Responsabilità del progettista e direttore dei lavori: la sua diligentia quam in concreto

20 Settembre 2018

Quando la responsabilità del progettista e direttore dei lavori può dirsi esclusa, nonostante una condotta caratterizzata da errori relativi alla predisposizione dei documenti necessari al rilascio dei titoli abitativi e ad omissioni nell'attività di direzione dei lavori?
Massima

In materia di illecito civile, per determinare la probabilità con cui un evento si verifica, non si deve fare esclusivo riferimento alla frequenza con cui tale evento accade nella generalità delle situazioni, ma deve essere determinata l'attendibilità dell'ipotesi in relazione al caso concreto.

Quando vi siano problemi di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, la scelta da porre a base della decisione va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente, venendo ad essere ininfluenti tutte le altre “ipotesi” o “eventi alternativi”.

In tema di risarcimento del danno da inadempimento, il secondo comma dell'art. 1227 c.c. non si limita a pretendere dal creditore un mero comportamento inerte ed omissivo di fronte all'altrui condotta dannosa, o ancora, il semplice astenersi dall'aggravare, con il fatto proprio, il pregiudizio già verificatosi, ma, secondo i principi generali di correttezza e buona fede di cui all'art. 1175 c.c., gli impone altresì una condotta attiva o positiva funzionale a limitare le conseguenze dannose della predetta condotta.

Il caso

Il proprietario di un immobile da ristrutturare conviene in giudizio, avanti al Tribunale di Milano, il progettista e direttore dei lavori incaricato di eseguire l'opera, chiedendo la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'inesatto adempimento degli obblighi professionali sullo stesso gravanti, nonché condanna ex art. 2043 c.c. per il fatto illecito da questi commesso. Si costituisce il convenuto che, dopo aver chiesto e ottenuto l'autorizzazione alla chiamata in causa della propria Compagnia assicurativa, sostiene di aver sempre agito con correttezza, di aver sempre compiutamente informato l'attore dei rischi connessi alla ristrutturazione e di non avere colpa per i crolli verificatisi; eccepisce altresì che parte attrice aveva sollevato censure sul suo operato, per la prima volta, dopo 5 anni dalla sospensione dei lavori e che aveva contribuito a determinare il ritardo che aveva caratterizzato il rilascio dei titoli abitativi.

La questione

Quando la responsabilità del progettista e direttore dei lavori può dirsi esclusa, nonostante una condotta caratterizzata da errori relativi alla predisposizione dei documenti necessari al rilascio dei titoli abitativi e ad omissioni nell'attività di direzione dei lavori?

Quando l'inadempimento o il fatto illecito sono cause necessarie di determinate conseguenze lontane e immediate quando ne sono soltanto l'occasione?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda di risarcimento danni per inesatto adempimento di obblighi professionali gravanti sul progettista e direttore lavori in quanto, dalla relazione del CTU, è emerso con chiarezza che la condotta del professionista sia stata caratterizzata da una serie di errori relativi alla predisposizione dei documenti necessari al rilascio dei titoli abitativi e ad omissioni nell'attività di direzione dei lavori; non è tuttavia emersa la prova del nesso di causa tra il comportamento del menzionato professionista e i danni lamentati da parte attrice.

Peraltro, ha proseguito il Giudice Milanese, l'istruttoria espletata non ha consentito di ravvisare elementi sufficienti a far ritenere “più probabile che non” che i danni lamentati da parte attrice siano riconducibili solo ed esclusivamente alla condotta del convenuto.

Non risulta provato dunque che, quand'anche il professionista avesse diligentemente adempiuto, i danni lamentati da parte attrice non si sarebbero con elevata probabilità verificati, risultando quindi carente il nesso di causa necessario per l'accoglimento della domanda.

Inoltre, rileva ancora il Tribunale Meneghino, è verosimile ritenere che parte attrice, se avesse agito con l'ordinaria diligenza di cui all'art. 1175 c.c. avrebbe potuto evitare i danni lamentati in giudizio.

Ebbene, nessun dubbio circa il fatto che l'attore abbia concluso con il professionista un contratto d'opera a prestazioni intellettuali, ex art. 2229 c.c., con cui viene disciplinata l'ipotesi del soggetto che si obbliga verso un altro a realizzare un'opera od un servizio, eseguendo personalmente l'incarico assunto.

Inoltre, nel caso in esame, essendovi cumulo tra la funzione di direttore lavori e di progettista si deve ritenere che l'obbligazione assunta dal tecnico sia di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che l'eventuale inadempimento del professionista non può desumersi da un eventuale risultato mancato (come sarebbe per il solo progettista), ma va valutato alla stregua del dovere di diligenza che deve essere parametrato alla natura dell'attività effettivamente esercitata, nel rispetto dell'art. 1176, comma 2 c.c.,; bisogna poi sempre verificare la sussistenza di nesso eziologico tra evento e danno.

L'orientamento maggioritario, seguito dal Tribunale di Milano nella sentenza di merito in commento, circa la qualificazione dell'obbligazione assunta dal professionista che rivesta tanto la funzione di progettista, quanto quella di direttore dei lavori, come di mezzi e non di risultato è ben rappresentato da una serie di pronunce che ricomprendono nella nozione di diligenza quella di perizia, intesa come conoscenza ed attuazione delle regole tecniche proprie di una determinata professione, nonché un complesso di attività strumentali rispetto all'obiettivo finale della realizzazione dell'edificio a regola d'arte in conformità al progetto (Cass. civ., 24 aprile 2008 n. 10728; Cass. civ., 15 ottobre 2013 n. 23350; Cass. civ., 29 gennaio 2003 n. 1294).

Di senso contrario due sole pronunce, peraltro risalenti, che qualificano l'obbligazione del progettista associata a quella del direttore lavori come di risultato, ma l'orientamento deve considerarsi ormai superato (Cass. civ., 27 ottobre 1984 n. 5509; Cass. civ., 22 aprile 1974, n. 1156).

Il Tribunale di Milano ha ritenuto dunque che, sebbene non esente da colpa, la condotta del professionista non possa considerarsi causa del crollo del fabbricato preesistente e in fase di ristrutturazione, in quanto gli errori del prestatore d'opera non possono in concreto essere considerati antecedenti necessari e sufficienti all'evento dannoso, non risultando comprovato il criterio del più probabile che non (Cass. civ., 5 maggio 2009 n. 10285).

In altre parole, se anche il professionista avesse agito senza commettere alcun errore e nel rispetto delle leges artis, è ragionevole ritenere che, in ogni caso, il crollo si sarebbe verificato, in quanto «l'istruttoria espletata non ha fornito elementi sufficienti a far ritenere più probabile che non che i danni lamentati da parte attrice siano riconducibili alla condotta del convenuto».

Osservazioni

A ben guardare, la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato non ha alcuna incidenza sul regime di responsabilità del prestatore d'opera intellettuale, né sul meccanismo di ripartizione dell'onere della prova, che resta identico sia che il creditore agisca per l'adempimento dell'obbligazione, ex art. 1452 c.c., sia che domandi il risarcimento per l'inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c.

In effetti, come sottolineato dalla Cassazione a Sezioni Unite del 28 luglio 2005, n. 15781, un certo risultato è dovuto in tutte le obbligazioni anche se in proporzione variabile.

L'irrilevanza del distinguo tra le obbligazioni, dunque, riconduce nell'alveo dell'art. 1218 c.c. (come effettivamente è stato inquadrato il caso di specie) la disciplina della responsabilità per inadempimento, «non essendo accettabile l'idea per la quale le obbligazioni del professionista risponderebbero, sotto il profilo dei presupposti della responsabilità e del conseguente onere probatorio, ad una logica diversa da quella valevole per le altre obbligazioni»(Cass. civ., Sez. Un. 11 gennaio 2008, n. 577).

Per ciò che concerne il secondo aspetto rilevante, cioè l'evitabilità del danno, si evidenzia che un tale concetto non va inteso con riferimento ai soli danni conseguenza dell'inadempimento o del “danno base” di cui al comma 1 dell'art. 1227 c.c., bensì anche come previsione di danni la cui produzione ricada interamente nella sfera di controllo del danneggiato che ponga in essere una condotta che possa considerarsi come causa interruttiva del danno originario, venendo a configurarsi come causa prossima ed assorbente e pertanto esclusiva di un danno che il danneggiato avrebbe potuto evitare mantenendo un comportamento improntato a buona fede o correttezza, con la conseguenza che esso va al medesimo interamente ascritto e dello stesso esclusivamente il creditore/danneggiato è tenuto a sopportare le conseguenze.

Graverà pertanto sul debitore responsabile del danno l'onere di provare la violazione, da parte del danneggiato, del dovere di correttezza impostogli dall'art. 1227 c.c. e l'evitabilità delle conseguenze dannose prodottesi, trattandosi di una circostanza impeditiva della pretesa risarcitoria, configurabile come eccezione in senso stretto (Cass. civ., n. 9317/2013).

Dalla sentenza non è dato comprendere (la pronuncia nulla dice di dirimente sul punto) se effettivamente il convenuto abbia sollevato tale eccezione e lo abbia fatto tempestivamente; e la circostanza è particolarmente rilevante in considerazione del fatto che il concorso di colpa di cui al comma 2 dell'art. 1227 c.c. non può essere dichiarato d'ufficio dal Giudice.

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