Il danno all’attività imprenditoriale conseguente ad illegittima occupazione di area e revoca di autorizzazione archeologica

01 Agosto 2018

Ricorre un diritto dell'imprenditore allo svolgimento della propria attività? Quando l'azione della P.A. nei confronti del privato può considerarsi proporzionale al fine da perseguire?
Massima

Spetta il risarcimento del danno conseguente ad illegittima occupazione di area e revoca di autorizzazione archeologica, necessaria all'insediamento di uno stabilimento balneare, da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio. L'evoluzione del modello di correttezza e buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost. impone di tener conto che l'attività amministrativa produce sempre un “impatto” sulla sfera dei cittadini e delle imprese (ne è conferma l'emersione del principio di accountability). Tale impatto, da un lato, deve essere considerato e quantificato, affiancando agli strumenti giuridici quelli economici di misurazione, che permeano sempre di più l'attività amministrativa; d'altro lato – e soprattutto, ai fini della tutela – tale impatto non può essere trascurato, né assorbito, e nemmeno ridotto forfettariamente in considerazione di una cura dell'interesse pubblico asseritamente prevalente.

Il caso

I soci della società Alfa appellanti sono comproprietari di un suolo adiacente ad un litorale marittimo, che costituisce una porzione minima di maggiore area sottoposta a vincolo archeologico con D.M. del 6 giugno 1966. Detto suolo è stato affidato in comodato con contratto del 7 dicembre 2003 alla predetta società, che il 31 dicembre 2003 presentava al Comune Beta un progetto per la fruizione dello stesso per il tempo libero e la balneazione. Tale progetto comprendeva la ristrutturazione di alcuni trulli e la collocazione sull'area di opere rimovibili in legno (pedane con ombrelloni e chiosco-bar), nonché la perimetrazione di un'area per la sosta degli autoveicoli. La Soprintendenza per i Beni Archeologici del Comune Zeta autorizzava la realizzazione dell'intervento, previa imposizione di prescrizioni volte ad eliminare qualsiasi interferenza con il sottosuolo. Successivamente veniva rilasciato il nulla osta paesaggistico e la Soprintendenza per i Beni Culturali e Paesaggistici confermava la legittimità di tale autorizzazione. Dunque, acquisiti i titoli autorizzativi il Comune Beta rilasciava il permesso di costruire e la società Alfa avviava i lavori, che venivano sospesi da un provvedimento della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Comune X. L'Amministrazione con tale atto rilevava difformità tra le previsioni di progetto ed i lavori in corso di realizzazione. Gli appellanti ricorrevano dinanzi al TAR, che con ordinanza sospendeva il provvedimento gravato. Nelle more veniva disposto il sequestro penale dell'area. Successivamente con decreto il P.M. revocava tale misura e il G.I.P. con successivo decreto il G.I.P. disponeva l'archiviazione del procedimento penale. A questo punto, l'Amministrazione con ordinanza revocava l'autorizzazione archeologica rilasciata e il Direttore regionale ordinava al Soprintendente di procedere entro sette giorni all'effettuazione di saggi di scavo sull'area di proprietà dei ricorrenti. Con decreto del Soprintendente per i Beni Archeologici veniva disposta l'occupazione temporanea dell'intera area per 12 mesi, allo scopo di effettuare gli interventi previsti. Con autonomo ricorso gli appellanti impugnavano entrambi i provvedimenti: con sentenza del TAR il ricorso veniva accolto e con decisione del Consiglio di Stato veniva respinto l'appello proposto dall'Amministrazione. Nelle more la Soprintendenza per i Beni archeologici adottava un nuovo decreto di proroga dell'occupazione dell'intera area per ulteriori 12 mesi. Il TAR annullava anche tale decreto e il Consiglio di Stato respingeva l'appello proposto dall'Amministrazione. Gli appellanti proponevano separati ricorsi dinanzi al TAR per il ristoro del pregiudizio subito a seguito della revoca illegittima dell'autorizzazione archeologica e del provvedimento illegittimo di occupazione. Il giudice di prime cure riteneva sufficiente l'indennità offerta dall'Amministrazione, respingendole domande di risarcimento per l'occupazione d'urgenza e riconosceva una somma per i danni prodotti dalla revoca dell'autorizzazione archeologica. Tali sentenze venivano impugnate dinanzi al Consiglio di Stato, che, riuniti i ricorsi, accoglieva l'appello.

La questione

Nel caso di specie ricorre un diritto dell'imprenditore allo svolgimento della propria attività? Quando l'azione della P.A. nei confronti del privato può considerarsi proporzionale al fine da perseguire? La P.A. ha arrecato alla Società Alfa un danno ingiusto? La pretesa risarcitoria rientra nella fattispecie prevista dall'art. 1223 c.c.? La determinazione del danno deve tener conto dell'impatto dell'attività amministrativa legittima o illegittima nei confronti delle iniziative private?

Le soluzioni giuridiche

L'iniziativa imprenditoriale

Il giudice di seconde cure rileva che la società Alfa aveva ottenuto le autorizzazioni necessarie per la realizzazione di uno stabilimento balneare sull'area di proprietà dei soci. La predetta legittimamente aveva effettuato investimenti e avviato i lavori, che avevano subito un arresto a seguito dei provvedimenti della Soprintendenza per i Beni architettonici e per il paesaggio del Comune X. Di conseguenza le opere erano state ultimate con un ritardo di circa un biennio. Ciò nonostante, l'iniziativa commerciale era stata intrapresa con successo e il progetto aveva ottenuto dei riconoscimenti per l'attenzione al rispetto dell'ambiente.

L'attività provvedimentale della PA

Il Consiglio di Stato ravvisa un «accanimento» dell'Amministrazione nei confronti dell'iniziativa imprenditoriale della società appellante. Nel caso di specie l'attività provvedimentale appare ingiustificata e sproporzionata rispetto al fine da perseguire, poiché ignora l'affidamento che il privato aveva riposto nella fattibilità dell'opera. L'azione amministrativa si sarebbe dovuta svolgere secondo il modello di correttezza e buona amministrazione ex art. 97 Cost., che impone la valutazione dell'impatto sulla sfera dei cittadini e delle imprese. Di talché tutti i provvedimenti emessi sono stati annullati dal giudice amministrativo.

Il profilo risarcitorio

Il Collegio afferma la sussistenza del presupposto oggettivo della tutela risarcitoria nei confronti della società Alfa, unico soggetto danneggiato dai provvedimenti illegittimi, attesa la «finalità essenzialmente compensativa» di tale strumento. Infatti, ricorrono i requisiti della colpa, come rilevato dal giudice di prime cure che aveva messo in luce l'infondatezza dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione archeologica e di occupazione dell'area, e il nesso causale tra l'illegittimità di tali atti e il pregiudizio arrecato dall'Amministrazione al privato, ovvero il mancato avvio dello stabilimento balneare nei termini previsti e, conseguentemente, il mancato introito degli utili da esso derivanti.

Pertanto, dai fatti documentati si evince in modo inequivocabile il danno ingiusto subito dall'impresa.

La determinazione del danno ingiusto

Il Consiglio di Stato respinge le censure addotte da parte appellante in ordine alla violazione dell'art. 50, d.lgs. n. 327/2001, dell'art. 2043 c.c. e dei principi sull'onere della prova della sentenza del TAR, che non aveva accolto la domanda risarcitoria relativa all'occupazione d'urgenza, poiché le somme dovute dall'Amministrazione si ritenevano già assorbite nell'indennità offerta, che attribuiva al suolo un valore di esproprio determinato sulla base del «valore agricolo medio» stabilito dalla Commissione provinciale espropri.

Riunisce gli appelli, con i quali viene richiesto, segnatamente, il risarcimento per l'illegittimità dei decreti di occupazione dell'area e per l'illegittimità della revoca dell'autorizzazione archeologica, poiché il pregiudizio da essi derivanti ha la medesima natura e li accoglie, determinando la liquidazione del danno.

Osservazioni

Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato evidenzia due principi:

  • l'uno relativo all'azione pubblica, che deve ispirarsi alle regole desumibili dai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza e dai principi generali dell'ordinamento, ovvero ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza (Cons. St., sez. V, sent. n. 2446/2017), nonché al grado di responsabilità che deriva in capo alla P.A. dall'impatto della stessa sulla sfera dei cittadini e delle imprese;
  • l'altro relativo ai criteri di quantificazione del danno da mancato guadagno.

Il primo introduce un nuovo parametro, ovvero «l'impatto economico effettivo dell'attività amministrativa legittima o illegittima nei confronti delle iniziative private», che unisce la valutazione giuridica alla misurazione economica (accountability) dell'azione pubblica, che non può essere compresso in vista «della cura dell'interesse pubblico asseritamente prevalente». Invero, con riguardo ai presupposti del potere di autotutela della P.A., la l. n. 124/2015 fa riferimento «all'affidamento del privato rispetto a un precedente provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica e sul quale si basa una precisa strategia imprenditoriale». Tale strumento giuridico rappresenta un nuovo paradigma dei rapporti tra privati e poteri pubblici (R. Cifarelli, L'autotutela amministrativa dopo la riforma Madia e il nuovo codice dei contratti pubblici, Dike 2016), fondato sulle «esigenze di certezza e stabilità, che presiedono alla garanzia di effettività delle libertà economiche (M.A. Sandulli, Gli effetti diretti della l. n. 124/2015 sulle attività economiche, in www.federalismi.it, 2015)». Inoltre, l'orientamento giurisprudenziale costante richiama «alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale, nonché alla valutazione comparativa dell'interesse dei destinatari al mantenimento delle posizioni e dell'affidamento insorto in capo ai medesimi (Cons. St., sent. n. 2468/2014)».

Il secondo introduce un collegamento tra l'ingiusto ritardo e l'attività economica danneggiata.

Orbene, per accertare il nesso causale tra la l'evento lesivo e il danno conseguenza occorre richiamare il criterio della regolarità causale o causalità adeguata (ex multis, Cass. civ., sez. III, sent. n. 3893/2016) ai sensi dell'art. 1223 c.c., che sancisce la risarcibilità del danno non solo conseguenza immediata e diretta dell'illecito, ma anche mediata e indiretta purché prevedibile secondo la regola dell'id quod plerumque accidit. Ne consegue che il pregiudizio, ovvero il mancato introito dei guadagni ricavabili dall'attività commerciale successivamente avviata sull'area, costituisce conseguenza immediata e diretta dei provvedimenti illegittimi dell'Amministrazione, che hanno cagionato un ritardo e leso l'attività economica.

Con riguardo al quantum debeatur, il danno deve essere quantificato in via equitativa sui mancati utili dell'impresa nel periodo durante il quale l'area è stata sottratta alla disponibilità del privato.

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