall'art. 6, comma 10, della l. n. 898/1970 ossia l'obbligo di trasmissione al giudice tutelare, ai fini dell'esecuzione, della sentenza pronunciata dal Tribunale Ordinario. Sicché, parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che quando non fosse pendente alcun procedimento, il giudice tutelare, attraverso la c.d. «vigilanza attiva», potesse adottare, avvalendosi dei poteri attribuitigli ex art. 344 c.c., tutti i provvedimenti idonei ad agevolare l'esecuzione della decisione del Tribunale ordinario o del Tribunale per i minorenni, salvi i limiti connessi alla funzione esercitata. Secondo questa impostazione potrebbero quindi anche essere accertate violazioni delle condizioni stabilite dal Tribunale oltre che impartite prescrizioni ai genitori. Si sarebbe difatti, quello di cui innanzi, di intervento «chiarificatore» e non integrativo, «introducendo specificazioni di dettaglio» alla decisione assunta dal Tribunale ordinario. Così argomentando, lo strumento di cui all'art. 337 c.c. è stato quindi ritenuto alternativo a quello di cui all'art. 612 c.p.c. ed operante attraverso l'adozione di tutti i provvedimenti volti, senza modificare il regime stabilito in sede di cognizione, a consentirne l'applicazione (in merito si veda Trib. Varese, 17 febbraio 2012, in ilcaso.it.). In considerazione dell'intervenuta abrogazione dell'obbligo di trasmissione al Giudice tutelare, in precedenza prevista dall'art. 337ter c.c., unitamente alla introduzione dell'art. 473-bis.38 c.p.c., che disciplina le modalità di attuazione del provvedimenti di affidamento in presenza, o meno, di un procedimento, la disposizione in commento sembra oramai destinata ad una applicazione sempre più rarefatta. BibliografiaAuletta, Il diritto di famiglia, Milano, 2016; Bucciante, Inadempimenti dei genitori e provvedimenti a tutela del figlio, in Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, Torino, 1997; Canavese, L'esecuzione dei provvedimenti concernenti la persona del minore, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, VI, Milano, 2012; Carpi, Note in tema di tecniche di attuazione dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ.1988; Chiarloni, L'esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori. 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Contributo alla teoria dell'esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1992; Fornaciari, L'attuazione dell'obbligo di consegna di minori, Milano, 1991; Graziosi, I processi di separazione e di divorzio, Torino, 2011; La Rosa, sub art. 337 c.c., in Gabrielli (diretto da) Commentario del codice civile, Torino, 2010; Morani, L'esecuzione forzata dei provvedimenti civili relativi alla persona del minore, in Giur. mer. 1998; Vercellone, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia. La filiazione, il controllo sull'esercizio della potestà, Milano, 2002. |