Codice Civile art. 324 - Usufrutto legale (1).

Annachiara Massafra

Usufrutto legale (1).

[I]. I genitori esercenti la responsabilità genitoriale (2) hanno in comune l'usufrutto dei beni del figlio, fino alla maggiore età o all'emancipazione [390] (3).

[II]. I frutti percepiti sono destinati al mantenimento della famiglia e all'istruzione ed educazione dei figli [143, 147, 148].

[III]. Non sono soggetti ad usufrutto legale [465]:

1) i beni acquistati dal figlio con i proventi del proprio lavoro;

2) i beni lasciati o donati al figlio per intraprendere una carriera, un'arte o una professione;

3) i beni lasciati o donati con la condizione che i genitori esercenti la responsabilità genitoriale (2) o uno di essi non ne abbiano l'usufrutto: la condizione però non ha effetto per i beni spettanti al figlio a titolo di legittima [536 ss.];

4) i beni pervenuti al figlio per eredità, legato o donazione e accettati nell'interesse del figlio contro la volontà dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale [321] (2). Se uno solo di essi era favorevole all'accettazione, l'usufrutto legale spetta esclusivamente a lui.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 147 l. 19 maggio 1975, n. 151.

(2) L'art. 48, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito alla parola «potestà», le parole: «responsabilità genitoriale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

(3) L'art. 48, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha inserito, dopo le parole: «dei beni del figlio», le parole: «, fino alla maggiore età o all'emancipazione». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

L'usufrutto legale, le cui origini per quanto oscure vengono fatte risalire al diritto romano post classico ed al diritto consuetudinario francese, è stato dapprima disciplinato nel codice civile del 1865, successivamente, in quello del 1942 e mantenuto in vigore dal legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975 (in merito, Pelosi, 383; per i rapporti con il nuovo art. 315 c.c. D'Antonio- Giannone Codiglione, 1 ss.).

L'art. 324 c.c. prevede che i genitori, esercenti la responsabilità genitoriale, hanno in comune l'usufrutto dei beni del figlio fino alla maggiore età o all'emancipazione. Come la maggior parte delle disposizioni contenute nel titolo IX del codice civile, anche l'art. 324 c.c. è stata oggetto di un restyling lessicale, intimamente connesso con la riforma della filiazione (attuata con d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) e con il principio di bigenitorialità.

È stato quindi sostituito il vocabolo «potestà» con l'espressione «responsabilità genitoriale» ed è stato posto un limite temporale per il godimento dei beni da parte dei genitori, il compimento del diciottesimo anno o l'emancipazione del figlio.

Si è discusso ampiamente in dottrina sulla finalità dell'istituto in esame. Taluni hanno ritenuto che esso costituisca uno strumento tecnico-giuridico previsto dal legislatore al fine di riconoscere l'uso che, ordinariamente, i genitori fanno dei beni del figlio minore e di semplificare i meccanismi in forza dei quali i membri della famiglia adempiono al dovere reciproco di contribuzione (Vercellone, 451). Altri autori hanno invece ritenuto che l'usufrutto legale sia espressione dell'esigenza di esonerare i genitori dal rendere il conto della gestione che essi facciano dei frutti e delle rendite promananti dai beni appartenenti ai propri figli (Ferri, 119; Auletta, 372).

Quale che sia la tesi da ritenersi preferibile, è comunque evidente che la  ratio dell'istituto non è quindi quella di tutelare l'interesse del singolo componente del nucleo ma la solidarietà familiare fra consanguinei. Quest'ultima impone di sottrarre al minore il godimento di una parte dei beni di sua proprietà per attribuirlo ai genitori in funzione del soddisfacimento di esigenze suscettibili di essere considerate comuni all'intera famiglia o comunque dotate di una valenza familiare, ancorché relative a singoli membri della stessa (Bucciante, 648; Pelosi, 384; Jannuzzi, 128; La Rosa- Sobbrio, 976).

Proprio in quanto espressione della solidarietà familiare, l'usufrutto legale, inoltre, come il dovere di contribuzione spettante al minore convivente ex art. 315-bis c.c., costituisce la forma prescelta dal legislatore per garantire la partecipazione del figlio agli oneri patrimoniali della famiglia (La Rosa-Sobbrio, 977).

Tuttavia, è opportuno fin d'ora osservare che l'usufrutto legale prescinde, diversamente dal dovere di contribuzione di cui all'art. 315-bisc.c., dalla convivenza tra figlio e genitori e trova il suo fondamento nella mera appartenenza al nucleo familiare. Di talché, esso sussiste anche se il minore non conviva con la famiglia e cessa al raggiungimento della maggiore età, anche in permanenza della convivenza del figlio con la famiglia (De Pamphilis, Lena, 1209; La Rosa- Sobbrio, 977). L'obbligo di contribuzione di cui all'art. 315-bis c.c., non si fonda infatti sulla solidarietà tra consanguinei e ne beneficiano tutti coloro che vivono nella medesima abitazione familiare. Esso trova la sua giustificazione nella necessità di imporre, a tutti coloro che beneficiano dei vantaggi derivanti dalla convivenza familiare, a prescindere dall'età, di concorrere in misura adeguata alla sopportazione degli oneri e delle spese che essa comporta (così De Cristofaro, 1167; sul punto si veda altresì Paradiso, 338, il quale definisce l'obbligo gravante sul figlio quale aspetto particolare del più ampio dovere di collaborazione personale nell'ambito della famiglia). Ne consegue che finché il minore conviva con il genitore, adempie all'obbligo di contribuzione proprio attraverso i frutti naturali e civili dei propri beni, salvo che il loro valore non sia tale da «coprire» il dovere gravante sul figlio. In tal caso quest'ultimo potrà essere chiamato a contribuire con altri beni di cui sia eventualmente proprietario.

Alla luce delle caratteristiche dell'istituto, è stato quindi evidenziato che in virtù dell'esistenza dell'usufrutto legale il patrimonio del minore viene idealmente suddiviso in due parti.

Da un lato, i beni soggetti ad usufrutto legale, sui quali viene attribuito ai genitori un potere di godimento da esercitare in funzione del soddisfacimento di esigenze legate al mantenimento della famiglia e all'istruzione ed educazione dei figli, e un potere di amministrazione e disposizione dei frutti e delle utilità ottenute attraverso il godimento dei beni in questione ed esercitabile senza obbligo di rendiconto e senza controlli preventivi dell'Autorità giudiziaria (tanto nella fase della riscossione quanto nella fase dell'impiego dei frutti). Dall'altro lato si pongono invece i beni sottratti all'usufrutto legale, sui quali viene attribuito ai genitori un potere di amministrazione da esercitare nell'interesse superiore del figlio e sottoposto a penetranti controlli da parte dell'Autorità giudiziaria (De Cristofaro,1168; in merito altresì Jannuzzi, 129).

La natura giuridica dell'usufrutto legale

Oggetto dell'usufrutto sono solo le cose corporali (mobili o immobili) non consumabili, delle quali il minore sia proprietario, ed i capitali che i genitori abbiano riscosso in nome del minore, ricevendo somme di denaro spettanti a quest'ultimo.

Si discute se tra i beni oggetto dell'usufrutto legale possano essere ricompresi i beni consumabili (per la tesi negativa si veda De Cristofaro, 1183, per il quale tali beni sarebbero invece sottoposti alle regole generali in tema di amministrazione dei beni del minore; in senso positivo invece, Pelosi, 393) mentre sembra che possa avere ad oggetto beni deteriorabili (si veda De Cristofaro, 1180, per il quale non vi sarebbero ragioni tali da giustificare la preclusione di utilizzare cose deteriorabili in conformità all'uso cui esse sono destinate; in merito alla ricostruzione del relativo dibattito in dottrina si veda La Rosa-Sobbrio, 985).

I frutti devono essere utilizzati, in particolare, per il soddisfacimento delle esigenze individuate dall'art. 324 c.c., quali il mantenimento della famiglia nonché l'istruzione ed educazione dei figli. La finalità sottesa può essere costituita «sia del perseguimento di interessi di tipo collettivo, che coinvolgono ed investono cioè l'intero nucleo familiare, sia di interessi più propriamente individuali, cioè che fanno capo a singoli componenti dello stesso, ma hanno una rilevanza tale da far acquisire loro una connotazione familiare« (così De Cristofaro, 1190).

L'usufrutto legale, se pur con delle evidenti specificità, ha il contenuto del diritto di usufrutto, inteso come diritto di godere del bene rispettandone la destinazione economica (Bianca, 2014, 349). Il potere spettante ai genitori di amministrare i beni è peraltro ben più ampio di quello riconosciuto all'usufruttuario e ciò in considerazione del fatto che essi sono titolari ed esercitano la responsabilità genitoriale (La Rosa- Sobbrio, 981). Esso è inoltre indisponibile, inespropriabile nonché intrasmissibile, estinguendosi al compimento della maggiore età del figlio ovvero con la morte di entrambi o del solo genitore titolare (e non per rinuncia, scadenza del termine o per non uso in merito si veda, Jannuzzi, 131).

Sebbene l'istituto imponga ai genitori che i frutti, civili e naturali, dei beni appartenenti al figlio debbano essere utilizzati per finalità familiari ciò, come già osservato, non impone contestualmente ai genitori alcun obbligo di rendiconto.

In considerazione delle caratteristiche tipiche dell'usufrutto legale si è posto il problema di individuarne la natura giuridica.

Secondo parte di dottrina, formatasi con riferimento all'art. 320 c.c. ante novella del 2013, l'istituto in esame costituisce un attributo della responsabilità genitoriale da includersi nell'ambito del complesso delle posizioni giuridiche in cui essa si sostanzia (Bucciante, 654; Jannuzzi, 129, il quale ritiene che trattasi di «uno dei poteri-doveri attribuiti ai genitori per l'esercizio della potestà»).

Altra autorevole dottrina ravvisa nell'attribuzione ai genitori dell'usufrutto legale ragioni di opportunità e razionalità escludendo che allo stesso possa riconoscersi natura di diritto soggettivo, ritenendolo un ufficio di diritto privato (Pelosi, 384). È stato in particolare osservato, ancorché con riferimento all'articolo 324 c.c. ante novella del 2013, che l'usufrutto in oggetto, differentemente dalla responsabilità genitoriale, è riconosciuto non solo e non tanto nell'interesse del figlio ma per soddisfare esigenze più ampie, relative all'intero nucleo familiare. La sua attribuzione ai genitori si spiegherebbe dunque per ragioni di opportunità, essendo ragionevole che la funzione di destinare i frutti del bene del figlio a vantaggio della famiglia venga affidata proprio a chi è tenuto, per legge o in forza di provvedimento giurisdizionale, all'amministrazione dei beni del figlio (Pelosi 384).

La qualificazione non in termini di diritto soggettivo (reale) ma di funzione porta infine ad escludere qualsiasi accostamento dell'usufrutto in esame alla comunione ordinaria, essendo concepibile rispetto all'esercizio della funzione la contitolarità e non la comunione (La Rosa-Sobbrio, 983; Pelosi 383 ss).

Contra la tesi, che sul punto sembra prevalere, per la quale l'istituto in oggetto fonderebbe diritto reale di godimento su cosa altrui, con conseguente applicazione delle norme di cui agli artt. 1100 c.c. e ss., ancorché la disciplina di cui all'art. 324 c.c. sia connotata da elementi di significativa diversità rispetto a quella generale dell'usufrutto ( Bianca, 2014, 350, il quale specifica che pur con le sue specialità l'usufrutto legale si conforma, per quanto concerne il suo esercizio, alla disciplina dell'usufrutto; Bianca, 1999, 622; Finocchiaro-Finocchiaro, 2154; per la ricostruzione critica delle due tesi, si veda, per tutti, De Cristofaro, 1174 che accede a quest'ultima tesi ritenendo che al genitore spetti anche il diritto di conseguire il possesso della cosa ex art. 982 c.c.).

La tesi che individua nell'usufrutto legale un diritto reale ritiene, in particolare, che esso sia dotato delle caratteristiche fondamentali proprie dei diritti reali quali immediatezza; inerenza alla cosa ed opponibilità  erga omnes. Da parte dei sostenitori di questa tesi, peraltro, si sottolinea che il vincolo di destinazione impresso ai frutti civili e naturali costituisce una mera limitazione alla discrezionalità di cui gode il genitore che non comporta l'alterazione del contenuto tipico dei poteri, di godimento e di gestione (De Cristofaro, 1174).

La sorte dei frutti riscossi ma non utilizzati

I frutti una volta riscossi devono essere utilizzati per il soddisfacimento degli interessi della famiglia. Potrebbe tuttavia capitare che, in uno specifico momento, non vi sia la necessità di utilizzarli.

Si pone quindi il problema di stabilire la sorte dei frutti riscossi ma non utilizzati.

Parte della dottrina ritiene che i frutti andrebbero accantonati, per poi eventualmente essere restituiti al figlio al compimento della maggiore età (Bucciante, 648), ed altra invece propende per la ricapitalizzazione (Bianca, 349, il quale esclude un obbligo di accantonamento in assenza di una esplicita previsione in tal senso).

Secondo autorevole e condivisibile dottrina, i frutti rimarrebbero nel patrimonio dei genitori in attesa di un futuro utilizzo nell'interesse della famiglia (Auletta 370; Ferri, 122). Sicché, i frutti, una volta entrati a far parte del patrimonio del genitore, non dovrebbero essere restituiti al figlio ove residuassero al compimento della maggiore età. In assenza di necessità immediate di impiego, i frutti percepiti e non utilizzati andrebbero «conservati in vista di possibili futuri bisogni» e dopo il raggiungimento della maggiore età da parte dei figlio resterebbero nel patrimonio dei genitori, continuano ad essere assoggettati al vincolo di destinazione familiare (in questo senso De Cristofaro, 1194). Se il figlio continuasse a vivere con i genitori e residuassero dei frutti, lo stesso potrebbe infine rifiutare di contribuire al mantenimento della famiglia con altre sostanze diverse dai frutti riscossi e non autorizzati e fino all'ammontare di questi (in questo senso De Cristofaro, 1195). Il figlio potrebbe altresì contribuire ai fabbisogni della famiglia autorizzando i genitori a continuare a godere dei beni un tempo soggetto ad usufrutto legale senza imporre rendicontazioni (si veda altresì il commento relativo al successivo art. 329 c.c., al quale in questa sede si rinvia).

La disciplina dell'usufrutto legale

Sotto il profilo della normativa applicabile, l'usufrutto legale non soggiace all'intera disciplina relativa all'usufrutto, cessando  automaticamente al compimento del diciottesimo anno di età del figlio  e non cessando invece per «abuso dell'usufruttuario» (di cui all'art. 1015 c.c.), trovando per esso altresì applicazione la speciale disposizione contenuta nell'art. 334 c.c. in materia di rimozione dall'amministrazione

All' usufrutto legale peraltro, proprio in forza della ratio sottesa al riconoscimento di tale diritto ai genitori, non si applicano le disposizioni contenute negli artt. 981 c.c., 995 c.c. e 999 c.c. (in questo senso: Sesta, 2011, 148, Bucciante, 654; De Cristofaro, 1181 c.c. ritiene applicabile anche l'art. 996 c.c.), essendo invece applicabili gli artt. 1001 c.c., 1008 c.c., 1010 c.c. e 1013 c.c. (La Rosa- Sobbrio, 990; De Cristofaro, 1180).

È inoltre controverso se debba essere effettuato l'inventario (De Cristofaro, 1181; contra  Santarcangelo, 175; Auletta, 374).

In ragione della contitolarità nell'usufrutto legale, il disaccordo tra i genitori in merito alla gestione dei beni ovvero alla destinazione dei frutti a vantaggio della famiglia, nei casi più rilevanti e nelle fattispecie disciplinate dall'art. 337-bis c.c., dovrebbe essere risolto dal giudice, ai sensi dell'art. 337-ter c.c. (in questo senso Morace Pinelli, 741, il quale peraltro esclude che in caso di separazione possa disporsi un diverso riparto tra i genitori del godimento dei beni oggetto di usufrutto legale).

Deve tuttavia evidenziarsi che in caso di contrasto tra i genitori, ai quali spetti in comune l'usufrutto legale, possono trovare applicazione l'art. 145 c.c., nel caso in cui si debba far fronte a necessità e contrasti riguardanti l'intera famiglia o bisogni specifici di alcuni membri di essa (in questo senso: De Cristofaro, 1193, e Bucciante, 558; contra  Pelosi, 386, il diversamente ritiene applicabile l'art. 316 c.c.). Alla differente ipotesi di «cattiva gestione dei frutti» da parte dei genitore sarebbe invece la disciplina di cui agli artt. 334 c.c. e s.s. (in questo senso Ferri, 121, e De Cristofaro, 1170, il quale valuta anche le conseguenze dell'«abuso dell'usufruttuario»).

I beni esclusi dall'usufrutto

Sono esclusi dall'usufrutto legale, ex art. 324, comma 3, c.c.:

I beni acquisitati dal figlio con i proventi del proprio lavoro;

I beni lasciati o donati al figlio per intraprendere una carriera, un'arte o una professione;

I beni lasciati o donati con la condizione che i genitori esercenti la responsabilità genitoriale o uno di essi non ne abbiano l'usufrutto ma la condizione però non ha effetto per i beni spettanti a titolo di legittima;

I beni pervenuti al figlio per eredità, legato, o donazione e accettati nell'interesse del figlio contro la volontà dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, salvo che uno solo non fosse favorevole, nel qual caso l'usufrutto legale spetta esclusivamente a lui.

All'elencazione di cui innanzi, per autorevole dottrina, dovrebbero essere aggiunti anche i beni di uso strettamente personale del minore (De Cristofaro, 1183).

L'esclusione dall'applicazione della disciplina dell'usufrutto legale comporta l'amministrazione dei relativi beni secondo le regole generali, di cui alla disciplina dell'art. 320 c.c. (in questo senso, Santarcangelo, 131). Sono invece sottratti sia all'usufrutto legale che all'amministrazione da parte dei genitori i beni devoluti ai figli minori a seguito di successione nella quale entrambi i genitori siano stati esclusi per indegnità (Grosso-Burdese, 130; nello stesso senso si veda De Cristofaro, 1183, il quale chiarisce che nell'ipotesi di cui innanzi occorrerà procedere alla nomina di un curatore speciale per la cura dell'amministrazione dei beni per conto del minore).

La ratio dell'esclusione dei beni acquisitati dal figlio con i proventi del proprio lavoro risiede nella volontà di evitare  una «coattiva destinazione al soddisfacimento di bisogni familiari» delle utilità e dei frutti derivanti dagli sforzi e dall'impegno lavorativo del minore così frustrandone gli sforzi profusi nell'esercizio del suo lavoro. Con riferimento ai beni di cui al successivo n. 2 dell'art. 324, comma 3, c.c. la finalità perseguita dal legislatore è invece quella di lasciare libero il figlio di godere dei beni destinati al proprio lavoro (De Cristofaro, 1185, dal quale si mutuano peraltro le espressioni di cui innanzi; sul punto Bucciante, 588-589; Santarcangelo, 155).

Per converso, la  ratio  sottesa all'esclusione di cui al n. 3 è da ravvisarsi nella necessità di evitare che chi voglia effettuare un lascito in favore del minore non lo faccia temendo che il genitore possa godere dei relativi frutti ( Pelosi, 389). I beni pervenuti al figlio per eredità, legato, o donazione  e accettati nell'interesse del figlio contro la volontà dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, sono invece «esclusi» per la necessità di evitare che colui il quale non abbia voluto accettare il lascito in favore del minore, così ponendo in essere un atto contrario all'interesse prevalente del minore, goda degli effetti di tale accettazione (Stella Richter-Sgroi, 451 qualificano tale fattispecie come una sanzione).

Gli interessi sul capitale del figlio minore, come in genere i frutti dei beni del medesimo, sono oggetto dell'usufrutto legale di cui all'art. 324 c.c., essendo pertanto esclusa la legittimazione del figlio, una volta divenuto maggiorenne, ad agire per il pagamento degli interessi inerenti al periodo antecedente al raggiungimento della maggiore età (si vedano, in tal senso: Cass. I, n. 9386/1999, e Cass. I, n. 10849/1996; si veda altresì, in merito ai profili tributari dell'usufrutto in esame, Cass. V, n. 6360/2014, la quale, in tema di tassazione di redditi diversi, equipara alla cessione delle azioni delle quali il contribuente sia proprietario quella inerente azioni su cui il medesimo abbia l'usufrutto legale ex art. 324 c.c., atteso che il diritto di voto va comunque attribuito all'usufruttuario ex art. 2352 c.c.).

L'estinzione dell'usufrutto legale e rapporti con il fallimento

Come innanzi anticipato, l'estinzione dell'usufrutto legale è regolamentata diversamente da quella dall'usufrutto «ordinario» in ragione della specificità che contraddistingue il primo istituto.

Nel dettaglio, esso, non rinunciabile, si estingue al raggiungimento  della maggiore età del figlio ovvero nel caso di sua emancipazione (si veda in merito Dell'Oro, 60). A queste cause tipiche si aggiungono la morte del figlio, la morte dei genitori (non trovando applicazione l'istituto dell'usufrutto legale in caso di tutela) e la perdita della proprietà del bene, qualunque sia la causa che l'abbia determinata, ancorché ricollegata al fallimento.

L'acquisizione alla procedura concorsuale di un bene appartenente al minore dichiarato fallito, sul quale era stato esercitato dal genitore l'usufrutto legale ex art. 324 c.c., comporta difatti l'automatica estinzione dell'usufrutto stesso, quale effetto della cessazione dell'appartenenza del bene al minore (Cass. I, n.2257/1998).

L'usufrutto legale cessa altresì qualora entrambi i genitori vengano dichiarati decaduti dall'esercizio della responsabilità genitoriale, ai sensi dell'art. 330 c.c., ovvero rimossi dall'amministrazione dei beni del figlio, secondo quanto prevede l'art. 334 c.c. Deve infatti ribadirsi in questa sede che ove il genitore abusi dell'usufrutto legale non trova applicazione l'art. 1015 c.c. bensì l'art. 334 c.c., in tema di rimozione del genitore dall'amministrazione dei beni del figlio minore (Jannuzzi, 109).

In questi ultimi casi, tuttavia, più che di estinzione sembrerebbe preferibile parlare di «sospensione», atteso che trattasi di provvedimenti pronunciati rebus sic stantibus, pertanto sempre revocabili al cessare della situazione che vi ha dato origine, ex artt. 332 c.c. e 335 c.c.

Per converso, l'estinzione in oggetto non può avvenire «per rinunzia», essendo l'usufrutto legale dei genitori sui beni del figlio minorenne indisponibile, né per prescrizione  o per confusione (Pelosi, 394) né per taluna delle cause integranti «abuso dell'usufruttuario», di cui all'art. 1015 c.c.

Bibliografia

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Pelosi, sub art. 324, in Cian-Oppo-Trabucchi (diretto da), Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, IV, 1992; Pelosi, Della potestà dei genitori, in Cian-Oppo-Trabucchi (diretto da), Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, Milano, 2003; Vercellone, La filiazione, legittima, naturale, adottiva e la procreazione artificiale, in Trattato Vassalli, Torino, 1987.

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