Legge - 20/05/2016 - n. 76 art. 1Art. 1 (A) 1. La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto. 2. Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. 3. L'ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell'archivio dello stato civile. 4. Sono cause impeditive per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso: a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso; b) l'interdizione di una delle parti per infermita' di mente; se l'istanza d'interdizione e' soltanto promossa, il pubblico ministero puo' chiedere che si sospenda la costituzione dell'unione civile; in tal caso il procedimento non puo' aver luogo finche' la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato; c) la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all'articolo 87, primo comma, del codice civile; non possono altresi' contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87; d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se e' stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso e' sospesa sino a quando non e' pronunziata sentenza di proscioglimento. 5. La sussistenza di una delle cause impeditive di cui al comma 4 comporta la nullita' dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli articoli 65 e 68, nonche' le disposizioni di cui agli articoli 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129 e 129-bis del codice civile. 6. L'unione civile costituita in violazione di una delle cause impeditive di cui al comma 4, ovvero in violazione dell'articolo 68 del codice civile, puo' essere impugnata da ciascuna delle parti dell'unione civile, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarla un interesse legittimo e attuale. L'unione civile costituita da una parte durante l'assenza dell'altra non puo' essere impugnata finche' dura l'assenza. 7. L'unione civile puo' essere impugnata dalla parte il cui consenso e' stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravita' determinato da cause esterne alla parte stessa. Puo' essere altresi' impugnata dalla parte il cui consenso e' stato dato per effetto di errore sull'identita' della persona o di errore essenziale su qualita' personali dell'altra parte. L'azione non puo' essere proposta se vi e' stata coabitazione per un anno dopo che e' cessata la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore. L'errore sulle qualita' personali e' essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altra parte, si accerti che la stessa non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purche' l'errore riguardi: a) l'esistenza di una malattia fisica o psichica, tale da impedire lo svolgimento della vita comune; b) le circostanze di cui all'articolo 122, terzo comma, numeri 2), 3) e 4), del codice civile. 8. La parte puo' in qualunque tempo impugnare il matrimonio o l'unione civile dell'altra parte. Se si oppone la nullita' della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata. 9. L'unione civile tra persone dello stesso sesso e' certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e alla residenza dei testimoni. 10. Mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte puo' anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all'ufficiale di stato civile. 11. Con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacita' di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni. 12. Le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato. 13. Il regime patrimoniale dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, e' costituito dalla comunione dei beni. In materia di forma, modifica, simulazione e capacita' per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli articoli 162, 163, 164 e 166 del codice civile. Le parti non possono derogare ne' ai diritti ne' ai doveri previsti dalla legge per effetto dell'unione civile. Si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. 14. Quando la condotta della parte dell'unione civile e' causa di grave pregiudizio all'integrita' fisica o morale ovvero alla liberta' dell'altra parte, il giudice, su istanza di parte, puo' adottare con decreto uno o piu' dei provvedimenti di cui all'articolo 342-ter del codice civile. 15. Nella scelta dell'amministratore di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove possibile, la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. L'interdizione o l'inabilitazione possono essere promosse anche dalla parte dell'unione civile, la quale puo' presentare istanza di revoca quando ne cessa la causa. 16. La violenza e' causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui. 17. In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennita' indicate dagli articoli 2118 e 2120 del codice civile devono corrispondersi anche alla parte dell'unione civile. 18. La prescrizione rimane sospesa tra le parti dell'unione civile. 19. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni di cui al titolo XIII del libro primo del codice civile, nonche' gli articoli 116, primo comma, 146, 2647, 2653, primo comma, numero 4), e 2659 del codice civile. 20. Al solo fine di assicurare l'effettivita' della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonche' negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonche' alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti. 21. Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile. 22. La morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell'unione civile ne determina lo scioglimento. 23. L'unione civile si scioglie altresi' nei casi previsti dall'articolo 3, numero 1) e numero 2), lettere a), c), d) ed e), della legge 1° dicembre 1970, n. 898. 24. L'unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volonta' di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell'unione civile e' proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volonta' di scioglimento dell'unione. 25. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 4, 5, primo comma, e dal quinto all'undicesimo comma, 8, 9, 9-bis, 10, 12-bis, 12-ter, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonche' le disposizioni di cui al Titolo II del libro quarto del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 1621. 26. La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso 2. 27. Alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volonta' di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. 28. Fatte salve le disposizioni di cui alla presente legge, il Governo e' delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni3; b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo4; c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti5. 29. I decreti legislativi di cui al comma 28 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. 30. Ciascuno schema di decreto legislativo di cui al comma 28, a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri, e' trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perche' su di esso siano espressi, entro sessanta giorni dalla trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Decorso tale termine il decreto puo' essere comunque adottato, anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 28, quest'ultimo termine e' prorogato di tre mesi. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia sono espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati. 31. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 28, il Governo puo' adottare disposizioni integrative e correttive del decreto medesimo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al citato comma 28, con la procedura prevista nei commi 29 e 30. 32. All'articolo 86 del codice civile, dopo le parole: «da un matrimonio» sono inserite le seguenti: «o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso». 33. All'articolo 124 del codice civile, dopo le parole: «impugnare il matrimonio» sono inserite le seguenti: «o l'unione civile tra persone dello stesso sesso». 34. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 28, lettera a)6. 35. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 34 acquistano efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge. 36. Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita' o adozione, da matrimonio o da un'unione civile. 37. Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. 38. I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario. 39. In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonche' di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari. 40. Ciascun convivente di fatto puo' designare l'altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati: a) in caso di malattia che comporta incapacita' di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute; b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalita' di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie. 41. La designazione di cui al comma 40 e' effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilita' di redigerla, alla presenza di un testimone. 42. Salvo quanto previsto dall'articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni (B). 43. Il diritto di cui al comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto. 44. Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facolta' di succedergli nel contratto. 45. Nel caso in cui l'appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parita' di condizioni, i conviventi di fatto. 46. Nella sezione VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, dopo l'articolo 230-bis e' aggiunto il seguente: « Art. 230-ter (Diritti del convivente). - Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonche' agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di societa' o di lavoro subordinato». 47. All'articolo 712, secondo comma, del codice di procedura civile, dopo le parole: «del coniuge» sono inserite le seguenti: «o del convivente di fatto». 48. Il convivente di fatto puo' essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all'articolo 404 del codice civile. 49. In caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite. 50. I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza. 51. Il contratto di cui al comma 50, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatti in forma scritta, a pena di nullita', con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformita' alle norme imperative e all'ordine pubblico. 52. Ai fini dell'opponibilita' ai terzi, il professionista che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. 53. Il contratto di cui al comma 50 reca l'indicazione dell'indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo. Il contratto puo' contenere: a) l'indicazione della residenza; b) le modalita' di contribuzione alle necessita' della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacita' di lavoro professionale o casalingo; c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. 54. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza puo' essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalita' di cui al comma 51. 55. Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignita' degli appartenenti al contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non possono costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza. 56. Il contratto di convivenza non puo' essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti. 57. II contratto di convivenza e' affetto da nullita' insanabile che puo' essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso: a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza; b) in violazione del comma 36; c) da persona minore di eta'; d) da persona interdetta giudizialmente; e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile. 58. Gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile, fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento. 59. Il contratto di convivenza si risolve per: a) accordo delle parti; b) recesso unilaterale; c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona; d) morte di uno dei contraenti. 60. La risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza. 61. Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l'atto e' tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma 52, a notificarne copia all'altro contraente all'indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilita' esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullita', deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione. 62. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 59, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all'altro contraente, nonche' al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l'estratto di matrimonio o di unione civile. 63. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 59, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l'estratto dell'atto di morte affinche' provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all'anagrafe del comune di residenza. 64. Dopo l'articolo 30 della legge 31 maggio 1995, n. 218, e' inserito il seguente: «Art. 30-bis (Contratti di convivenza). - 1. Ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza e' prevalentemente localizzata. 2. Sono fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima». 65. In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma e' adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle. 66. Agli oneri derivanti dall'attuazione dei commi da 1 a 35 del presente articolo, valutati complessivamente in 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, in 6,7 milioni di euro per l'anno 2017, in 8 milioni di euro per l'anno 2018, in 9,8 milioni di euro per l'anno 2019, in 11,7 milioni di euro per l'anno 2020, in 13,7 milioni di euro per l'anno 2021, in 15,8 milioni di euro per l'anno 2022, in 17,9 milioni di euro per l'anno 2023, in 20,3 milioni di euro per l'anno 2024 e in 22,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, si provvede: a) quanto a 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, a 1,3 milioni di euro per l'anno 2018, a 3,1 milioni di euro per l'anno 2019, a 5 milioni di euro per l'anno 2020, a 7 milioni di euro per l'anno 2021, a 9,1 milioni di euro per l'anno 2022, a 11,2 milioni di euro per l'anno 2023, a 13,6 milioni di euro per l'anno 2024 e a 16 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307; b) quanto a 6,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per gli anni 2017 e 2018, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. 67. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei dati comunicati dall'INPS, provvede al monitoraggio degli oneri di natura previdenziale ed assistenziale di cui ai commi da 11 a 20 del presente articolo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 66, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attivita' di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie di parte corrente aventi la natura di spese rimodulabili, ai sensi dell'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 68. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 67. 69. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
------------------------------------------------ (A) Vedi la Circolare del Ministero dell'Interno 1° giugno 2016 , n. 7 e la Circolare del Ministero dell'Interno 5 agosto 2016, n. 3511. (B) In riferimento al presente comma vedi la Risposta Agenzia delle Entrate 12 ottobre 2018, n. 37. - In riferimento alla Dichiarazione di successione e diritto di abitazione vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 04/11/2019 n. 463. [1] Comma sostituito dall'articolo 29, comma 6, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197. [2] La Corte Costituzionale, con sentenza 22 aprile 2024, n. 66, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione. [3] In riferimento alla presente lettera vedi il D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 5. [4] In riferimento alla presente lettera vedi il D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 7. [5] In riferimento alla presente lettera vedi i D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 5 e D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 6. [6] Per il regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile, ai sensi del presente comma vedi il D.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144. InquadramentoLa disciplina dei contratti di convivenza, cui sono dedicati i commi dal 50 al 64 dell'art. 1 della l. n. 76/2016, costituisce il nucleo centrale della normativa sulle convivenze di fatto. La definizione «convivenza di fatto» non è stata molto apprezzata dai primi commentatori, apparendo una contraddizione. In realtà le convivenze di fatto rappresentano delle unioni tra persone eterosessuali o omosessuali espressamente regolamentate dall'ordinamento giuridico, pertanto molto lontane dal concetto di rapporto di fatto. Allo stato permane la differenza tra le convivenze «di fatto» disciplinate dalla l. n. 76/2016 e i rapporti di convivenza che non ricevono dall'ordinamento alcuna regolamentazione, ma che costituiscono essi stessi «famiglia». I contratti di convivenza si riferiscono, pertanto, solo ed esclusivamente alle convivenze di fatto e non ad altri rapporti di convivenza, lasciati alla libera determinazione delle parti a cui possono certamente essere estesi i benefici che la giurisprudenza di legittimità e di merito, in questi anni, ha riconosciuto, mediante una interpretazione estensiva delle norme che regolamentano il rapporto di coniugio. Contratto di convivenzaPer le coppie che costituiscano una “convivenza di fatto” è prevista la possibilità di stipulare un contratto di convivenza. I contratti di convivenza sono accordi con cui la coppia definisce la regole della propria convivenza, attraverso la regolamentazione dei rapporti patrimoniali che disciplineranno il rapporto ed alcuni limitati aspetti dei rapporti personali, come ad es. la designazione dell'amministrazione di sostegno. Il contratto di convivenza è un contratto tipico, in quanto è stato espressamente disciplinato dal legislatore che ha regolamentato il rapporto, quello di convivenza, ed è un contratto oneroso, poiché con lo stesso i contraenti assumono obbligazioni reciproche. Non è un contratto a prestazioni corrispettive, in quanto le obbligazioni non sono l'una in funzione dell'altra, non realizzano una causa di scambio ma concorrono a realizzare una causa di natura familiare, in senso lato, intendendo la convivenza come formazione sociale nella quale si esplica la personalità dei due partners. La dottrina valorizza la causa familiare del contratto di convivenza per assicurare la stabilità delle prestazioni patrimoniali pattuite nel contratto, riconducibili nell'alveo della contribuzione adeguata e proporzionale alla necessità della vita comune, rispetto alla eventuale cessazione del rapporto, per escludere azioni di ripetizione dell'indebito o di ingiustificato arricchimento. Il contratto di convivenza è espressione dell'autonomia patrimoniale che la legge riconosce alle parti della convivenza. L'accordo può essere usato anche per disciplinare le conseguenze patrimoniali della cessazione della convivenza. Anche se si tratta di un contratto in cui l'autonomia privata si esplica in maniera ridotta, poiché non si tratta di regolare un normale rapporto giuridico patrimoniale ma di specificare degli obblighi all'interno di una cornice normativa tendenzialmente inderogabile. E' un contratto di natura programmatica, soggetto alla regola, tipica dei rapporti familiari, del rebus si stantibus, nel senso che le contribuzioni concordate si basano sulla situazione personale ed economica in essere al momento dell'accordo, ma potrebbero essere soggette a richiesta di revisione oe le condizioni dovessero cambiare. Possiamo definirlo un contratto con vincolo obbligatorio debole, in quanto è soggetto a risoluzione per il semplice recesso unilaterale di una delle parti. Possono essere stipulati da tutti gli individui che, legati da vincolo affettivo, decidono di vivere insieme stabilmente. È la prima volta che il legislatore fa entrare il mondo degli affetti nel diritto. È la vera novità di questa legge. Infatti la convivenza viene definita come l'unione tra persone legate da vincoli affettivi, come se l'affetto e l'amore che unisce gli individui sia un presupposto determinante per il riconoscimento di un rapporto di convivenza. La verifica di un rapporto di amore potrebbe rappresentare anche il presupposto per escludere la simulazione di un contratto di convivenza, ma a questo punto viene naturale chiedersi: in che modo il giudice può verificare la sussistenza di un autentico vincolo affettivo? L'affectio tra le parti e la reciprocità di assistenza morale e materiale sarà certamente quella tipica della “famiglia tradizionale”. Il contratto di convivenza, quindi, può essere stipulato solo da persone maggiorenni, dello stesso sesso o anche di sesso diverso, unite da legami affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale, libere da vincoli matrimoniali o da altra unione civile, che abbiano instaurato una stabile convivenza, e che rendano dichiarazione all'anagrafe ai fini della redazione dello stato di famiglia, di aver costituito una nuova convivenza. Come si è detto i conviventi devono essere liberi da vincoli matrimoniali e non devono aver stipulato un unione civile, sicché sono certamente rare le possibilità di applicazione della legge, dovendosi rilevare la frequenza di rapporti tra persone in fase di divorzio, ma ancora vincolate da un rapporto di coniugio, che vivono stabilmente insieme. Per tale ragione la dottrina più attenta ha subito rilevato come il legislatore abbia fatto un passo indietro rispetto al riconoscimento dei diritti dei conviventi (Gazzoni, 2016, 3). Per essere riconosciute le convivenza hanno necessità di avere un certificato anagrafico di cui all'art. 13, comma 1, lettera b) Regolamento di cui al d.P.R. n. 223/1989, il quale non ha natura costitutiva della convivenza che nasce di fatto, ma di mezzo di prova della stessa. Sulla natura giuridica del certificato anagrafico, la dottrina si è divisa. Da parte di alcuni si è ritenuto che non vi può essere convivenza senza il certificato, per l'indirizzo maggioritario, che in questa sede si condivide, la dichiarazione anagrafica avrebbe solo una funzione probatoria, che, peraltro, sarebbe confermata dalla scelta del termine “accertamento”, e dal fatto che l'esistenza di una convivenza può essere certamente provata in altro modo. Le convivenze prive di certificato anagrafico e quelle con partner separato continueranno ad essere disciplinate dal diritto vivente come creato dalla giurisprudenza. La scelta tra l'efficacia probatoria o costitutiva del certificato anagrafico determina delle importanti conseguenze anche in tema di opponibilità, atteso che in caso di efficacia costitutiva la mancanza di certificato anagrafico non consente l'opponibilità ai terzi del contratto di convivenza. La sottoscrizione di un contratto di convivenza è rilevante anche per quanto riguarda la disciplina del permesso di soggiorno per motivi familiari, prevista nel testo unico sull'immigrazione. A tale riguardo, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4277 del 2018 ha stabilito che “La convivenza dello straniero con una cittadina italiana riconosciuta con contratto di convivenza disciplinato dalla l. n. 76 del 2016 è ostativa alla espulsione a titolo di misura alternativa alla detenzione, di cui all'art. 19, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 286 del 1998, e tale causa ostativa deve essere valutata se sussistente o meno al momento in cui l'espulsione viene messa in esecuzione”. Gli accordi di convivenza permettono allo straniero di richiedere ed ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari: in base all'art. 3 comma 2 del d.lgs. n. 30/2007, l'amministrazione pubblica agevola l'ingresso ed il soggiorno in Italia del partner straniero con cui il cittadino italiano (ed in genere comunitario) abbia una relazione stabile, attestata con documentazione ufficiale, oltre alla dimostrazione delle risorse economiche sufficienti a soggiornare in Italia e della disponibilità di un alloggio idoneo. I contratti di convivenza non sono una novità assoluta essendo già riconosciuti in altri ordinamenti, quanto al principio, considerato che già in epoca storica precedente (si risale, addirittura, al XIII e XIV secolo) si trovano testimonianze di regolamentazione negli altri Paesi: le contract de concubinat (in Francia), e la cartas de mancebìa e compagnerìa (in Spagna) danno l'idea che, da sempre, la prudenziale sistemazione dei rapporti patrimoniali della famiglia di fatto, è argomento particolarmente sentito in ragione della tutela degli effetti economici che un'unione tra due persone comporta. In epoca più recente, nel resto d'Europa, la legislazione ha fornito soluzioni per via negoziale in diversi Paesi: Danimarca, Svezia, Islanda, Olanda e Germania, sin dal 1989 si sono occupate del fenomeno, istituendo modelli per la «registrazione» dell'unione, dando a questa effetti giuridici di volta in volta menzionati (Sesta, 350 ss.). In Italia, sin dalla X legislatura, diverse sono state le proposte di legge dirette a disciplinare i rapporti patrimoniali tra i conviventi. La previsione normativa contenuta nella Legge n. 76/2016, quindi, non può dirsi una vera novità, considerato che, di fatto, rappresenta il giusto adeguamento non solo ad un orientamento di evoluzione dei costumi, ma soprattutto un tentativo di venire incontro alle istanze propulsive del legislatore comunitario e del vivere sociale. In passato la dottrina si era a lungo interrogata circa la liceità della trasformazione, tramite il contratto di convivenza, di un'obbligazione naturale (cui sono ricondotti i doveri di reciproca assistenza e contribuzione tra conviventi) in un'obbligazione giuridica, in quanto ciò sembrava contrastare con il dettato dell'art. 2034 cpv c.c. In realtà, sembrava non possibile rendere coercibile la regolamentazione dell'affetto o il dovere di contribuzione tipico del menage familiare. Pertanto, anche la giurisprudenza aveva inizialmente ritenuto che il contratto di convivenza fosse inammissibile, costituendo un negozio ricognitivo o novativo di un debito giuridicamente inesistente (Nicolò, 39; Betti, 186 ss.,nota 2; Montel, 332 ss.; Bianca, 20). Come si è detto, la stessa Giurisprudenza si è più volte espressa nel senso che la previsione di un obbligo giuridicamente inesistente rende inammissibile ogni ed eventuale accordo (Cass. 15 marzo 1943, n. 606, in Rep. Foro it., 1943, 45, voce Successione, n. 28; Cass., 7 giugno 1943, n. 1391, ivi, voce Obbligazioni e contratti, n. 397; Cass. 4 febbraio 1959, n. 329, in Foro it., 1959, I, c. 354; Cass. 22 maggio 1963, n. 1351, in Foro it., 1963, I, c. 2356; Cass., 25 ottobre 1974, n. 3120, in Giur. it., 1975, I, 1, c. 2004; Cass., 29 novembre 1986, n. 7064, in Foro it., 1987, I, c. 805). A tale assunto, si replicava che in realtà il contratto di convivenza poteva avere una causa diversa rispetto all'obbligazione naturale esistente tra le parti. Ciò poteva essere possibile ponendo la prestazione oggetto dell'obbligazione naturale in corrispondenza di un'altra obbligazione, ossia attraverso la reciprocità delle prestazioni (Oberto, 2012, 94). La dottrina, comunque, riconosceva validità ai contratti di convivenza, sostenendo che trattavasi di formazioni sociali riconosciute come meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento ai sensi dell'art. 1322 c.c., idonei a vincolare le parti anche in relazione a rapporti di natura personale. La natura atipica dei contratti di convivenza, prima della novella legislativa, aveva indotto il Consiglio Nazionale dl Notariato nel 2013 a redigere una guida operativa volta ad indirizzare i professionisti nella redazione dei contratti di convivenza. Oggi, ai sensi del comma 50 i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza. La disposizione ripete i principi generali sanciti dall'art. 1321 c.c., rendendo positiva una prassi negoziale ormai già riconosciuta. I conviventi possono regolamentare aspetti che riguardano: Le modalità di partecipazione alle spese comuni, e quindi la definizione degli obblighi di contribuzione reciproca nelle spese comuni o nell'attività lavorativa domestica ed extradomestica; I criteri di attribuzione della proprietà dei beni acquistati nel corso della convivenza; Le modalità di uso della casa adibita a residenza comune; Le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza al fine di evitare, nel momento della rottura, contenziosi; La designazione di un amministrazione di sostegno, ed indicazioni che possono riguardare le cure mediche del convivente malato. Secondo la disciplina prevista dalla legge n. 76/2016, la nozione di contratto di convivenza è alquanto circoscritta, facendo riferimento esclusivamente alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i conviventi, quindi determinare le modalità di contribuzione di ciascuno di essi alle necessità della vita in comune e optare per il regime di comunione legale dei beni. Il dettato normativo indica le formalità di redazione dell'accordo e, soprattutto, la responsabilità di deposito e custodia dell'atto da parte di coloro che vengono abilitati a dare solennità all'accordo. Il contratto di convivenza, infatti, deve essere stipulato in forma scritta, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o un avvocato, cui viene conferito il potere di attestarne la conformità alle norme imperative ed all'ordine pubblico. Nel silenzio del legislatore il “buon costume” non rientra tra gli obblighi di conformità, ma sembra naturale obiettare che una tale violazione infici la validità del contratto di convivenza. I patti e le condizioni di cui al contratto di convivenza dovranno essere ben delimitati nell'oggetto e non si potrà uscire, in ogni caso, dalla disciplina dei rapporti relativi alla vita in comune. Ben precise sono la previsione delle cause di nullità insanabile, la sospensione degli effetti del contratto (ove si dovessero verificare gli eventi ivi indicati), nonché le cause di risoluzione e le modalità di recesso. Con il contratto di convivenza si va a dare una direzione alla gestione del patrimonio della coppia medesima e, si ritiene, anche le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza. Tale possibilità riduce certamente la possibilità di contrasti ed il rischio di discussioni e rivendicazioni che, in caso di rottura della unione, renderebbero facile la apertura di un conflitto. I contratti di convivenza devono certamente essere interpretati in senso restrittivo, pertanto, stante il divieto di cui all'art. 458 c.c., i conviventi non possono dare luogo a patti successori, mentre sono certamente ammissibili accordi che prevedono la costituzione di trust o di vincoli di destinazione. È bene chiarire, in ogni caso, che con contratto di convivenza non s'intende l'accordo con cui due persone s'impegnano a convivere more uxorio: la stesura dell'accordo, nella portata della Legge, potrà riguardare solo ed unicamente gli aspetti patrimoniali (e/o economica) che i conviventi vorranno definire e delimitare in ragione dell'«indirizzo della vita in comune». Nulla di ciò che andrà a rappresentare questioni personali della coppia — intesa quale unione sentimentale — potrà, quindi, ivi essere codificata trattandosi, si ripete, di una regolamentazione pattizia ben specifica per la statuizione di regole riguardanti lo stile di vita quotidiana. Si esclude che si possa costituire con il contratto di convivenza un fondo patrimoniale, posto che il comma 53, lett.c), rinviando alla sola Sezione III del Titolo VI del Libro I del Codice, estende dalla costituzione del fondo ex art. 167 c.c. nonché dalla possibilità di dare vita a regimi convenzionali della comunione. I rilievi espressi escludono, in sede di contenzioso, l'applicazione analogica della disciplina delle convivenze regolamentate ai rapporti di convivenza definibili come liberi. Questi rapporti rifiutano le regole rispettivamente del matrimonio o dell'unione civile o della regolamentazione delle convivenze, pertanto non è possibile prevedere una disciplina organica applicabile. Contenuto. Il contratto di convivenza, secondo il comma 53, può contenere: a) l'indicazione della residenza; b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Nell'accordo potranno, pertanto, essere disciplinati: - il sistema d'intervento alle spese comuni (e quindi la regolamentazione degli obblighi di contribuzione reciproca nelle spese correnti); - il carico della attività domestica ed extradomestica; - le condizioni di uso della casa familiare e adibita a residenza comune, indipendentemente dalla proprietà. Si discute in dottrina se sia ammissibile un contenuto atipico del contratto di convivenza. Il contenuto del contratto indicato dal comma 53 non garantisce la regolamentazione completa dei rapporti tra conviventi e non soddisfa le esigenze di certezza e di prevenzione delle liti che intendono soddisfare due conviventi che si accingono a sottoscrivere un contratto di convivenza. La formalizzazione di accordi patrimoniali e anche non patrimoniali sulla gestione della vita comune è quasi superflua nella fase fisiologica del rapporto mentre diventa importante nella eventuale rottura della convivenza, soprattutto in presenza di una diversa situazione economico – patrimoniale dei due conviventi, per evitare richieste restitutorie. Tale disposizione è certamente da considerarsi una norma imperativa e secondo i principi generali (art. 1418 c.c.), la violazione di una norma imperativa costituisce causa di nullità del contratto, anche se non è prevista espressamente tra le cause di nullità disciplinate dal comma 57 dell'art. 1 (Dosi, 2016). L'indicazione della residenza comune nell'accordo è elemento fondamentale per individuare il luogo di ubicazione della casa familiare evitando in futuro problemi al riguardo. La disposizione, inoltre, nel prevedere la possibilità per le parti di indicare «le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune», ha determinato che possa essere oggetto di vincolo negoziale ciò che non costituisce un obbligo tra i conviventi, ma oggetto di obbligazione naturale (Oberto, 2016). Tale previsione ha posto fine ai lunghi e contrastanti dibattiti dottrinali su tale argomento ovvero circa la possibilità di convertire un'obbligazione naturale in obbligazione civile (Oberto, 1991). I conviventi, quindi, oltre a statuire l'impegno di contribuire alle necessità del menage familiare, possano nell'accordo specificarne le condizioni, ovvero precisare che l'adempimento di tale impegno possa avvenire mediante la corresponsione periodica (o una tantum) di somme di denaro, o con la messa a disposizione di propri beni o della propria attività lavorativa, anche solo domestica. Anche prima della novella in esame, non veniva messa in dubbio la validità di tale impegno (Franzoni, 1994). I conviventi, pertanto, hanno la facoltà di «regolamentare la ripartizione del costo della convivenza». Si pensi alla scelta di pattuire chi dei due partners sia obbligato al pagamento mensile del canone di locazione della casa familiare. Il locatario, quindi, in tal caso, potrà pretendere il pagamento dal solo convivente che ha assunto tale obbligo, sempre che il contratto di convivenza venga stipulato prima del contratto di locazione. Si potrebbe nell'accordo anche statuire che nell'ipotesi in cui uno dei due partners, come in caso di licenziamento, venga a trovarsi senza sua colpa nell'impossibilità di ricevere reddito, di essere giustificato per la mancata contribuzione. Le parti possono concordare che uno dei due adempia all'obbligo di contribuire alle spese di vita comune mediante lo svolgimento dei lavori domestici oppure mettendo a disposizione dei beni immobili, come l'abitazione adibita a casa familiare o la casa per le vacanze. Prima della novella, secondo la dottrina, l'obbligo unilaterale di versare periodicamente un importo a titolo di mantenimento in favore del convivente più debole poteva costituire oggetto del contenuto del contratto di convivenza (Mazzocca, 1989). Una questione molto discussa e non risolta dalla riforma è se l'accordo sulla contribuzione possa derogare rispetto ai criteri di proporzionalità di cui all'espressione in re-lazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale e casalingo (art. 1, comma 53 lett. b) (Oberto, 2016). L'inderogabilità alla regola della proporzionalità, è espressamente prevista dal legislatore per i coniugi (art. 160 c.c.) e per le parti dell'unione civile (comma 13 art. 1 della legge n. 76/2016) (Art. 1 comma 13: ...«Le parti non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto dell'unione civile»). Pertanto, la legge in esame non prevedendo nulla a tal riguardo, si pensa che i conviventi possano liberamente regolare sia la quantità che la modalità di contribuzione, a prescindere dal criterio della proporzionalità. Con l'espressione prevista dalla citata disposizione, inoltre, si ribadisce quanto statuito dall'art. 143 c.c. per i coniugi e dall'art. 1, comma 11, della legge 76/2016, per i partners di un'unione civile. Il contratto di convivenza, infine, come regolato dal comma 53 lettera c), può contenere la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni «di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile». Per i conviventi, infatti, non esiste un regime patrimoniale legale. La possibilità che persone non coniugate, né civilmente unite, però possano mediante un contratto adottare un regime patrimoniale comunitario rappresenta una novità legislativa nel nostro sistema. Solo attraverso il patto si può stabilire un regime patrimoniale legale, infatti, anche se l'art. 53 non rinvii alle norme relative al regime di separazione dei beni ed ai regimi convenzionali, quello successivo consente di modificare il regime scelto in ogni momento, consentendo ai conviventi, attraverso modifiche dell'accordo, di gestire i propri interessi patrimoniali ricalcando gli schemi di cui agli artt. 210-219 c.c. La scelta del regime della comunione dei beni determina l'applicazione di tutte le norme, dall'art. 177 all'art. 197 c.c., che disciplinano tale regime patrimoniale. I conviventi possono stipulare un contratto di convivenza e prevedere il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Per i conviventi la comunione dei beni è solo opzionale e non ha il carattere di regime legale. Il regime legale è invece rappresentato dalla situazione di fatto secondo cui ogni convivente dispone del proprio patrimonio in via esclusiva. Questa situazione non deve essere confusa con la separazione dei beni di cui agli artt. 215 ss. c.c., che al contrario è un regime vero e proprio, con norme specifiche La legge contemplando il recesso unilaterale dal contratto di convivenza e la modifica del regime patrimoniale scelto (comma 54), consente la possibilità di sciogliere la comunione in caso di interdizione o di inabilitazione dell'altro convivente, o di cattiva amministrazione dei beni in comunione e disordine degli affari tali da mettere in pericolo gli interessi personali o quelli della comunione oppure quando uno dei conviventi non contribuisce alle spese del menage familiare. Il comma 54 prevede, infatti, che il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalità di cui al comma 51. Secondo alcuni commentatori la norma sembrerebbe introdurre la possibilità di stipulare una “comunione convenzionale”. La “comunione convenzionale” è una convenzione matrimoniale (o patrimoniale) particolarmente complessa e delicata, non potendo travalicare i limiti di cui all'art. 210 c.c. ed altri che si possono dedurre dal sistema, come ad esempio il regime di responsabilità per le obbligazioni dei partners in comunione. A tale affermazione si è obiettato che il comma 53 prevede solo la comunione legale, sicché sarebbe irragionevole considerare che in sede di stipula del contratto si possa scegliere la comunione legale, mentre in sede di modifica si possa disporre altrimenti. Secondo un indirizzo della dottrina una interpretazione restrittiva del comma 54 impone di sostenere che i conviventi possano modificare, durante la convivenza, solo il regime patrimoniale e non anche le modalità di contribuzione. Tale interpretazione non può essere condivisa dal momento che appare ammissibile la modificabilità di tutti i punti del contratto di convivenza dall'espressione «Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato» se inteso come «assetto patrimoniale scelto» (Dosi, 2016). Alquanto significativa appare la disciplina contenuta nel comma 55, secondo la quale il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche deve avvenire garantendo il rispetto della dignità degli appartenenti al contratto di convivenza. Ai sensi del comma 56, il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti. Tale regolamentazione ha creato qualche criticità. In precedenza non si dubitava che gli effetti degli accordi di convivenza potessero essere legati alla durata della relazione affettiva o, in ogni caso, potessero essere ancorati al verificarsi di un evento (futuro e certo o incerto) che le parti concordemente individuavano. Pertanto, alcuni ritengono non accettabile il divieto di apposizione di termini o condizioni, soprattutto, perché limita sensibilmente l'autonomia delle parti. Si potrebbe verificare l'ipotesi in cui i conviventi vogliano stabilire un quantum da corrispondere nel caso di rottura della convivenza, o addirittura un premio in denaro da regalare al partner in caso di durata della convivenza. In effetti, tutte clausole contrattuali che in qualche modo possano rappresentare un coercizione per i conviventi non sarebbero ammissibili, non potendo incidere sulla sfera di libertà del partener che in ogni caso sarebbe indotto a continuare una convivenza, o a tenere un dato comportamento, all'unico scopo di avere un premio o non essere costretto ad adempiere ad un obbligo. Il contratto di convivenza deve necessariamente contenere l'indicazione dell'indirizzo presso cui ciascuna parte dovrà ricevere le comunicazioni inerenti al contratto stesso (art. 1 comma 53 l. n. 76/2016). In merito alle modalità di contribuzione alle necessità di vita comune, si ritiene possibile specificare l'effettivo apporto dato da ciascun membro, anche andando oltre la generica dicitura «in relazione alle sostanze di ciascuno» prevista nella Legge. La libertà negoziale autorizzata, in tal senso, può dare certezza a concrete e ben definite distribuzioni di ruoli. In ogni caso, pur se non specificamente imposto, è fortemente consigliabile prevedere, descrivere e dettagliare l'apporto specifico di ciascun convivente al sistema di quotidianità della famiglia di fatto (non solo in termini economici, ma anche in termini di carico delle incombenze) anche al fine di dare un criterio di determinazione per il riconoscimento — di uno — di ricevere gli alimenti da parte dell'altro, in caso di cessazione della convivenza, così come previsto ai sensi del comma 65 art. 1. La parte bisognosa ha diritto agli alimenti come accertato dal giudice investito dalla richiesta. Il legislatore non ha introdotto la previsione di un assegno di mantenimento, proprio per tutelare entrambe le parti del rapporto e soprattutto l'equilibrio delle prestazioni, rimarcando la differenza con il rapporto fondato sul matrimonio. La violazione degli obblighi assunti con il contratto di convivenza legittima l'altra parte a rivolgersi al giudice per ottenere l'adempimento di tali obblighi. La durata naturale del contratto di convivenza coincide con la durata del rapporto di convivenza. Esso costituisce titolo esecutivo ai sensi dell'art. 474 c.p.c. In particolare, qualora il contratto di convivenza sia stato redatto con la forma della scrittura privata autenticata, esso ha valore di titolo esecutivo solo relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esso eventualmente contenute. In tal caso, quindi, non tutti gli obblighi ivi previsti sarebbero suscettibili di dar corso ad esecuzione forzata, in caso di inadempienza; ma solo gli obblighi relativi alle somme di denaro. In caso di contratto di convivenza redatto nella forma di atto pubblico, l'accordo costituisce titolo esecutivo anche in relazione agli altri obblighi (es. di consegna e di rilascio di bene). È logico considerare che gli effetti del contratto si producano per tutta la durata della convivenza medesima: in tal senso, infatti, lo stesso non è soggetto a scadenza, né può essere sottoposto a termine o condizione, che — se inseriti — saranno ritenuti come non apposti. Anche in questa sede si ribadisce che carattere patrimoniale dell'accordo, così come sancito dalla Legge, induce a ritenere che nel contratto di convivenza, non possano essere introdotte statuizioni di carattere personale, quali ad esempio l'obbligo di assistenza reciproca in caso di malattia fisica psichica o l'obbligo di fedeltà. Dubbi si pongono sulla possibilità di prevedere nei contratti di convivenza obbligazioni di natura patrimoniale derivanti per ciascuno dei conviventi dalla cessazione del rapporto di convivenza (es. assegno di mantenimento, ripetizione di attribuzioni patrimoniali effettuate in corso di convivenza, rendite vitalizie). Generalmente, la previsione di prestazioni di carattere economico per il periodo successivo alla rottura è stata ritenuta valida dalla dottrina, pur con alcune accortezze che riguardano sostanzialmente la necessità di garantire la libertà dell'individuo nel proseguire o meno nel rapporto di convivenza. Infatti, è necessario evitare che la pattuizione possa essere qualificata come clausola penale per l'ipotesi di abbandono: in tal caso la disposizione sarebbe nulla in quanto eccessivamente limitativa della libertà del contraente. In altri termini, la previsione di una prestazione di natura economica deve essere volta alla tutela del soggetto destinato a trovarsi privo di quelle fonti di reddito sulle quali poteva prima fare affidamento. Sempre in dottrina, si è suggerita l'opportunità di inserire l'an ed il quantum dell'assegno o comunque parametri certi per la sua determinazione (es. percentuale del reddito annuo risultante dall'ultima dichiarazione Irpef), la durata e le cause estintive (es. nuova convivenza o celebrazione di matrimonio dell'avente diritto/obbligato) (Oberto, 1991, 282). La circostanza che nella definizione del contratto di convivenza fornita dalla Legge n. 76/2016 sia stata eliminato il riferimento alla disciplina dei rapporti patrimoniali relativi alla cessazione della convivenza (presente invece nello schema di testo unificato presentato dalla Commissione Giustizia del Senato il 24 giugno 2014), induce a ritenere che il Legislatore abbia intenzionalmente escluso tali condizioni tra i possibili contenuti del contratto di convivenza di cui alla Legge 76/2016 (L'obbligo di mantenimento per il convivente, inizialmente previsto nel DDL n. 2081 (cd. DDL Cirinnà) dall'art. 15, è stato eliminato dal maxi emendamento approvato in Senato e convertito nella Legge n. 76/2016). Secondo un indirizzo della dottrina, nel contratto di convivenza sarebbe comunque possibile inserire anche la previsione dell'obbligo di mantenimento in favore del partner debole in caso di rottura della convivenza e, altresì, di rendite vitalizie e atti di liberalità. In verità, la Legge non fa esplicito riferimento, nell'indicare i possibili contenuti del contratto di convivenza, a disposizioni concernenti la cessazione del rapporto di convivenza e alle conseguenza di natura economico-patrimoniale, come la determinazione di un assegno di mantenimento. Tuttavia deve ritenersi che, nonostante ciò, sia consentito inserire a determinate condizioni clausole di tale natura. Tale ambito ha forti punti di contatto con quello dei cd. accordi patrimoniali. In tema, si ricorda una significativa sentenza della Corte di Cassazione che ha ritenuto valido l'impegno negoziale assunto dai nubendi in caso di fallimento del matrimonio (nella specie trasferimento di un immobile di proprietà della moglie al marito, quale indennizzo delle spese, da questo sostenute, per ristrutturare altro immobile destinato ad abitazione familiare di proprietà della moglie medesima), in quanto contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell'autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell'art. 1322, secondo comma c.c., essendo, infatti, il fallimento del matrimonio non causa genetica dell'accordo, ma mero evento condizionale (Cass. n. 23713/2012). Tale soluzione, che si riferisce al caso di due fidanzati, si pone alla stregua di una soluzione aperta tanto ai coniugi, quanto ai conviventi (v.anche Cass. n. 24621/2015; Cass. n. 5065/2021). Qualora nel contratto sia previsto il trasferimento di diritti reali immobiliari, è comunque prevista la competenza del notaio per i relativi atti di trasferimento (comma 60 art. 1). Il legislatore ha tenuto in considerazione la distinzione tra le varie professionalità, deputanto solo i notai alla redazione degli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari, per ragioni di competenza specifica. In ogni caso i soggetti che redigono il contratto di convivenza (notaio o avvocato), devono comunque certificarne la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico. La previsione di una regolamentazione interna alla coppia di conviventi è stata negli ultimi decenni caldeggiata e la stessa giurisprudenza ha mostrato importanti aperture che, gradualmente, hanno allargato l'orientamento verso principi di logica giuridica di protezione di quell'autonomia negoziale che — ove non fosse contraria all'ordine pubblico e al buon costume — ben può realizzarsi in un riconoscimento solenne tra maggiorenni con capacità di agire. Già nel 1993, la Cassazione si era espressa in senso favorevole, sostenendo che la convivenza more uxorio tra persone in stato libero non costituisce causa d'illiceità e, quindi, di nullità di un contratto attributivo di diritti patrimoniali (nella specie, comodato) collegato a detta relazione, in quanto tale convivenza, ancorché non disciplinata dalla legge, non contrasta né con norme imperative, non esistendo norme di tale natura che la vietino, né con l'ordine pubblico che comprende i principi fondamentali informatori dell'ordinamento giuridico, né con il buon costume inteso, a norma delle disposizioni del codice civile (vedi artt. 1343,1354 c.c.), come il complesso dei principi etici costituenti la morale sociale di un determinato momento storico, bensì ha rilevanza nel vigente ordinamento per l'attribuzione di potestà genitoriali nell' ipotesi disciplinata dall' art. 317-bis c.c., come nella normativa della legge 27 luglio 1978 n. 392 in ordine alla successione nel contratto di locazione (Cass. n. 6381/1993. Il caso di specie riguardava il comodato concesso vita natural durante da un convivente all'altro e che il primo tentava di far venire meno, una volta cessata la convivenza). Anche la giurisprudenza di merito, sin da prima dell'entrata in vigore della legge de qua, aveva ammesso validità ed efficacia del contratto avente ad oggetto, in un caso, l'usufrutto vitalizio in favore del convivente (Trib Savona, 7 marzo 2001) e, in un altro, il diritto reale di abitazione sulla casa familiare (Trib. Palermo, 3 febbraio 2002). Forma Il comma 51 dell'art. 1 l. n. 76/2016 dispone che il contratto di convivenza, così come le sue modifiche e la sua risoluzione, sia redatto in forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico. Il Legislatore ha voluto rendere fungibili gli atti autentici di produzione notarile (atto pubblico e scrittura privata autenticata) con quello di produzione dell’avvocato. L’avvocato assume un potere certificativo, dal quale deriva la fede privilegiata delle attestazioni provenienti dal pubblico ufficiale autorizzato. Se dal contratto di convivenza, nell'ambito delle pattuizioni relative alle modalità di contribuzione alle necessità di vita in comune, discendono non solo obbligazioni pecuniarie a favore e carico dei conviventi ma anche obbligazioni di fare o obbligazioni di consegna di beni, sarà certamente più opportuno optare per la forma dell'atto pubblico: solo in questo caso il convivente potrà disporre di un titolo esecutivo anche per avviare la procedura esecutiva di adempimento dell'obbligo di fare (art. 2931 c.c.) o di consegna di un bene (art. 2930 c.c.). Il requisito della manifesta contrarietà all'ordinamento ha la finalità di disegnare la linea di discrimen per il notaio e l'avvocato e di vincolarli, togliendo ogni possibilità di arbitrio. Per il notaio vi è il dovere di ricevere l'atto ogni volta che sia legittimamente richiesto e quello di rifiutarlo ogni volta che questo sia inequivocamente illegittimo. Allo stesso modo non può sussistere alcun illecito civile da parte dell'avvocato, che agisce sul piano privatistico — consulenziale, se nel diritto vivente, come risultante dall'interpretazione della dottrina e della giurisprudenza consolidata, non esista un orientamento tale da giustificare, da parte sua, un parere di non conformità. La legge in commento non deroga affatto alle norme di legge sulla forma dell'autentica notarile e quindi non amplia le menzioni obbligatorie, né amplia le menzioni obbligatorie per l'avvocato. L'atto pubblico deve essere redatto dal notaio e, se non da lui composto, questi, comunque, ne deve dare lettura alle parti quando siano contestualmente presenti davanti al medesimo. La redazione in lingua italiana è essenziale e la sua sottoscrizione (di parti e notaio) deve avvenire contemporaneamente. La conservazione sarà nella raccolta degli atti del notaio stesso e l'organo di controllo sarà l'Archivio Notarile. La scrittura privata, di contro, è atto non necessariamente redatto dal notaio, non soggetto all'obbligo di lettura pubblica. Deve essere autenticata dandole, pertanto, carattere solenne con la verifica della veridicità delle firme e della certezza della identità dei sottoscrittori. Al fine di regolamentare il fenomeno delle unioni civili e delle convivenze sotto il profilo dei registri dello stato civile, il Ministero dell'Interno ha emanato il 1 giugno 2016 una circolare nella quale detta regole per la registrazione delle convivenze in seguito alla dichiarazione di parte, e la registrazione dell'eventuale contratto di convivenza (ovvero della sua risoluzione) trasmesso dal professionista. È previsto che la registrazione vengano effettuate sia nella scheda di famiglia dei conviventi, sia nella scheda individuale di ciascuno di essi. L'ufficiale dell'Anagrafe è tenuto ad assicurare la conservazione della copia del contratto di convivenza a lui notificato dal professionista, agli atti del proprio ufficio. Nessuna disposizione impone al notaio l'obbligo di conservare una copia del contratto di convivenza, ma può rilasciarla in originale alle parti, ancorché – per gli atti soggetti a pubblicità immobiliare o commerciale – l'art. 72 della Legge Notarile (come modificata dalla l. 28 novembre 2005, n. 246, c.d. di semplificazione per l'anno 2005) stabilisce, però, che il notaio deve conservare nella raccolta dei suoi atti anche le scritture private, se le parti non ne abbiano chiesto la restituzione. La Legge de qua conferisce agli avvocati il potere di autenticazione delle sottoscrizioni del contratto di convivenza. La previsione rappresenta una garanzia oltre che un risparmio di costi per le parti — almeno per quelle più attente, che affidano l'intera redazione a professionisti specializzati e competenti — in quanto in tal modo evitano il doppio passaggio. Da parte di alcuni si è sostenuto che i professionisti con l'autenticazione delle firme apposte sul contratto di convivenza, sono tenuti all'accertamento della inesistenza di cause impeditive e/o ostative alla regolarizzazione della convivenza medesima. Tale interpretazione sarebbe desumibile dal dovere di verificare il contenuto del contratto di convivenza che non deve essere contrario a norme imperative e all'ordine pubblico. Si discute se l'accertamento debba estendersi anche alla verifica della sussistenza del vincolo affettivo tra i conviventi, posto che il legislatore, nel regolamentare il rapporto, richiede espressamente l'esistenza di un legame sentimentale tra i partner. È certamente molto importante il ruolo dell'avvocato al quale viene offerta la possibilità di assumere una posizione decisiva nella definizione dell'accordo. Infatti, come si è visto, insieme al notaio è, senza ombra di dubbio, assoggettato agli obblighi informativi in virtù dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1337 c.c.) e dell'obbligo di diligenza professionale (art. 1176 comma 3 c.c.) (Gorgoni, 2016). Al legale viene assegnata una notevole responsabilità anche successiva alla stesura: il comma 52, infatti, ordina al professionista che ha autenticato la sottoscrizione di trasmettere l'atto all'Anagrafe del comune di residenza dei conviventi, ai fini dell'opponibilità ai terzi. Un indirizzo della dottrina si è posta la domanda di cosa significhi “opponibilità ai terzi”, rilevando come non possa significare opponibilità della convivenza. Convivenza e contratto di convivenza sono fattispecie distinte. Prevalentemente opponibilità ai terzi si intende opponibilità del contratto di convivenza e non della convivenza in sé. Il termine previsto per l'adempimento è di dieci giorni dalla sottoscrizione. Tale formalità, d'indubbia finalità notiziale, è intesa a rendere pubblica la condizione dei contraenti, e, come abbiamo detto ha effetto di natura dichiarativa, finalizzata a rendere opponibile l'esistenza della convivenza, a quei terzi che dovessero vantare interessi di varia natura. Si ritiene che la pubblicità in tal senso, sia a tutela dei medesimi conviventi: trattandosi, tuttavia, di una mera «trasmissione», l'effetto previsto è meramente amministrativo per l'iscrizione nel registro della Anagrafe cittadina. I primi commentatori si sono subito accorti del vuoto legislativo. La registrazione all'Anagrafe non sarebbe sufficienti ai fini della tutela dei terzi, non avendo tale pubblicità gli stessi effetti della trascrizione nei registri immobiliari. Effettivamente — soprattutto per le questioni patrimoniali (quali il possesso dell'immobile adibito ad abitazione familiare, cioè il regime della comunione dei beni), anche in ragione di un eventuale (possibile) conflitto tra più aventi causa — bene sarebbe procedere, contestualmente, alla trascrizione del contratto, anche presso la conservatoria dei registri immobiliari, quanto meno per la ufficializzazione di quelle clausole contenenti effetti impeditivi al godimento del bene verso i terzi. Si chiede, pertanto, un obbligo che non è previsto dalla norma, sicché la sua omissione creerà certamente problemi di tutela dei terzi aventi causa. L'opponibilità del rapporto ha rilievo rispetto a determinati soggetti. Si pensi agli eredi del proprietario della casa di residenza comune (comma 42), o al locatore di tale casa (comma 44), oppure agli enti o istituti che redigono le graduatorie per l'assegnazione degli alloggi di edilizia popolare (comma 45), tutti soggetti nei cui confronti il rapporto more uxorio produce determinati effetti indipendentemente dall'esistenza di un contratto di convivenza (Oberto, Famiglia e diritto, Mensile di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 10/2016, Torino, 2016). Dubbi sorgono sulla perentorietà di tale termine di dieci giorni per la trasmissione dell'atto al Comune di residenza dei conviventi: in ogni caso, avendo la Legge imposto al professionista tale onere, è bene rispettarne la decorrenza, in ragione del giusto adempimento del mandato ricevuto . In caso di omissione nel rispetto del termine non è prevista alcuna sanzione. La trasmissione non prevede anche una «registrazione» nel Comune del contratto di convivenza; così come non sembra esservi una connessione tra «l'anagrafe» dei conviventi ed il contratto dagli stessi sottoscritto. Trasmissione della copia del contratto al Comune di convivenza Il professionista (notaio o avvocato) che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione, ai sensi del comma 51, deve provvedere, ai fini dell'opponibilità ai terzi, entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al Comune di residenza dei conviventi, in virtù del regolamento di cui al d.P.R. n. 223/1989, per l'iscrizione nei registri dell'anagrafe (comma 52, art. 1 l. n. 76/2016). L'opponibilità ai terzi del contratto riguarda principalmente l'eventuale scelta del regime di comunione legale dei beni, l'automaticità degli acquisti compiuti in costanza del regime di comunione dei beni (art. 177, lett.a, c.c.), il regime di responsabilità dei beni della comunione e dei beni personali, per effetto della scelta del regime della comunione dei beni. L'opponibilità nei confronti dei terzi si estende anche ad un eventuale riconoscimento di un diritto personale di abitazione sulla casa della convivenza a favore del convivente che non abbia la proprietà dell'immobile. Tale forma di pubblicità rende opponibile il diritto personale di godimento dell'immobile al terzo acquirente o ai creditori del comodante e consente di superare la naturale precarietà del contratto di comodato che può essere reso inefficace dal comodante, anche durante il termine convenuto ‘se sopravviene un urgente e impreveduto bisogno del comodante' (art. 1809, comma 2, c.c.). La Circolare del Ministero dell'Interno 1° giugno 2016, n. 7 ha dettato le indicazioni per gli uffici anagrafici secondo le quali, il contratto dovrà essere registrato sia nella scheda di famiglia dei conviventi e sia nelle loro personali anagrafiche. Anche l'eventuale scioglimento dovrà essere registrato con l'indicazione della data e del luogo della risoluzione, nonché della causa e degli estremi della notifica. Il contenuto tipico del contratto di convivenza è costituito soltanto da tre elementi (residenza, modalità di contribuzione, scelta del regime di comunione). Ulteriori elementi per quanto ammissibili, non potrebbero essere soggetti a pubblicità con lo stesso effetto dichiarativo di cui al comma 52 che è senza dubbio una norma speciale, non estensibile ad altri ambiti. Non c'è dubbio che le parti possano stipulare contratti di convivenza che abbiano un contenuto più ampio di quello contenuto nel comma successivo (comma 53). Ma il contenuto atipico non potrebbe avere i requisiti di opponibilità di cui al comma 52 in relazione agli elementi determinanti. Scelta del regime patrimonialeSe per le unioni civili, in analogia a quanto previsto per il matrimonio, il Legislatore ha stabilito che il regime patrimoniale generale sia la comunione dei beni (art. 1 comma 13 l. n. 76/2016), facendo comunque salva la facoltà per le parti di optare per un diverso regime patrimoniale, in ambito di convivenze di fatto la situazione è ribaltata, nel senso che il regime generale è quello della separazione dei beni, pur avendo i conviventi la facoltà di scegliere il regime di comunione, inserendo un'espressa previsione nel contratto di convivenza. Una delle novità più significative in ambito di contratti di convivenza attiene proprio al regime patrimoniale della coppia. Il comma 54 lett. c) art. 1 l. n. 76/2016 individua, tra i possibili i contenuti del contratto, la scelta del regime patrimoniale di comunione legale dei beni, di cui alla Sez. III del capo VI del titolo VI del Libro Primo del Codice Civile, regime che, viene annotato nel comma successivo, può essere modificato in ogni momento nel corso della convivenza, con le modalità di cui al comma 51. Dall'autonomia negoziale riconosciuta ai conviventi, sono escluse le convenzioni diverse ed il fondo patrimoniale. In assenza di tale esplicita scelta, il regime legale patrimoniale tra i conviventi rimane quello della separazione dei beni. Per lungo tempo, in dottrina si è discusso se fosse possibile estendere ai conviventi more uxorio il regime patrimoniale della comunione. Se è pur vero che, in precedenza, la possibilità di adesione ad un regime della comunione dei beni di ciascun convivente, in linea di principio, non fosse espressamente vietata, è chiaro che l'attuale previsione rappresenta uno strumento decisivo in favore del partner economicamente più debole. Ciò non esclude che, spesso, l'interesse delle parti sia diretto alla creazione di una rigida separazione dei patrimoni, seguendo la tendenza sempre più diffusa nelle famiglie fondate sul matrimonio. In virtù del rinvio operato dal comma 54 a tutta la Sez. III del capo VI del titolo VI del Libro Primo del Codice Civile, qualora i conviventi di fatto optino per il regime di comunione di beni, si applicheranno gli artt. dal 177 al 197 c.c.. Con la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni, gli acquisti compiuti — insieme o separatamente — dai conviventi nel corso della convivenza (o, meglio, durante la permanenza del contratto di convivenza), cadono in comunione eccetto quelli riguardanti i beni personali. La caduta dei beni in comunione opera automaticamente, al momento dell'effettuazione di ciascun acquisto, anche nell'ipotesi in cui quest'ultimo risulti formalmente compiuto da uno solo dei conviventi, secondo lo schema del cd. coacquisto automatico. Il rinvio a tutte le disposizioni codicistiche in materia di comunione legale, comporta che, ai sensi dell'art. 177 c.c., rientrino nella comunione dei beni non solo gli acquisti effettuati dopo l'inizio della convivenza, ma anche: - i frutti dei beni propri di ciascun convivente, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione; - i proventi dell'attività separata di ciascun convivente se, allo scioglimento delle comunione, non sono stati consumati; - le aziende gestite da entrambi i conviventi e costituite dopo l'inizio della convivenza; - gli utili e gli incrementi delle aziende appartenenti ad uno dei conviventi anteriormente all'inizio della convivenza ma gestite da entrambi. I beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei conviventi costituita dopo il contratto di convivenza e gli incrementi dell'impresa istituita anche precedentemente si considerano, ex art. 178 c.c., oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa. Secondo la disciplina prevista dal codice civile, tra i beni personali che non costituiscono oggetto della comunione e che restano, pertanto, nella sfera di disponibilità del singolo convivente, ai sensi dell'art. 179 c.c. troviamo: i beni di cui, prima della stipula del contratto di convivenza, il convivente era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento; i beni acquisiti successivamente al contratto di convivenza per effetto di donazione o successione, quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione; i beni di uso strettamente personale di ciascun convivente ed i loro accessori; i beni che servono all'esercizio della professione del convivente tranne quelli destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione; i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa; i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto. A ciò si aggiunga che in caso di acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell'articolo 2683, effettuato dopo il contratto di convivenza, tale bene è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l'altro convivente. Il comma 54 delle legge n. 76/2016 prevede la facoltà di modificare in qualunque momento, nel corso della convivenza, il regime patrimoniale scelto. Ciò indipendentemente dalla vigenza delle altre clausole previste originariamente e con le modalità formali, notiziali e pubbliche, già indicate nel precedente comma 51. Gli acquisti compiuti, pertanto, a seguito di quella modifica cadranno nel regime patrimoniale modificato. Un aspetto problematico relativo alla scelta del regime di comunione tra i conviventi attiene al rapporti con i terzi. Prima della novella, ci si domandava se la comproprietà sui beni acquistati nel corso della convivenza fosse opponibile ai terzi, sostenendo che ciò non sarebbe stato possibile neanche mediante il ricorso al meccanismo della trascrizione del contratto di convivenza. In altri termini, prima della previsione legislativa della scelta del regime di comunione, si riteneva che questo, tanto nella sua versione a effetti reali differiti, che in quella a effetti meramente obbligatori, non avrebbe potuto operare all'atto della sua conclusione il trasferimento di alcun diritto reale immobiliare, ma si sarebbe configurato come una sorta di mero «accordo programmatico» (Oberto, 2012, 123). La comunione legale, eventualmente scelta dai conviventi, si scioglie all'atto di risoluzione del contratto di convivenza (comma 60 art. 1) o all'atto di modifica del regime patrimoniale (comma 54 art. 1). La Legge 76/2016 prevede che, a proposito dello scioglimento della comunione, si applichino in quanto compatibili le disposizioni della sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile («Della comunione legale») .Il contratto di convivenza può sciogliersi per mutuo consenso, in tal caso si applica il principio generale in materia di libertà contrattuale, per il quale le parti di comune accordo possono sciogliersi dal vincolo negoziale (art. 1372 c.c.). Lo scioglimento volontario del contratto di convivenze consegue di norma alla volontà di porre fine al rapporto. Ma lo scioglimento di un contratto di convivenza può certamente prescindere dallo scioglimento del rapporto, atteso che le parti possono anche decidere di continuare a convivere ma non ritenere confacente l'adempimento degli obblighi nascenti dal contratto di convivenza. Il contratto di convivenza può sciogliersi per recesso unilaterale. La manifestazione di recesso da parte di uno dei conviventi va considerata un diritto potestativo che si esercita attraverso una dichiarazione rivolta alla controparte. Si tratta di un negozio recettizio, che si perfeziona e produce effetti nel momento in cui viene portato a conoscenza del convivente. Il professionista che riceve o autentica l'atto è tenuto a notificare copia all'altro convivente all'indirizzo indicato nel contratto. La legge non stabilisce un termine al riguardo, ma ragionevolmente si deve ritenere che ciò debba avvenire in tempi ragionevoli, e comunque non oltre dieci giorni. Considerata la natura del contratto di convivenza, che è quella di un negozio ad esecuzione continuata e periodica, il recesso non influirà sulle prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione, ai sensi dell'art. 1373, comma 2, c.c. Il contratto di convivenza si scioglie anche per matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra il convivente ed un'altra persona e per morte del convivente. In virtù del rinvio operato dalla legge n. 76 del 2016, deve ritenersi applicabile l'art. 191 c.c., per cui devono ritenersi cause di scioglimento della comunione tra coniugi anche: - dichiarazione di assenza o di morte presunta (in questo caso di uno dei conviventi); - separazione giudiziale dei beni (che può essere pronunziata in caso d'interdizione o d'inabilitazione di uno dei conviventi o di cattiva amministrazione della comunione o nelle altre ipotesi contemplate dall'art. 193 c.c.). È applicabile anche la disciplina prevista dall'art. 194 c.c. in tema di divisione dei beni, secondo cui essa si effettua ripartendo in parti uguali l'attivo ed il passivo. Trattamento dei dati personaliIl comma 55 della legge in commento prevede che i dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche di cui all'art. 33 del d.P.R. n. 223/1989, debbano essere trattati conformemente alla normativa prevista dal Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. n. 196/2003), al fine di garantire «il rispetto della dignità degli appartenenti al contratto di convivenza». È evidente che l'espressione «degli appartenenti al contratto» deve essere riferita a coloro che hanno stipulato il contratto ossia ai conviventi di fatto. Ad ogni modo, i dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non possono costituire elemento di trattamento discriminatori a carico delle parti del contratto di convivenza. Apponibilità di termini o condizioniCome si è anticipato sopra, a norma del comma 56 della l. n. 76/2016 il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o a condizione. Ci si è chiesti se, in presenza di una condizione, sia essa sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, il contratto di convivenza sia o meno nullo ex art. 1354, comma 1, c.c. È possibile porsi lo stesso interrogativo in caso di condizioni sospensive impossibili (art. 1354, comma 2 c.c.) e di condizioni meramente potestative (art. 1355 c.c.), alle quali il codice civile riconnette ugualmente la nullità dell'intero contratto. Ebbene, il tenore letterale della disposizione in commento, in uno al criterio di specialità, in forza del quale lex specialis derogat generali, impone di ritenere l'invalidità del contratto di convivenza sottoposto a condizioni contrarie a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, o a condizioni sospensive impossibili o a condizioni meramente potestative. Pertanto, le eventuali condizioni (e del pari, gli eventuali termini) si considerano come non apposte. L’indirizzo prevalente ritiene, comunque, che il divieto di termini e condizioni attenga a quei soli elementi accidentali che siano eventualmente apposti al contratto nel suo complesso e non già a questa o quella statuizione in patrimoniale, o a quella determinata clausola. Peraltro, una simile disposizione è prevista anche per il matrimonio dall'art. 108 c.c. a norma del quale «la dichiarazione degli sposi di prendersi rispettivamente in marito e in moglie non può essere sottoposta a termine o condizione». Nullità del contratto di convivenzaIl contratto di convivenza, ai sensi del comma 57, è affetto da nullità insanabile, che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, se concluso: a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza; b) in violazione del comma 36; c) da persona minore di età; d) da persona interdetta giudizialmente; e) in caso di condanna per il delitto di cui all'art. 88 del c.c. La nullità è insanabile quando non è suscettibile di convalida, ai sensi dell'art. 1423 c.c. Anche le ulteriori ipotesi di nullità del contratto di convivenza per contrasto con le norme di ordine pubblico o con norme imperative sono insanabili. La causa di nullità indicata alla lettera a), specifica che il contratto di convivenza non può essere stipulato in presenza di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile da parte di uno dei due stipulanti. Ipotesi che si verifica quando uno dei conviventi è sposato con altra persona o che è unito civilmente con altra persona. È nullo anche il contratto che viene stipulato da chi è già convivente con altra persona o che abbia già stipulato un contratto di convivenza con altra persona. Tra i casi di nullità ricordiamo quello riguardante il mancato rispetto della forma prevista dalla legge. In virtù della definizione della convivenza more uxoria prescritta al comma 36, non possono stipulare valido contratto di convivenza quelle persone che sono legate tra loro da un rapporto di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile allorché non considerati conviventi di fatto dalla legge. Un minore non può essere parte di una convivenza e pertanto un contratto di convivenza stipulato da un minore è nullo. Nei precedenti disegni di legge non si faceva cenno al requisito della maggiore età per dar vita alla convivenza, ritenendo possibile una convivenza tra due minorenni se autorizzati dal Tribunale per i Minorenni (Dosi, 2016). Quindi, come previsto dalla normativa, i minorenni non possono costituire un contratto di convivenza e allo stesso modo essere parte di una convivenza. Il contratto di convivenza è altrettanto nullo se uno dei due stipulanti è interdetto oppure condannato per omicidio consumato in danno del coniuge del proprio partner ai sensi dell'art. 88 c.c. In queste ultime ipotesi, gli effetti del contratto, stipulato prima di tali avvenimenti, restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all'art. 88 c.c., fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento. Risoluzione del contratto di convivenzaLa cessazione della convivenza more uxorio (sia tra persone dello stesso sesso che tra etero) determina la risoluzione del contratto che la regolamentava, salvo l'esecuzione degli obblighi ancora pendenti. Gli effetti del contratto, quindi, sono subordinati alla presenza del rapporto di convivenza. Tutto ciò non esclude la circostanza che possono esistere alcuni accordi destinati a produrre i loro effetti proprio a partire dalla cessazione del rapporto di convivenza. A tal riguardo, pensiamo a tutti i contratti che statuiscono le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza, al fine di evitare nel momento della rottura, tutte quelle discussioni e rivendicazioni, causate proprie dalle inevitabili tensioni del momento. Se nel contratto sono contenuti anche questa tipologia di accordi, alla cessazione del rapporto di convivenza, il contratto continuerà a trovare applicazione proprio per disciplinare quella fase di definizione dei rapporti patrimoniali e la divisione dei beni comuni, mentre terminerà di produrre effetti riguardo a tutti quei restanti accordi che presuppongono la continuità del vincolo della convivenza, come gli accordi sulla partecipazione alle spese comuni, gli accordi sull'acquisto in comune di beni e via discorrendo. Essendo il contratto di convivenza un vero e proprio contratto, come tale è soggetto alle disposizioni nazionali (art. 1321 c.c. e seguenti) dettate per tutti i contratti in generale. Pertanto, il suddetto accordo può essere risolto (art. 1 comma 58 l. n. 76/2016): 1)per mutuo consenso (ovvero grazie ad un nuovo accordo che le medesime parti redigono al fine di risolvere il contratto a suo tempo stipulato); 2) per atto di rinuncia da parte di un convivente («recesso unilaterale»); 3) quando i conviventi decidono di contrarre matrimonio o unione civile o quando uno dei conviventi contrae matrimonio o unione civile con altra persona; 4) per il decesso di uno dei due conviventi. Per quanto concerne la risoluzione del contratto di convivenza sia in caso di accordo delle parti che in caso di recesso unilaterale, la l. n. 76/2016 ha stabilito che essa debba essere redatta, a pena di nullità, in forma scritta, con atto pubblico o scrittura privata, e che la sottoscrizione debba essere autenticata o da un notaio o da un avvocato allorché deputati ad attestarne la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico, così come statuito dall'art. 60 della normativa. Inoltre, quando il contratto di convivenza contempla il regime patrimoniale della comunione legale, la sua risoluzione causa anche lo scioglimento della stessa comunione cui si applicano, secondo il dettato normativo, in quanto compatibili, tutte le disposizioni collocate nel libro I, sezione III del capo VI, titolo VI del codice civile ovvero l'art. 1111 c.c. e seguenti. Per la redazione degli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari che derivano dal contratto di convivenza, continua ad essere competente il notaio. L'avvocato o il notaio che riceve o autentica l'atto di risoluzione del contratto nel caso di recesso unilaterale deve, entro i successivi dieci giorni, trasmettere copia di tale contratto al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe, ai fini dell'opponibilità ai terzi nonché notificarne una copia all'altro contraente presso l'indirizzo che risulta dal contratto. Qualora la casa familiare è nella disponibilità esclusiva del convivente recedente, nella dichiarazione di recesso deve essere indicato, a pena di nullità, il termine da concedere all'altro convivente per lasciare l'abitazione, che non deve essere inferiore a novanta giorni. Nel caso in cui, invece, il contratto si risolve perché uno dei conviventi contrae matrimonio o unione civile con altra persona, costui deve notificare l'estratto di matrimonio o dell'unione civile sia all'altro contraente e sia al professionista che ha ricevuto o autenticato l'accordo di convivenza. Se lo scioglimento del contratto occorre a causa della morte di uno dei conviventi, l'altro contraente sopravvissuto o gli eredi del contraente defunto hanno l'obbligo di notificare l'estratto dell'atto di morte al professionista che ha ricevuto o autenticato l'accordo di convivenza, il quale immediatamente deve provvedere ad effettuare l'annotazione dell'avvenuta risoluzione del contratto a margine del suddetto accordo di convivenza e subito dopo notificarlo all'ufficio anagrafe del comune di residenza dei conviventi. Atteso che al contratto di convivenza, secondo il dispositivo di legge sopra indicato, si applica la normativa del codice civile che regola i contratti in generali, il convivente, inoltre, potrà chiedere la risoluzione del contratto: 1) in caso d'inadempimento dell'altro contraente, purché non sia di scarsa importanza (artt. 1453 e segg. c.c.); 2) in caso sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta (artt. 1463 e segg. c.c.); 3) in caso di prestazione divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili (artt. 1467 e segg. c.c.). Infine le parti potranno riservarsi, inserendo apposite clausole nel contratto di convivenza, la facoltà di recesso (art. 1373 c.c.). Il contraente potrà praticare l'esercizio della facoltà di recesso, a seconda di quanto pattuito dalle parti, liberamente oppure in subordine al verificarsi di determinati eventi o condizioni. Compatibilmente con il divieto di apporre condizioni, in virtù di quanto concordato, la risoluzione potrà essere gratuita o essere condizionata al pagamento, all'altro contraente, di un corrispettivo, la cd. «caparra penitenziale». Risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilateraleLa risoluzione del contratto per mutuo consenso è accordato dalla legge quando termina il rapporto di convivenza, sia tra persone etero che omosessuali. Con la cessazione della convivenza, infatti, viene meno quella condizione considerata presupposto indispensabile per l'esistenza stessa del contratto. Ai sensi della lettera b) del comma 58, lo scioglimento del contratto, così come previsto dalla disciplina generale dei contratti, può avvenire anche per volontà di uno solo dei conviventi mediante una dichiarazione resa nota all'altro contraente. E tale recesso unilaterale, secondo l'art. 1373, comma 2, c.c. non produce effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione, essendo il contratto di convivenza un contratto ad esecuzione continuata che prevede una pluralità di prestazioni perduranti nel tempo. Quindi, in tal caso si determina una cessazione ex nunc degli effetti del contratto. I partners potranno, quindi, esercitare, inserendo apposite clausole nel contratto di convivenza, la facoltà di recesso (art. 1373 c.c.) che può essere praticata, a seconda di quanto pattuito dalle parti, liberamente oppure al verificarsi di determinati eventi o condizioni. Allo stesso modo, a seconda di quanto pattuito, la risoluzione potrà essere gratuita o condizionata al pagamento di un corrispettivo all'altro contraente, la cd. «caparra penitenziale» (art. 1386 c.c.). La risoluzione del contratto per accordo delle parti o per dichiarazione di rinuncia da parte di un convivente deve essere redatta in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata, e la sottoscrizione deve essere autenticata da un notaio o da un avvocato in quanto designati ad attestarne la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico (comma 60, dell'art. 1 l. n. 76/2016). Nel caso in cui il contratto di convivenza contempla il regime patrimoniale della comunione legale, ai sensi del comma 53, lettera c), la sua risoluzione comporta anche lo scioglimento della stessa comunione, a cui si applicano, in quanto compatibili, tutte le disposizioni annoverate nel libro I, sezione III del capo VI, titolo VI del codice civile ovvero l'art. 1111 c.c. (scioglimento della comunione) e seguenti (comma 60, dell'art. 1). Rimane ferma la competenza del notaio per la stipula degli atti di trasferimento dei diritti reali immobiliari che scaturiscono dal contratto di convivenza. La specificazione di cui sopra è implicita nella legge e nel sistema. Ma la disposizione va a beneficio della chiarezza e soprattutto consente di comprendere bene il pensiero del Legislatore. Anche se riferita testualmente agli «atti di trasferimento di diritti reali immobiliari», la competenza del notaio non è in alcun modo derogata dalla legge in commento. Obblighi del professionista in caso di recesso unilaterale Nel caso di recesso unilaterale dal contratto di convivenza, l'avvocato o il notaio che riceve o autentica l'atto di risoluzione del contratto ne deve, entro i successivi dieci giorni, trasmettere copia al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe, ai fini dell'opponibilità ai terzi nonché deve provvedere a notificarne una copia all'altro contraente presso l'indirizzo che risulta dal contratto (comma 61, art. 1). Se la casa familiare, inoltre, è nella disponibilità esclusiva del convivente recedente, nella dichiarazione di recesso deve essere indicato, a pena di nullità, il termine da concedere all'altro convivente per lasciare l'abitazione, che non deve essere inferiore a novanta giorni (comma 61). Qualora vi fossero figli minori, invece, il godimento della casa familiare va attribuito tenendo conto prioritariamente dell'interesse dei figli, come già affermato da tempo dalla stessa giurisprudenza. Di recente la Cassazione ha stabilito che in presenza di figli minori nati da una relazione di convivenza more uxorio, l'immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell'immobile, o conduttore in virtù di rapporto di locazione o comunque autonomo titolare di una situazione giuridica qualificata rispetto all'immobile, la cui posizione, peraltro, è comunque di detentore qualificato, assimilabile al comodatario (anche quando proprietario esclusivo sia l'altro convivente), attesa la pregressa «affectio familiaris» che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (Cass. n. 17971/2015). Celebrazione di un matrimonio, costituzione di un'unione civile tra i conviventi di fatto o tra un convivente ed altra persona L'ipotesi prevista alla lettera c) del comma 59, secondo cui la risoluzione del contratto di convivenza avviene quando i conviventi decidono di contrarre matrimonio o unione civile oppure quando uno dei conviventi contrae matrimonio o unione civile con altra persona, riflette ancora una volta il principio di monogamia previsto dal nostro ordinamento. La normativa, infatti, proprio nel rispetto di tale principio per la tutela dell'ordine pubblico, prevede tra le cause di impedimento per la costituzione dell'unione civile la sussistenza di un vincolo matrimoniale o di unione civile (comma 4, lettera a), così come previsto dalla stessa disciplina civilistica che richiede la libertà di stato come requisito per la validità del matrimonio civile. Gli artt. 86 e 117 c.c., infatti, impediscono di contrarre matrimonio a chi è già vincolato da un precedente matrimonio. Anche il comma 57 (art. 1 l. n. 76/2016), analogamente, stabilisce che il contratto di convivenza concluso in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di altro contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile. Ai sensi del comma 62 della novella in esame, nel caso in cui il contratto di convivenza si risolve allorché uno dei conviventi contrae matrimonio o unione civile con altra persona, costui deve notificare l'estratto di matrimonio o dell'unione civile sia all'altro contraente che al professionista che ha ricevuto o autenticato l'accordo di convivenza. Morte di uno dei contraenti Tra le cause che determinano la risoluzione del contratto di convivenza è annoverata l'ipotesi della morte di uno dei contraenti. Anche nell'ambito della disciplina civilistica il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi (art. 149 c.c.), così come gli effetti civili del matrimonio concordatario regolarmente trascritto, secondo l'art. 82 o l'art. 83 c.c., cessano con la morte di uno dei coniugi o negli altri casi previsti dalla legge. La disciplina dettata per il matrimonio civile, equipara la dichiarazione di morte presunta alla morte accertata come causa di scioglimento del matrimonio. Se lo scioglimento del contratto avviene per morte di uno dei conviventi, ai sensi del comma 63, l'altro contraente sopravvissuto o gli eredi del contraente defunto devono notificare l'estratto dell'atto di morte al professionista che ha ricevuto o autenticato l'accordo di convivenza, il quale immediatamente deve provvedere ad eseguire l'annotazione dell'avvenuta risoluzione del contratto a margine del suddetto accordo di convivenza ed immediatamente dopo notificarlo all'ufficio anagrafe del comune di residenza dei conviventi. Con specifico riferimento ai diritti derivanti dalla morte di uno dei conviventi la legge n. 76 /2016 prevede che fatto salvo quanto previsto dall'art. 337-sexies c.c. per l'assegnazione della casa familiare (applicabile in presenza di figli minori anche ai conviventi), in caso di morte del convivente proprietario della casa di comune residenza, il convivente superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni (che diventano tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, e comunque non oltre i cinque anni. Il diritto in ogni caso viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza ovvero contragga matrimonio, unione civile o intraprenda una nuova convivenza di fatto. In caso di morte del conduttore, il convivente superstite ha facoltà di succedergli nel contratto di locazione della casa di comune residenza. In caso di morte del convivente derivante da fatto illecito spetta al convivente superstite il diritto al risarcimento del danno, secondo quanto già riconosciuto in favore del coniuge. In assenza di altri richiami normativi la convivenza rimane, quindi, del tutto irrilevante sotto il profilo dell'ordine dei successibili, e più in generale per tutti gli altri diritti successori che il nostro ordinamento riconosce ai coniugi. Pertanto, nessun diritto spetta, in assenza di disposizioni testamentarie, al convivente in caso di morte del compagno. 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