Codice Civile art. 183 - Esclusione dall'amministrazione (1).Esclusione dall'amministrazione (1). [I]. Se uno dei coniugi è minore o non può amministrare ovvero se ha male amministrato [193], l'altro coniuge può chiedere al giudice di escluderlo dall'amministrazione. [II]. Il coniuge privato dell'amministrazione può chiedere al giudice di esservi reintegrato, se sono venuti meno i motivi che hanno determinato la esclusione. [III]. La esclusione opera di diritto riguardo al coniuge interdetto e permane sino a quando non sia cessato lo stato di interdizione [33 att.]. (1) Articolo così sostituito dall'art. 62 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 55 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione e soppresso la suddivisione in paragrafi. InquadramentoL'art. 183 costituisce l'ultima del trittico di disposizioni rimediali dettate dal legislatore per assicurare l'amministrazione della comunione legale in presenza di una causa ostativa al normale funzionamento delle regole sancite dall'art. 180 cpv. c.c. L'art. 183 regola il caso in cui un coniuge non possa validamente amministrare perché minore, incapace ovvero inaffidabile, per mala gestio; in queste ipotesi l'altro coniuge può chiederne l'esclusione dall'amministrazione dei beni in comunione. In caso di interdizione l'esclusione opera di diritto. Ovviamente il provvedimento di esclusione del coniuge dall'amministrazione è revocabile dal giudice su istanza dell'interessato, ove dimostri il venir meno dei motivi che l'avevano determinata; ed è revocata ope legis in caso di passaggio in giudicato della sentenza che revoca l'interdizione Le norme codicistiche sulla comunione legale si applicano anche alle unioni civili se non disposto diversamente dai costituenti con convenzione matrimoniale come sancito dall'art. 1 comma 13 l. n. 76/2016; per cui la trattazione di quest'articolo si estende anche alle unioni civili. Le cause di esclusione di un coniuge dall'amministrazione della comunione legaleLa minore età, l'impossibilità ad amministrare o la mala gestio di un coniuge sono i presupposti che legittimano l'esclusione dall'amministrazione ordinaria e straordinaria della comunione su domanda dell'altro. L'interdizione invece comporta l'esclusione «di diritto» dall'amministrazione, fino a quando permanga lo stato di incapacità legale assoluta del coniuge (Galasso, 343). Secondo la dottrina minoritaria l'esclusione dalla comunione legale di un coniuge per una delle causali indicate nella disposizione non implica automaticamente l'attribuzione dell'amministrazione in via esclusiva all'altro, con la conseguenza che per la stipula di atti di straordinaria amministrazione ex art. 180 comma 2 c.c. occorrerà il consenso del rappresentante legale del coniuge incapace (Schlesinger, 194). La dottrina prevalente perviene alla soluzione opposta, affermando che con l'esclusione di un coniuge dall'amministrazione della comunione l'altro coniuge acquisisca il potere di compiere autonomamente tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione che riguardano il patrimonio comune. (Bianca, 97; Santosuosso, 255; Bruscuglia, 277). A supporto di tale chiave di lettura militano i dati normativi, come ad es. l'art. 392 c.c. che mira ad assicurare al coniuge capace, legale rappresentante ope legis del minore emancipato, di poter assumere le decisioni nell'interesse della famiglia senza dover interloquire con soggetti esterni al nucleo familiare. D'altra parte, anche in caso di interdizione ed inabilitazione o amministrazione di sostegno, sovente la scelta del rappresentante legale ricade sul coniuge dell'incapace, il quale, ove sorga l'esigenza di compiere un atto si straordinaria amministrazione, lo potrà stipulare da solo, previa autorizzazione del giudice tutelare in base alle norme che governano i tre istituti di protezione dell'incapace (Napoli, 403; Valignani, 495, i quali evidenziano che l'art. 183 è inapplicabile nell'ipotesi in cui entrambi i coniugi siano minori emancipati e nel caso in cui il coniuge minore emancipato sia stato autorizzato a gestire l'azienda ai sensi dell'art. 397 c.c. In tali casi, infatti, il minore non è escluso dall'amministrazione della comunione legale). Per quanto concerne la causale della impossibilità ad amministrare, la dottrina prevalente tende ad identificarla con lo stato di incapacità di intendere e di volere del coniuge. Indubbiamente, questa causale si sovrappone all'impedimento ad amministrare previsto dall'art. 182 c.c. La dottrina prevalente ritiene che il criterio discretivo tra le due disposizioni risieda nella durata dell'incapacità: se è temporanea e limitata nel tempo, il coniuge incapace non deve essere escluso dall'amministrazione della comunione legale, ed il consorte potrà chiedere al giudice l'autorizzazione alla stipula di un atto urgente di straordinaria amministrazione ai sensi dell'art. 182 c.c.; diversamente se l'incapacità è permanente o comunque destinata a protrarsi nel tempo, soccorre la disposizione dell'art. 183. che esclude il coniuge incapace dall'amministrazione della comunione e lascia l'amministrazione all'altro coniuge, con le dovute autorizzazioni per quanto concerne la stipula di atti di straordinaria amministrazione (Napoli, 405; Anelli, 335; Valignani, 496). Nel caso in cui il coniuge incapace non sia ancora interdetto, inabilitato o rappresentato da un amministratore di sostegno (che costituiscono le causali di impossibilità ad amministrare che determinano l'esclusione dalla comunione, secondo Gabrielli, 606), la sua incapacità naturale di intendere e di volere deve essere accertata in concreto dal giudice, adito dall'altro coniuge (Giusti, 107). L'accertamento dovrà basarsi sull'esame diretto della persona ed anche a mezzo di una CTU. Venendo adesso alla causale della mala gestio, essa deve sostanziarsi in un inaffidabile e negligente andamento dell'amministrazione che abbia comportato un pregiudizio economico al patrimonio in comunione (ad es. se il coniuge ha alienato beni ad un prezzo svalutato o viceversa ne ha acquistati ad un prezzo notevolmente superiore al loro valore di mercato; se ha sperperato denaro al gioco o con investimenti azzardati e rischiosi senza la necessaria ponderazione, ecc.). Il pregiudizio può consistere sia nello sperpero del patrimonio comune, sia nel mancato incremento a causa dell'atteggiamento negligente ed incurante del coniuge, che si sia disinteressato al compimento di attività giuridiche volte ad es. a recuperare crediti o esercitare azioni possessorie o rivendicatorie su immobili in comunione. L'accertamento del giudice sull'inaffidabilità gestoria del coniuge dovrà estendersi anche agli atti concernenti i beni personali, i frutti di essi e i proventi dell'attività separata, considerato che anche la mala gestio di questi ultimi può determinare, in concreto, un pregiudizio (ex art. 189 c.c.) a carico della comunione legale (Barbiera, 543). Al pari dei procedimenti previsti dagli articoli precedenti, l'istanza di esclusione va promossa con ricorso al Tribunale in volontaria giurisdizione; il Tribunale decide con decreto motivato emesso in camera di consiglio ed appellabile in Corte di Appello entro 10 gg (Santarcangelo, 492). Si richiama la pronuncia della Corte di App. Milano 7 marzo 2003 ove è stato stabilito che l'autorizzazione prevista dall'art. 182 comma 1 c.c., presuppone un impedimento di carattere temporaneo e transeunte, mentre in caso di impedimento di carattere permanente si deve ricorrere alla esclusione del coniuge dalla amministrazione, ex art. 183 comma 1, ovvero al procedimento di interdizione, se l'impedimento è determinato da abituale capacità di intendere e di volere. Tale pronuncia è stata già riportata nel commento dell'art. 182 c.c. ma il principio di diritto ivi enunciato è valevole anche per quest'articolo, dal momento che la massima ne individua il criterio distintivo. La reintegrazione nell'amministrazioneIl comma 2 dell'art. 183 prevede che il coniuge escluso dall'amministrazione della comunione possa chiedere al giudice di esservi reintegrato quando è venuta meno la causa che ne ha sancito l'esclusione. Valgono le stesse annotazioni processuali espresse per il procedimento di esclusione; il coniuge istante deve rivolgersi al Tribunale in sede di volontaria giurisdizione. La reintegrazione su istanza del coniuge ha una portata applicativa molto più limitata e ridotta di quanto non si pensi: difatti, in caso di raggiungimento di maggiore età o di revoca dell'interdizione (comma 3 dell'art. 183), l'esclusionedall'amministrazione della comunione legale viene revocata di diritto (ma per il caso dell'interdizione, la reintegrazione nell'amministrazione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di revoca, con annotazione nel registro dell'ufficio dello stato civile). Quindi l'istanza è proponibile direttamente dal coniuge solo nel caso in cui l'esclusione dall'amministrazione è stata causata dalla sua incapacità naturale (per cui è stato nominato un curatore o un amministratore di sostegno) o dalla mala gestio. Nel primo caso, il giudice dovrà accertare anche a mezzo CTU se il ricorrente ha riacquistato capacità di intendere e di volere. Nel secondo caso, l'accertamento sarà molto più complesso, perché non esistono criteri di valutazione astratti per accertare la sopravvenuta acquisizione di ponderatezza ed avvedutezza nella gestione del denaro; tra l'altro, per effetto dell'esclusione, il coniuge ricorrente non ha più amministrato beni o denaro, per cui manca un parametro fattuale di riferimento per stabilire se siano venute meno le condizioni che in passato hanno indotto il Tribunale di esprimere un giudizio negativo sulla sua capacità gestoria ed amministrativa (Bruscaglia, 280). Lo scrivente ritiene che tale impasse possa essere superata limitando quantitativamente la reintegrazione nell'amministrazione al compimento di determinati e specifici atti giuridici o alla gestione di una limitata quantità di denaro mensile con rinvio di qualche mese ad un'udienza di verifica. Nel caso in cui il coniuge istante dovesse aver dato prova di oculatezza nella gestione delle risorse affidategli, il Tribunale potrà valutare di revocargli l'esclusione dalla comunione legale. Nel caso in cui nella sentenza di revoca dell'interdizione, il Tribunale o il PM promuovano d'ufficio la sostituzione della misura con altra più blanda come l'inabilitazione o l'amministrazione di sostegno, l'altro coniuge potrà attivare nuovamente il ricorso ex art. 183 per l'esclusione dalla comunione legale, che, come detto, viene revocata ipso iure in conseguenza del passaggio in giudicato della sentenza che revoca l'interdizione (Giusti, 203). BibliografiaAnelli, L'amministrazione della comunione legale, in Tr. Zatti, III, Milano, 2002, 335; Barbiera, La comunione legale, in Tr. di diritto privato a cura di Rescigno 3, Torino, 1982, 543; Bianca, Diritto civile, 2, La famiglia - Le successioni, Milano, 1985, 97; Bruscuglia, Amministrazione dei beni della comunione legale, in Tr. Bessone, Il diritto di famiglia, IV, II, Torino, 1999, 277; Gabrielli, Infermità mentale e rapporti patrimoniali familiari, in Un altro diritto per il malato di mente, a cura di Cendon, Napoli, 1988, 606; Galasso, Del regime patrimoniale della famiglia, Art. 183, in Comm. S.B., Bologna-Roma, 2003, 343; Giusti, L'amministrazione dei beni della comunione legale, Milano, 1989, 107; Napoli, Notazioni sulla esclusione del coniuge dall'amministrazione, in Rass. dir. civ. 1980, 403; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, in Comm. cod. civ., I, 1, Torino, 1983, 255; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, Regime patrimoniale della famiglia, IV, Milano, 1989; Schlesinger, in Comm. Cian-Oppo-Trabucchi, III, Padova, 1992, 194; Valignani, L'amministrazione dei beni in comunione, in Tratt. Ferrando, II, Bologna, 2008, 495. |