Legge - 19/02/2004 - n. 40 art. 8 - (Stato giuridico del nato).(Stato giuridico del nato)1.
1. I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'articolo 62. [1] La Corte Costituzionale, con sentenza 22 maggio 2025, n. 68, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale. [2] Articolo modificato dall'articolo 102, comma 1, del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014, come indicato dall' articolo 108, comma 1, del citato decreto. Nel testo in vigore fino al 6 febbraio 2014 la parola "nati nel matrimonio" era "legittimi". InquadramentoIl Tribunale di Padova, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli art. 8 e 9 della l. n. 40 del 2004 e 250 del c.c. in riferimento agli art. 2,3,30,117 primo comma della Cost., quest'ultimo correlato agli art. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York nel 1989, resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, oltre che in relazione agli art. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Da rilevare la particolarità del caso concreto sottoposto al giudizio del Tribunale di Padova, relativo alle istanze introdotte dalla madre di due gemelle nate da tecniche di procreazione medicalmente assistita, alle quali si era sottoposta l'allora partner della stessa, al fine di essere dichiarata dall'Ufficiale dello stato civile genitore delle due minori ai sensi dell'art. 8 della l. n. 40 del 2004 o dallo stesso Tribunale genitore di intenzione delle stesse per aver prestato il consenso al trattamento di fecondazione eterologa ai sensi dell'art. 6. A seguito della rottura della relazione sentimentale tra le due donne infatti l'istante non aveva più potuto mantenere rapporti con le due gemelle con le quali aveva costruito, nei cinque anni di convivenza, un vero e proprio rapporto affettivo e di cura. L'assenza di consenso della madre biologica, di fatto, si è presentata di ostacolo all'applicazione dell'adozione legittimante per il genitore di intenzione. In sostanza, secondo il giudice rimettente, le disposizioni censurate lascerebbero privo di tutela il diritto inviolabile del minore alla propria identità per come garantito dall'art. 2 Cost., dal quale discende anche l'azionabilità di una serie di diritti nei confronti di chi si è assunto la responsabilità di procreare in una formazione sociale diversa dalla famiglia tradizionale, ma comunque meritevole di tutela, sempre nell'ottica del miglior interesse del minore. La Corte costituzionale con la sentenza n. 32/2021 ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli art. 8 e 9 della l. n. 40 del 2004, ma ha articolato osservazioni e moniti al legislatore, analizzando il contesto normativo relativo allo status dei nati da fecondazione eterologa prescelta da persone dello stesso sesso. In particolare, la Corte ha richiamato come il rimettente non abbia contestato la legittimità costituzionale dei limiti posti alle coppie omosessuali nell'accesso alla procreazione medicalmente assistita, rilevando piuttosto l'illegittimità costituzionale della compressione dei diritti dei nati, sui quali ricadono di fatto le conseguenze negative derivanti dalla scelta di accedere a tecniche di procreazione considerate illecite nel nostro ordinamento. Si è, quindi, ritenuta corretta la censura articolata dal ricorrente avverso gli art. 8 e 9 della l. n. 40 del 2004, considerato che da essi si desume l'impossibilità di riconoscere lo status di figli ai nati da PMA eterologa, praticata da una coppia di donne, con conseguente vuoto di tutela, quando si manifesti il dissenso della madre biologica all'accesso della madre intenzionale all'adozione in casi particolari. Le domande articolate e le questioni poste si incentrano, dunque, sull'effettiva possibilità di realizzare una tutela dei minori, per il raggiungimento del loro migliore interesse. Nel giudizio è stata ritenuta fondata l'eccezione sollevata dall'Avvocatura dello Stato secondo la quale ricorre l'inammissibilità delle questioni proposte perché le integrazioni alla disciplina vigente sarebbero protese a colmare un vuoto di tutela in una materia caratterizzata da ampia discrezionalità del legislatore. La Corte ha osservato come già prima dell'adozione della l. n. 40 del 2004, in una questione posta relativamente allo status filiationis del concepito mediante PMA eterologa, era stata evidenziata una carenza ordinamentale con implicazioni costituzionali (Corte cost. n. 347/1998), nell'urgenza di individuare strumenti di tutela per il nato con queste tecniche, non solo con riferimento ai diritti per la sua crescita, educazione e formazione ai sensi degli art. 30 e 31 Cost., ma ancor prima ai sensi dell'art. 2 Cost., quanto ai suoi diritti nei confronti di chi si sia impegnato ad accoglierlo in un progetto familiare, con le conseguenti responsabilità, e «diritti che è compito del legislatore verificare». Proprio la disciplina introdotta con gli art. 8 e 9 sta a dimostrare la volontà del legislatore di tutelare i figli nati da PMA eterologa, ancor prima che venisse dichiarata l'illegittimità costituzionale del relativo divieto (Corte cost. 162 del 2014). Piena responsabilità e doveri di cura, pur in assenza di legame biologico, per i nati da PMA eterologa, anche considerato che nella valutazione dell'evoluzione del concetto di famiglia «il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa» (Corte cost. n. 162/2014), con ciò dimostrandosi il rilievo attribuito dall'art. 9, nel valorizzare, rispetto al favor veritatis il consenso alla genitorialità e l'assunzione di responsabilità, la tutela degli interessi del figlio, garantendone il consolidamento di una propria identità affettiva e relazionale a prescindere dal dato della verità biologica della procreazione (Corte cost. 127/2020). Anche la disciplina successiva in materia di filiazione evidenzia la centralità del diritto del minore a vivere in famiglia e mantenere rapporti significativi con i propri parenti (d.lgs. n. 154/2013), così come chiaramente evidenziato dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 all'art. 24, comma 2, dove si afferma la preminenza della considerazione dell'interesse del minore in tutti gli atti che lo riguardano. La stessa Corte EDU ha ricondotto all'art. 8, in combinato disposto con l'art. 14, della Conv. EDU l'affermazione che i diritti alla vita privata e familiare del fanciullo devono costituire un elemento determinante di valutazione. Emerge significativamente dalle decisioni della stessa Corte EDU la necessità di ricondurre all'art. 8 la garanzia di legami affettivi stabili con chi, indipendentemente dal vincolo biologico, abbia in concreto svolto una funzione genitoriale, prendendosi cura del minore per un lasso di tempo sufficientemente ampio, assimilando al rapporto di filiazione il legame esistente tra la madre d'intenzione e la figlia nata per procreazione medicalmente assistita. Sono quindi state richiamate le note sentenze gemelle della Corte EDU (Mennenson e Labassee contro Francia, ampiamente citate in queste contributo), quanto alla riconosciuta violazione del diritto alla vita privata del minore nel mancato riconoscimento del rapporto di filiazione tra lo stesso, concepito all'estero mediante la tecnica della surrogazione di maternità e i genitori intenzionali, tenuto conto della portata fondamentale del rapporto di filiazione nella costruzione dell'identità del minore. La necessaria tutela della condizione del minore, del proprio pieno diritto all'identità personale, è stata poi oggetto di altre decisioni che hanno richiamato il Parere consultivo reso ai sensi del Protocollo n. 16 della Corte EDU, Grande camera 10 aprile 2019, che ha chiaramente sottolineato, richiamandone il fondamento nell'art. 8 della Convenzione EDU, il dovere degli Stati di prevedere il riconoscimento legale del legame di filiazione tra il minore e i genitori intenzionali, pur permanendo un margine di discrezionalità quanto ai mezzi da adottare, tra i quali anche l'adozione, per pervenire a tale riconoscimento, purché tuttavia sia garantita effettivamente la tutela dei diritti del minore in tempi rapidi e in modo pieno. Il rapporto di filiazione a seguito della scelta del genitore intenzionale viene considerata una realtà già affermatasi a livello sociale, con invito ad attuarla in modo «tempestivo ed efficace». La Corte ha, quindi, sottolineato che le questioni rimesse hanno senza dubbio evidenziato, per il caso concreto affrontato, un vuoto di tutela, poiché pur in presenza di un rapporto di filiazione effettivo, particolarmente ove si consideri la quotidiana frequentazione e vita comune con le minori, non è possibile accedere ad alcuno strumento per la tutela delle minori, pur avendo la Corte escluso scenari di contrasto con principi e valori costituzionali ove la situazione oggetto di giudizio trovi la propria origine nell'elusione della previsione di cui all'art. 5 della l. n. 40 del 2004. Viene in tal senso incisivamente richiamato l'orientamento della Corte che ha chiarito come non sia ricorrente un divieto costituzionale per le coppie omosessuali di accogliere figli, pur spettando al legislatore la relativa disciplina, così come non esistono certezze scientifiche o dati empirici quanto al fatto che l'inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e sullo sviluppo della personalità del minore (Corte cost. 221/2019). Così, seppure si sia esclusa l'esistenza di un diritto alla genitorialità delle coppie dello stesso sesso, tuttavia la Corte con la sentenza 230/2020 ha prospettato di contro, la necessità di considerare il diritto alla tutela del miglior interesse del minore, nato a seguito di PMA scelta dalla coppia omossessuale formata da due donne. La Corte ha sottolineato le conclusioni della sentenza 230/2020, che aveva evidenziato l'urgenza di una diversa tutela - a prescindere dagli approdi interpretativi della giurisprudenza di legittimità a seguito dell'interpretazione estensiva dell'art. 44, comma 1), lett. d) della l. n. 184 del 1983 - del miglior interesse del minore ed ha richiamato, in modo articolato, «l'impellenza» di un tale intervento da parte del legislatore, risultando evidente che «i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne versano in condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell'orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo», con grave compromissione della tutela dei loro preminenti interessi nel caso in cui siano destinati a restare legati al rapporto con un solo genitore perché non riconoscibili dal genitore di intenzione. Ciò posto, la Corte ha affermato di non poter porre rimedio a tale riscontrato vuoto di tutela occorrendo «ancora una volta, attirare su questa materia eticamente sensibile l'attenzione del legislatore, al fine di individuare, come già auspicato in passato, un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità umana (Corte cost. n. 347/1998)», sicché il legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità, dovrà al più presto colmare il denunciato vuoto di tutela a fronte di incomprimibili diritti dei minori». Il tema della connotazione del diritto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita trova una sua particolare declinazione nella sentenza della Cassazione, Cass. I, n. 13000/2019 che ha affermato un rilevante principio di diritto secondo il quale l'art. 8 della l. n. 40 del 2004, recante lo status giuridico del nato a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, è riferibile anche all'ipotesi di fecondazione omologa «post mortem» avvenuta mediante utilizzo del seme crioconservato di colui che, dopo aver prestato, congiuntamente alla moglie o alla convivente, il consenso all'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ai sensi dell'art. 6 della medesima legge e senza che ne risulti la sua successiva revoca, sia poi deceduto prima della formazione dell'embrione avendo altresì autorizzato, per dopo la propria morte, la moglie o la convivente all'utilizzo suddetto. Ciò pure quando la nascita avvenga oltre i trecento giorni dalla morte del padre». In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che nell'atto di nascita alla figlia minore della ricorrente, nata a seguito di inseminazione medicalmente assistita «post mortem», possa essere attribuito lo status di figlia del marito deceduto. Il caso concreto affrontato è quello relativo alla nascita post mortem a seguito di applicazione di tecnica di procreazione medicalmente assistita. I coniugi in realtà avevano avviato l'accesso alla PMA prima della scoperta della grave malattia del coniuge e avevano espresso un consapevole consenso, poi reiterato a seguito della malattia del padre genetico, anche quanto alla possibilità di una applicazione della tecnica di procreazione medicalmente assistita anche post mortem. Si tratta, dunque, di un caso di fecondazione omologa post mortem. La decisione compie una analisi approfondita della disciplina relativa alle iscrizioni nello stato civile e quanto al caso concreto ci si interroga sul se, una volta verificatasi la nascita, debba trovare applicazione esclusivamente il meccanismo presuntivo previsto dagli artt. 231-233 c.c. in relazione alla prova della paternità o sia necessario tener conto anche della disciplina della l. n. 40/2004, considerato il rilievo decisivo e determinante della prestazione del consenso per il processo di generazione e procreazione mediante PMA PMA (si veda anche il commento sub art. 5). Tale valutazione deve, a parere della Corte, tenere conto di diversi fattori che condizionano il diritto vivente e in particolare: - il rilievo attribuito dalla società moderna a bisogni prima ignoti, non prevedibili ed ancora non regolamentati dal legislatore; - il costante dialogo tra le Corti supreme degli stati europei ed extra europei e la Corte di giustizia dell'Unione Europea; - la considerazione delle tecnica della PMA come metodo alternativo al concepimento naturale e non solo come un trattamento sanitario volto a sopperire una problematica di origine medica, la sterilità, che colpisce uno o entrambi i componenti della coppia. Il punto centrale della decisione della Corte è dunque rappresentato dalla piena comprensione del se, in un contesto in cui la genitorialità spesso può anche scindersi dal nesso con il matrimonio e la famiglia, potendo essere declinato in una molteplicità di contesti inediti in passato, i divieti di genitorialità, evincibili nell'ambito del nostro ordinamento, posano fungere da contro limite alla tutela dei diritti di chi è nato, oppure se occorra giungere ad un superamento dei tradizionali confini per comprendere i nuovi percorsi della genitorialità. È stata quindi richiamata da una parte la disciplina civilistica ex art. 233 e 254 c.c. e dall'altra quella della l. n. 40/2004 agli art. 4,5,6,12. Si è quindi affermato che qualsiasi affermazione e valutazione in termini di illiceità/illegittimità in Italia delle tecniche di PMA non può riflettersi sul nato e sull'intero complesso dei diritti a lui riconoscibili. Dunque il ricorso ad un caso di PMA non esplicitamente riconosciuto e disciplinato nel nostro nel nostro ordinamento non esclude, ma anzi impone la preminente considerazione dell'interesse del nato al proprio complessivo contesto quanto allo status di figlio, come emerso anche in sede di giurisprudenza della Corte EDU con i casi Mennesson e Labasse vs. Francia. La Corte si è quindi interrogata sulla corrispondenza tra la realtà del fatto indicato dalla madre all'atto delle dichiarazioni all'ufficiale dello stato civile in mancanza di precedenti sul punto. Si è evidenziata la problematicità della questione di fronte alle pratiche di PMA nel tentativo di comporre esigenze evidentemente contrapposte (certezza e stabilità dello stato di filiazione e la sua corrispondenza alla verità), considerato che ormai si deve ritenere figlio non solo chi nasce da un naturale concepimento, ma anche chi nasce a seguito dell'applicazione di tecniche di PMA, o colui che sia tale per effetto di tecniche di adozione. La corte conclude dunque evidenziando che quelli che erano ritenuti i confini invalicabili in ordine al principio di legittimità della filiazione sono ormai ampiamente posti in discussione, tenuto conto della portata degli art. 2 e 30 Cost. e del conseguente diritto del nato di crescere nella propria famiglia, ivi pienamente esplicando la propria identità personale, con piena certezza della propria provenienza biologica. Ovviamente il ritenere lo status del nato da PMA come del tutto alternativo ai principi in materia di filiazione naturale farebbe emergere una particolare pregnanza del consenso, che non andrebbe inteso come mero consenso al trattamento medico da parte dei futuri genitori, ma governerebbe invece la maternità o la paternità del nato nella forma più ampia e certa, senza bisogno di ulteriori manifestazioni di volontà. Sebbene l'art. 5 l. n. 40/2004 sembri escludere la possibilità del ricorso a tecniche di PMA post mortem, richiedendo che coloro che ricorrono alla tecnica in questione siano entrambi viventi, tuttavia si osserva come la norma non precisi esattamente quale sia il momento in cui entrambi i coniugi si dovrebbero necessariamente ritenere in vita per accedere alla tecnica in questione. La Corte si è quindi interrogata sulla applicabilità al caso in esame dell'art. 8 l. n. 40/2004, sullo status giuridico del nato, anche quando il figlio sia nato, come nel caso di specie, oltre i trecento giorni dalla morte del padre, sulla base dell'applicazione di una tecnica di PMA del tutto lecita secondo la lex loci dello stato estero al quale si era rivolta la madre. Richiamata dunque la ampia dottrina e le diverse interpretazioni sul tema della applicazione o meno della disciplina del codice civile in tema di filiazione naturale, il Collegio sottolinea come il legislatore nell'art. 8 non abbia delimitato la portata della previsione alle sole ipotesi di PMA «lecita», ed anzi avesse esplicitamente ritenuto l'applicabilità anche alla PMA eterologa, disciplinando l'impossibilità di esercitare l'azione di disconoscimento di paternità e l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, sicché l'espressione del consenso alle tecniche di PMA deve essere ritenuto del tutto sufficiente per l'attribuzione dello status di figlio. Da ciò consegue la necessaria tutela del figlio nato da fecondazione omologa post mortem, effettuata sulla base del consenso delle parti, con prevalenza della tutela legislativa del nato, posto che il sicuro legame genetico consentirebbe comunque l'instaurazione di un rapporto di filiazione nei confronti di entrambi i genitori genetici, anche ove si ritenga violato il quadro normativo in tema di PMA previsto dal nostro ordinamento interno. Viene dunque evidenziata la assoluta centralità, proprio ai sensi dell'art. 8 l. n. 40/2004 del consenso come fattore determinante la genitorialità a seguito della applicazione di tecniche di PMA, con sicura preminenza della tutela del nascituro, con particolare riferimento alla certezza dello status filiationis. Tale insieme di circostanza escluderebbe dunque una mancanza di corrispondenza tra la realtà di fatto e quanto dichiarato all'ufficiale di stato civile e la sua riproduzione nell'atto di nascita. L'espressione piena e completa del consenso assicura dunque lo stato di filiazione anche a per chi risulta nato a seguito di applicazione di tecnica di PMA omologa dopo il decesso del genitore, con piena considerazione nel caso concreto del dato della piena discendenza biologica. Per altri aspetti del commento, v. sub art. 9 l. n. 40/2004 Ad esito della pronuncia della Corte cost. n. 230/2020 si è osservato che occorre considerare se nel diritto effettivo la genitorialità si iscriva nel novero dei diritti fondamentali, con conseguenti pretese di cui si risulterebbero titolari i genitori di intenzione indipendentemente dal sesso, dalla nascita e dal modello familiare che si è scelto. (M. Bianca, La genitorialità d'intenzione e il principio di effettività. Riflessioni a margine diCorte cost. n. 230/2020, https://www.giustiziainsieme.it/en/news/129-main/minori-e-famiglia/1435-la-genitorialita-d-intenzione-e-il-principio-di-effettivita-riflessioni-a-margine-della-decisione-della-corte-costituzionale-n-230-del-2020 ). Occorre in tal senso avviare una riflessione per comprendere se il tema della genitorialità di intenzione debba essere letto quale diritto o status, atteso che l'art. 30 Cost. secondo la Corte cost. non propone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli, ribadendo che l'aspirazione a diventare genitori non implica che ciò possa avvenire senza limiti. Anche il legislatore disciplinando in modo innovativo il tema della filiazione ha distinto il tema dello status filiationis (che si compone di diritti fondamentali a prescindere dall'esistenza o meno di una famiglia) dal diritto alla genitorialità. In sostanza si è osservato che la riforma della filiazione, nel modificare i termini di prescrizione, per le azioni di stato, non ha intaccato il modello dello status, ma ha invece consentito, a certe condizioni che la «regola della primazia del sangue possa essere temperata dalla regola degli affetti e della tutela dell'affidamento del figlio in mancanza del formale legame del sangue con colui che ha ritenuto essere il proprio genitore». Filiazione e genitorialità rappresentano dunque status, mentre la necessità di far prevalere la continuità delle relazioni affettive a prescindere da un formale titolo di genitorialità trova riscontro nella legge sulla continuità affettiva (legge n. 173 del 2015). Nello stesso senso, ovvero nella considerazione della genitorialità quale status e non quale diritto, anche la legge n. 40 del 2004, che ai sensi dell'art. 8 ha chiarito come non sia la volontà e dunque il consenso per la previsione del legislatore a costituire l'effetto della genitorialità, quanto piuttosto una fattispecie complessa della quale il consenso è solo un coelemento, che trova il proprio presupposto nella infertilità patologica della coppia, assoluta ed accertata. Elemento che dunque non può trovare riscontro nel caso di coppie omosessuali. In tal senso si è ritenuto inequivoco l'art. 4, comma 1, della legge, nell'individuare proprio nella soluzione di problemi di infertilità lo scopo della legge. L'irrilevanza della volontà al fine di costituire un diritto alla genitorialità emerge anche dalla disciplina della adozione, che a sua volta si caratterizza quale fattispecie complessa. La domanda di rettificazione dell'atto di nascita per il caso di pma all'estero da parte di coppia dello stesso sessoCon sentenza Cass. I, n. 7668/2020 la Corte di Cassazione ha affermato che non può essere accolta la domanda di rettificazione dell'atto di nascita di un minore nato in Italia, mediante l'inserimento del nome della madre intenzionale accanto a quello della madre biologica, sebbene la prima avesse in precedenza prestato il proprio consenso alla pratica della procreazione medicalmente assistita eseguita all'estero, poiché nell'ordinamento italiano vige, per le persone dello stesso sesso, il divieto di ricorso a tale tecnica riproduttiva. Come in altri casi, oggetto della decisione e della valutazione del giudice di merito era la corrispondenza dell'atto di nascita del figlio con la realtà generativa. Si è posto quindi il problema del possibile recepimento in tale categoria di atti, con il procedimento di rettificazione, non tanto del dato della discendenza genetica o biologica, quanto della situazione fattuale conseguente all'espressione di un consenso volto alla formalizzazione della genitorialità sociale o d'intenzione. La Corte ha rilevato come la sentenza impugnata abbia dato una corretta applicazione del divieto per le coppie formate da persone dello stesso sesso di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, sicché ne consegue che una sola persona ha diritto ad essere menzionata come madre nell'atto di nascita in virtù del rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico con il nato. Tale divieto è stato ritenuto conforme con i principi della nostra Costituzione e non discriminatorio dalla sentenza della Corte cost. n. 219/2019, oltre che dalla sentenza Corte cost. n. 230/2020 (sul punto vedi sub art. 8 e 9 a seguire). La riflessione che si è imposta in tale contesto è, dunque, quella relativa al diritto a procreare con metodi diversi da quello naturale, con conseguente possibilità di ritenere sussistente un diritto fondamentale delle persone dello stesso sesso a vedere realizzata la propria aspirazione alla costituzione di un nucleo familiare con figli. La Corte costituzionale ha dato risposta negativa alla possibilità di ritenere la sussistenza di un diritto fondamentale della persona in questo senso, attesa la ratio della disciplina in tema di PMA, identificata nella predisposizione di un trattamento e cura per una condizione patologica (la sterilità) che non può essere estesa a coppie dello stesso sesso, nonché in considerazione della portata dei divieti evidenziati dalla normativa in questione che evidenziano la scelta del legislatore nel senso che la famiglia si caratterizzi per la presenza di una madre e di un padre. Tale conclusione, richiamata dalla Corte di legittimità, non risulta inficiata dalle decisioni relative alla adozione legittimante da parte di coppie omosessuali, attesa la precipua differenza tra le due situazioni, considerato che nel caso della adozione il minore è già in vita e il suo interesse si caratterizza come elemento centrale e principale della tutela richiesta, con evidente valutazione prevalente rispetto al diritto del singolo di vedere riconosciuta la propria genitorialità di intenzione. In tale ambito occorre richiamare anche la decisione Corte cost. n. 230/2020. Il caso che ha portato alla pronuncia della Corte era relativo alla situazione di due donne, unite civilmente, che congiuntamente e con consenso reciproco, decidevano di accedere ad un trattamento di procreazione medicalmente assistita all'estero, dalla quale conseguiva la nascita di un bambino, sicché veniva formulata istanza affinché venissero registrate entrambe come madri nell'atto di nascita del minore. L'ufficiale dello Stato civile rifiutava la doppia iscrizione e annotava soltanto il nome della madre biologica. La questione di legittimità è stata sollevata dal Tribunale di Venezia in relazione all'articolo 1, comma 20, l. n. 76/2016 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) e dell'art. 29, comma 2, d.P.R. 396/2000 e successive modificazioni (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, l. n. 127/1997), in riferimento agli artt. 2,3 comma 1 e 2,30 e 117 comma 1 Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 24, par. 3 Carta dei diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. È stata considerata dal Tribunale in particolare la disposizione dell'art. 1, comma 20, l. n. 76/2016 nella parte in cui prevede la tutela delle coppie di donne unite civilmente come circoscritta ai soli diritti e doveri nascenti dall'unione civile, nonché la previsione dell'art. 29 comma 2 d.P.R. n. 396/2000, che consente di indicare come tale solo il genitore legittimo o quelli che hanno dato il consenso ad essere nominati, sicché si devono ritenere escluse le donne unite civilmente tra loro, che hanno fatto ricorso a procreazione medicalmente assistita in paese estero. L'analisi del Tribunale ha evidenziato come tale cornice legislativa di fatto preclude la genitorialità (d'intenzione) alle coppie omosessuali in generale e nel caso concreto a due donne unite civilmente. Il diritto alla genitorialità viene considerato, nell'analisi del Tribunale nell'ambito dell'ordinanza di rimessione, quale diritto fondamentale dell'individuo, sia singolarmente che nelle formazioni sociali nell'ambito delle quali si esplica la sua personalità. Il giudice rimettente, quanto alla rilevanza della questione richiama, inoltre l'art. 3 Cost., commi 1 e 2, evidenziando come tale situazione di fatto porterebbe alla legittimazione di un'effettiva disparità di trattamento, evidentemente concentrata sull'orientamento sessuale e sul reddito, poiché si realizza un vero e proprio privilegio in favore di chi dispone di mezzi economici per concepire, ma anche per far nascere un figlio all'estero (mediante il c.d. turismo procreativo per poi formulare istanza per la trascrizione dell'atto di nascita straniero in Italia); e si incide irrimediabilmente sul futuro nascituro, creando una discriminazione basata sulla relazione affettiva esistente tra i genitori, perché a carattere omosessuale. L'ordinanza di rimessione richiamal'art. 30 Cost.,non potendosi in tal modo ritenere rispettato il principio di tutela della filiazione. Un dato di centrale rilevanza, nella considerazione della ordinanza di rimessione è rappresentato dall'incidenza del progresso scientifico, e se, dunque, le nuove tecniche consentono una evoluzione del diritto dei singoli a realizzarsi, a prescindere dal proprio orientamento sessuale, come formazione sociale, sarebbe necessario considerare la filiazione non come mero status, ma come vero e proprio diritto pretensivo, che non può essere limitato se non in presenza e in considerazione di interessi considerati preminenti dal legislatore. Un'ultima argomentazione, quanto alla rilevanza della questione, viene spesa con riferimento all'art. 117 Cost., richiamando anche l'art. 24, par. 3 della Carta dei diritti Fondamentali dell'Unione Europea, nonché gli artt. 8 e 14 CEDU e la Convenzione sui diritti del fanciullo, in tal senso sottolineando come, in applicazione di una evidente interpretazione evolutiva il matrimonio e la famiglia basata su persone di sesso diverso non rappresentano un discrimine essenziale nella costituzione del rapporto tra genitori e figli. L'intenzionalità può direttamente caratterizzare il rapporto genitori – figli sia nel caso in cui ricorra una difficoltà fisiologica (sterilità), che nel caso in cui il partner sia dello stesso sesso, prescindendo dunque dal mero dato biologico di derivazione. Nella decisione della Corte emerge una positiva considerazione della evoluzione interpretativa nel campo della procreazione medicalmente assistita, riconoscendo la rilevanza del consenso, quale elemento fondamentale e imprescindibile, nella genitorialità derivante dall'utilizzo di tecniche scientifiche avanzate. Genitorialità basata dunque sul consenso pieno e consapevole e sulla conseguente responsabilità della coppia che decide di accedere alla procreazione medicalmente assistita. Il riferimento normativo in tal senso è certamente rappresentato dall'art. 8 l. n. 40/2004, tanto che i nati a seguito dell'applicazioni di tale tecnica acquistano lo status di figli «nati nel matrimonio» o di «figli riconosciuti», così come dall'art. 9, che tutela il nascituro prevedendo che il coniuge o il convivente della madre naturale, nel momento in cui si acceda consapevolmente alla procreazione medicalmente assistita, non può esercitare l'azione di disconoscimento della paternità o impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità, pur mancando un suo apporto biologico alla nascita. La Corte tuttavia, pur riconoscendo la particolare rilevanza di questo dato, e, dunque, l'emersione di forme di genitorialità di intenzione, sottolinea come lo stato della legislazione italiana, i presupposti normativi che caratterizzano la l. n. 40/2004, evidenzi la necessità che il nato abbia come genitori persone di sesso diverso, proprio in considerazione del chiaro divieto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte di coppie dello stesso sesso. In tal senso viene richiamata la precedente decisione della Corte cost. n. 219/2019, che ha esplicitamente considerato tale disciplina non discriminatoria dal punto di vista dell'orientamento sessuale, nonché l'orientamento della Corte EDU che ha effettivamente chiarito come rientri nella discrezionalità del legislatore individuare l'ambito applicativo di una legislazione che ha come sua precipua finalità la cura terapeutica della sterilità, con la conseguente esclusione di una disparità i trattamento, atteso che la situazione di una coppia eterosessuale sterile non può essere accomunata, per motivi oggettivi, alla situazione di una coppia omossessuale rispetto alla quale non può essere esteso il concetto di sterilità. (Gas e Dubois v. France, Corte EDU 15 marzo 2012). Nessuna violazione è stata infatti riscontrata quanto all'art. 14 della Convenzione in correlazione all'art. 8 (divieto di discriminazione, diritto al rispetto alla vita privata e familiare). In tal senso, nel percorso argomentativo della Corte, emerge la riflessione per cui se il legislatore nel 2016 ha riconosciuto piena dignità familiare alle coppie omossessuali, pur tuttavia non ha ritenuto applicabili a tale contesto le norme in materia di filiazione, ma solo ed esclusivamente quelle relative al rapporto di filiazione. Emerge dalla legislazione vigente la considerazione che, come sottolineato dalla stessa sentenza Corte cost. n. 219/2019, sia solo il nucleo familiare composto da due genitori di sesso diverso, entrambi viventi e potenzialmente in età fertile il luogo più idoneo per crescere il nascituro. Ne consegue che non ricorre alcuna violazione degli art. 2 e 30 Cost. nel senso evidenziato dal giudice remittente, poiché l'aspirazione della madre intenzionale ad essere genitore non può essere declinato quale diritto fondamentale ai sensi dell'art. 2 Cost., così come non ricorre alcuna violazione dell'art. 30 Cost., atteso che la famiglia non è inscindibilmente legata alla presenza di figli. Si richiama inoltre quanto già evidenziato dalla decisione della Corte cost. n. 162/2014. nel senso che la libertà e volontarietà dell'atto di diventare genitori non presuppone un concetto di libertà assoluta in tal senso e non implica che possa espletarsi senza limiti. Il richiamo è dunque inevitabilmente quello volto alla considerazione di un necessario bilanciamento con interessi costituzionalmente protetti, tenendo conto della incidenza di fenomeni di progresso scientifico che di fatto possono alterare le dinamiche ordinarie e naturalistiche del processo di procreazione e nascita, creando interrogativi etici che sono stati già oggetto della considerazione da parte della Corte nella sent. Corte cost. n. 219/2019. In tal senso è stata ritenuta irrilevante anche, ai sensi dell'art. 3 Cost., la differenza tra la normativa italiana e quella straniera (che consente la dichiarazione del rapporto di filiazione da parte di due madri), poiché altrimenti si dovrebbe ritenere necessario un allineamento della legislazione interna alle legislazioni più permissive degli altri paesi. D'altra parte le stesse fonti internazionali ed europee, richiamate dalla ordinanza di rimessione, rinviano in modo esplicito e rilevante alle singole legislazioni nazionali e al rispetto dei relativi principi, richiamando ancora una volta l'ampio margine di apprezzamento che è da riservare ai singoli stati, specialmente in campi caratterizzati dalla mancanza di un unanime consenso sociale. La questione è stata dunque dichiarata inammissibile dalla Corte, che ha tuttavia fornito un'indicazione chiara: il diritto all'omogenitorialità non è in astratto precluso, ma potrà essere effettivamente raggiunto solo per via normativa. Deve essere il legislatore a farsi interprete della volontà collettiva in tal senso, sicché è chiamato a realizzare un corretto bilanciamento tra i valori fondamentali dell'ordinamento, considerando gli orientamenti e le istanza maggiormente radicate in un dato momento nella coscienza sociale, come già evidenziato dalla sentenza della Corte cost. n. 84/2016. Nello stesso senso deve essere intesa la raccomandazione relativa alla considerazione del diritto del minore rispetto alla sua relazione con la madre d'intenzione, relazione garantita solo per il tramite dell'adozione legittimante exart. 44, comma 1, lett. d) l. n. 184/1983. Anche la Cassazione con sentenza Cass. I, n. 8029/2020 ha affermato, ribadendo i medesimi principi e richiamando la giurisprudenza costituzionale, che nel caso di minore concepito mediante l'impiego di tecniche di PMA di tipo eterologo e nato all'estero, non è accoglibile la domanda di rettificazione dell'atto di nascita volta ad ottenere l'indicazione in qualità di madre del bambino, accanto a quella che l'ha partorito, anche della donna a costei legata da unione civile, poiché in contrasto con l'art. 4, comma 3, l. n. 40/2004, che esclude il ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentite, al di fuori dei casi previsti dalla legge, forme di genitorialità svincolate dal rapporto biologico mediante i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto. Con la sentenza Cass. I, n. 23319/2020 si è invece affermato che è legittimamente trascritto in Italia l'atto di nascita formato all'estero, relativo ad un minore, figlio di madre intenzionale italiana e di madre biologica straniera, non essendo contrario all'ordine pubblico internazionale il riconoscimento di un rapporto di filiazione in assenza di un legame biologico, quando la madre intenzionale abbia comunque prestato il consenso all'impiego da parte della partner di tecniche di procreazione medicalmente assistita, anche se tali tecniche non sono consentite nel nostro ordinamento. Nel caso concreto il pubblico ministero aveva proposto una domanda ai sensi dell'art. 95, comma 2, del d.P.R. n. 396/2000 di cancellazione della trascrizione già effettuata in accoglimento della richiesta inoltrata da due madri (una intenzionale e l'altra biologica)a mezzo dell'autorità diplomatica ai sensi degli artt. 15 e 17 del medesimo decreto. Esclusa la ricorrenza di una controversia in tema di status, si è evidenziato come l'unico procedimento rilevante a contrastare la legittimità della trascrizione doveva essere ritenuto quello di rettificazione. È stata poi esclusa la contrarietà all'ordine pubblico internazionale della trascrizione nei registri dello stato civile di un atto di nascita attestante una bigenitorialità omosessuale. Il richiamo costante alla giurisprudenza di legittimità ha portato a rimarcare quanto già affermato da Cass. I n. 14878/2017 nel senso che la nozione di ordine pubblico non può essere desunta dalla norme con le quali il legislatore ordinario abbia esercitato la propria discrezionalità, ma esclusivamente dai principi fondamentali sanciti dalla Costituzione, dai Trattati fondamentali e della Carta dei diritti Fondamentali dell'UE e dalla CEDU, vincolanti per il legislatore ordinario, mentre il principio fondamentale deve essere individuato nella prevalenza dell'interesse del minore, riconosciuto sia dall'ordinamento internazionale che da quello interno, che si sostanzia dunque nel diritto a mantenere lo status di figlio, risultante da un atto validamente formato in un altro paese. Emerge, con ciò consolidandosi il relativo principio, la chiara considerazione che il rifiuto di riconoscere il rapporto di filiazione conseguente all'espressione del consenso all'uso di tecniche di pma si pone in contrasto con l'interesse del minore, incidendo negativamente sulla definizione della identità personale dello stesso, trovandosi il minore a non poter godere dei diritti di cittadinanza, dei diritti ereditari e di circolazione, nonché di intrattenere piena e completa relazione con entrambi i genitori. L'accesso dunque ad una tecnica non consentita in Italia non può risolversi in una lesione del nato per mezzo di tecniche di pma, dovendo essere ancora una volta chiarito che la disposizione di cui all'art. 269, comma 3, c. c. non costituisce un principio di rango costituzionale, ma è bensì una norma relativa alla prova della maternità. In conclusione la trascrizione dell'atto di nascita formato all'estero non può essere esclusa con riferimento all'identità di sesso dei genitori, non ricorrendo un principio costituzionale che preveda un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere o generare figli. La decisione ha chiarito ancora una volta la portata della Cass. S.U., n. 12193/2019 (alla quale si rinvia) con particolare riferimento alla diversità tra tecniche di PMA e surrogazione di maternità.
Le successive pronunce giurisprudenziali hanno insistito sull'argomento della rettificazione dell'atto di nascita. La Corte di cassazione ha ricordato i principi generali in materia, per cui, da un lato, il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile, disciplinato dall'art. 96 del d.p.r. n. 396/2000, è ammissibile ogni qualvolta sia diretto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, quale è o dovrebbe essere nella realtà secondo le previsioni di legge, e come risulta dall'atto dello stato civile per un vizio, comunque o da chiunque originato, nel procedimento di formazione di esso; e, dall'altro, secondo cui in tale procedimento l'autorità giudiziaria dispone di una cognizione piena sull'accertamento della corrispondenza di quanto richiesto dal genitore in relazione alla completezza dell'atto di nascita del figlio con la realtà generativa e di discendenza genetica e biologica di quest'ultimo, potendo, così, a tale limitato fine, avvalersi di tutte le risorse istruttorie fornitele dalla parte (Cass. I, n. 13000/2019). Privilegiando questo secondo aspetto, alcune pronunce della Corte di legittimità hanno dichiarato accoglibile la domanda di “rettificazione” dell'atto di nascita del minore nato all'estero e figlio di due madri coniugate all'estero, già trascritto in Italia nei registri dello stato civile con riferimento alla sola madre biologica, non sussistendo contrasto con l'ordine pubblico internazionale italiano. In tal senso ha deciso Cass. I, n. 14878/2017 in un caso in cui si trattava di far aderire la situazione di stato civile interna a quella formalizzata all'estero e dunque l'applicazione fatta dalla Corte poteva essere considerata rispettosa del dettato della l. n. 40/2004. Ad un caso di rettifica in senso analogo si riferisce Cass. I, ord. n. 7413/2022 per la quale in caso di concepimento all'estero mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, deve essere rettificato l'atto di nascita del minore, nato in Italia, che indichi quale madre, oltre alla donna che ha partorito, l'altra componente la coppia quale madre intenzionale, poiché il legislatore ha inteso limitare l'accesso a tali tecniche di procreazione medicalmente assistita alle situazioni di infertilità patologica, alle quali non è equiparabile l'infertilità della coppia omoaffettiva, né può invocarsi un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 l. n. 40 del 2004, non potendosi ritenere tale operazione ermeneutica imposta dalla necessità di colmare in via giurisprudenziale un vuoto di tutela che richiede, in una materia eticamente sensibile, necessariamente l'intervento del legislatore. In senso contrario, Cass. n. 8029/2020, sopra ricordata, per la quale non sono consentite forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico mediante i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto, e Cass. 22179/2022, secondo cui In caso di concepimento all'estero mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il c.d. genitore intenzionale, non può trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l'accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere; non può inoltre ritenersi che l'indicazione della doppia genitorialità sia necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che, in tali casi, l'adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte cost. n. 79 del 2022. Sulla necessità di un intervento legislativo già si era pronunciata la Corte costituzionale con sent. nn. 32 e 33 del 2021. Anche Cass. I, ord. n. 6383/2022 ha negato la rettificazione dell'atto di nascita di minore concepito mediante PMA eterologa e rivolta ad ottenere l'indicazione quale madre accanto a quella naturale anche della donna cui era appartenuto l'ovulo poi impiantato nella partoriente, dato il contrasto con l‘art. 4, comma 3, della l. n. 40/2004 che esclude il ricorso alle dette tecniche da parte delle coppie omosessuali, anche in presenza di un legame genetico tra il nato e la donna sentimentalmente legata a colei che ha partorito. Si è inoltre affermato che non può essere accolta la domanda di rettificazione dell'atto di nascita di un minore nato in Italia, mediante l'inserimento del nome della madre intenzionale accanto a quello della madre biologica, sebbene la prima avesse in precedenza prestato il proprio consenso alla pratica della procreazione medicalmente assistita eseguita all'estero, poiché nell'ordinamento italiano vige, per le persone dello stesso sesso, il divieto al ricorso di tale tecnica riproduttiva (Cass. I, n. 7668/2020). Altre forme di preteso adeguamento delle risultanze di stato civileIl Tribunale di Pistoia, con sent. 5 luglio 2018, ha dichiarato illegittimo il diniego opposto dal sindaco di ricevere la nuova iscrizione in Italia dell'atto di nascita di un minore nato in Italia a seguito di PMA eseguita in altro stato. Nel provvedimento si osserva che il sistema normativo deve essere letto alla luce del principio di tutela del superiore interesse del minore e pertanto si deve sempre garantire un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 l. n. 40/2004; essa conduce ad affermare che i bambini nati in Italia a seguito di teciche di PMA eseguite all'estero sono figli della coppia di donne che hanno prestato il consenso manifestando inequivocabilmente di voler assumere la responsabilità genitoriale sul nascituro quale frutto di un progetto di vita comune con il partner e di realizzazione di una famiglia. Opinare diversamente, si è aggiunto, significherebbe accettare situazioni discriminatorie tra figli nati da coppie etero o omosessuali che abbiano fatto ricorso alle tecniche di PMA di tipo eterologo. Il Tribunale di Brescia, con decreto 11 novembre 2020, ha ritenuto illegittimo il rifiuto dell'ufficiale di stato civile di annotare, a margine dell'atto di nascita avvenuta in Italia di un minore, procreato con PMA eseguita all'estero, il riconoscimento quale figlio della madre intenzionale non legata allo stesso da vincolo biologico; e ha ordinato l'annotazione giustificando la pronuncia con la valutazione di un superiore interesse del minore. In senso favorevole al figlio si sono espresse Corte app. Bari 13 febbraio 2009; Trib. Pisa 22 luglio 2016; Corte app. Trento, 23 febbraio 2017,; Corte app. Venezia 6 luglio 2018; Trib. Milano 15 novembre 2018. Varie sono state le decisioni della Suprema Corte. Ha cercato di porre ordine la pronuncia delle Sezioni unite per la quale il ricorso ad operazioni di maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane; non è, pertanto, automaticamente trascrivibile in Italia il provvedimento giurisdizionale straniero, e di conseguenza l'originario atto di nascita, che indichino il genitore d'intenzione quale genitore del bambino, insieme al padre biologico che ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione in Paese estero, sia pure in conformità alla lex loci (sent. n. 38162/2022). In senso contrario si erano pronunciate: Cass. I, n. 23319/2021 (“… è legittimamente trascritto in Italia l'atto di nascita formato all'estero, relativo a un minore, figlio di madre intenzionale italiana e di madre biologica straniera, non essendo contrario all'ordine pubblico internazionale il riconoscimento di un rapporto di filiazione in assenza di un legame biologico, quando la madre intenzionale abbia comunque prestato il consenso all'impiego da parte della partner di tecniche di PMA, anche se esse non sono consentite nel nostro ordinamento”); Cass. I, n. 19599/2016 (non rileva che la tecnica procreativa utilizzata non sia riconosciuta nell'ordinamento italiano in quanto essa rappresenta “una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su una materia nella quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate” e “ venendo in rilievo la fondamentale e generale libertà delle persone di autodeterminazione e di formare una famiglia a condizioni non discriminatorie rispetto a quelle consentite dalla legge alle coppie eterosessuali”). In proposito la citata sent. n. 19599/2016 aveva precisato che il giudice nazionale, chiamato a valutare la compatibilità con l'ordine pubblico dell'atto di stato civile straniero (nella specie, di nascita), i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, deve verificare non già se quell'atto applichi una disciplina della materia conforme o difforme a più norme interne ma se contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo desumibili dalla Costituzione, dai trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In radice è stata esclusa la formazione di un atto di nascita ex novo: “In caso di concepimento all'estero mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il c.d. genitore intenzionale, non può trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l'accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere; non può inoltre ritenersi che l'indicazione della doppia genitorialità sia necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che, in tali casi, l'adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte cost. n. 79 del 2022" (Cass. I, ord. n. 22179/2022). La Corte costituzionale aveva osservato che l'interesse del minore deve essere bilanciato, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall'ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal nostro legislatore. Al riguardo, il punto di equilibrio raggiunto dalla Corte EDU è corrispondente all'insieme dei principi della Costituzione italiana i quali per un verso non ostano alla non trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero di riconoscimento della doppia genitorialità ai componenti della coppia (eterosessuale o omosessuale) che abbia fatto ricorso all'estero alla maternità surrogata; per l'altro, impongono che, in tali casi, sia comunque assicurata tutela all'interesse del minore al riconoscimento giuridico del legame con coloro che esercitano di fatto la responsabilità genitoriale. Il compito di adeguare il diritto vigente, concludeva la Corte, non può che spettare al legislatore (sent. n. 33 del 2021). Di recente sono state intraprese strade diverse dalla richiesta di rettificazione dello stato civile. La Corte di legittimità ha avuto occasione di pronunciarsi in ordine a decisioni di merito aventi ad oggetto il ricorso a forme di adozione. Cass. I, ord. n. 25436/2023 ha affermato che l'adozione in casi particolari, ex art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184 del 1983, rappresenta lo strumento che consente al minore, nato in Italia, a seguito di procreazione medicalmente assistita compiuta all'estero da coppia omoaffettiva, di conseguire lo "status" di figlio e di riconoscere giuridicamente il legame di fatto con il genitore d'intenzione; ne consegue che il dissenso del genitore biologico all'adozione da parte del genitore sociale deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all'interesse del minore, con particolare riferimento al progetto genitoriale comune, alla cura e all'accudimento svolto in comune dalla coppia, per un congruo periodo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che aveva escluso la sussistenza dei presupposti per accogliere la richiesta di adozione speciale, evidenziando che la genitrice naturale del minore, nato in Italia a seguito di PMA, effettuata all'estero, con modalità non consentite dallo Stato italiano, aveva revocato il suo assenso all'adozione, inizialmente prestato, quando era cessata la convivenza con la madre biologica del detto minore). Si è anche affermato che non contrasta con i principi di ordine pubblico il riconoscimento degli effetti del provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di un minore, nato in Italia con tecniche di procreazione medicalmente assistita effettuate in altro Stato, nell'ambito di un'unione tra cittadine italiane coniugate all'estero (Cass. I, ord. n. 32527/2023, la quale ha precisato che Il giudizio relativo al riconoscimento della sentenza pronunciata dal giudice straniero di adozione piena del minore, figlio biologico di una delle due partners di coppia omogenitoriale femminile coniugata all'estero, da parte dell'altra, deve essere effettuato secondo il paradigma legislativo di diritto internazionale privato previsto negli artt. 64 e ss. della l. n. 218 del 1995, non trovando applicazione, nella specie, la disciplina normativa relativa all'adozione internazionale). 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