Codice di Procedura Civile art. 736 bis - [Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari] 1[Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari]1 [[I]. Nei casi di cui all'articolo 342-bis del codice civile, l'istanza si propone, anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell'istante, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica.] [[II] Il presidente del tribunale designa il giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso. Il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione necessari, disponendo, ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo.] [[III]. Nel caso di urgenza, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l'ordine di protezione fissando l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni ed assegnando all'istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. All'udienza il giudice conferma, modifica o revoca l'ordine di protezione.] [[IV]. Contro il decreto con cui il giudice adotta l'ordine di protezione o rigetta il ricorso, ai sensi del secondo comma, ovvero conferma, modifica o revoca l'ordine di protezione precedentemente adottato nel caso di cui al terzo comma, è ammesso reclamo al tribunale entro i termini previsti dal secondo comma dell'articolo 739. Il reclamo non sospende l'esecutività dell'ordine di protezione. Il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile. Del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.] [[V]. Per quanto non previsto dal presente articolo, si applicano al procedimento, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti.]
[1] Articolo inserito dall'art. 3 l. 4 aprile 2001, n. 154 e successivamente abrogato dall'art. 3, comma 49, lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". InquadramentoLa l. 4 aprile 2001, n. 154 ha introdotto un regime di tutela contro la violenza nelle relazioni familiari, che sotto l'aspetto sostanziale viene prevista secondo un doppio binario civile e penale: sul versante penalistico viene disciplinata dagli artt. 282-bis e 291-bis c.p.p., su quello civilistico trova collocazione negli artt. 342-bis e 342-ter c.c., in combinato disposto con l'art. 736-bis c.p.c. In particolare, detta legge prevede i seguenti principi (Morani, 2003, 385): - la pronuncia — ad opera del giudice penale — nei confronti dell'imputato della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare (art. 1 comma 2 che introduce l'art. 282-bis c.p.p.) nonché di misure patrimoniali provvisorie (art. 1 comma 1 che introduce l'art. 291-bis c.p.p.); e, da ultimo, l'art. 384-bis c.p.p., relativo all'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare. - la concessione — su istanza di parte — ad opera del giudice civile, di ordini di protezione contro gli abusi familiari quando la condotta del coniuge o del convivente o di altro componente diverso (dal coniuge o dal convivente) del nucleo famigliare è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente o componente (art. 2 e 5); - il procedimento introdotto dall'art. 736-bis c.p.p. per i provvedimenti di adozione dei predetti ordini di protezione (art. 3); trattasi di provvedimenti a contenuto inibitorio, funzionali a impedire il protrarsi di condotte violente ed abusive, anche quando integrino gli estremi di reato (Granata, 2009, 2650). - la trattazione nel periodo feriale dei magistrati dei procedimenti relativi all'adozione degli ordini di protezione citati (art. 4); - la sanzione penale per l'ipotesi di elusione dell'ordine di protezione previsto dall'art. 342-ter c.c., ovvero per il caso di assunzione di un provvedimento di eguale contenuto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 6); - le disposizioni fiscali favorevoli (in ordine agli atti, documenti e provvedimenti relativi all'azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, nonché in ordine ai procedimenti esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione dell'assegno di mantenimento previsto dal terzo comma dell'art. 282-bis c.p.p. e dal secondo comma dell'art. 342-ter c.c. (art. 7); La normativa in esame ha precipue finalità protettive del familiare più debole e bisognoso di aiuto ed opera sia nel rapporto verticale genitori-figli sia nel rapporto orizzontale della coppia, con specifica sua applicazione tanto nell'area civile attraverso le misure di tutela disposte dal tribunale ordinario contro gli abusi familiari del coniuge o di altro convivente o di altro diverso componente del nucleo familiare, quanto nell'area penale attraverso le misure cautelari personali, coercitive ed interdittive ovvero attraverso le misure patrimoniali provvisorie, le une e le altre ordinate nei confronti dell'imputato dal giudice penale (Granata, 2009, 2650). Fermo restando che il legislatore introduce una situazione di parità in ordine all'accesso alle tutele predisposte dall'ordinamento sia in materia civile che in materia penale, comunque, quanto al coordinamento tra le due misure, si ha concorrenza quando il reato per cui si procede soddisfa i limiti di pena sanciti dall'art. 280 c.p.p. per l'emanazione della misura cautelare, ovvero quando si tratti di un reato contemplato dall'ultimo comma dell'art. 282-bis c.p.p., il quale individua le fattispecie criminose per le quali l'ordine di protezione può essere emanato a prescindere dall'integrazione dell'art. 280 c.p.p. In tal caso, anche il giudice penale, su richiesta del pubblico ministero − e non già della persona destinataria della condotta familiare pregiudizievole − può emanare l'ordine protettivo se sussistano le condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari personali di cui all'art. 273 c.p.p. Il solo fatto che sia stata esercitata l'azione penale per una delle fattispecie criminose sopra richiamate, non impedisce al destinatario dell'abuso familiare di domandare al giudice civile un ordine protettivo. Tuttavia, si ritiene che se nelle more del giudizio camerale sia stato emanato un ordine protettivo ai sensi dell'art. 282-bis c.p.p. e la circostanza sia allegata nel processo, il giudice civile adito ex art. 736-bis c.p.c. dovrà emanare una decisione di rigetto in rito per sopravvenuta carenza dell'interesse ad agire dell'istante (D'Alessandro, 2007, 226). Non sembra poi che l'ordine di protezione possa avere come unico contenuto l'ordine di intervento del servizio sociale (Silvani, 2001, 689). Qualora l'ordine di protezione in materia penale fosse stato già emanato, pur non essendovene notizia nel procedimento civile che si concluda parimenti con l'emanazione di un ordine di protezione, sarà ipotizzabile la possibilità di revoca successiva di quest'ultimo (D'Alessandro, 2007, 227). A proposito dell'alternatività delle competenze a definire il conflitto familiare, con sentenza Corte cost. n. n. 194/2015, è stato chiarito il fondamento che è alla base di una certa estensione del cumulo processuale previsto dal secondo periodo dell'art. 38 disp. att. c.p.c., secondo comma, — in base al quale i procedimenti di cui all'art. 333 c.c., relativi alla condotta pregiudizievole di uno o di entrambi i genitori nei confronti del figlio, di regola attribuiti alla competenza del tribunale per i minorenni, sono affidati al tribunale ordinario quando tra i coniugi penda un giudizio di separazione o di divorzio —, che perciò presenta una ratio non irragionevole (legata all'identità soggettiva delle parti in causa e alla possibilità di adottare in un unico contesto i provvedimenti più opportuni per la tutela dei minori). Nella previsione degli artt. 342-bis e 342-ter c.c. gli ordini di protezione contro gli abusi familiari sono attribuiti genericamente alla competenza del giudice, la cui specificazione viene data dalla specifica previsione processualistica di cui all'art. 736-bis c.p.c. Alla luce di tale ultima previsione, il provvedimento è adottato in camera di consiglio e, dall'organo adito, in composizione monocratica (comma primo): secondo quanto stabilito dall'art. 50-bis c.p.c., comma 2, si tratta di una delle ipotesi applicative della riserva di giudizio monocratico, nonostante la disciplina fatta per rinvio all'art. 737 e ss. c.p.c. Se, tuttavia, la misura sia domandata nell'ambito di un più ampio conflitto familiare teso a definire anche questioni che sono riservate alla competenza del giudice collegiale, allora sarebbe antieconomico ed irrazionale che il giudice collegiale non possa conoscere anche della richiesta misura di protezione, perché questa (ove accolta) non solo giova al coniuge vittima dell'azione violenta o persecutoria, ma anche al figlio, che delle condotte antigiuridiche ancor più risente, in quanto privo degli strumenti di elaborazione (Cass. I, n. 15482/2017). Una diversa lettura, facente leva sul solo tenore letterale delle citate disposizioni, ne tradirebbe la suaccennata ratio, che è quella di attuare, nei limiti previsti, la concentrazione delle tutele ed evitare, a garanzia del preminente interesse del minore che sia incolpevolmente coinvolto, o del coniuge debole che esige una tutela urgente, il rischio di decisioni intempestive o contrastanti ed incompatibili con gli accertamenti resi da organi giudiziari diversi. Natura del provvedimentoIn dottrina si disquisisce sulla natura degli ordini di protezione, che si presentano come un istituto del tutto peculiare, atteso che per la prima volta si conferisce all'autorità giudiziaria civile di apportare restrizioni alla sfera della libertà personale dell'autore di una condotta di abuso familiare, sia pure per tratta limitata nel tempo (D'Alessandro,2007, 296). Gli ordini di protezione presentano una natura complessa, in quanto si richiamano da un lato le disposizioni comuni ai procedimenti camerali, dall'altro condividono la medesima struttura di giudizio del procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis ss. c.p.c. (Cianci, 2003, 211). Tuttavia, secondo la tesi prevalente essi non possono essere qualificati come misure cautelari in senso stretto (Zaccaria, 2016, 2301). In particolare, le ragioni che portano ad escludere l'assimilabilità dei provvedimenti in esame alle misure cautelari in senso stretto sono ravvisabili solo in parte nell'argomentazione tradizionale dell'assenza di un nesso di strumentalità con un giudizio di merito, osservazione che non può considerarsi decisiva, atteso che la recente riforma del processo civile non lo considera come un presupposto indefettibile (Vullo, 2005, 139). Comunque i provvedimenti cautelari prescindono dal requisito del tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria e la stessa l. 4 aprile 2001, n. 154, all'art. 7, opera una distinzione tra i provvedimenti relativi alla tutela civile contro la violenza nelle relazioni familiari e i procedimenti cautelari diretti ad ottenere la corresponsione dell'assegno di mantenimento. In questo senso, cfr. Auletta, 2001, 1946, il quale evidenzia che la sanzione penale collegata all'elusione dell'ordine di protezione è costruita tramite rinvio alla sanzione penale collegata all'elusione degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna (art. 388, primo comma, c.p.) e non già a quella collegata all'elusione di un provvedimento cautelare (art. 388, secondo comma, c.p.). In generale, proprio la funzione inibitoria degli ordini di protezione, volti alla cessazione del comportamento abusivo, ovvero all'intimazione di allontanamento dalla casa familiare o a non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla parte lesa, appare incompatibile con la generale possibilità di instaurare un giudizio a cognizione piena avente siffatto oggetto (D'Alessandro, 2007, 296). Secondo altra tesi, l'ordine di protezione costituisce un procedimento camerale contenzioso, con elementi propri anche dei procedimenti cautelari e di volontaria giurisdizione (Vullo, 2005, 131). Altri autori inquadrano gli ordini gli ordini di protezione emessi dal giudice civile come provvedimenti di volontaria giurisdizione (D'Alessandro, 2007, 286; Tommaseo, 2002, 638). Tale tesi si fonda sul fatto che lo scopo di questi provvedimenti è quello di tutelare il bene della serenità familiare, attribuendo al giudice il potere di emettere provvedimenti sommari, semplificati ed esecutivi, e anche di limitare la possibilità di godere di diritti reali e personali di godimento, ovvero di restringere la libertà di circolazione del destinatario, seppure per un lasso di tempo limitato. Tuttavia vi è una peculiarità rispetto a tali pronunce, che assumono carattere costitutivo, determinando una modificazione giuridica necessaria alla tutela dell'interesse protetto, donde la caratteristica di essere self — executing. Infatti, nel caso degli ordini di protezione si conferisce direttamente al giudice il potere di far cessare i comportamenti abusivi, sicché si è reso necessario prevedere mezzi di esecuzione coattiva di tali provvedimenti. Comunque, il procedimento camerale in questione, pur nella connotazione volontaristica, è caratterizzato dalla conflittualità tra interessi in gioco, dovendo l'autorità giudiziaria perseguire l'interesse superindividuale di protezione della tranquillità familiare, limitando i diritti soggettivi di cui è titolare l'autore delle condotte abusive. La Corte di cassazione ha sostenuto la natura cautelare dell'ordine civile di protezione (Cass. I, n. 208/2005). Conseguentemente, si è stabilito che il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo con cui si accolga o si rigetti l'istanza di concessione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione con ricorso ordinario — stante l'espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell'art. 736-bis c.p.c. Tale articolo stabilisce che l'istanza per ottenere la pronunzia della misura cautelare in questione può essere proposta, anche dalla parte personalmente, al tribunale competente che provvede in composizione monocratica; avverso i provvedimenti del giudice monocratico è previsto il reclamo allo stesso tribunale, in composizione collegiale, che pronunzia con decreto non impugnabile ex art. 736-bis c.p.c., — nè è impugnabile con ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111 Cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività (nello stesso senso si sono pronunciate Cass. I, n. 625/2007eCass. I, n.29492/2017). La Cassazione qualifica espressamente il provvedimento in parola come misura cautelare. Anche la giurisprudenza di merito propende per la tesi della misura cautelare, atteso che alcune delle pronunce emesse ai sensi degli artt. 342-bis e ter c.c. hanno la forma dell'ordinanza (come la misura cautelare exartt. 669-bis ss. c.p.c.) e non invece la forma del decreto motivato prevista dall'art. 736-bis c.p.c., vuoi per il provvedimento conclusivo del giudizio di prime cure, vuoi per il provvedimento emesso all'esito del reclamo: cfr. Trib. Bari, (ord.) 18 luglio 2002; Trib. Napoli, (ord.) 1° febbraio 2002; Trib. Bari, (ord.) 11 dicembre 2001. Essa si fonda sia su un argomento sistematico, che su un dato di carattere testuale. L'argomento sistematico consiste nel fatto che la corrispondente misura pronunciabile dal giudice penale è espressamente inserita nell'ambito del libro quarto del codice di procedura penale, per l'appunto relativo alle misure cautelari personali. Il dato testuale è invece costituito dalla relazione alla l. 4 aprile 2001, n. 154, la quale, nel descrivere gli ordini di protezione pronunciabili dal giudice civile parla di «misura a carattere cautelare e provvisorio». Non si è, tuttavia, in presenza (analogamente a quanto argomentato dalla suesposta dottrina) di un provvedimento cautelare a carattere anticipatorio della tutela di merito. Per il tribunale di Milano sez. IX, 14 febbraio 2018 i provvedimenti analoghi agli ordini di protezione ex art. 342-ter c.c., adottati dal giudice istruttore, non sono reclamabili. La loro modificabilità resta subordinata – nel corso del giudizio – ad una diversa valutazione da parte della stessa autorità giudiziaria che li ha emessi ed è legata all'impugnazione del provvedimento definitorio finale. Si sostiene in dottrina che, stante la non impugnabilità dei provvedimenti, sia comunque possibile una azione ordinaria di accertamento diretta a far dichiarare l’insussistenza dei presupposti per la loro pronuncia e la conseguente dichiarazione di loro nullità. Presupposti del procedimento camerale ex art. 342-bis e ter c.c.Il procedimento relativo agli ordini di protezione è proposto con ricorso. In particolare, l'istanza per ottenere la pronunzia della misura cautelare in questione può essere proposta anche dalla parte personalmente, al tribunale competente che provvede in composizione monocratica; la competenza è stabilita in base alla residenza o al domicilio della parte convenuta, ex art. 18 c.p.c. Se ai provvedimenti in oggetto si riconosce natura cautelare, detta competenza è inderogabile per accordo tra gli interessati (art. 28 c.p.c.). In ossequio al principio della domanda, applicabile anche al giudizio camerale, l'istante avrà l'onere di indicare il tipo di provvedimento protettivo richiesto, nell'ambito dei possibili contenuti indicati dall' art. 342-ter c.c. ; in specie, vi dovrà essere espressa richiesta dei cosiddetti contenuti eventuali del provvedimento protettivo, ossia quelli diversi dall'ordine di allontanamento che, in difetto di richiesta, il giudice non dovrebbe poter concedere (D'Alessandro, 2007, 298). Si osserva, in contrario, che l'ordine di cessazione del comportamento pregiudizievole costituisce il contenuto minimo del provvedimento giudiziale, come tale indefettibile. In particolare, l' art. 342-bis c.c. indica come presupposto la sussistenza di una condotta che sia causa di un grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente. La dottrina sottolinea come la previsione relativa alla sola gravità del pregiudizio, escluda il requisito propriamente cautelare della sua irreparabilità (Cianci, 2003,131). Così, perché si realizzi la gravità del pregiudizio, è necessario il protrarsi nel tempo della condotta abusiva, sia per la particolare incidenza che possono avere anche condotte isolate su chi è costretto a subirle, sia per la finalità essenzialmente preventiva degli ordini di protezione; se ne desume che l'ampia formulazione della norma giustifica una correlata libertà decisoria del giudice, al fine di garantire sia la protezione del singolo che la tranquillità del nucleo familiare (Granata, 2009, 2651). L'art. 736-bis c.p.c. dispone che la domanda possa essere presentata anche dalla parte personalmente, atteso che nei procedimenti camerali l'obbligo della rappresentanza tecnica è ritenuto sussistente solo quando il rito camerale sia utilizzato nella materia contenziosa, ossia per decidere sul modo di essere di diritti o status (D'Alessandro, 2007, 298). Si ritiene, quanto alla legittimazione ad agire, che essa spetti al componente del nucleo familiare in danno del quale è avvenuto il comportamento pregiudizievole. Oltre a poter essere il procedimento introdotto dalla parte personalmente, essa può stare in giudizio anche senza l'assistenza e la rappresentanza di un difensore (Cianci, 2003, 204). La ratio della previsione concernente la possibilità di presentare l'istanza personalmente è infatti volta ad agevolare l'istante; in quest'ottica, allora, sarebbe un aggravio imporgli l'obbligo di rappresentanza tecnica per il compimento degli atti giudiziali immediatamente successivi. Tuttavia, tale tesi viene criticata proprio in considerazione della diversa previsione introdotta, per i procedimenti in materia minorile di cui agli artt. 330, 333 e 336 c.c. , dalla l. 28 marzo 2001, n. 149 , con riferimento alla previsione che il minore e i genitori possano stare in giudizio con l'assistenza e la rappresentanza di un difensore, con possibilità anche di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sicché si è proposto di interpretare la norma nel senso che la parte possa limitarsi alla presentazione del ricorso, riemergendo per gli atti successivi la necessità dell'assistenza di un legale (De Marzo, 2002, 547). Tale interpretazione, tuttavia, è contrastata dall'opinione dominante, in quanto trattasi di un procedimento di volontaria giurisdizione con carattere di specialità, il cui intento è proprio quello di facilitare la sua instaurazione, sicché pare che i requisiti di semplificazione dello stesso non siano da considerare rinunciabili in via interpretativa (Granata, 2009, 2651).
Secondo la giurisprudenza di merito, perché possano essere adottati gli ordini di protezione familiare di cui all'art. 342-bis c.c., è necessario che dalla condotta di uno dei coniugi possa derivare il pericolo di un nocumento all'integrità fisica o morale dell'altro coniuge; poiché tuttavia tale pregiudizio è definito dalla legge “grave”, non è sufficiente all'emanazione dei suddetti ordini di protezione la circostanza che le liti tra i coniugi siano degenerate in aggressioni, quando queste ultime siano state sporadiche e prive di conseguenze lesive apprezzabili (Trib. Bari, 10 aprile 2004). Stante la mancanza di tipizzazione delle condotte abusive, la fattispecie normativa va applicata solo in rapporto al tipo di pregiudizio alla integrità fisica o morale ovvero alla libertà, patito dal coniuge e dai familiari conviventi. Solo la relazione causale fra condotta e tipologia del pregiudizio indicato dalla norma, potrà indurre il giudice alla concreta applicazione della normativa. Non è invero sufficiente che vi siano condotte in violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio, ma che non causino gli effetti descritti dall'articolo 342-bis cc. Conseguentemente, valgono ad escludere l'applicazione dell'istituto: - la non bastevolezza di una accertata situazione di reciproca incomunicabilità e intolleranza, peraltro attribuita quanto alle responsabilità vicendevolmente; - la occasionalità e scarsa frequenza di episodi di violenza, peraltro non causativi di pregiudizi gravi, definibili persino fisiologici nell'ambito di una reazione denunciata come compromessa; - la non ascrivibilità a certa ed esclusiva responsabilità di una delle parti di un episodio lamentato dalla ricorrente come lesivo della integrità morale. Si è peraltro ritenuto che in tema di abusi familiari, non è necessaria la presenza dell'elemento psicologico (dolo o colpa) e, prima ancora, della capacità di intendere e di volere, quali autonomi presupposti degli ordini di protezione contro gli abusi familiari di cui all'art. 342-bis c.c. (Trib. Rovereto 6 giugno 2007; in senso analogo si è pronunciato Trib. Trani 12 ottobre 2001). Viene ritenuta discutibile la riconduzione della fattispecie al genere dell'illecito civile di cui all'art. 2043 c.c., sulla base di decisivi elementi testuali, funzionali e sistematici. Sotto il profilo testuale, i presupposti dell'ordine di protezione fanno esclusivo riferimento all'evento lesivo, descritto in termini di ‘grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà' dell'altro coniuge o del convivente, rifuggendo da qualsiasi riferimento alla condotta dell'autore dell'abuso e, a fortiori, ai relativi coefficienti psicologici. Tale scelta si sposa con l'esigenza di apprestare una tutela concreta, effettiva ed immediata alle vittime di abuso familiare, onde preservare il bene giuridico dell'armonia delle relazioni della famiglia, dal punto di vista della vittima e non già quello dell'autore dell'abuso, con esclusione di qualsiasi carattere punitivo e/o sanzionatorio dell'ordine di protezione. La ratio del sistema di tutela predisposto dalla l. 4 aprile 2001, n. 154 è dunque quella di evitare di lasciare scoperte da ogni tutela, anche meramente civilistica, situazioni di pregiudizio all'integrità fisica o alla libertà dell'individuo, spesso assai gravi, cagionate anche dalla condotta di soggetti incapaci di intendere e di volere, perché affetti da patologie psichiche. Quanto al requisito della gravità della condotta pregiudizievole, si è stabilito che va accolta la richiesta di emissione dell'ordine di protezione ex art. 342-bis c.c. in presenza di episodi di violenza nei confronti del coniuge e di situazioni che fanno temere il verificarsi di fatti più gravi (Trib. Monza, 28 febbraio 20129). Per contro, la misura protettiva ex art. 342-bis c.c., non può essere concessa in presenza di una mera situazione di reciproca incomunicabilità ed intolleranza tra soggetti conviventi, di cui ciascuna delle parti imputa all'altra la responsabilità, almeno quando i litigi, ancorché aspri nei toni, non siano stati aggravati da violenze fisiche o minacce o non si siano tradotti in violazione della dignità dell'individuo di particolare entità (Trib. Bari 29 maggio 2003). Si è ammessa la possibilità di adottare un ordine di protezione anche in presenza di un grave pregiudizio all'integrità morale della vittima, o quando consista in un vulnus della dignità stessa, concretamente incisi, o per le modalità dell'offesa arrecata, o per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall'offeso (Trib. Bari 18 luglio 2002 e Trib. Bari 28 luglio 2004). La legittimazione e il presupposto della convivenzaL'art. 5 l. 4 aprile 2001, n. 154, rubricato “Pericolo determinato da altri familiari” stabilisce, come presupposto di applicabilità dell'ordine di protezione, che esso possa essere attivato anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente. In tal caso l'istanza è proposta dal componente del nucleo familiare in danno del quale è tenuta la condotta pregiudizievole. I presupposti fondamentali in termini di legittimazione, sia attiva che passiva, sono i seguenti: l'appartenenza al nucleo familiare, inteso come gruppo fondato su rapporti di fatto, indipendentemente dalla sussistenza di rapporti di parentela o di affinità e la convivenza, considerata come elemento caratteristico del nucleo familiare (Granata, 2009, 2652). Si ritiene che la convivenza non debba ridursi a una mera coabitazione (Auletta, 2001, 1046). Il presupposto della convivenza è stato ritenuto necessario da chi individua come componenti tipici dell'ordine di protezione l'inibitoria del comportamento abusivo e l'ordine di allontanamento dell'abusante dalla casa familiare, poiché l'in sé di tale misura viene individuato nella convivenza (Depinguente, 2004, 759; Silvani, 2001, 689). Viene invece ritenuto inapplicabile il parallelismo fra l'ordine di protezione di cui all'art. 342-bis c.p.c. e la misura penale di cui all'art. 282-bis comma 1 c.p.p. per giustificare l'eventuale mancanza del requisito della convivenza, atteso che mentre nella norma processuale penale è previsto che il giudice prescriva l'imputato di ‘lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi più rientro', la norma civile parla esclusivamente di allontanamento (Granata, 2009, 2652). È controverso in dottrina se, pur in mancanza di convivenza, si possa comunque accedere alla sola misura patrimoniale. Si ritiene che la disposizione patrimoniale sia subordinata alla pronuncia dell'ordine di allontanamento, così come avviene per la misura penale di cui all'art. 282-bis comma 4 c.p.p., ovvero che il contenuto essenziale necessario dell'ordine di protezione sia solo l'inibitoria del comportamento pregiudizievole (per quest'ultima impostazione, Auletta, 2001, 1050), ovvero che esso possa avere entrambi i contenuti (De Marzo, 2002,544), sicché si ammette che possa essere pronunciato un ordine di protezione patrimoniale indipendentemente dalla contemporanea pronuncia di un ordine di allontanamento o di un inibitoria. Per quanto riguarda la posizione degli altri componenti del nucleo familiare, stante la sommarietà del procedimento in esame, si ritiene più funzionale l'esclusione di un litisconsorzio necessario. Appare invece più opportuno qualificare i suddetti componenti del nucleo familiare, quando non siano direttamente vittime del comportamento pregiudizievole, come interventori nella forma dell'intervento adesivo dipendente, in quanto titolari dell'interesse alla conservazione del nucleo familiare (Auletta, 2001, 1052). Peraltro, l'estensione stabilita dall'art. 5 l. 4 aprile 2001, n. 154 della legittimazione attiva a qualunque convivente, consente anche l'attivazione della misura nei confronti di un minore che tenga comportamenti pregiudizievoli per gli altri conviventi (Granata, 2009, 2655). Maggiormente problematica è la più frequente ipotesi inversa, in cui il comportamento pregiudizievole sia tenuto in danno di un soggetto minore convivente .Essendo il minore privo di autonoma rappresentanza processuale, potrà agire a sua tutela l'esercente la responsabilità genitoriale, ovvero il tutore, mentre, quanto alla possibilità di nomina di un curatore speciale, in caso di conflitto di interessi tra il minore e rappresentante legale, essa appare difficilmente compatibile con il carattere urgente della procedura (Depinguente, 2004, 770). Contrariamente a quanto sostenuto dalla prevalente dottrina, l'interpretazione giurisprudenziale ha progressivamente svalutato il requisito della convivenza. In particolare, si è stabilito che gli ordini di protezione contro gli abusi familiari non hanno soltanto la funzione di interrompere situazioni di convivenza turbata, ma soprattutto quella di impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito familiare (Trib. Firenze, 15 luglio 2002). In senso estensivo, si è ritenuto che ai fini della adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari non sia necessario il requisito della convivenza (Trib. Modena, 29 luglio 2004). Con riferimento all'ordine di allontanamento nel processo minorile, si è ritenuto che esso possa essere emesso anche se la convivenza tra i genitori del minore sia cessata, giacché in ambito familiare le condotte persecutorie e vessatorie possono manifestarsi al di là della effettiva coabitazione, atteso che la sussistenza di una relazione familiare porta i soggetti ad avere una vicinanza in termini di rapporti e di luoghi di frequentazione che può alimentare quella tipologia di condotte che con gli ordini di protezione si vuole evitare (Trib. min. Milano, 3 ottobre 2010). La competenza. Questioni di coordinamento tra le attribuzioni delle varie autorità giudiziarieLa competenza a decidere sull'ordine di allontanamento è attribuita al tribunale ordinario del luogo di residenza o di domicilio dell'istante.. L'ambito della cognizione del giudice civile era in origine riservata ai casi di condotta pregiudizievole che non costituissero un reato procedibile d'ufficio, con conseguente riserva al giudice penale dei relativi provvedimenti inibitori. L'articolo 342 bis c.c. che così disponeva è poi stato modiicato dalla l. 6 novembre 2003, n. 304, che ha soppresso dal suo testo le parole “qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d'ufficio”. È stata dunque introdotta una tutela a doppio binario, civile e penale, in quanto a fronte di condotte penalmente rilevanti comunque perseguibili, la parte lesa è libera di attivare la tutela sia davanti al giudice penale, che davanti al giudice civile con lo strumento dell'ordine di protezione (Granata, 2009, 2653). Proprio la previsione relativa alla possibilità di attivare entrambe le tutele pone delicati problemi di coordinamento, qualora i due procedimenti convivano. Secondo una prima tesi, il solo fatto che sia stata esercitata l'azione penale per una delle fattispecie criminose sopra richiamate non impedisce al destinatario dell'abuso familiare di domandare al giudice civile un ordine protettivo. Tuttavia, se nelle more del giudizio camerale sia stato emanato un ordine protettivo ai sensi dell' art. 282-bis c.p.p. e la circostanza sia allegata nel processo, il giudice civile adito ex art. 736-bis c.p.c. dovrà emanare una decisione di rigetto in rito, per sopravvenuta carenza dell'interesse ad agire dell'istante. Si ha dunque sopravvenuta carenza dell'interesse ad agire, perché la cura dell'interesse sociale alla tranquillità della famiglia è già stata posta in essere in sede penale. Si fa salva l'ipotesi in cui, una volta che l'ordine protettivo penale sia stato revocato ovvero sia divenuto inefficace, sarà nuovamente possibile instaurare il giudizio ex art. 736-bis c.p.c. confidando in un provvedimento di accoglimento (D'Alessandro, 2007, 306). Tuttavia, appare più condivisibile l'orientamento che riconosce autonomia al procedimento genetico dell'ordine di protezione civilistico rispetto al procedimento cautelare penale (Silvani, 2001, 689; Granata, 2009, 2187; Bronzo, 2011, 765). In caso in cui la sopravvenuta emanazione di un ordine protettivo da parte del giudice penale non sia allegata nel processo ex art. 736-bis c.p.c., potrà ipotizzarsi una richiesta di revoca dell'ordine di protezione pronunciato dal giudice civile, sulla base di circostanze già verificatesi ma in precedenza non allegate, ossia l'avvenuta tutela dell'interesse sociale alla tranquillità della famiglia da parte del giudice penale (D'Alessandro, 2007, 306). Altro profilo attiene al coordinamento tra la procedura relativa all'ordine di protezione e il procedimento di separazione e divorzio. In particolare, l'unico paletto normativo è stabilito dall' art. 8 l. 4 aprile 2001, n. 154 , ai sensi del quale, allorquando l'ordine di protezione sia richiesto in pendenza di una procedura di separazione o divorzio e sia stata già svolta l'udienza presidenziale, si applicano le disposizioni relative ai procedimenti di separazione e di divorzio ed ai relativi procedimenti, nei quali può essere richiesto e adottato un provvedimento ex art. 342-bis c.c. La ragion d'essere della previsione è da ravvisare nel fatto che si considera ormai venuta meno l'utilità giuridica dell'ordine protettivo, atteso che il coniuge vittima dell'abuso familiare non dovrà riprendere la convivenza con l'altro coniuge in quanto il presidente del tribunale ha autorizzato la loro vita separata. Ed anche per quanto riguarda le disposizioni economiche necessarie per il mantenimento del coniuge e di eventuali figli per il futuro, vi provvederà il presidente del tribunale, sicché se mantenesse efficacia il capo dell'ordine protettivo concernente l'obbligazione al pagamento dell'assegno provvisorio, sussisterebbe una duplicità di provvedimenti volti a far fronte alla stessa esigenza concreta (D'Alessandro, 2007, 308). Ad analoga ratio risponde la successiva previsione contenuta nel citato art. 8, per cui l'ordine di protezione perde efficacia qualora sia successivamente pronunciata, nel procedimento di separazione personale o di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio promosso dal coniuge istante o nei suoi confronti, l'ordinanza presidenziale contenente provvedimenti temporanei ed urgenti. La legge è stata comunque da taluni interpretata nel senso che anche nella fase presidenziale possono essere assunti ordini di protezione (Figone, 2001, 353). Quanto alla disciplina, mentre i provvedimenti pronunciati ai sensi dell'art. 736-bis c.p.c. sono modificabili e revocabili da parte dello stesso giudice che li ha emanati e sono altresì reclamabili di fronte al tribunale in composizione collegiale, il provvedimento protettivo emanato dal Presidente in sede di separazione sarà modificabile o revocabile da parte dell'istruttore ed altresì − in forza della recente aggiunta apportata all'ultimo comma dell' art. 708 c.p.c. − sarà reclamabile di fronte alla corte d'appello (D'Alessandro, 2007, 309). Conseguentemente, dovendosi successivamente all'udienza presidenziale applicare la procedura dei giudizi di separazione e divorzio, il giudice istruttore non potrà più assumere provvedimenti inaudita altera parte, come previsto dall'art. 736-bis c.p.c. (De Marzo, 2002, 549). La giurisprudenza ha ritenuto possibile la coesistenza tra ordini di protezione in materia civile e penale , stabilendo che il principio del ne bis in idem non è applicabile in relazione al provvedimento cautelare emesso ai sensi dell'art. 282-ter c.p.p., il cui contenuto contrasta con quello di un ordine di protezione contro gli abusi familiari precedentemente disposto dal giudice civile e non reclamato, sia perché le decisioni assunte in sede civile sono subordinate al soddisfacimento dell'onere probatorio di parte, sia perché la lettera dell'art. 649 c.p.p. prevede la sola impossibilità di sottoposizione a «nuovo giudizio penale» (Cass. pen. VI, n. 16259/2013). In giurisprudenza di merito si è ritenuta l'alternatività tra i due rimedi, stabilendo che, a fronte di una circostanziata denuncia della persona offesa di fatti integranti gli estremi del reato di maltrattamenti perseguibile d'ufficio e di un precedente giudiziario specifico per condotta analoga commessa in epoca precedente dallo stesso resistente, non è consentito al giudice civile di negare preventivamente la sussistenza degli estremi del delitto denunciato (sia pure al fine limitato di affermare la propria competenza per l'emanazione dell'ordine di protezione per abusi familiari), incombendo tale disamina esclusivamente al magistrato inquirente e dovendo conseguentemente il giudice civile essere investito della materia dalla persona offesa soltanto all'esito dell'eventuale archiviazione del procedimento penale (Trib. Trani, 14 settembre 2004). Quanto al profilo del rapporto con il giudizio di separazione o divorzio, è stato stabilito che nella causa di separazione o divorzio il giudice istruttore, che ha il potere di modificare, revocare o confermare i provvedimenti provvisori o di adottarli per la prima volta, può emettere ordini di protezione. Analogo potere ha il collegio per quanto riguarda la fase di revisione delle condizioni ex art. 710 c.p.c. o art. 9 l. n. 898 del 1970 (Trib. Napoli I, 22 febbraio 2012). È stato considerato che la previsione cui all'art. 342-bis c.c. ha un ambito applicazione limitato e residuale: per un verso, il limite è segnato dalla competenza del presidente del tribunale investito della domanda di separazione o divorzio — il quale può dettare i provvedimenti urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole, ivi comprese le dette misure cautelari di protezione — e per altro verso è segnato dalla competenza del giudice penale — quando il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio (Trib. Modena, 16 maggio 2002). Cass. I, n.15482/2017 stabilisce che,in tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari la competenza, qualora la domanda concerna anche altri profili del conflitto familiare, quali l'affidamento e il mantenimento del figlio minorenne (nella specie, di genitori non coniugati), è del tribunale in composizione collegiale e non monocratica (principio enunciato ai sensi dell'art. 363 c.p.c.). La decisione afferma che l'attribuzione della competenza al tribunale in composizione monocratica stabilita dall'art. 736-bis c.p.c. non esclude la vis actractiva del tribunale in composizione collegiale chiamato a giudicare in ordine al conflitto familiare che sia stato già incardinato davanti ad esso, atteso che una diversa opzione ermeneutica, che faccia leva sul solo tenore letterale delle disposizioni di legge, ne tradirebbe la ratio, che è quella di attuare, nei limiti previsti, la concentrazione delle tutele (in questo senso si veda Cass. n. 10365/2016,) ed evitare, a garanzia del preminente interesse del minore che sia incolpevolmente coinvolto, o del coniuge debole che esiga una tutela urgente, il rischio di decisioni intempestive o contrastanti e incompatibili con gli accertamenti resi da organi giudiziari diversi. La pronuncia è riferita allo specifico caso di un giudizio relativo al conflitto familiare già intrapreso ma può essere inteso come espressivo di un principio generale. Se, infatti, la misura protettiva è richiesta nell'ambito di un più ampio conflitto familiare teso a definire anche questioni che sono riservate alla competenza del giudice collegiale, allora sarebbe antieconomico e irrazionale che il giudice collegiale non possa conoscere anche della richiesta misura di protezione perché questa, ove accolta, non solo giova al coniuge vittima dell'azione violenta o persecutoria ma anche al figlio, che delle condotte antigiuridiche risente maggiormente. Già la Corte costituzionale, a proposito della pluralità alternativa delle competenze a definire il conflitto familiare aveva giustificato quella sorta di cumulo processuale previsto dal secondo periodo dell'art. 38 dip. ctt. c.p.c., comma 2, in forza del quale i procedimenti relativi alla condotta pregiudizievole di uno o entrambi i genitori nei confronti del figlio, di regola attribuiti alla competenza del tribunale per i minorenni, sono affidati al tribunale ordinario quando tra i coniugi pende un giudizio di separazione o di divorzio. In definitiva, risulta comunque possibile ricorrere agli ordini di protezione nella cosiddetta “zona grigia” compresa tra ricorso per separazione o divorzio e udienza presidenziale; solo la celebrazione dell'udienza di comparizione davanti al Presidente ex art. 706 c.p.c. o ex art. 4 l. 1 dicembre 1970, n. 898 preclude l'accoglimento del ricorso per la protezione contro gli abusi familiari. Ne deriva che, ove tale udienza non si sia tenuta, la domanda prevista dall'art. 342-bis c.c. viene ritenuta senz'altro ammissibile, nonostante la contemporanea o la previa proposizione del ricorso per separazione personale o per divorzio (Trib. Bari 18 luglio 2002). I provvedimenti de potestate di competenza del tribunale per i minorenni. Seppure il legislatore del 2001 ha conferito al tribunale ordinario il monopolio circa la concessione degli ordini di protezione, non è stata tuttavia modificata la disciplina dei provvedimentide potestate, di cui agli artt. 330 e 333 c.c., che anche a seguito della riforma sulla filiazione del 2012-2013, rimangono di competenza del tribunale per i minorenni. Nella vasta gamma, non tipizzabile, di provvedimenti che il tribunale per i minorenni può adottare a tutela del minore e contro il genitore, se il più radicale è la decadenza dalla responsabilità genitoriale, uno dei provvedimenti più incisivi — avente carattere cautelare e non decisorio — è costituito dall'allontanamento, anche qualora venga adottato in via provvisoria e temporanea. Il termine allontanamento compare nell'art. 330 cpv. c.c. laddove si dice che a seguito della declaratoria della decadenza dalla responsabilità genitoriale, «per gravi motivi il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta i figlio». Anche nell'art. 333 c.c., come modificato dall'art. 37 l. 28 marzo 2001, n. 149, si dice che «il giudice può disporre l'allontanamento (del minore) dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore». Sebbene la possibilità di disporre l'allontanamento non sia limitata ai casi di decadenza dalla responsabilità genitoriale, nella prassi tale misura viene adottata solo in caso di gravi violazioni dei doveri genitoriali, e preferibilmente in via gradata, dopo avere sperimentato misure meno afflittive come l'affidamento ai servizi sociali o consultoriali, o l'imposizione di prescrizioni ai genitori (divieto di ricevere in casa pregiudicati, di fare uso di alcolici o stupefacenti,). Il provvedimento giudiziario di allontanamento si concreta nel divieto per il genitore di coabitare con il figlio, che viene collocato presso parenti, famiglie, comunità o istituti, in relazione alle caratteristiche ed esigenze del caso. L'allontanamento dalla residenza familiare non incide tuttavia di per sé sui diritti — doveri genitoriali, quale quello di rappresentanza nei diritti patrimoniali o dovere di mantenimento. Con la legge 28 marzo 2001 n. 149, finalizzata a una complessiva revisione della disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, il legislatore è intervenuto anche su un diverso ambito normativo, quello della disciplina del diritto di famiglia contenuta nel codice civile e, in particolare, nel titolo relativo alla responsabilità dei genitori. In tal senso sono stati modificati l'art. 330 c.c., relativo alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, e l'art. 333 c.c. — vera e propria norma chiave sugli interventi di limitazione della responsabilità genitoriale da parte del tribunale per i minorenni, in presenza di situazioni di pregiudizio — nel senso che appare ora possibile, tra le varie misure a contenuto non rigorosamente predeterminato e/o alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità, disporre altresì «l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore». Il coordinamento tra intervento del tribunale ordinario e quello del tribunale per i minorenni Alla luce delle illustrate modifiche, particolarmente delicata appare la questione delcoordinamento tra questi istituti e le misure di protezione di cui alla legge 4 aprile 2001 n. 154, sul piano penale e civile. È quindi utile un'opera interpretativa chiarificatrice, che può partire dalla descrizione delle nuove disposizioni, avendo riguardo ai vari aspetti del potere di iniziativa, della competenza, dei presupposti applicativi di ciascuna delle misure, dei loro contenuti ed effetti, nonché dell' efficacia temporale. Si osserva che i contenuti degli ordini di allontanamento emessi dal giudice minorile appaiono analoghi rispetto ai provvedimenti di allontanamento emessi con gli ordini di protezione (Figone, 2001, 357). Peraltro, non manca chi (Sacchetti, 2001, 664) osserva che il tribunale per i minorenni non ha il potere di provvedere all'inibizione della frequentazione di dati luoghi o nel senso della contribuzione economica, anche se ben può il giudice minorile imporre prescrizioni di varia natura, che in caso di inosservanza, sfocino in provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale. Gli strumenti a disposizione del tribunale per i minorenni hanno, tuttavia, un più ampio ambito di applicazione. Mentre negli ordini di protezione di cui agli artt. 342 c.c. 736-bis c.p.c., è prevista l'iniziativa della parte privata, quanto ai novellati artt. 330 e 333 c.c. il tribunale per i minorenni, competente secondo la norma generale dell'art. 38 disp. att. c.c. (fatta salva l'ipotesi in cui sia in corso un procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c., ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., come modificato dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219, in cui è competente il tribunale ordinario), può essere investito indifferentemente da una parte privata legata al soggetto di cui trattasi da rapporto di parentela o dallo stesso pubblico ministero minorile (art. 336 c.c.). Inoltre, i provvedimenti di cui agli artt. 333 e 330 c.c. non sono soggetti agli stessi limiti di tempo previsti per gli ordini di protezione. In generale, in dottrina si ritiene che, nell'ipotesi in cui vittima del comportamento violento sia un minore, debba riconoscersi la supremazia della competenza del tribunale per i minorenni su quella del tribunale ordinario, in applicazione del principio di specialità (Figone, 2001, 357; Silvani, 2001, 683). Tuttavia, nel corso di procedimenti di separazione e divorzio, anche la competenza per emettere misure a protezione del minore, non solo secondo la disciplina degli ordini di protezione, ma anche sulla base degli artt. 330 e 333 c.c., spetterà al tribunale ordinario, secondo le regole e la disciplina del procedimento di separazione e divorzio. In senso contrario, si esprime Auletta 2001, 1054, secondo il quale la misura adottabile dal tribunale ordinario può comprendere e assorbire quelle affidate alla competenza del tribunale per i minorenni. Cfr. anche De Marzo, 2002, 548, per cui la presenza di un minore vittima di abusi non può essere considerata motivo sufficiente ad escludere la competenza del tribunale ordinario. Ulteriori profili di problematicità vengono ravvisati sia nel fatto che i provvedimenti competenza del tribunale per i minorenni devono essere adottati nel corso di un procedimentoexart. 336 c.c., dunque mai inaudita altera parte, sia in quanto possono esserci problemi di coordinamento quando ad essere vittime di comportamenti abusivi siano contemporaneamente soggetti adulti e minori (Granata, 2009, 2656), anche se nei procedimenti di separazione e divorzio essi sono risolti dal novellato art. 38 disp. att. c.c., nel senso che la competenza si radica in capo al giudice della separazione e del divorzio. In merito all'esecuzione dei provvedimenti del tribunale per i minorenni, essi appaiono dotati di minor forza cogente, non potendo essere eseguiti con l'intervento della forza pubblica, come previsto per gli ordini di protezione dall'art. 342 ultimo comma c.c., e non essendo collegati alla sanzione penale, per violazione dell'art. 388 c.p., al quale fa esplicitamente rinvio l'art. 6 l. 4 aprile 2001, n. 154. Si può tuttavia prospettare l'applicazione analogica della possibilità di ricorrere alla forza pubblica, prevista dalla legge per gli ordini di esecuzione, stante l'analoga ratio dei due istituti. In definitiva, le misure emanate dal tribunale per i minorenni sono caratterizzate, per certi versi, da maggior ampiezza, per altri di portata più limitata. Infatti la l. 28 marzo 2001, n. 149 non ha previsto né le misure accessorie del divieto di frequentazione e dell'intervento dei servizi o dei centri specializzati (ammissibili comunque sotto forma di prescrizioni), né le condanne al pagamento di somme periodiche. Gli strumenti di cui agli artt. 330-333 c.c. realizzano meno efficacemente esigenze di tutela urgente, non essendo dotate di efficacia cogente, ma hanno una maggiore durata nel tempo. La giurisprudenza di merito si è pronunciata in favore dell'applicabilità dell'ordine di protezione alla tutela del minore, in via concorrente rispetto all'intervento del tribunale per i minorenni, (cfr. Trib. Reggio Emilia, 10 maggio 2007, che si è pronunciato per l'accoglimento del ricorso per ordine di protezione ex art. 342-bis c.c. quando la condotta di uno dei conviventi, autore di un episodio di violenza fisica in danno dell'altro e alla presenza del figlio minore (il fatto, maturato in un contesto di conflittualità dipendente dalla crisi del rapporto affettivo, era stato preceduto da un episodio di minacce), è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica e morale e alla libertà dell'altro convivente e pregiudica altresì lo sviluppo morale ed educativo del figlio (nella specie, un bambino di neppure tre anni, che aveva assistito in casa all'aggressione della madre ad opera del padre). Si è altresì stabilito che il giudice che adotta l'ordine di protezione può disporre l'intervento del servizio sociale territorialmente competente con l'incarico di vigilare e regolare in via provvisoria — in condizioni di sicurezza e con modalità idonee ad evitare contatti tra gli ex conviventi — la frequentazione del minore da parte del padre allontanato dalla casa familiare, ferma restando l'efficacia dell'ordine di allontanamento e degli altri provvedimenti inibitori emessi nei confronti del padre, fra i quali il divieto di avvicinarsi alla casa familiare e al nido frequentato dal minore. In altri casi, il tribunale ordinario si è fatto portatore degli interessi dei minori applicando l'ordine di allontanamento del genitore abusante, senza mai chiamare in causa il tribunale per i minorenni e ritenendosi competente a decidere (Trib. Reggio Emilia 6 giugno 2002 e Trib. Genova 7 gennaio 2003). In senso analogo, si è detto che è nelle fattispecie di cd. violenza assistita, ove la vittima diretta dei maltrattamenti è il genitore e i figli vengono loro malgrado costretti ad assistervi, sussiste una sovrapposizione di competenze tra il giudice civile, adito ai sensi degli art. 342-ter c.c. e 736-bis c.p.c., e il tribunale per i minorenni. Tale sovrapposizione di competenze non preclude al giudice civile di pronunciare — intervenuto decreto del tribunale per i minorenni che dispone, ai sensi degli art. 333 e 336 c.c., l'allontanamento del genitore violento dalla casa familiare e l'affidamento del figlio minore — non solo l'allontanamento dalla casa familiare del medesimo genitore, ma anche la cessazione della condotta pregiudizievole, quale contenuto essenziale dell'ordine di protezione di cui agli art. 342-bis e 342-ter c.c. (Trib. Piacenza, 23 ottobre 2008). Quanto all'esecuzione dei provvedimenti di allontanamento dalla residenza familiare emessi dal tribunale per i minorenni, in epoca antecedente all'entrata in vigore della l. 28 marzo 2001, n. 149, si è ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con riguardo agli artt. 2,3,13,14,16,25,29,30,31 e 32 Cost., dell'art. 333 c.c., norma che, mentre consentiva di disporre l'allontanamento del figlio minore dalla casa familiare per assicurare a questi adeguata protezione, non consentiva di disporre altresì l'allontanamento del genitore che, permanendo nell'abitazione familiare, arrechi alla prole grave pregiudizio, ritenendo applicabile lo strumento dell'esecuzione del provvedimento di assegnazione della casa familiare assunto nel giudizio di separazione tra coniugi (Trib. min. Bologna, 2 dicembre 1992). Successivamente alla modifica normativa, nonostante la mancanza di un'esplicita previsione in tal senso, la prassi giurisprudenziale fa ampio uso del ricorso alla forza pubblica per l'esecuzione dei propri ordini di allontanamento nei confronti del genitore abusante o maltrattante (Trib. min. Milano, 25 marzo 2011). Il procedimentoIl rito applicabile è deformalizzato, essendo di natura camerale, atteso che la norma in esame si limita a disporre che il giudice procede «sentite le parti», salvi i casi di urgenza; in altri termini, le modalità per declinare il principio del contraddittorio sono demandate al giudice, il quale ha massima libertà in relazione agli strumenti da utilizzare per provocarlo (Granata, 2009, 2657). Ciò spiega perché nulla è detto circa le modalità convocazione in udienza del soggetto nei confronti del quale si richiede l'emissione dell'ordine di protezione, sicché la notifica potrà essere effettuata dall'ufficio, come potrà avvenire a cura dell'istante (Figone, 2001, 359). L'intervento del pubblico ministero non è necessario, non essendo tale procedimento annoverato tra quelli di cui all'art. 70, comma 1, c.p.c., pur essendo possibile ai sensi del terzo comma di tale disposizione. Per gli atti di istruzione è lasciata al giudice piena libertà, non essendoci alcuna limitazione circa le modalità della sua indagine, salva la condizione per cui deve trattarsi di atti «necessari», che appare più stringente rispetto alla rilevanza di cui all'art. 183, settimo comma c.p.c., ma meno restrittivo rispetto al requisito dell'indispensabilità di cui all'art. 669-sexies c.p.c. in tema di procedimenti cautelari (Granata, 2009, 2658). Quanto alle modalità di svolgimento del rito, valgono le seguenti previsioni: - Il giudice designato dal presidente del tribunale — sentite le parti — procede, con le modalità ritenute più opportune, agli atti d'istruzione necessari, dispone anche per mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, pronunciando decreto motivato immediatamente eseguibile. La condizione «ove occorra» può intendersi verificata qualora l'istante abbia chiesto la pronuncia del provvedimento di contenuto patrimoniale e, in particolare, se vi è contestazione sulla consistenza del patrimonio in questione (Auletta, 2001,1057). Altra dottrina ritiene invece che il giudice possa sempre disporre tale indagine, al fine di emettere i provvedimenti patrimoniali del caso, proprio nell'ambito della libera valutazione dei provvedimenti più opportuni nel caso di specie (Silvani, 2001,689). - In caso d'urgenza, il giudice — assunte, ove occorra, sommarie informazioni — può adottare subito l'ordine di protezione, fissando l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro quindici giorni ed assegnando all'istante un termine non superiore ad otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto; all'udienza il giudice conferma, modifica o revoca l'ordine di protezione. Si è osservato in dottrina che il termine di otto giorni non è qualificabile come perentorio, con la conseguenza che lo stesso, prima della scadenza, potrà essere prorogato per una durata non superiore al termine originario (De Marzo, 2002,548). - Il decreto con cui il giudice monocratico pronuncia l'ordine di protezione o rigetta il ricorso ovvero conferma, modifica o revoca l'ordine di protezione precedentemente adottato è impugnato — entro dieci giorni dalla notifica — con reclamo, che non sospende l'esecutività della misura di tutela. Alcuni autori ritengono tuttavia che il giudice possa ordinare tale sospensione (Figone, 2001,359). - Il tribunale — in composizione collegiale (da cui è escluso il componente che ha emesso il provvedimento reclamato) — sentite le parti, decide in camera di consiglio con decreto motivato non impugnabile. - Sebbene il rimedio ordinario contro il decreto di protezione ex art. 2 e 5 l. 4 aprile 2001, n. 154 sia il reclamo al tribunale, in composizione collegiale, entro i termini previsti dall'art 739 cpv c.p.c., che non sospende l'esecuzione del decreto, la dottrina riconosce anche la possibilità per l'intimato di instaurare un processo ordinario volto ad accertare la sussistenza dei presupposti dell'ordine. Non può reiterarsi il ricorso se si è lasciato inutilmente decorrere il termine per il reclamo, ovvero se sia stato rigettato (Granata, 2009, 2662). -L'intimato nei cui confronti è stata pronunciata una misura di tutela che incide sulla sua libertà personale può adire il giudice di legittimità con il ricorso diretto in cassazione a norma dell'art. 111 comma 7 Cost. Secondo la dottrina, tuttavia, il ricorso in questione dovrebbe incentrarsi non già sul provvedimento in sé, ma sulle sue eventuali modalità di attuazione, salvo che esse non siano già declinate nel provvedimento originario (Auletta, 2001, 1060). In senso contrario alla ricorribilità per cassazione, si fa riferimento all'orientamento consolidato relativo ai provvedimenti ex art. 333 c.c., di cui si esclude l'impugnabilità per cassazione, in mancanza dei caratteri della decisorietà e definitività (Granata, 2009, 2660). Sotto il profilo dell'ampiezza dei poteri istruttori del giudice del procedimento camerale, va ricordata Corte cost., ord. n. 140 /2001, secondo cui il potere del giudice di ‘assumere informazioni' senza alcuna ulteriore specificazione del destinatario, dell'oggetto e del mezzo della richiesta, anche telematico o telefonico (rimesso allo spirito di iniziativa del giudice), deve intendersi molto più ampio di quello dell'art. 213 c.p.c., previsto come richiesta esclusivamente alla pubblica amministrazione di informazioni scritte relative ad atti e documenti già in possesso dell'amministrazione stessa, che é necessario acquisire al processo. Il principio espresso in tale pronuncia pare sicuramente applicabile a un procedimento di natura camerale, qual è quello relativo agli ordini di protezione . In giurisprudenza di merito, si è ritenuto che anche in relazione agli ordini di protezione, il giudice ha facoltà di avvalersi della polizia tributaria per effettuare attività di acquisizione e di comunicazione di dati ed informazioni riconducibili alle ipotesi di cui all'art. 213 e 261 c.p.c., nonché per lo svolgimento di attività di consulenza tecnica d'ufficio ai sensi degli artt. 191 e 198 c.p.c. o per effettuare ispezioni di cui all'art. 258 c.p.c.; ciò al fine di consentire al giudice di verificare i comportamenti delle parti e le loro abitudini, così da poter ricostruire il tenore di vita dei coniugi e quindi la relativa situazione reddituale (Trib. Salerno, 15 febbraio 2011). Per contro, è stata ritenuta inammissibile la produzione di nuovi documenti e la richiesta di assunzione di prove costituende in sede di reclamo avverso il provvedimento con il quale venga concesso l'ordine di protezione contro gli abusi familiari, in quanto esso introduce un giudizio avente natura di revisio prioris instantiae (Trib. Firenze, 15 luglio 2002). Quanto alla ricorribilità per cassazione avverso gli ordini di protezione contro gli abusi familiari nei casi di cui all'art. 342-bis c.c., come anticipato nel par. 2, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo, con cui si accolga o si rigetti l'istanza di concessione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario — stante l'espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell'art. 736-bis c.p.c., introdotto dall'art. 3 l. 4 aprile 2001, n. 154 — né con ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111 cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività (Cass. I, n. 23633/2009; Cass. n. 625/2007, e Cass. I n. 208/2005). Si è in particolare escluso che l'ordine di protezione sia un provvedimento idoneo ad incidere su diritti soggettivi, posto che ha una durata temporanea che non può superare il limite massimo di un anno, prorogabile solo per gravi motivi, che perde di efficacia qualora nel procedimento personale di separazione personale dei coniugi, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio siano pronunziati i provvedimenti provvisori previsti rispettivamente dall'art. 708 c.p.c. e dalla l. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4 ed è volto a tutelare non interessi individuali ma l'interesse sociale alla tranquillità delle famiglie. Conformemente, Cass. VI, n.29492/2017 stabilisce che il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo, con cui si accolga o si rigetti l'istanza di concessione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario - stante l'espressa previsione di non impugnabilità, contenuta nell'art. 736-bis c.p.c., introdotto dall'art. 3 della l. n. 154 del 2001 - né con ricorso straordinario, ai sensi dell'art. 111 Cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività. Quanto al rapporto fra i rimedi cautelari e gli ordini di protezione, essi sono stati ritenuti incompatibili, sicché il ricorso ex art. 700 c.p.c., proposto dopo il deposito del ricorso per separazione giudiziale ma prima della udienza presidenziale, volto ad ottenere un ordine di protezione familiare (nella specie allontanamento del coniuge violento) deve essere dichiarato inammissibile perché sussiste lo specifico rimedio offerto dalla l. 4 aprile 2001, n.154, ovvero il ricorso ex art. 342-bis c.c. In modo consequenziale, è stata ritenuta la funzione cautelare degli ordini di protezione, affermandosi che pur non atteggiandosi il ricorso ex art. 342-bis c.c. ad azione cautelare in senso stretto, in difetto della imprescindibile strumentalità rispetto ad un successivo giudizio di merito non prescritto nella l. 4 aprile 2001, n. 154, esso è un mezzo sovrapponibile al ricorso ex art. 700 c.p.c. (Trib. Bari, 20 dicembre 2001). Forma e durata del provvedimento. Modalità di esecuzioneL'ordine di protezione è emesso con decreto motivato immediatamente esecutivo, con il quale il giudice detta anche le modalità per l'attuazione del provvedimento, dirimendo tutte le questioni o le contestazioni relative alla sua esecuzione ex art. 342-bis quarto comma cc. Nel provvedimento deve essere indicata la sua durata, che può essere al massimo di un anno (fino alla modifica intervenuta con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito in l. 23 aprile 2009, n. 38, il termine massimo era di 6 mesi) prorogabile solo quando ricorrano gravi motiv,i per il tempo strettamente necessario. Gli interpreti ritengono che la decorrenza del termine di durata dell'ordine può di fatto coincidere con i comportamenti o atti giuridici con i quali l'intimato dia spontanea esecuzione all'ordine, ovvero in caso contrario con l'inizio dell'esecuzione forzata (Auletta, 2001, 1058). Per quanto riguarda il contenuto necessario, esso può essere enucleato in due elementi (Dell'Osta- spadaro, 2016): - l'ordine di interrompere la condotta pregiudizievole; - l'ordine di allontanamento dalla casa familiare. L'art. 342-bis c.c. prosegue indicando ulteriori prescrizioni e obblighi che possono essere impartiti dal giudice ‘ove occorra': - prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante (con particolare riferimento al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, o al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia); - disposizione di intervento dei servizi sociali del territorio, o di un centro di mediazione familiare, o di associazioni che hanno come fine statutario il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati (art. 342-ter comma 2 c.c.). - disposizione del pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare, rimangono prive di mezzi adeguati. Anche in tali circostanze, come nel caso di cui all'art. 282-bis c.p.p., il giudice fissa la modalità e i termini del versamento, e prescrive, se del caso, che la somma sia versata direttamente dal datore di lavoro, il quale può detrarla dalla retribuzione spettante all'obbligato. È comunque necessario che il provvedimento contenga un comando, non potendo consistere in una mera autorizzazione a lasciare la casa familiare, atteso che la mancata attuazione è assistita dalla sanzione ex art. 6 l. 4 aprile 2001, n. 154 (Depinguente, 2004,767). Quanto all'attuazione del provvedimento, ove si tratti di statuizioni patrimoniali, i commentatori sono concordi circa la possibilità di ricorrere ai normali strumenti dell'esecuzione civile, nonché agli strumenti di natura cautelare, posto che il provvedimento in esame crea un diritto di credito in capo al soggetto beneficiato (Granata, 2009, 2659 e, per gli specifici profili attinenti alla applicabilità delle disposizioni del libro III del codice di rito, cfr. Auletta, 2001, 1058). Con riferimento all'attuazione dei provvedimenti a contenuto personale, è il giudice a determinarne le modalità, emanando i provvedimenti più opportuni e potendo anche ricorrere all'ausilio della forza pubblica, qualora se ne ravvisi la necessità, ai sensi dell'art. 342-ter ultimo comma c.c.: si tratta di una misura personale, che incide sui profili attinenti alla libertà della persona, emessa dal giudice civile. Lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento, darà con decreto i provvedimenti più opportuni per consentire l'attuazione dell'ordine. La dottrina esclude comunque l'applicabilità del regime di attuazione dei provvedimenti cautelari aventi ad oggetto gli obblighi di fare di cui all'art. 669-duodecies c.p.c., non essendo nella norma in esame contenuto alcun rinvio all'anzidetta disposizione, stante anche il carattere sommario e urgente del procedimento relativo agli ordini di protezione (Auletta, 2001, 1059). Quanto alle prescrizioni contenute nell'ordine di protezione, la giurisprudenza ha chiarito che la disposizione relativa intervento del servizio sociale del territorio non può essere imposta in via coercitiva, ma è produttiva di effetti solo se liberamente eseguita (Trib. Novara 1 luglio 2011). I divieti e le prescrizioni sopra elencate possono anche essere cumulative; rientra nella discrezionalità del giudice, preso atto della situazione concreta, parametrare il contenuto del decreto di protezione sulla base delle reali esigenze delle vittime degli abusi (Trib. S. Angelo Lombardi 2 novembre 2011). Peraltro, quando l'ordine di protezione sia emesso in un giudizio di separazione, ai sensi dell'art. 708 c.p.c., esso assume la natura giuridica dell'ordinanza che lo contiene ed è quindi reclamabile dinanzi alla corte d'appello (App. Catania, 29 febbraio 2016). BibliografiaAuletta, L'azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, (art. 736-bis c.p.c.), in Riv. dir. proc. 2001, 1046-1048; Bronzo, Misure cautelari penali e reati familiari, in Tratt. dir. pen., diretto da Moccia, Reati contro la famiglia, a cura di Preziosi, vol. X, Torino, 2011; Cianci, Gli ordini di protezione familiare, Milano, 2003; D'Alessandro, Gli ordini civili di protezione contro gli abusi familiari: profili processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2007; De Marzo, Ordini di protezione: le applicazioni della giurisprudenza, in Fam. e dir. 6/2002,; Dell'Osta – Spadaro, Ordini di protezione contro gli abusi familiari, in ilfamiliarista.it, 2016; Depinguente, Presupposti soggettivi degli ordini di protezione problemi di coordinamento con gli artt. 330 ss., in Familia 2004,; Figone, La legge sulla violenza in famiglia, in Fam. e dir. 2001,353; Granata, Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2009; Guerra, Norma in bianco cerca giurisprudenza, in Dir. e giust. 5, 2005,; Morani, La nuova normativa di protezione a favore dei familiari debole contro gli abusi nelle relazioni domestiche (Art. 37 legge 149 del 2001 e art. 1,2,3,5 e 6 legge 154 del 2001), in Giur. merito 4,2003, 385; Sacchetti, Allontanamento dell'autore della violenza della casa familiare, un problema aperto, in Fam. e dir. 2001,; Silvani, L. 4.4.2001, n. 154 - Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, in Legislazione penale 2001, 689; Tommaseo, Abuso della responsabilità e allontanamento coattivo dalla casa familiare, in Fam. e dir. 2002, 638; Zaccaria, Commentario breve al diritto di famiglia, Padova, 2016; Vullo, L'esecuzione degli ordini civili di protezione contro la violenza nelle relazioni familiari, in Riv. dir. proc. civ. II, 2005, 139. |