Codice Civile art. 318 - Abbandono della casa del genitore (1).

Annachiara Massafra

Abbandono della casa del genitore (1).

[I]. Il figlio, sino alla maggiore età o all'emancipazione, non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la responsabilità genitoriale né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza permesso, i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare [358 2; 45 att.] (2).

(1) Articolo sostituito dall'art. 141 l. 19 maggio 1975, n. 151.

(2) L'art. 43, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha inserito, dopo le parole: «Il figlio» le parole: «, sino alla maggiore età o all'emancipazione,», e ha sostituito alla parola «potestà», le parole: «responsabilità genitoriale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

Anche la disposizione in commento è stata oggetto di modifica (in questo caso non strutturale) da parte del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.

Sotto il profilo lessicale è stata sostituita la parola potestà con l'espressione responsabilità genitoriale per le ragioni ampliamente illustrate nei commenti degli articoli precedenti ed è stato introdotto un limite temporale al dovere per il figlio di vivere con i propri genitori o di rimanere presso la dimora che sia stata scelta per lui dagli esercenti la responsabilità genitoriale.

L'art. 318 c.c. disciplina il dovere gravante sul figlio, solo quello minorenne e non emancipato, di vivere con i genitori sui quali, per converso, grava il dovere di farlo crescereo in famiglia nonché quello di individuarne la residenza.

Prima della novella del 2013, la giurisprudenza di merito aveva escluso che il figlio maggiorenne avesse il diritto di abitare con i genitore, ove non autosufficiente economicamente, in quanto il dovere di mantenimento poteva essere comunque adempiuto senza la necessaria coabitazione (Pret. di Oristano 4 dicembre 1986, in Dir. fam. 1988, 374). Era stato specificato, con riferimento alla possibilità di scegliere una dimora diversa dalla residenza familiare, che i genitori avevano il potere di collocare il figlio in una diversa dimora da quella familiare purché non delegassero l'esercizio della responsabilità genitoriale e non si trattasse di persona estranea al nucleo familiare (Trib. min. Milano, 11 luglio 2006, in Giust. a Milano, 2006, 7, 49).

L'illegittimo allontanamento

L'art. 318 c.c. disciplina due diverse condotte che possono essere poste in essere dal figlio: l'abbandono e l'allontanamento dalla dimora. La prima è da intendersi come situazione di fatto capace di pregiudicare radicalmente il rapporto e l'allontanamento da intendersi come possibile situazione tendente alla cesura della relazione affettivo formativa (così Foti, 895) tra il genitore ed il figlio.

L'abbandono ha quindi carattere tendenzialmente definitivo mentre l'allontanamento, per quanto duraturo, determina una sospensione temporanea della convivenza tra il figlio ed il genitori (in merito Gorassini, 14; Bucciante, 610). La norma non fornisce una definizione di allontanamento né di permesso; la loro corretta individuazione, tuttavia, è determinante per stabilire in quali casi i genitori possano rivolgersi all'autorità giudiziaria per far rientrare presso l'abitazione il figlio minorenne che se ne sia allontanato e quando l'allontanamento sia privo di conseguenze giuridiche.

In primo luogo deve evidenziarsi che l'allontanamento del figlio minorenne può avvenire sia dall'abitazione familiare che dalla dimora scelta dai genitori e, per avere rilevanza, deve essere volontario e duraturo. Con specifico riferimento al requisito della volontarietà, assume rilievo, ai fini dell'applicazione della presente disposizione, anche l'allontanamento dovuto alla condotta di un terzo che si rifiuti di riconsegnare il minore al genitore esercente la responsabilità genitoriale, ritenuto da parte di autorevole dottrina rientrare nei casi di allontanamento volontario (Bucciante, 612).

L'allontanamento, così come l'abbandono, non deve essere stato previamente permesso da uno o entrambi i genitori, nel qual caso la condotta del minore, ovviamente, non può essere considerata come illecita o contraria a quanto disposto dal genitore. Circa la natura del permesso, deve osservarsi che essa non costituisce un'autorizzazione, né, una volta dato, determina in capo al minore un diritto soggettivo: esso è un atto che rende lecita la condotta del figlio (Foti, 900), alla luce della situazione familiare o della volontà manifestata del minore (che, si rammenta, avere il diritto ad essere ascoltato anche in ambito familiare).

Il permesso deve essere concesso dal genitore esercente la responsabilità genitoriale. Sicché, ove entrambi i genitori la esercitino dovranno entrambi accordare detto permesso.

Secondo taluni l'allontanamento posto in essere con il permesso di uno solo dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale è da ritenersi legittimo e, pertanto, il Giudice tutelare, ove sia adito dall'altro genitore o da entrambi, non può pronunciare l'eventuale provvedimento richiesto finalizzato al rientro presso l'abitazione familiare o la residenza assegnatagli (in questo senso Finocchiaro-Finocchiaro, 2042).

I poteri dei genitori

Si è posto il problema, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, di quali siano gli strumenti, legittimi, che il genitore possa utilizzare di fronte all'allontanamento del figlio dall'abitazione, dopo aver cercato di persuaderlo invano a rientrare nell'abitazione familiare o nella dimora per lui scelta.

Preliminarmente i genitori hanno il potere «di richiamare» il minore presso l'abitazione; tale potere viene qualificato come una situazione giuridica soggettiva di secondo grado, esperibile solo in caso di inosservanza dell'obbligo primario (Foti, 902).

Secondo la dottrina il genitore può trattenere il figlio contro la sua volontà presso l'abitazione familiare se tale azione, estrema, viene posta in essere a tutela del superiore interesse del figlio (Vercellone, 1010; in merito alla possibilità per i genitori di utilizzare metodi coercitivi si veda altresì Dogliotti, 343). Ne consegue che tale condotta posta in essere dal genitore, eventualmente in astratto integrante il delitto di sequestro di persona o di violenza privata, sia scriminata essendo posta in essere in adempimento di un dovere (Vercellone, 1010).

La posizione della giurisprudenza di merito, sul punto, appare in linea con quanto sostenuto dalla dottrina in merito ai poteri riconosciuti e riconoscibili al genitore. Il Tribunale di Trento ha ritenuto di assolvere, riconoscendo la sussistenza della scriminante di cui all'art. 51 c.p., dal reato di sequestro di persona due genitori che avevano trattenuto la figlia a casa, contro la sua volontà, per alcuni giorni per non farle incontrare degli spacciatori di sostanze stupefacenti (Trib. Trento, 20 ottobre 1999, in Giur. mer. 2000, 110).

I limiti dell'intervento del Giudice tutelare

Se i genitori non riescono a far tornare il figlio presso l'abitazione familiare, attraverso l'esercizio dei poteri sopra indicati, possono rivolgersi al Giudice tutelare il quale adotta i provvedimenti necessari.

Il ricorso deve essere presentato da colui o coloro che esercitano la responsabilità  genitoriale (in merito Giorgianni 341 per il quale l'istanza dovrebbe essere presentata congiuntamente dai genitori anche in caso di affidamento esclusivo, trattandosi di una decisione di maggiore interesse per il minore; Ruscello 336; Vercellone 1010; contra  Bucciante, 612, per il quale il ricorso può essere presentato anche da uno solo dei genitori).

Si ritiene che il Giudice Tutelare sia obbligato a pronunciare il provvedimento richiesto, senza avere alcuna discrezionalità nel valutare la concreta situazione o l'interesse prevalente del minore (Gorassini, 95). Deve evidenziarsi che tale impostazione, fondata sul dato letterale della norma, urta, tuttavia, con quanto statuito dalla giurisprudenza e con lo spirito comune delle norme di questo titolo teso a porre al centro di ogni decisione, sia all'interno della famiglia che in sede giurisdizionale, il preminente interesse del minore ed a valorizzarne i diritti e l'identità personale. Sicché si ritiene condivisibile la dottrina che ritiene che il giudice debba effettuare le sue valutazione alla luce della concreta situazione e dell'interesse prevalente del minore (Ruscello, 137; Vercellone, 1010; Ferri, 59). Ove peraltro nel corso del procedimento dinanzi al Giudice tutelare dovessero emergere circostanze relative ad un cattivo esercizio della responsabilità genitoriale ovvero dimostrative della eventuale necessità di un provvedimento amministrativo nei confronti del figlio, il Giudice tutelare può trasmettere gli atti al Pubblico ministero presso il Tribunale per i minorenni territorialmente competente per le determinazioni di competenza ex art. 330 c.c..

In caso di rigetto dell'istanza si ritiene condivisibilmente che il Giudice, anche in presenza di una situazione necessitante di un intervento rapido e tempestivo, non possa pronunciare provvedimenti urgenti, di competenza del Tribunale per i minorenni (in questo senso Finocchiaro-Finocchiaro, 2041).

Il procedimento di cui all'art. 318 c.c. presuppone che non vi sia contrasto tra i genitori esercenti la responsabilità genitoriale circa l'opportunità di rientro del figlio nell'abitazione familiare, diversamente troverà applicazione l'art. 316 c.c. (in merito Bucciante 552; Ruscello, 341 il quale specifica che la disposizione citata può trovare applicazione sia con riferimento all'esercizio congiunto del potere di richiamo, sia in caso di contrasto, sia in tema di grave pregiudizio, evidenziando l'assenza di diversità in caso di affidamento esclusivo e non del minore).

In quest'ultima ipotesi, in applicazione dell'art. 38 disp. att. c.c., sarà il Tribunale ordinario ad attribuire al genitore che dimostrerà essere il miglior interprete delle esigenze del figlio, il potere di decidere del suo rientro.

La giurisprudenza di merito ha ritenuto infatti che il Giudice Tutelare sia tenuto a valutare le ragioni dei genitori e del figlio e poi decidere, specificando in merito che l'autorità giudiziaria non deve limitarsi a fungere da esecutore puro e semplice della volontà dei genitori dovendo valutare ragioni e motivazioni così informando la propria decisione alle esigenze di questi ultimi (Trib. min. Trieste, 21 giugno 1988, in Dir. fam. 1988, 1412, Trib. min. Bologna 23 ottobre 1973, in Giur.It, 1974, I, 2, 550).

Da ultimo si evidenzia che il Giudice tutelare definisce il procedimento attraverso un decreto reclamabile dinanzi al Tribunale ordinario ex art. 38 disp. att. c.c.

Bibliografia

Auletta Diritto di famiglia, Torino 2016; Bianca, Diritto civile, La famiglia, 2.1., Milano, 2014; Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, inadempimenti dei genitori e provvedimenti a tutela del figlio, in Rescigno (a cura di), Trattato di diritto civile, IV, Torino, 1997; Cicu, La filiazione, in Vassalli (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, II, Torino, 1969; Dogliotti, La potestà dei genitori e l'autonomia del minore, in Trattato di diritto civile, VI t.2, Milano 2007; Ferri, Della Potestà dei genitori, in Comm. S.B., Bologna -Roma, 1988; Finocchiaro-Finocchiaro, Diritto di famiglia Milano, 1984; Giorgianni, Della potestà dei genitori, Oppo- Cian-Trabucchi (a cura di), Commentario al diritto italiano della famiglia, IV, Padova,1992; Gorassini, L' allontanamento volontario del minore, Napoli, 1994; Foti, sub art. 318, in Gabrielli (diretto da), Commentario del codice civile, Torino, 2010; Ruscello, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, Ferrando (diretto da) In nuovo diritto di famiglia, III, Bologna, 2007; Sesta, La potestà dei genitori, Bessone (a cura di), Ildiritto di famiglia, Torino, 1999; Vercellone, Il controllo giudiziario sull'esercizio della potestà, in Zatti (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2002.

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