Codice Civile art. 218 - Obbligazioni del coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge (1).Obbligazioni del coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge (1). [I]. Il coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell'usufruttuario [1001 ss.]. (1) Articolo così sostituito dall'art. 86 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 82 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione. InquadramentoL'art. 218 c.c. disciplina l'ipotesi del godimento da parte di un coniuge dei beni dall'altro, ponendo a suo carico le obbligazioni che spettano all'usufruttuario. La disposizione costituisce un completamento della norma precedente sull'amministrazione da parte di un coniuge dei beni personali dell'altro; il legislatore della riforma del diritto di famiglia avrebbe potuto, pertanto, anche inserirla nel corpo dell'art. 217 c.c. come ultimo comma. La norma costituirebbe quindi un'integrazione dell'art. 217 commi 2, 3 e 4 nella parte in cui non offre alcuna disciplina sul godimento dei beni amministrati che costituisce un effetto naturale dell'amministrazione; quindi la lacuna disciplinare viene colmata nell'art. 218. Tale interpretazione è avallata dalla giurisprudenza di legittimità, ma parte della dottrina ne offre interpretazioni estensive volte a conferire alla norma un campo di applicazione più vasto rispetto, probabilmente alla volontà del legislatore della riforma, come si avrà modo di vedere. Altro tratto essenziale della norma attiene alla esclusività del godimento dei beni in favore del coniuge non proprietario; la disposizione non opera in caso di co-godimento e co-amministrazione dei beni da parte di entrambi, come la casa coniugale ad es.; anche su questo punto vi sono opinioni dottrinali che fanno rientrare il co-godimento della casa coniugale di proprietà esclusiva di un coniuge nell'ambito applicativo della norma. Il godimento dei beni dell'altro coniuge.L'art. 218 c.c. regola la fattispecie del godimento materiale da parte di un coniuge dei beni personali dell'altro; rappresenta, secondo l'opinione unanime della dottrina, un naturale completamento dell'art. 217 c.c. (Cattaneo, 439; Bruscuglia-Gorgoni, 542; Sesta-Valignani, 526; Zaccaria, 371; Cavallaro, 159; Maiorca, 102; Corsi, 72; Giusti, 1450; Grasso, 656; Valignani, 641); infatti, mentre l'art. 217 c.c. disciplina la fattispecie dell'amministrazione dei beni, che comprende anche il godimento, qualificata da un titolo (il mandato con o senza rappresentanza conferito dal coniuge proprietario), l'art. 218 regola il solo e mero godimento di fatto dei beni di un coniuge da parte dell'altro, senza un titolo (ad es. godimento di un immobile senza alcun contratto di locazione o di comodato ancorchè gratuito). Parte della dottrina ritiene che la disposizione possa estendersi anche all'amministrazione senza titolo o tollerata dei beni di un coniuge da parte dell'altro (Cattaneo 439; De Paola-Macrì, 275; De Paola, 14; Grasso, 656; Zaccaria 371; Valignani, 641); opinione che non convince per una serie di motivi: innanzitutto il legislatore ha regolato tutte le possibili intrusioni di un coniuge nell'amministrazione dei beni dell'altro all'interno dell'art. 217 c.c., per cui offrire un'interpretazione estensiva di un'altra disposizione volta a ricomprendervi un'ulteriore ipotesi di amministrazione appare una forzatura contraria alla ratio legislativa; a maggior conforto di quanto riferito, soccorre la considerazione che l'ipotesi dell'amministrazione tollerata era regolata nell'oramai abrogato art. 212 c.c.; disposizione che è stata riprodotta dal legislatore della riforma del diritto di famiglia nell'attuale art. 217 c.c. ma con espunzione del richiamo all'amministrazione tollerata; non può trattarsi di una svista o di un'omissione del legislatore della riforma, visto che ha confermato le rimanenti parti del vecchio art. 212 c.c., ma evidentemente di una precisa scelta di non regolare più espressamente tale ipotesi, ed allora un'interpretazione dell'art. 218 volta ad estenderne il contenuto ad una fattispecie non più regolata contrasta con l'intenzione del legislatore, in base al principio generale dell'ordinamento, riassunto nel brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. Le obbligazioni dell'usufruttario che si configurano a carico del coniuge che esercita il godimento dei beni dell'altroAlcuni autori evidenziano che il richiamo nell'art. 218 c.c. alle obbligazioni e non anche ai diritti dell'usufruttuario consente di escludere l'equiparazione del coniuge che usufruisce dei beni dell'altro a norma dell'art. 218 c.c. ad un normale titolare del diritto reale di usufrutto assoggettato interamente alla disciplina giuridica di cui agli artt. 981 ss. c.c. (Sesta-Valignani, 527; Maiorca, 103; Cavallaro, 160; Oberto, 215). Per tale motivo, si predilige un'interpretazione della norma secondo cui il coniuge è soggetto solo alle obbligazioni dell'usufruttuario che sono compatibili con il suo godimento precario dei beni dell'altro coniuge; seguendo questa prospettiva, si rileva che certamente si estendono al coniuge le obbligazioni di cui all'art. 1001 c.c. secondo cui nel godimento della cosa egli deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (Cavallaro, 163; Sesta-Valignani, 527; Tatarano-Capobianco, 559; Giusti, 1451; De Paola-Macrì, 276; Corsi, 71; Santosuosso, 358; Oberto, 217; De Paola, 16); 1004 e 1005 c.c. sulle spese che incombono sull'usufruttuario (Cattaneo, 439; Tatarano-Capobianco, 559; Sesta-Valignani, 528; Santosuosso, 358; Oberto, 217; Corsi, 71); 1012 e 1013 sull'obbligo di denuncia delle altrui usurpazioni (Cattaneo, 439; Corsi, 71; Tatarano-Capobianco, 559; Sesta,Valignani, 528). Gli autori citati ritengono che il coniuge sia tenuto anche al rispetto delle obbligazioni indicate negli artt. 1013 c.c. sul concorso dell'usufruttuario nelle spese di lite afferenti al bene e negli artt. 1008 e 1009 sui pesi e le imposte (contra Cavallaro, 160, secondo cui tali obbligazioni sono riconducibili alla titolarità giuridica del diritto reale di usufrutto, per cui sono incompatibili con il godimento precario del coniuge descritto nell'art. 218). L'opinione della dottrina maggioritaria è da condividere se si aderisce all'impostazione secondo cui il godimento cui fa riferimento l'art. 218 comprende anche quello dei beni amministrati da un coniuge su delega dell'altro ai sensi dell'art. 217 comma 2 c.c. I maggiori dubbi e contrasti in dottrina sono sorti però sull'estensione al coniuge degli obblighi di rispetto della destinazione economica del bene (art. 981 c.c.) e di redigere l'inventario dei beni con prestazione di idonea garanzia prima di immettersi nel loro possesso (1002 c.c.). Per quanto concerne il primo obbligo non vi è dubbio che il coniuge che usufruisce di un bene o più beni dell'altro lo debba osservare. La dottrina coeva alla disciplina codicistica originaria riteneva, con riferimento ai beni parafernali la cui amministrazione fosse stata attribuita al marito dalla moglie con procura scritta, che il coniuge amministratore potesse mutarne autonomamente e discrezionalmente la destinazione sulla base della concezione, imperante in quel momento storico-normativo, che attribuiva soltanto al marito il potere di stabilire l'indirizzo familiare (Tedeschi, 304). Con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sposato il diverso principio dell'uguaglianza giuridica dei coniugi nel matrimonio, con conseguente attribuzione ad entrambi del compito di stabilire l'indirizzo familiare (art. 144 comma 1 c.c.), tale interpretazione non è più ammissibile; secondo la disciplina attuale il coniuge amministratore potrebbe modificare la destinazione economica dei beni dell'altro solo se vi fosse l'assenso espresso o tacito o comunque una non opposizione del coniuge proprietario. Ne consegue che gli obblighi ex artt. 981 c.c. e 1002 c.c. si estendono al coniuge quando amministra i beni dell'altro in virtù di un titolo (la procura) rilasciatogli dal proprietario, andando ad integrare la lacunosa disciplina dell'art. 217 c.c.; diversamente non sarebbe necessario l'inventario e sarebbe in ogni caso inibito al coniuge la modifica della destinazione del bene in caso di godimento precario sine titulo (De Paola-Macrì, 276; Giusti, 1450; Santosuosso, 358; De Paola, 16; Cattaneo, 440; Cavallaro, 163). In tale ultimo caso, se il coniuge viola tale divieto, mutando arbitrariamente la destinazione economica del bene, potrebbe essere convenuto in giudizio dal coniuge proprietario per il risarcimento danni. Per quanto concerne l'obbligo sancito dall'art. 1002 c.c., parte della dottrina ritiene che si applichi per tutelare il coniuge proprietario da eventuali abusi che potrebbero essere compiuti dall'altro (ad es. sottrazione di beni mobili presenti nell'immobile che occupa) (in tal senso Oberto, 216). La dottrina maggioritaria sostiene la conclusione opposta sulla base di diverse motivazioni: si rileva innanzitutto come la posizione del coniuge che usufruisce materialmente dei beni dell'altro è analoga a quella dei genitori che hanno l'usufrutto legale sui beni dei figli minori, i quali sono dispensati dall'obbligo di inventariazione ai sensi dell'art. 1002 comma 3 c.c. e pertanto anche il primo deve valersi della dispensa in virtù dell'applicazione analogica di tale disposizione (Cavallaro, 164; Sesta-Valignani, 528; Giusti, 1451; Santosuosso, 296). Un'altra opinione evidenzia come l'art. 1002 c.c. sia una norma posta a garanzia del concedente che per effetto della costituzione dell'usufrutto subisce la compressione dei poteri e delle facoltà di godimento sul bene, di cui gli rimane solo la nuda proprietà. Quest'esigenza di tutela non si verifica nel caso in esame, ove il diritto di proprietà del coniuge sui beni concessi all'altro non subisce alcuna limitazione, potendo, altresì, chiederne la restituzione in ogni momento; quindi l'estensione degli obblighi di cui all'art. 1002 c.c. appare un rimedio eccessivo in relazione alla fattispecie descritta dall'art. 218 c.c. (Gabrielli-Cubeddu, 314; Zaccaria, 372). La norma, come anticipato, richiama solo il regime delle obbligazioni dell'usufruttuario, ma non fa cenno alla possibile applicazione delle norme in materia di usufrutto che attribuiscono diritti all'usufruttuario. Gli interpreti si sono posti il problema di individuare la disciplina applicabile all'ipotesi in cui un coniuge, durante il periodo in cui ha goduto dei beni dell'altro, ne abbia apportato miglioramenti o addizioni. Alcuni autori sostengono che il coniuge suddetto non abbia diritto ad alcun indennizzo perché i miglioramenti e le addizioni apportate costituiscono attuazione del suo dovere di contribuzione ai bisogni della famiglia ai sensi dell'art. 143 comma 3 c.c. sempreché detti miglioramenti ed addizioni non siano sproporzionati rispetto alle sue sostanze patrimoniali ed alla sua attività lavorativa, poiché in tal caso gli spetterebbe un indennizzo (Valignani, 535; Zaccaria, 374; Oberto, 222). Appare evidente che tale tesi si riferisca all'ipotesi dei miglioramenti ed addizioni apportati dal coniuge non proprietario alla casa coniugale, di proprietà esclusiva dell'altro, in cui entrambi i coniugi vivono; ma la casa coniugale non rientra nel campo di applicazione dell'art. 218 c.c. la cui operatività è subordinata al presupposto tacito ed implicito della esclusività del godimento del bene da parte del coniuge non proprietario. Altri autori ritengono che debba trovare applicazione l'art. 985 c.c. per cui spetterebbe al coniuge usufruttuario la minor somma tra il costo ed il miglioramento (Corsi, 72); ed altri ancora che, in considerazione dell'assenza di una previsione normativa, ritengono che eventuali richieste di rimborso potranno essere formulate dal coniuge usufruttuario solo nelle forme dell'ingiustificato arricchimento ex art. 2041 ss. c.c. sussistendone tutti i presupposti (Oberto, 222; Zaccaria, 374; Maiorca, 103; Tatarano-Capobianco, 559). La Cassazione si è occupata espressamente dell'art. 218 c.c. in due pronunce emesse con riferimento alla medesima questione, ossia il riconoscimento dell'obbligo di pagamento dell'ICI in capo alla moglie a cui sia stato assegnato l'immobile di proprietà esclusiva del marito, adibito a casa coniugale, nel giudizio di separazione personale allo scopo di coabitarvi coi figli minori. Nelle tre pronunce, riportate anche in sede di commento dell'art. 217 c.c., che pure risulta ivi richiamato, atteso lo stretto collegamento tra le due disposizioni, la Cassazione ha espresso il medesimo principio con cui esclude che si configuri tale obbligazione a carico della moglie, motivando che con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale in sede di separazione personale o di divorzio viene riconosciuto al coniuge un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale, ragion per cui in capo al coniuge non è ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento, specificamente previsti dalla norma, costituenti l'unico elemento di identificazione del soggetto tenuto al pagamento dell'imposta in parola sull'immobile. Non rileva in proposito il disposto dell'art. 218 c.c., secondo il quale «il coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell'usufruttuario», in quanto la norma, dettata in tema di regime di separazione dei beni dei coniugi, va intesa solo come previsione integrativa del precedente art. 217, (Amministrazione e godimento dei beni), di guisa che la complessiva regolamentazione recata dalle disposizioni dei due articoli è inapplicabile in tutte le ipotesi in cui il godimento del bene del coniuge da parte dell'altro coniuge sia fondato da un rapporto diverso da quello disciplinato da dette norme, come nell'ipotesi di assegnazione (volontaria o giudiziale) al coniuge affidatario dei figli minori della casa di abitazione di proprietà dell'altro coniuge, atteso che il potere del primo non deriva né da un mandato conferito dal secondo, né dal godimento di fatto del bene (ipotizzante il necessario consenso dell'altro coniuge), di cui si occupa l'art. 218. (Cass. n. 1651/2010, conforme a Cass. n. 6192/2007). Quanto ai miglioramenti ed addizioni apportati da un coniuge a proprie spese ai beni di proprietà esclusiva dell'altro, la Cass. n. 13259/2009 ha precisato che ne spetta il rimborso al coniuge che li abbia eseguiti, in costanza di matrimonio, ancorché in godimento condiviso dell'immobile con il nucleo familiare, ai sensi dell'art. 1150 c.c., in quanto compossessore, mentre ha escluso l'invocabilità dell'art. 936 c.c., in tema di opere fatte da un terzo con materiali propri, difettando nel compossessore il requisito della terzietà (conforme a Cass. n. 2199/1989). Tale decisione non richiama l'art. 218 c.c., ma ha risolto la questione della rimborsabilità di migliorie ed addizioni apportate da un coniuge a proprie spese su immobili di proprietà esclusiva dell'altro facendo ricorso alle norme sul possesso, in particolare all'art. 1150 c.c., non accordando credito, quindi, all'orientamento dottrinale che postula un'interpretazione estensiva e forzata del dato letterale dell'art. 218 c.c. volta a ricomprendervi, accanto alle obbligazioni, anche i diritti spettanti all'usufruttuario con riguardo, nel caso di specie, agli artt. 985 e 986 c.c. sulle migliorie ed addizioni apportate dall'usufruttuario. La soluzione della S.C. desta tuttavia delle perplessità nella parte in cui riconosce una situazione giuridica di compossesso dell'immobile adibito a casa familiare a favore del coniuge del proprietario durante il periodo in cui vi ha abitato unitamente al nucleo familiare. L'art. 1144 c.c. stabilisce, infatti, che la tolleranza del proprietario agli atti altrui sui suoi beni non rileva ai fini dell'acquisto del possesso; e nel caso di specie il godimento dell'immobile adibito a casa familiare è stato assentito dal coniuge proprietario per tutta la durata della convivenza, quale momento attuativo della decisione assunta dai coniugi di fissazione della residenza familiare proprio presso il suddetto immobile. BibliografiaAuletta, Il diritto di famiglia, 9 ed., Torino, 2008; Bruscuglia-Gorgoni, La separazione dei beni, in Bessone (a cura di), Trattato di diritto civile,Il diritto di famiglia, IV, 2, Torino, 1999, 542 ss.; Cattaneo, Del regime di separazione, in Commentario al codice civile a cura di Cian-Oppo-Trabucchi, III, Padova, 1992, 439 ss.; Cavallaro, Il regime di separazione dei beni fra i coniugi, Milano, 1997; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Cicu-Messineo (a cura di), Trattato di diritto civile commentato, Milano, 1984, I, 72 ss.; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, III, Milano, 2002; De Paola-Macrì, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978; Finocchiaro A. e M., Diritto di famiglia, Milano, 1984; Gabrielli-Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997; Giusti, Separazione dei beni tra coniugi, in Enc. dir., XLI Milano, 1989, 1450 ss.; Grasso, Il regime della separazione dei beni, in Rescigno (a cura di), Trattato di diritto privato, III, 2 ed., Torino, 1996, 656 ss.; Maiorca, Separazione dei beni tra coniugi, in Nss. 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