Codice Civile art. 192 - Rimborsi e restituzioni (1).

Gustavo Danise

Rimborsi e restituzioni (1).

[I]. Ciascuno dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall'adempimento delle obbligazioni previste dall'articolo 186.

[II]. È tenuto altresì a rimborsare il valore dei beni di cui all'articolo 189, a meno che, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione da lui compiuto, dimostri che l'atto stesso sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia.

[III]. Ciascuno dei coniugi può richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale [179] ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune.

[IV]. I rimborsi e le restituzioni si effettuano al momento dello scioglimento della comunione [191]; tuttavia il giudice può autorizzarli in un momento anteriore se l'interesse della famiglia lo esige o lo consente.

[V]. Il coniuge che risulta creditore può chiedere di prelevare beni comuni sino a concorrenza del proprio credito. In caso di dissenso si applica il quarto comma. I prelievi si effettuano sul denaro, quindi sui mobili e infine sugli immobili.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 71 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 55 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione e soppresso la suddivisione in paragrafi.

Inquadramento

L'art. 192 è la prima disposizione che disciplina gli effetti giuridici dello scioglimento della comunione legale. Prevede due ipotesi di rimborso ed una di restituzione, ad ognuna delle quali sarà dedicato un apposito paragrafo. I rimborsi e le restituzioni sono tesi a ricostituire l'esatta consistenza del patrimonio in comunione legale, propedeutica alla successiva divisione. Naturalmente la norma e l'analisi che segue si estendono anche alle unioni civili ex art. 1 comma 13 l. n. 76/2016.

Ratio della norma.

I rimborsi e le restituzioni sono funzionali alla formazione della massa patrimoniale che sarà successivamente oggetto di divisione secondo le disposizioni degli artt. da 194 a 197. Proprio in considerazione di tale finalità, diversi autori sottolineano la infelice scelta del legislatore di aver collocato la disposizione prima e non dopo l'art. 193 c.c., che è la norma di chiusura del sistema della comunione legale (Amagliani, 190). Più dettagliatamente, parte della dottrina evidenzia che il fine delle restituzioni e dei rimborsi consiste nell'assicurare la ricostituzione del patrimonio comune dalle alterazioni arbitrariamente perpetrate da uno dei coniugi, che ha prelevato beni per fini estranei ai bisogni della famiglia (Carpino, 981). Tale finalità non comprenderebbe e spiegherebbe la restituzione, sancita nel terzo comma, di somme personali impiegate da un coniuge in spese o investimenti del patrimonio comune; per tale motivo, altra parte della dottrina interpreta la norma come teleologicamente rivolta a porre rimedio a qualsiasi tipo di sperequazione che si è creata tra il patrimonio comune e quello personale dei coniugi (De Paola, 703).

Il rimborso delle somme prelevate dal patrimonio comune

Il primo comma prevede che ciascun coniuge può pretendere dall'altro il conferimento nella comunione legale delle somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall'adempimento delle obbligazioni previste dall'art. 186 c.c. (cfr. il commento al relativo articolo). La norma trova applicazione con riferimenti ai prelievi effettuati da un coniuge di somme di denaro oggetto di comunione legale immediata; può applicarsi poi ai prelievi di beni oggetto di comunione de residuo se posti in essere, ovviamente dopo lo scioglimento della comunione legale, posto che prima di tale momento, ciascun coniuge può legittimamente disporre dei proventi della propria attività, salvo l'adempimento degli obblighi primari di contribuzione familiare. In dottrina si sottolinea che i prelievi, da cui deriva l'obbligo di rimborso, siano soltanto quelli espressamente o tacitamente consentiti dall'altro coniuge, dovendosi applicare, invece, a quelli effettuati abusivamente o contro la volontà del coniuge, la disciplina dell'art. 184, comma 3, c.c., che ne prevede l'immediata esigibilità della pretesa al pagamento dell'equivalente (Schlesinger, 455; Carpino, 982; Mastropaolo-Pitter, 346; De Paola, 704; Gennari, 409; Oberto, 1942). Tale opinione non è condivisa da altri autori (Gabrielli, 177; Finocchiaro A. e M., 1156) che evidenziano che l'art. 184 comma 3 c.c. prevede l'obbligo di restituzione — o quello sussidiario di pagamento per equivalente — dei beni mobili diversi dal denaro, per cui i prelievi di denaro compiuti da un coniuge, a prescindere se siano stati consentiti o meno dall'altro coniuge, ricadono sempre nell'ambito di applicazione dell'art. 192 comma 1. Si è precisato che l'obbligo di rimborso descritto nella norma in commento riguardi solo i prelievi consistenti di somme di denaro, in grado di incidere sulla entità del patrimonio comune, non anche quelli di somme modeste, che avvengono quotidianamente nella vita coniugale, pacificamente e reciprocamente tollerati (Galasso; Oberto, 1939); tra l'altro, pure a volerli ammettere nel computo dei rimborsi, sarebbe particolarmente complesso, se non impossibile, sul piano probatorio, quantificarne l'importo complessivo maturato nel corso degli anni. Il rimborso costituisce naturalmente obbligo di valuta e non di valore, avendo ad oggetto un'obbligazione geneticamente pecuniaria.

In sentenza Cass. n. 3141/1992, la Cassazione, dopo aver precisato che la costruzione realizzata durante il matrimonio su suolo di proprietà di uno dei coniugi, appartiene esclusivamente a questo in virtù delle disposizioni generali in materia di accessione, a titolo originario e, pertanto, non costituisce oggetto della comunione medesima, ai sensi dell'art. 177, comma 1, lettera b), c.c., precisa che quando la costruzione sia stata eseguita sul suolo di proprietà esclusiva di un coniuge con impiego di denaro comune, il coniuge che si è giovato dell'accessione sarà tenuto a restituire alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per eseguire l'edificazione a norma dell'art. 192, comma 1, mentre, nel caso in cui nella costruzione sia stato impiegato denaro appartenente in via esclusiva all'altro coniuge, a quest'ultimo spetterà il diritto di ripetere le relative somme ai sensi dell'art. 2033 c.c. (il principio di diritto sarà poi confermato dalle S.U. in sentenza Cass. S.U., n. 651/1996 e diventerà ius receptum venendo confermato in tutte le successive pronunce ove verrà pronunciata la prevalenza della disciplina dell'accessione di immobili costruiti sul terreno di proprietà esclusiva di un coniuge sull'acquisto di beni in comunione legale ex art. 177 c.c.) principio confermato infatti da Trib. Bologna 7 gennaio 2020 e Cass. ord. n. 4794/2020). Si è precisato in giurisprudenza di legittimità che la norma dell'art. 192, comma 3, c.c. attribuisce a ciascuno di essi il diritto alla restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune e non già alla ripetizione - totale o parziale - del denaro personale e dei proventi dell'attività separata (che cadono nella comunione "de residuo" solamente per la parte non consumata al momento dello scioglimento) impiegati per l'acquisto di beni costituenti oggetto della comunione legale ex art. 177, comma 1, lett. a), c.c., rispetto ai quali trova applicazione il principio inderogabile, posto dall'art. 194, comma 1, c.c., secondo cui, in sede di divisione, l'attivo e il passivo sono ripartiti in parti eguali indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi agli esborsi necessari per l'acquisto dei beni caduti in comunione (Fattispecie in tema di acquisto di partecipazioni societarie avvenuto dopo il matrimonio).

Le ulteriori ipotesi di rimborsi.

Il comma 2 della norma pone a carico del coniuge, che abbia compiuto atti di straordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell'altro, l'obbligo di rimborsare il valore dei beni della comunione legale, sui quali il creditore, per le obbligazioni nascenti da tali atti, si sia soddisfatto in sede esecutiva, salvo che il coniuge-debitore riesca a dimostrare che l'atto compiuto sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia. A differenza dell'ipotesi precedente, quest'obbligazione configura un debito di valore per la cui quantificazione occorre considerare il valore che il bene espropriato avrebbe avuto al momento dello scioglimento della comunione.

La restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale

L'art. 192, comma 3, prevede che ciascun coniuge possa richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale e impiegate in spese e investimenti del patrimonio comune. Si ritiene in dottrina che con l'espressione «patrimonio personale», il legislatore alluda soltanto alla massa dei beni personali elencati nell'art. 179 c.c., con esclusione, quindi, dei frutti dei beni personali e dei proventi dell'attività separata, oggetto di comunione de residuo (Mastropaolo-Pitter, 346; Galasso, 506; T.V. Russo, 105). Ci si è chiesti se il coniuge possa pretendere la restituzione delle somme ricavate dalla vendita di beni personali ed impiegate in acquisti caduti in comunione legale ex art. 177, lett. a), c.c. Parte della dottrina risponde negativamente (Schlesinger, 404; Corsi, 194; Finocchiaro A. e M., 1160; Carpino, 985), salvo che vi sia uno specifico accordo in tal senso tra i coniugi. Altra parte della dottrina ammette quest'ipotesi (Gabrielli, 179; De Paola, 707, Gabrielli-Cubeddu, 217). I sostenitori dell'impostazione negativa offrono, conseguentemente, una lettura restrittiva della disposizione, a mente della quale è ammissibile la restituzione, nella voce «spese», soltanto degli esborsi relativi ai beni comuni, finalizzati alla manutenzione ordinaria o straordinaria, ovvero ad una maggiore utilità o funzionalità della cosa comune e, nella voce «investimenti», degli impieghi di somme diretti al miglioramento o all'accrescimento del bene in comunione come la costruzione di un edificio, realizzata su fondo oggetto di comunione legale (Finocchiaro A. e M., 1160; Mastropaolo-Pitter, 355; Gennari, 412; Gragnani, 118 ss.; Oberto, 1958; Carpino, 985). Ai fini della restituzione, che costituisce obbligo di valuta, attenendo ad un'obbligazione pecuniaria, il coniuge che la richiede ha l'onere di superare la presunzione della comunione ex art. 195 c.c. provando in giudizio che abbia impiegato somme rientranti nel suo patrimonio personale per effettuare le spese e gli investimenti per le cose comuni (Mastropaolo-Pitter, 356; Venditti, 273; Gennari, 412). Tale rilievo non è condivisibile nella parte in cui si richiama la presunzione di appartenenza di beni alla comunione ex art. 195 c.c. che riguarda soltanto i beni rinvenuti al momento della divisione della comunione legale, non quelli impiegati in un momento precedente e di cui si chiede la restituzione. Si sostiene che l'art. 192 comma 3 consente esclusivamente la restituzione di somme di denaro, non anche il rimborso di prestazioni di facere eseguite personalmente dal coniuge per i suddetti beni, come il caso del muratore che abbia prestato la propria opera per la ristrutturazione, manutenzione dell'immobile in comunione legale (Oberto, 1961).

La lettura restrittiva dell'ambito di applicazione della disposizione, proposta da parte della dottrina, ha ricevuto l'avallo della Corte di Cassazione che in sentenza Cass. n. 19454/2012 ha precisato che l'art. 192, comma 3, ammette la restituzione solo degli importi impiegati in spese ed investimenti per il patrimonio comune già costituito, ma non il denaro personale impiegato per l'acquisto di immobile che concorre a formare la comunione, trovando, in tale ipotesi, applicazione l'art. 194, primo 1, c.c. secondo il quale all'atto dello scioglimento l'attivo ed il passivo devono essere ripartiti in quote uguali indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi. Tale principio di diritto si è consolidato e costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità attese le numerose pronunce in cui è stato ribadito (Cass. n. 4633/1991; Cass. n. 9355/1997; Cass. n. 5172/1999; Cass. n. 2736/2001; Cass. n. 2954/2003; Cass. n. 13441/2003; Cass. n. 19250/2004; Cass. n. 19250/2004; Cass. n. 12293/2005; Cass. n. 2354/2005 e Cass. n. 10896/2005; recentemente Cass n. 20066/2023).

Le modalità operative di rimborsi, restituzione e prelievi.

Come evidenziato nel primo paragrafo, i rimorsi e le restituzioni si eseguono subito dopo lo scioglimento della comunione legale per consentire le successive operazioni di divisione, salvo che il giudice vi acconsenta in un momento antecedente. L'intervento giudiziale può essere richiesto da un coniuge, per preservare l'integrità del suo patrimonio, in ipotesi di improvvisa appropriazione di somme da parte di un coniuge, che lascia presumere la volontà di non adempiere agli obblighi di rimborso, oppure di investimenti di rilevanti di somme di denaro personali per i beni comuni, da cui possa derivare l'incapienza del patrimonio personale del coniuge disponente, con conseguente aggressione da parte dei suoi creditori anche sulla quota di patrimonio comune che spetterebbe all'altro coniuge dopo il compimento delle operazioni di divisione. Secondo alcuni autori il procedimento per ottenere l'autorizzazione del giudice all'anticipazione dei rimborsi ed autorizzazioni si deve svolgere con rito camerale (art. 737 ss. c.p.c.) (Santosuosso, 308; Gabrielli, 175; Mastropaolo-Pitter, 357. In senso contrario Oberto op cit. 1968 che non riscontra ragioni plausibili per escludere l'applicazione del rito ordinario per la definizione del giudizio). Il comma 5 prevede che se all'esito dei rimborsi e restituzioni, uno dei coniugi risulti creditore, può chiedere di prelevare beni della comunione legale sino alla concorrenza del proprio credito. Tale risultato si può ottenere o escludendo beni intestati esclusivamente al coniuge creditore dalla massa oggetto di comunione legale (fino alla concorrenza del credito), o conseguendo in proprietà esclusiva beni della comunione legale intestati all'altro coniuge o ad entrambi, il cui valore sia pari all'ammontare del credito. In caso di dissenso sui beni da prelevare, la norma stabilisce che il prelievo si effettui dapprima sul denaro, quindi sui beni mobili ed infine sugli immobili, rimettendo in ogni caso al giudice la soluzione della controversia. Anche per quest'ipotesi si discute se il procedimento per invocare l'intervento giudiziale debba essere incardinato innanzi al Tribunale in sede di volontaria giurisdizione oppure con rito ordinario (in questo secondo senso Finocchiaro A. e M., 1164; Carpino, 987; Mastropaolo-Pitter, 359; Oberto, 1972).

La S.C. di Cassazione ha offerto un'interpretazione dell'ambito di applicazione della disposizione in Cass. n. 18564/2004 ove, dopo aver premesso che i rimborsi e le restituzioni delle somme spettanti in dipendenza dell'amministrazione dei beni comuni, nei limiti delle somme prelevate da ciascuno dei coniugi dal patrimonio comune per fini diversi dall'adempimento delle obbligazioni cui sono destinati per legge i beni in regime di comunione legale, si effettuano solo al momento della divisione dei beni comuni che, in caso di separazione tra i coniugi, coincide con il passaggio in giudicato della relativa pronuncia; e che sino a tale momento il coniuge amministratore dei beni comuni continua ad amministrarli, senza che lui o l'altro coniuge possa rivendicare la disponibilità personale delle loro rendite, prima del definitivo scioglimento del rapporto di convivenza, precisa che l'autorizzazione del giudice ad eseguire rimborsi e restituzioni in un momento anteriore può essere concessa solo a favore della comunione e, quindi, con il vincolo di destinazione delle somme relative al mantenimento della famiglia e all'istruzione e all'educazione dei figli. 

In giurisprudenza di legittimità si è chiarito anche che il riconoscimento del debito, operato durante il matrimonio da uno dei coniugi in favore della comunione, non importa una modifica delle convenzioni matrimoniali e non è pertanto richiesta l'adozione della forma dell'atto pubblico (Cass., ord.n. 7957/2018).  

Bibliografia

Amagliani, sub art. 191, in Comm. Gabrielli, Della Famiglia, Artt. 177-342, Torino, 2011, 190 ss.; Carpino, Rimborsi e restituzioni, in C.M. Bianca (a cura di), La comunione legale, Milano, II, 981 ss.; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, Milano, 1979; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano, 1995; Finocchiaro A. e M., Diritto di famiglia, I, Milano, 1984; Gabrielli, I rapporti patrimoniali tra coniugi: convenzioni matrimoniali effetti patrimoniali della separazione, del divorzio e dell'annullamento del matrimonio, Trieste, 1983; Gabrielli-Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997; Gennari, Lo scioglimento della comunione, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, , III, Milano, 2002; Gragnani, Rimborsi e restituzioni nella comunione: esame di alcune fattispecie, in Fam. pers. e succ., 2006, 118 ss.; Mastropaolo-Pitter, Commento agli artt. 191-197, in Cian-Oppo-Trabucchi (a cura di), Commentario al diritto italiano della famiglia, III, Padova, 1992, 346 ss.; Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, Milano, 2010; Russo, Le vicende estintive della comunione legale, Napoli, 2004; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, in Comm. cod. civ., I, 1, Torino, 1983; Schlesinger, Della comunione legale, in Carraro-Oppo-Trabucchi (a cura di), Commentario alla riforma del diritto di famiglia, I, 1, Padova, 1977, 455 ss.; Venditti, La comunione legale tra coniugi: lo scioglimento, in Bonilini-Cattaneo (diretto da), Il diritto di famiglia, II, Torino, 1997, 273 ss.

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