Codice Civile art. 438 - Misura degli alimenti.

Francesco Bartolini

Misura degli alimenti.

[I]. Gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.

[II]. Essi devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale [660].

[III]. Il donatario non è tenuto oltre il valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio.

Inquadramento

L'art. 438 è norma centrale nella disciplina degli alimenti. Esso determina il presupposto dal quale sorge l'obbligazione alimentare (lo stato di bisogno), indica la natura disponibile del diritto che ha ad oggetto gli alimenti (di essi occorre fare domanda) e stabilisce la misura quantitativa e temporale della prestazione dovuta a titolo di alimento (la proporzione al bisogno e alla disponibilità; il perdurare delle necessità dell'alimentando; l'esaurimento del valore della cosa ricevuta in dono, per il donatario).

Lo stato di bisogno

Bisogno e mantenimento

Il comma 1 dell'art. 438 ricollega lo stato di bisogno alla situazione di chi non è in grado di provvedere al proprio mantenimento. Per una prima approssimazione, dunque, il bisogno consiste nell'esser privo dei mezzi che sono necessari a mantenere in vita una persona (secondo quanto è comunemente inteso con riguardo ad un certo momento storico). Il riferimento al mantenimento potrebbe essere inteso come riguardante le necessità del sostentamento e della sopravvivenza: un elemento di diritto positivo nel senso dello stretto riferimento alle occorrenze indispensabili è desumibile dal comma 2, per il quale gli alimenti non devono comunque superare quanto è necessario per la vita dell'alimentando. La normativa pone, sin qui, indicazioni che restringono il diritto alimentare a quanto occorre a mantenere vivo, vestito, alimentato e protetto da una dimora il soggetto beneficiario dell'obbligazione. Queste indicazioni risultano, però, parziali e insufficienti, alla luce della precisazione, contenuta nel medesimo comma 2, per cui occorre avere riguardo alla posizione sociale dell'alimentando.

Questa precisazione va considerata quale retaggio di una società (quella del 1942) che ravvisava nella posizione della persona all'interno della comunità un elemento di distinzione e di riguardo, da conservarsi anche nelle situazioni di dissesto e di sfortuna finanziaria. Se intesa ancora in questo senso, la precisazione si espone ad un dubbio di illegittimità costituzionale, per violazione del principio di uguaglianza (Bianca, 485). Ma dottrina e giurisprudenza attribuiscono alla disposizione un contenuto diverso, riferito all'esigenza di non commisurare gli alimenti alle sole ristrette necessità del sostenimento ma di dover tener conto di tutte le circostanze che convergono a determinare una condizione accettabile, minima, di vita.

La giurisprudenza è conforme nell'affermare che il riconoscimento del diritto agli alimenti è subordinato alla dimostrazione della sussistenza di un duplice presupposto, costituito, da una parte, dallo stato di bisogno, dall'altra, dalla impossibilità da parte dell'alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di attività lavorativa confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali (Cass. n. 334/2007). Si afferma che il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di un'attività lavorativa; ove, pertanto, l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l'impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata (Cass. n. 10033/2023; Cass. n. 33789/2022; Cass. n. 21572/2006). Nello stesso senso, già Cass. n. 1099/1999; Cass. n. 2165/1964.Per la giurisprudenza di merito: Trib. Terni, I, 15 febbraio 2023, n. 113; Trib. Cosenza, II, 8 marzo 2020, n. 523; Trib. Savona, 6/5/2020, n. 231.

Spetta a chi chiede la prestazione alimentare fornire la prova dei presupposti fondanti il suo diritto “Il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno ma anche dell'impossibilità da parte dell'alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di attività lavorativa…” (Cass. VI, n. 33789/2022). In difetto di tale dimostrazione la domanda va rigettata.

Anche la magistratura di merito segue questo indirizzo: «Spetta all'attore dimostrare di versare in stato di bisogno e di non essere in grado di provvedere al proprio mantenimento mentre grava sul convenuto l'onere di provare le proprie condizioni economiche inidonee a sopportare il carico degli alimenti» (Trib. Trani, 1 dicembre 2008, n. 1232). Il Tribunale di Cuneo (sent. 22 aprile 2022, n. 405) ha precisato che le ragioni dell'impossibilità a provvedere al proprio mantenimento devono essere non imputabili al richiedente.

Nozione di stato di bisogno

Il riferimento alla posizione sociale dell'alimentando è dunque inteso quale riferimento alle sue condizioni personali, non soltanto nella società, ma individuali, di età, di salute, di capacità di avere iniziative, di eventuale disponibilità di mezzi e risorse con le quali alleviare la propria situazione di indigenza (Figone, Alimenti, 238). In questo senso gli alimenti dovuti non sono quelli strettamente necessari, bensì quelli «congrui» (Figone, Alimenti,, 238; Vincenzi Amato, 900). Essi ricomprendono sia gli alimenta naturalia, indispensabili alla vita (cibo, vestiario, alloggio) e sia gli alimenta civilia, legati alla personalità del beneficiario (letture, minime spese). In proposito si afferma che l'obbligazione alimentare deve riferirsi anche a quanto concerne lo svago, sotto il profilo del diritto assoluto allo sviluppo della propria personalità; e, ove si tratti di minori, anche a ciò che occorre alla crescita e all'educazione.

Non versa in stato di bisogno chi è in grado di provvedere a sé stesso con una ordinaria attività lavorativa, idonea a fornirgli i mezzi per il mantenimento. Il fatto di essere proprietario di beni immobili non è, di per sé, concludente, posto che se essi non producono reddito l'alternativa di venderli potrebbe risolvere necessità soltanto transitorie (Pacia, 514); la vendita non è dovuta se essa è di pregiudizio per il venditore (Vincenzi Amato, 902).

Il riferimento alle condizioni personali dell'avente diritto impone di considerare anche eventuali oneri che questi abbia nei confronti di terzi, vale a dire, della propria famiglia. Su questo aspetto concorda gran parte della dottrina (per tutti: Dogliotti, 461; Sala, 615; Tamburrino, 473). Si osserva, però, che in questi casi il principio deve essere coordinato con il subentro di eventuali altri obbligati, nell'ordine voluto dall'art. 433 c.c.

Per la giurisprudenza, lo stato di bisogno, quale presupposto del diritto agli alimenti, esprime l'impossibilità del soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari, quali il vitto, l'abitazione, il vestiario, le cure mediche, e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell'alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie (Cass. n. 25248/2013). Cass I, n. 10033/2023 ha ricordato che l’art. 438 c.c., nello stabilire i presupposti del diritto agli alimenti,  impone al giudice di valutare, in ordine all’an della corresponsione, gli imprescindibili elementi sia dello stato di bisogno sia dell’impossibilità di mantenersi. La valutazione deve tener conto di tutte le risorse economiche, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, di guisa che il giudice, nell’accertare la sussistenza dello stato di bisogno, dopo aver valutato la sussistenza delle risorse economiche (nel caso di specie) del donante deve accertare l’idoneità delle stesse a soddisfare le sue esigenze di vita (Trib. Savona, 6 maggio 2020, n. 231).

Chi è proprietario di beni immobili di un certo valore non può, di regola, essere considerato in stato di bisogno a norma dell'art. 438 c.c., a meno che speciali circostanze facciano ragionevolmente ritenere che l'alienazione di tutti o anche di parte di tali beni rappresenti per lo stesso proprietario un espediente pregiudizievole e rovinoso, atto a soddisfare solo temporaneamente i bisogni dell'esistenza, dando quindi luogo, per il venir meno di ogni risorsa, ad un vero stato di indigenza (Cass. n. 1557/1968).

Casi particolari

L'ordinamento prevede casi particolari di prestazione alimentare. Nel caso di fallimento, se al fallito vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti i creditori e il curatore può concedere un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia (art. 47 l. fall. r.d. n. 267/1942). Ai collaboratori di giustizia può essere conferito un assegno alimentare, ai sensi dell'art. 13 d.l. n. 8/1991.

L'assegno di mantenimento erogato a norma dell'art. 13 d.l. n. 8/1991 ai collaboratori di giustizia ha natura integralmente alimentare, in quanto conferito a chi si trovi nell'impossibilità di svolgere attività lavorativa e determinato in ragione delle condizioni del collaboratore e delle persone a suo carico; pertanto, in caso di intervenuto fallimento del collaboratore, il giudice delegato non può disporne l'acquisizione neppure parziale all'attivo fallimentare, essendo tale potere, ai sensi dell'art. 46, comma 2, l. fall., esercitabile sulle sole quote di reddito che non abbiano tale specifica destinazione (Cass. n. 24416/2009).

Per Cass. III, n. 3024/2018 il dettato dell'art. 2, comma 6, d.lgs. n. 109 del 1998, il quale espressamente esclude, nell'ambito di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, modifiche alla disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti ai sensi dell'art. 433 c.c. o interpretazioni che attribuiscano agli enti erogatori le facoltà di cui all'art. 438, comma 1, c.c. nei confronti dei componenti del nucleo familiare, non consente di ritenere che la provvidenza richiesta non operi se ci siano soggetti tenuti alla prestazione alimentare atteso che la stessa citata disposizione si occupa della posizione dei familiari nei commi precedenti. Conforme Cass. III, n. 3024/2019.

 

Condizioni economiche del soggetto obbligato

L'art. 438, comma 2, dispone che gli alimenti devono essere assegnati in proporzione delle condizioni economiche di chi è tenuto a somministrarli. L'importo degli alimenti subisce pertanto un'altra limitazione, oltre quella dell'essere riferiti ai bisogni di mantenimento dell'alimentando: l'obbligato non può essere tenuto ad una prestazione superiore alle proprie disponibilità ma deve contribuire sino a che si verifichi una sproporzione tra queste sue disponibilità e le necessità dell'altro soggetto. L'individuazione della «proporzione» è di natura relativa, dipendendo da tutte le circostanze del caso, da valutare nel loro complesso (Sesta, 641). Il riferimento da effettuare è alla situazione attuale, nel momento in cui viene fatta richiesta degli alimenti, con apprezzamento delle risorse esistenti e di quelle, non ipotetiche, prossimamente recuperabili.

Il punto dubbio nell'applicazione della normativa è costituito dalla possibilità di ammettere che il soggetto obbligato sia tenuto ad attivarsi per essere in grado di assolvere alla prestazione alimentare. È certo che la domanda di alimenti non può essere accolta se chi è obbligato a prestarli non ha mezzi sufficienti; e si concorda nell'affermare che la stessa non può essere accolta neppure se il suo accoglimento va ad alterare in misura rilevante il modo di vita dell'obbligato. E si ritiene, in prevalenza, che l'obbligato non possa essere tenuto ad intraprendere nuove attività lavorative allo scopo di adempiere l'obbligo alimentare (Pacia, 516; Vincenzi Amato, 903). Al di fuori da queste situazioni, esiste poi una zona grigia, che viene variamente descritta in dottrina. Si sostiene, ad esempio, che non può prescindersi da un criterio di equità, per il quale anche chi percepisce scarsi redditi deve essere considerato tenuto alla prestazione, se possiede beni idonei a produrli in quantità sufficiente ove fossero idoneamente utilizzati: sì che dovrebbe tenersi conto, in pratica, non soltanto delle consistenza delle sue disponibilità economiche ma di tutte le circostanze attinenti alla sua condizione (Dogliotti, 462). Nel caso di condotta fraudolenta o comunque di volontaria sottrazione, l'avente diritto non ha altro mezzo che esercitare le opportune azioni in giudizio (revocatoria, surrogatoria, di simulazione, di sequestro, ecc.).

Per la dottrina prevalente spetta al richiedente la prestazione alimentare di fornire la prova della sussistenza di condizioni economiche sufficienti nel soggetto che indica come obbligato; e dell'eventuale incapienza dei soggetti che precedono costui nell'ordine di cui all' art. 433 c.c. (Bianca, 484; Sala, 617; Vincenzi Amato, 906; Tamburrino, 483). Secondo un'opinione minoritaria, al richiedente sarebbe sufficiente provare il proprio stato di bisogno; incombendo a controparte di liberarsi dimostrando la propria situazione di impossibilità.

Al fine del riconoscimento e della quantificazione del diritto agli alimenti, nonché della ripartizione del relativo onere in presenza di più obbligati, il raffronto fra le rispettive condizioni economiche va effettuato con riferimento alla situazione in atto, e, quindi, deve prescindere da vicende future, quale la probabile riscossione di crediti, le quali potranno avere influenza, al loro verificarsi, per un'eventuale revisione di dette statuizioni, ai sensi dell'art. 440 c.c. (Cass. n. 9432/1994). La prova dell'inadeguatezza delle disponibilità economiche dell'obbligato grava sul convenuto (Trib. Catania 22 marzo 2005, in Foro it., 2005, I, 2588).

Donatario

Il donatario è tenuto all'obbligazione alimentare nei soli limiti di quanto residua della cosa ricevuta, al momento in cui sorge l'obbligazione stessa. La disposizione ha una ragione evidente: attraverso una donazione il donante potrebbe assicurarsi indefinitamente il diritto ad essere mantenuto, anche oltre il beneficio concesso e dando luogo ad una situazione di grande difficoltà per il donatario. Inoltre, egli precederebbe, nell'ordine voluto dall'art. 433, chiunque altro, e non potrebbe pertanto liberarsi dall'obbligo con l'indicare persone in grado precedente in condizioni di abbienza idonee a consentire la sua sostituzione.

Bibliografia

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