Regime probatorio nella disciplina del consenso informato

Cristiano De Giovanni
18 Luglio 2018

II diritto alla informazione è coessenziale al diritto alla salute e il medico deve informare il paziente sulla natura dell'intervento, dei rischi, dei benefici e delle alternative possibili: è colposamente rilevante la condotta del medico che omettendo di fornire le necessarie informazioni al paziente in ordine all'intervento cui sarà sottoposto si risolva nella lesione del diritto ad una autodeterminazione libera e consapevole.
Massima
Il diritto del paziente ad essere informato circa la natura dell'intervento, i suoi rischi, i possibili benefici ad esso connessi e le possibili alternative terapeutiche è coessenziale all'esercizio del diritto alla salute dal momento che consente al titolare di questo ultimo di compiere una scelta consapevole in ordine alle conseguenze cui si esporrebbe adottando una terapia piuttosto che un'altra.Sussiste un inadempimento giuridicamente rilevante con conseguente diritto al risarcimento del danno solo se, a fronte di una omissione colpevole in ordine alle necessarie informazioni sulla natura, sui rischi e sulle conseguenze dell'intervento, sia impedito al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole. La prova da parte del medico e/o della struttura sanitaria di avere informato il paziente può essere fornito anche a mezzo di presunzioni ex art. 2727 c.c.
Il caso
La paziente ha convenuto in giudizio la struttura sanitaria e il medico al fine di ottenere il risarcimento dei danni sia per la gravidanza intervenuta pur a fronte di intervento di sterilizzazione e sia per la carente informazione sulla natura, sui rischi e sulle alternative dell'intervento medesimo, esponendo di essersi sottoposta nel 1992 ad intervento chirurgico di sterilizzazione mediante chiusura delle tube e che ciò nonostante nel 1994 aveva concepito un figlio cui erano derivati rischi per la salute della stessa (flebite arto inferiore) e del figlio stesso e che non le era stata fornita alcuna informazione sulle possibilità di insuccesso dell'intervento. Tanto il Tribunale di Ravenna che la Corte di Appello di Bologna hanno rigettato la domanda risarcitoria della paziente; il giudice del gravame ha evidenziato, in specie, che la istante era stata informata sulla natura e sulle conseguenze dell'intervento, eseguito correttamente, che nessuna tecnica di sterilizzazione avrebbe escluso completamente il rischio di gravidanza e che la gravidanza del 1994 non aveva arrecato alcun nocumento permanente alla stessa paziente.
La questione

Per quanto qui di interesse l'analisi della sentenza deve essere limitata, sul piano sostanziale, a verificare la finalità e le forme del consenso informato e, sul piano processuale, al regime probatorio cui è sottoposto.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha concluso che il diritto alla informazione è coessenziale al diritto alla salute e il medico deve informare il paziente sulla natura dell'intervento, dei rischi, dei benefici e delle alternative possibili: è colposamente rilevante la condotta del medico che omettendo di fornire le necessarie informazioni al paziente in ordine all'intervento cui sarà sottoposto si risolva nella lesione del diritto ad una autodeterminazione libera e consapevole.

Laddove il paziente sia già a conoscenza dei rischi sottesi l'intervento viene meno il nesso causale tra omissione e deficit informativo idoneo a incidere sulle scelte consapevoli del paziente: il sistema positivo già individua ipotesi in cui la conoscenza di determinate circostanze da parte di uno dei contraenti esclude la responsabilità dell'altro come nelle ipotesi disciplinate dagli artt. 1491 e 1667 c.c.

Già in una precedente pronuncia la stessa Corte (Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012 n. 20984) aveva posto l'attenzione, sul piano probatorio, quanto alla distinzione tra consenso presunto all'atto medico e consenso provato in via presuntiva di modo che il medico e la struttura sanitaria possono provare di avere informato il paziente ricorrendo alle presunzioni ex art. 2727 c.c.

Osservazioni

Il consenso informato è un diritto della personalità che ha «fondamento nei principi espressi nell'articolo 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» (Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2002 n. 20984) e si risolve nel diritto all'autodeterminazione del paziente ad accettare o rifiutare la prestazione medica (Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2013 n. 19220).

L'acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, è prestazione diversa da quella avente ad oggetto l'intervento terapeutico: il consenso deve essere sempre "completo" ed "effettivo", provenire dal paziente in modo "specifico ed esplicito" e, nei limiti del possibile, "attuale" e "informato", ovvero consapevole, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico.

La pronuncia in esame, nel ribadire questi concetti, si sofferma su uno degli elementi costitutivi della responsabilità risarcitoria: la sussistenza del nesso causale tra condotta rimproverabile dell'autore del fatto lesivo e danno subito dalla vittima.

Ebbene se è vero che il paziente ha diritto di ottenere ogni informazione utile rispetto all'intervento cui sarà sottoposto, è altrettanto vero che trattasi di un diritto che avendo ad oggetto la libera autodeterminazione della volontà presuppone che la parte non abbia avuto conoscenza dell'intervento stesso e delle conseguenze ad esso sottese.

Laddove il paziente sia, invece, venuto a conoscenza di questi elementi alcun rimprovero può essere mosso in capo al medico o alla struttura sanitaria dal momento che viene meno il legame eziologico tra fatto lesivo e conseguenze svantaggiose, queste ultime causalmente riconducibili a scelte consapevoli del paziente e non già ad un deficit informativo da parte del medico.

La Corte evidenzia, quindi, che in questo caso non può tanto parlarsi della esistenza di una scriminante a favore del medico ma, piuttosto, di un fatto che è conseguenza di una scelta libera del paziente: il principio di autoresponsabilità che caratterizza il rapporto obbligatorio vale, quindi, ad escludere la sussistenza del nesso causale nei termini suindicati rispetto al rimprovero per omessa prestazione del consenso informato.

Del resto il sistema positivo, come rilevato dalla Corte, già individua delle fattispecie normative in cui la parte non può dolersi di fatti che assume lesivi ma dei quali aveva conoscenza come nella ipotesi di esclusione della garanzia per i vizi della cosa compravenduta laddove il compratore avesse conosciuto i vizi della cosa ex art. 1491 c.c. e come quella di inesistenza della garanzia per difformità e vizi dell'opera in caso di accettazione dell'opera da parte del committente laddove le difformità e i vizi fossero da lui conosciuti o riconoscibili ex art. 667 c.c.

Viene, quindi, posto l'accento sul fatto che il diritto al risarcimento del danno, per violazione dei diritti della personalità anche in una ottica vittimologica, non esclude l'operatività del principio di autoresponsabilità espressione dei doveri di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.

Non da meno la Corte ribadisce quelle che sono direttive ermeneutiche consolidate sul piano probatorio: il consenso del paziente all'atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un'adeguata informazione, anch'essa esplicita; presuntiva, per contro, può essere la prova che un consenso informato sia stato dato effettivamente ed in modo esplicito la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone ed il relativo onere ricade sul medico.

Occorre aggiungere che non sempre al mancato soddisfacimento dell'onere probatorio gravante sul medico consegue l'accoglimento della domanda risarcitoria proposta dal paziente avendo la stessa Corte in altra pronuncia distinto l'ipotesi in cui il danno alla salute costituisca esito non attendibile della prestazione tecnica, se correttamente eseguita, da quella in cui, invece, il peggioramento della salute corrisponda a un esito infausto prevedibile ex ante nonostante la corretta esecuzione della prestazione tecnico-sanitaria che si rendeva comunque necessaria, nel qual caso, ai fini dell'accertamento del danno, graverà sul paziente l'onere della prova, anche tramite presunzioni, che il danno alla salute è dipeso dal fatto che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento (Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 2017 n. 24074, ma su tale ultima complessa questione si rinvia alla recente sentenza Cass. civ., n. 7248/2018).

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