Nascita indesiderata: la lesione della autodeterminazione procreativa e gli oneri economici di mantenimento del figlio

28 Giugno 2018

Il risarcimento del danno in caso di insuccesso della interruzione di gravidanza si deve liquidare solo se è provata la lesione diretta del diritto alla salute della madre? Può liquidarsi il danno da nascita indesiderata posto che la bambina è sana?
Massima

In caso di insuccesso, per negligenza, dell'intervento di interruzione della gravidanza, può essere riconosciuto e liquidato il danno sofferto per la lesione della libertà di autodeterminazione, con riferimento alle negative ricadute esistenziali nella vita dei genitori, anche per i conseguenti oneri di mantenimento del figlio, pur se nato sano.

Il caso

Una donna, alla sesta settimana di gestazione, si sottopone all'intervento di interruzione volontaria della gravidanza, per ragioni economiche e di disagio psicologico. Dopo l'intervento le viene prescritto un esame BHGC, senza però indicarle un termine entro il quale effettuare il controllo. La donna esegue l'esame a distanza di un mese dall'intervento di interruzione della gravidanza e scopre che la gravidanza era proseguita, trattandosi di gestazione gemellare rispetto alla quale un solo embrione era stato eliminato; a causa del superamento del termine di cui all'art. 4 l. 194/1978, non le è possibile ripetere l'intervento di interruzione. La donna partorisce una bambina sana. I giudici di merito riconoscono il diritto al risarcimento del danno da lesione della libertà di autodeterminazione, ma la decisione non soddisfa né la donna né la azienda ospedaliera. La donna sostiene che le è stato liquidato il danno patrimoniale ma non anche il danno non patrimoniale e segnatamente quello da lesione della salute: l'azienda sostiene invece che essendo la bambina nata sana non può liquidarsi il danno da nascita indesiderata, ma solo eventualmente il danno alla salute della madre, che nella specie non è stato dimostrato.

La questione

Due le questioni affrontate dalla Corte di Cassazione: la prima è se il risarcimento del danno in caso di insuccesso della interruzione di gravidanza si debba liquidare solo se è provata la lesione diretta del diritto alla salute della madre; ed inoltre se può liquidarsi il danno da nascita indesiderata posto che la bambina è sana; la seconda invece attiene ai parametri per la liquidazione del danno e in particolare se si tratti di danno patrimoniale o non patrimoniale.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione muove dall'esame di una sentenza storica in tema di danno da nascita indesiderata risalente al 1994 (Cass civ., sez. III, 8 luglio 1994, n. 6464) e sulla quale era fondato il motivo di appello della azienda ospedaliera. Secondo questo orientamento il bene protetto dalla legge 22 maggio 1978 n. 194 è la salute psicofisica della donna, sicché in caso di intervento di interruzione di gravidanza imperito o negligente può risarcirsi solo il danno alla salute se ed in quanto sia verificato e provato e non quello più genericamente dipendente da ogni pregiudizievole conseguenza patrimoniale dell'inadempimento del sanitario, quale il costo della nascita del figlio indesiderato o del suo allevamento. La sentenza del 1994 si fondava sul rilievo che la legge non consente l'interruzione della gravidanza solo perché una donna versa in disagiate condizioni economiche, ma la consente soltanto se dette condizioni possano influire negativamente sulla salute della donna.

La Corte di Cassazione supera questo orientamento e riconosce che l'interesse leso è il diritto di autodeterminazione, quale aspetto del diritto alla salute inteso come benessere complessivo della persona (Corte Cost., 23 dicembre 2008 n. 438). In precedenza la Corte di Cassazione aveva riconosciuto la responsabilità del medico la cui negligenza, per errore diagnostico e conseguente omessa informazione, avesse portato alla nascita di un bambino malformato che diversamente i genitori non avrebbero fatto nascere (Cass. civ., sez. III, 2 ottobre 2012, n. 16754). In quel caso il danno conseguenza è stato individuato nella maggiore gravosità esistenziale, non solo per i genitori ma anche per i fratelli, della relazione familiare con un soggetto malato, da accudire e sostenere. Il caso di specie presenta però una particolarità e cioè che la negligenza del medico è apparentemente senza conseguenze, posto che la bambina è sana e non può quindi presumersi una sofferenza esistenziale derivante dal dover accudire un bambino malato o malformato (Cass. civ. sez. III, 31 ottobre 2017 n. 25849). Quid iuris allora sul risarcimento? in cosa consiste in concreto il pregiudizio derivante dalla lesione del diritto ad autodeterminarsi? può considerarsi danno conseguenza la nascita di una bambina sana, anzi talmente forte da essere sopravvissuta all'intervento che ha deciso le sorti della sua gemella? È principio consolidato infatti che in assenza di individuazione di un pregiudizio quale conseguenza del danno evento, non può esservi risarcimento (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972; Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26973; Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26974; Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26975).

La Corte di Cassazione individua questo pregiudizio con riferimento alle "negative ricadute esistenziali" che si verificano nella vita dei genitori in conseguenza della violazione del diritto a non dar seguito alla gestazione, da esercitarsi nei limiti dati dalla l. 22 maggio 1978 n. 194, e in concreto non esercitato in conseguenza del colpevole inadempimento dei medici e/o della struttura sanitaria. In particolare considera il danno come avente natura non patrimoniale e ritiene corretta la quantificazione operata dal giudice del merito, parametrata ai presumibili importi corrispondenti alle spese da sostenere per il mantenimento della figlia.

Osservazioni

La sentenza muove da alcuni principi consolidati: la responsabilità del sanitario non è limitata alla perizia nella esecuzione dell'intervento, ma si estende ad un diligente dovere di compiuta informazione, anche sui rischi di insuccesso (Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 2010 n. 24853). È pacifico in questo caso che la donna non è stata informata né del margine di possibile insuccesso dell'intervento né della necessità di verificare in tempo utile l'effettività della interruzione della gravidanza, e così le è stato impedito di esercitare la scelta se sottoporsi nuovamente all'intervento o accettare volontariamente la nascita.

La portata innovativa della sentenza è però correlata all'individuazione del danno conseguenza, dal momento che la nascita non era indesiderata per patologie del feto, ma per ragioni economiche e psicologiche. Vi è qui una distinzione rilevante tra il danno evento e cioè la lesione della libertà di autodeterminazione e il danno conseguenza e cioè le ricadute negative della lesione di questa libertà, perché il danno conseguenza viene poi ancorato ad un parametro meramente economico (le spese di mantenimento) e quindi assume connotazioni patrimonialistiche: non a caso la ricorrente è convinta che le sia stato liquidato solo il danno patrimoniale.

Interessante anche il riferimento all'art. 1 l. n. 194/1978, il quale stabilisce che «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». Si tratta di un'evidente formula di compromesso, nata nell'acceso dibattito politico sull'approvazione della legge, che tuttavia ha avuto come risultato ultimo quello di inserire nel “catalogo aperto” dei diritti fondamentali previsti dall'art. 2 Cost. un diritto in certa misura nuovo, e cioè il diritto alla procreazione cosciente e responsabile. La procreazione può essere considerata semplicemente come un fatto, anche involontario, dal quale sorgono diritti e doveri, ma può essere considerata anche come un diritto, a maggior ragione oggi che è tutelato il diritto di ricorrere alle pratiche di procreazione medicalmente assistita (l. 9 febbraio 2004 n. 40). Peraltro, anche se qui si tratta dell'autodeterminazione in materia di salute, nel suo significato più ampio, la Corte Costituzionale ha già affermato che il diritto di procreare è espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, ricollegabile agli artt. 2, 3 e 31 Cost. e che questa libertà, che attiene alla sfera più intima ed intangibile della persona, può essere limitata solo dalla necessità di tutelare interessi costituzionali di pari rango (Corte Cost. 8 aprile 2014, n. 162). Ed invero oggi il diritto di procreare in virtù di una scelta cosciente è invocato anche dalle coppie che vogliono procreare ma non possono farlo (ad es. le coppie same sex), quale diritto a una genitorialità fondata sulla volontà e non sul dato biologico (Russo R. - Sturiale M. Responsabilità e tutela dei diritti nella vita privata e familiare, 2016, 260). Altra questione complessa è quella del diritto all'aborto. Secondo parte della dottrina, nel nostro ordinamento l'aborto non è un diritto, ma un fatto, giustificato a determinate condizioni; tuttavia il riferimento alla salute psichica, oltre che fisica, della gestante introduce una variante che rimarca la dimensione soggettivo- volontaristica della scelta (D'Aloia A. - Torretta P.- La procreazione come diritto della persona in Trattato di biodiritto a cura di Rodotà e Zatti, 2011, 1341).

Infatti la Corte di Cassazione, nella sentenza oggi in esame, esplicitamente afferma che esiste un diritto a non proseguire la gestazione purché esercitato nell'ambito dei tempi, dei casi e delle procedure di cui alla l. 22 maggio 1978 n. 194.

Ciò detto, il danno conseguenza è individuato in tutte quelle "negative ricadute esistenziali" che si verificano sui genitori, a prescindere dallo stato di salute del nato, e cioè nella assunzione (non consapevolmente scelta) degli oneri parentali. Se è questo il pregiudizio che si verifica nella sfera del soggetto leso, si comprende perché il danno è stato parametrato ai presumibili costi da sostenere per il mantenimento del figlio. Non si tratta però di un danno patrimoniale perché il fatto contra jus non è certamente la procreazione in sé né tantomeno la assunzione dei doveri parentali, ma la lesione di una libertà personale. Il danno ha quindi natura di danno non patrimoniale, ma la sua liquidazione, equitativa, è ancorata ad un parametro oggettivo con riferimento alle conseguenze, patrimonialmente valutabili, che sono ricadute sui genitori e cioè gli oneri di mantenimento del figlio.

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