Codice Civile art. 1128 - Perimento totale o parziale dell'edificio.

Alberto Celeste

Perimento totale o parziale dell'edificio.

[I]. Se l'edificio perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, ciascuno dei condomini può richiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato diversamente convenuto.

[II]. Nel caso di perimento di una parte minore, l'assemblea dei condomini delibera circa la ricostruzione delle parti comuni dell'edificio, e ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse [1123].

[III]. L'indennità corrisposta per l'assicurazione relativa alle parti comuni è destinata alla ricostruzione di queste.

[IV]. Il condomino che non intende partecipare alla ricostruzione dell'edificio è tenuto a cedere [2932] agli altri condomini i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà, secondo la stima che ne sarà fatta, salvo che non preferisca cedere i diritti stessi ad alcuni soltanto dei condomini.

Inquadramento

La fattispecie relativa al perimento dell'edificio si rivela laddove, a causa di eventi accidentali, l'immobile in regime di condominio subisce un crollo, nella totalità delle sue strutture o in una parte di esse, più o meno quantitativamente rilevante, e, in conseguenza di ciò, si attiva una particolare regolamentazione dei diritti dei comproprietari sui beni superstiti.

La fattispecie è regolata dall'art. 1128 c.c. – invariato anche a seguito della l. n. 220 del 2012 – il quale dispone che, se l'edificio perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, ciascuno dei condomini può richiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato diversamente convenuto, mentre, nel caso di perimento di una parte minore, l'assemblea dei condomini delibera circa la ricostruzione delle parti comuni dell'edificio, e ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse; il disposto de quo precisa, poi, che l'indennità corrisposta per l'assicurazione relativa alle parti comuni è destinata alla ricostruzione di queste; si aggiunge, infine, che il condomino, il quale non intende partecipare alla ricostruzione dell'edificio è tenuto a cedere agli altri condomini i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà, secondo la stima che ne sarà fatta, salvo che non preferisca cedere i diritti stessi ad alcuni soltanto dei condomini.

Va sùbito evidenziato che, affinché possa operare la disciplina prevista dall'art. 1128 c.c., regolamentante la suddetta fattispecie, il crollo dell'edificio deve esser originato da cause non volontarie, ossia indipendenti dal comportamento dei partecipanti al condominio (Salis 1978, 469; Criscuolo, 591).

Infatti, la norma in commento non si applica a tutte le ipotesi di demolizione che sono poste in essere intenzionalmente – con lo scopo, ad esempio, di effettuare una successiva ricostruzione per migliorare lo stabile ed accrescerne il rendimento – ma solo per eventi oggettivi, come, ad esempio, dovuti a vetustà, terremoto, incendio, scoppio, ecc. (con particolare riguardo al concetto di vetustà dell'edificio, v. Cass. II, n. 4102/1980; Cass. II, n. 1663/1974; Cass. II, n. 1095/1973, precisando che, tra gli artt. 1120 e 1128 c.c., concernenti, rispettivamente, le innovazioni e la ricostruzione dell'edificio in caso di perimento, non esiste alcun collegamento, sicché non si può applicare la disciplina dettata da una delle due norme alla situazione ipotizzata dall'altra; tra le pronunce di merito, si segnala App. Napoli 13 dicembre 1976).

Cause del crollo

Dunque, quello che rileva, al fine dell'operatività della norma codicistica, è la ragione che ha determinato la distruzione (totale o parziale) dell'immobile: se tale ragione è individuabile in un evento accidentale, l'art. 1128 c.c. può applicarsi anche se, di fatto, si è intervenuti con una (più o meno integrale) demolizione volontaria, non di rado attuata per evitare maggiori pericoli o danni (Visco 1968, 321).

Ci si è chiesti se la disciplina del citato art. 1128 potesse applicarsi anche in caso di crollo dovuto a circostanze di guerra.

La risposta è sostanzialmente positiva, precisando, però, che, qualora sia applicabile la normativa speciale per la ricostruzione, quest'ultima prevale sulla norma codicistica, la quale va reputata incompatibile, specie laddove si prevede che anche un solo condomino possa eseguire legittimamente lavori «nell'interesse del condominio», e conseguentemente ottenere i contributi statali per la ricostruzione o la riparazione di edifici destinati ad abitazione, distrutti o danneggiati a causa di eventi bellici, in deroga alla disciplina codicistica che contempla una deliberazione assembleare (Cass. II, n. 1340/1956; tra le pronunce di merito, v. Trib. Napoli, 16 marzo 1948, ad avviso del quale il diritto di ciascun condomino di richiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali deve escludersi, per effetto del d.l. 10 aprile 1947, n. 261, nell'ipotesi in cui il suolo dell'edificio distrutto per eventi bellici venga compreso fra le aree necessarie per la ricostruzione dell'aggregato urbano).

Pertanto, la legislazione speciale opera solo quando si segua la procedura per ottenere il contributo statale o per l'attuazione del piano di ricostruzione, laddove, al contrario, sia stata convocata l'assemblea per deliberare ai sensi dell'art. 1128 c.c., si applicheranno le norme del codice civile (v., altresì, Cass. II, n. 2209/1975; Cass. II, n. 1155/1952).

Nella medesima prospettiva, la demolizione parziale dell'immobile cagionata da un provvedimento di espropriazione per pubblica utilità da parte della Pubblica Amministrazione esula dall'àmbito di applicazione della norma codicistica, non potendo essere assimilata al perimento parziale dell'edificio (Trabucchi, 1384; Alvino, 215).

Qualora, infine, il perimento dell'edificio sia imputabile al fatto illecito del terzo, potrebbe essere chiesto il risarcimento in forma specifica consistente nella ricostruzione dell'edificio, che, però, non sarebbe agevolmente conciliabile con il diritto di ciascun condomino di chiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali (ad avviso di Branca 1982, 384, il conflitto dovrebbe risolversi in favore della ricostruzione, in quanto vi sarebbe comunque la possibilità, con la condanna del terzo, di ricostituzione del condominio e prevarrebbe il favor verso di esso).

Fattispecie disciplinate

Orbene, l'art. 1128 c.c., nel regolare le conseguenze del perimento dell'edificio in condominio, prende in esame due differenti ipotesi che possono essere così schematizzate: da un lato, il perimento totale dell'edificio, o di una parte di esso che rappresenti almeno i tre quarti del valore dell'intero immobile, e, dall'altro, il perimento di parte dell'edificio avente un valore inferiore a tale soglia.

Tali ipotesi vanno esaminate partitamente in ragione delle diverse conseguenze giuridiche previste dalla norma in esame, evidenziando, sin d'ora, un trend verso un equo bilanciamento tra il favor alla ricostruzione dell'edificio e la tutela della posizione dei condomini dissenzienti (per un approfondimento della tematica, v. la lucida analisi di Salciarini, in Celeste – Salciarini, 363; tra i primi contributi dottrinari sull'argomento, Grosso, 1219; relativamente ad un profilo particolare della problematica, più di recente, Santersiere, 93).

Al riguardo, non si registrano molte pronunce della giurisprudenza e particolari attenzioni da parte della dottrina, giustificate, entrambe, dal fatto che le ipotesi di perimento dei fabbricati, più frequenti nei primi anni di vigenza del codice civile del 1942, specie a seguito dell'ultimo conflitto bellico, si sono diradate negli anni a noi più vicini, anche se l'argomento ha purtroppo acquistato una nuova linfa alla luce dei recenti fenomeni sismici (ultimo quello, di drammatica attualità, che ha colpito l'Abruzzo nel 2009 e il centro Italia nel 2016).

Perimento totale dell'edificio

Nel caso di perimento totale dell'edificio, o di una parte di esso il cui valore non sia inferiore ai tre quarti del totale – ipotesi equiparate dal codice civile quanto agli effetti – ad ogni condomino è attribuito il diritto di chiedere la vendita all'asta del suolo (comune) e dei materiali generati dal perimento, fatta salva l'eventuale presenza di un titolo contrario che, in esplicazione dell'autonomia contrattuale riconosciuta dall'ordinamento, abbia preventivamente regolato le conseguenze di un eventuale crollo dello stabile.

In applicazione dei principi generali, il titolo contrario potrebbe consistere sia in una convenzione ad hoc, sia in un regolamento condominiale, di origine contrattuale esterna o approvato all'unanimità dei partecipanti, che disciplini, in una delle sue clausole, l'ipotesi del perimento e della successiva ricostruzione (ad avviso di Salis 1959, 394, invece, la deroga varrebbe anche nell'ipotesi di regolamento non approvato all'unanimità, almeno per i condomini che l'hanno approvato).

La suddetta eventuale regolamentazione pattizia potrebbe alternativamente disporre sia l'obbligatorietà della ricostruzione dell'edificio, sia diverse modalità di vendita (per esempio, vendita a trattativa privata), sia l'obbligatorietà della divisione, sia diritti di prelazione a favore di taluno dei compartecipanti, o quant'altro ritenuto lecito convenire contrattualmente.

A questo punto, ci è posta la questione, nel caso si verifichi il perimento totale o parziale dell'edificio, se si registra una «reviviscenza» del condominio oppure opera il regime della comunione.

La risposta è articolata e presuppone un'analisi delle singole fattispecie.

La conseguenza del perimento totale dell'edificio è che il condominio viene meno, estinguendosi per mancanza del suo oggetto, e parimenti vengono meno anche i diritti reali esclusivi sulle singole porzioni immobiliari nonché il rapporto di servizio tra le parti comuni e le porzioni di proprietà esclusiva, non più esistenti: è evidente che, in tanto può sussistere un regime di condominio, in quanto sussista una relazione di accessorietà o strumentalità tra parti comuni e unità immobiliari esclusive (Nicolini, 21).

Per effetto del crollo, residua e sopravvive soltanto un regime di comunione pro indiviso tra gli ex condomini sull'area e sui materiali di risulta, in ragione dell'entità della quota a ciascuno di essi appartenente sull'edificio distrutto (nella giurisprudenza di merito, si segnala App. Firenze 18 giugno 1960).

Va, tuttavia, registrata una valutazione parzialmente differente della fattispecie, la quale pone l'attenzione sull'influenza spiegata, nella situazione conseguente al perimento, dall'antecedente situazione di condominialità (Cass. II, n. 1375/1979, ad avviso della quale la situazione giuridica degli ex condomini, nei rapporti fra loro e riguardo al suolo condominiale ed ai materiali di risulta, è condizionata dal preesistente diritto di proprietà condominiale, suscettibile di reviviscenza ove l'edificio venga ricostruito).

In dottrina, favorevoli all'applicazione della disciplina della comunione, si rivelano alcuni (Branca 1982, 535; Salis 1959, 329), mentre altri si dimostrano più propensi per la permanenza del condominio (Peretti Griva 1959, 159).

Dunque, dal venir meno del condominio discende conseguentemente l'inapplicabilità (sull'area e sui materiali di risulta) di tutta la relativa normativa (artt. 1117 ss. c.c.) e l'attrazione della situazione giuridica nell'àmbito della disciplina della comunione ordinaria (artt. 1110 ss. c.c.): in altri termini, l'area di risulta ed i materiali cadono in comunione ordinaria tra i comproprietari (già condomini) e qualsiasi operazione gestionale va compiuta applicando le relative norme.

In quest'ordine di concetti, ad esempio, qualora un comproprietario effettui una costruzione incidente sull'area di risulta, si configura un'innovazione rientrante nel disposto dell'art. 1108 c.c., da adottarsi solo con la maggioranza ivi prescritta (Cass. II, n. 1681/1970, ad avviso della quale se, a seguito della distruzione quasi totale di un edificio, uno dei condomini inizi la costruzione di un manufatto che utilizzi uno dei muri perimetrali e le fondazioni del vecchio edificio, non si tratta né di conservazione, che presuppone l'esistenza almeno parziale della cosa, né di modificazione necessaria per il miglior godimento della cosa comune, che postula il rispetto dell'attuale destinazione della stessa).

Nel caso, invece, di perimento parziale, il condominio persiste, seppur in parte, relativamente alle strutture sopravvissute, e qualsiasi decisione riguardo alla loro gestione rimane di integrale competenza dell'assemblea condominiale (Celeste, 604).

Il comma 1 dell'art. 1128 c.c. pone una regolamentazione delle conseguenze del perimento totale (o di parte rilevante) dell'edificio in condominio, sostanzialmente, su tre piani concorrenti: in primo luogo, attribuisce a ciascun condomino la facoltà di chiedere la vendita all'asta dell'area e dei materiali di risulta; inoltre, impedisce, specularmente all'attribuzione di cui sopra, l'esercizio del diritto di chiedere la divisione dell'area e dei materiali (come previsto, invece, in via generale per ogni situazione di comunione ordinaria, dall'art. 1111 c.c.); consente, infine, ad un titolo contrario, vale a dire ad una convenzione stipulata dall'unanimità dei condomini, di regolare diversamente gli esiti del perimento.

La ratio di tale impostazione deriva, probabilmente, dalla considerazione dei maggiori vantaggi che i condomini riceverebbero da una vendita all'asta dell'intero: quest'ultima (e non la divisione in natura) costituisce, dunque, l'esito principale al quale la norma intende far confluire la regolamentazione dei diritti dei condomini; secondo alcuni autori (Branca 1982, 535), la divisione è esclusa perché i materiali sono l'avanzo di cose che erano in parte proprietà comune ed in parte esclusiva dei condomini, mentre ad avviso di altri (Peretti Griva 1960, 380), la ragione della vendita all'asta va rinvenuta nella considerazione dell'aggravio economico della ricostruzione, ciò che non accade, invece, per le rovine inferiori ai tre quarti.

Qualora la parte residua, ossia inferiore ai tre quarti, consenta il permanere del condominio, continuando a sussistere parti comuni e porzioni esclusive – ad esempio, per il crollo solo di alcuni piani – appare ragionevole escludere il diritto del condomino a far vendere all'asta il suolo ed i materiali anche di tali parti, essendo contraddittorio costringere ad una vendita all'asta della parte residua, che è ancora utilizzabile, senza contare che la norma parla soltanto di vendita del suolo e dei materiali (in tal senso, Branca 1982, 537, aggiungendo che, delle parti comuni, continuerebbero ad essere condomini anche i proprietari delle parti crollate, ma essi non dovrebbero essere obbligati alla ricostruzione, e anzi potrebbero richiedere la vendita delle macerie ed eventualmente del suolo non occupato della parte rimasta).

Va precisato, però, che, nel caso in cui l'area, ove era edificato il condominio, sia oggetto di una riserva di proprietà a favore di un singolo soggetto, tale vendita all'asta potrebbe riguardare solo i materiali di risulta, restando l'area di edificazione in proprietà esclusiva del soggetto riservatario (svincolata, in conseguenza del crollo, dal vincolo di pertinenza a servizio delle unità immobiliari esclusive).

Gli stessi condomini, ovviamente, possono partecipare all'asta in veste di acquirenti; una volta effettuata la vendita all'asta, il ricavato dovrà essere diviso in ragione delle singole proprietà, pur distrutte, e non della differenza tra i rispettivi relitti.

L'esercizio del diritto di chiedere la vendita all'asta dei materiali, inoltre, costituendo facoltà rientrante nella sfera giuridica esclusiva del singolo, ed importando lo scioglimento della comunione, esorbita dalle competenze dell'amministratore e deve essere attuato autonomamente dall'ex condomino (Trib. Napoli 20 febbraio 1948).

Tale diritto non dovrebbe venir meno per il mancato esercizio, essendo il condominio cessato e sussistendo soltanto una comunione particolare (Rizzi – Rizzi, 304; contra, Peretti Griva 1960, 380, secondo il quale, permanendo il condominio, se nessuno dei condomini esercitasse il diritto de quo, vi sarebbe rinuncia tacita ad esso, ed i condomini sarebbero obbligati a ricostruire o a cedere i loro diritti); resta inteso che, a seguito dell'omissione per un tempo ragionevole, ogni condomino potrebbe ricostruire l'intero stabile o, quantomeno, della parte di sua proprietà esclusiva unitamente a quelle comuni o di proprietà degli altri condomini, se ciò risultasse necessario per il godimento di essa.

Come già anticipato sopra, tale diritto di chiedere la vendita all'asta (del suolo e dei materiali) è derogabile convenzionalmente e, quindi, può essere del tutto impedito, nel senso che sussiste sempre che non sia stato diversamente pattuito.

Il diritto di invocare la vendita all'asta del suolo e dei materiali è attribuito a ciascun singolo condomino ed è esercitato direttamente mediante richiesta all'autorità giudiziaria – essendo competente territorialmente il giudice del luogo dove si trovava l'immobile perito – senza bisogno di collaborazione o consenso da parte dei restanti condomini, ed addirittura anche in opposizione ad essi, trattandosi pur sempre di uno scioglimento forzoso della comunione dei beni, troveranno applicazione gli artt. 784 ss. c.p.c. (Calbi, 1206); e ciò diversamente per quanto riguarda la divisione di tali beni (area e materiali), la quale può essere attuata solo a condizione che sia raggiunta l'unanimità dei consensi.

La fattispecie di divisione consensuale dell'area e dei materiali risultanti dal perimento dell'edificio condominiale non si distingue, infatti, dall'ordinaria ipotesi di divisione dei beni in comunione, la quale, a norma degli artt. 1111 ss. c.c., può avvenire, appunto, solo con il consenso di tutti i comproprietari; la particolarità dell'ipotesi de qua risiede nel solo fatto che la divisione non è più un diritto attribuito a ciascun comunista ex art. 1111, comma 1, c.c., persistendo, per il resto, la medesima disciplina (Garutti, 808; Salis 1980, 537).

Va, incidentalmente, osservato che la facoltà di chiedere la vendita all'incanto è già prevista, sebbene come alternativa, nella disciplina della divisione (art. 720, ultima parte, c.c.); in conseguenza di ciò, la divisione consensuale può essere effettuata sia in natura ai sensi dell'art. 1114 c.c., sia, nel caso di immobili non divisibili, con attribuzione dell'intero ed addebito dell'eccedenza ex art. 720 c.c., applicabile in forza del richiamo di cui all'art. 1116 c.c. (Cass. II, n. 446/1994).

Ricostruzione dello stabile

In maniera opposta alla fattispecie della divisione, ma perfettamente speculare ad essa, si mostra l'ipotesi di ricostruzione dell'edificio ad opera della totalità degli ex condomini.

Si ribadisce la ratio, sostanzialmente economica, della norma codicistica, la quale, nel caso di perimento totale o di parte rilevante (almeno tre quarti) dello stabile condominiale, ritiene non imponibile, al singolo condomino, la ricostruzione dell'immobile, in ragione del fatto che la medesima comporta necessariamente, a carico del patrimonio personale del singolo, una significativa decurtazione pecuniaria (ulteriore, tra l'altro, a quella derivante dal crollo).

In buona sostanza, si considera che tale ricostruzione comporti necessariamente, in capo al condomino, un esborso di entità tale da non potergli essere imposto senza il suo consenso, sicché la stessa è possibile solo all'unanimità dei condomini, ed il singolo partecipante dissenziente non potrebbe essere costretto a partecipare alla nuova iniziativa (v., ex multis, Cass. II, n. 1075/1958).

Si è ritenuto, in proposito, che non si possa deliberare a maggioranza la ricostruzione dell'edificio perito in toto o in una parte rilevante, in quanto l'eventuale decisione di ricostruire l'immobile perito non potrebbe essere presa in base al procedimento assembleare, sia perché il condominio si è estinto, sia perché una deliberazione basata sul principio maggioritario non è lo strumento idoneo per pervenire all'unanimità dei consensi (tra le pronunce di merito, v. Trib. Napoli 9 luglio 1987, ad avviso del quale, poiché la ricostruzione di un edificio totalmente perito, a causa di evento sismico, implica necessariamente un'ingerenza sulle cose di proprietà esclusiva dei singoli, non è applicabile l'art. 1136 c.c., non potendo essere decisa, né tanto meno imposta, dalla volontà del condominio la ricostruzione dell'appartamento del condomino, sicché la deliberazione eventualmente adottata è viziata da eccesso di potere o, quanto meno, vincola i soli condomini consenzienti, salva la possibilità di ricorrere al giudice per costringere i dissenzienti a cedere i loro diritti); rimane salva l'applicazione di singole ipotesi derogatorie contemplate nella legislazione speciale: ad esempio, si è affermato che la speciale normativa di cui all'articolo 12 della l. 14 maggio 1981, n. 219 (sugli interventi a seguito degli eventi sismici del novembre e febbraio 1981), laddove sancisce la validità delle deliberazioni condominiali relative all'opera di ricostruzione o riparazione degli immobili colpiti dal terremoto se approvate con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136 c.c., è applicabile nella sola ipotesi di ricostruzione che assicuri il rispetto del precedente equilibrio tra i vari piani dell'edificio (Cass. II, n. 24956/2008: nella specie, si era riformata la sentenza di merito, che aveva ritenuto valida la deliberazione assembleare adottata con le maggioranze previste dall'art. 1120 c.c. per le innovazioni consentite, in presenza di una ricostruzione comportante una sopraelevazione a mezzo di un aumento di volumetria e di ampiezza del piano sottotetto, di proprietà esclusiva del condomino proprietario dell'ultimo piano).

Riguardo alla qualificazione dell'invalidità di una deliberazione di ricostruzione non unanime, si ritiene che qualora, in caso di perimento totale dell'edificio, l'assemblea ne decida la ricostruzione nonostante il dissenso di uno dei condomini, la relativa statuizione va considerata radicalmente nulla, ma, a ben vedere, tale decisione non configura affatto una deliberazione assembleare – per il motivo già esplicitato – consistendo, invece, in un ordinario atto negoziale vincolante per i soli dichiaranti/stipulanti, sicché, a stretto rigore, non sarebbe necessaria nemmeno una rituale impugnazione da parte dei condomini dissenzienti (Cass. II, n. 4900/1987; Cass. II, n. 2988/1974).

La normativa sul perimento e sulla ricostruzione – come sopra accennata – non può, tuttavia, essere compresa appieno se non effettuando un collegamento (ed un coordinamento) con il diritto, pacificamente riconosciuto a ciascun condomino, di ricostruire la propria porzione esclusiva.

A tale proposito, si è rilevato, innanzitutto, che un'analisi della disciplina dell'art. 1128 c.c. porta ad affermare che il diritto di ricostruire è prevalente rispetto a qualsiasi altro diritto o interesse: esso va ritenuto preponderante sia nei confronti della facoltà di chiedere la vendita all'asta sia rispetto a qualsiasi comportamento di opposizione (Basile, 8).

Il dato testuale su cui si basa tale impostazione è costituito dall'ultimo comma della suddetta norma – in base al quale «il condomino che non intende partecipare alla ricostruzione dell'edificio è tenuto a cedere agli altri condomini i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà...» – sicché, qualora il singolo voglia effettuare la ricostruzione del condominio (per quanto riguarda i beni comuni e quelli di proprietà esclusiva), può farlo prevalendo sia su coloro tra i condomini che chiedano la vendita all'asta dell'area e dei materiali, sia su coloro che frappongano comportamenti di inerzia, imponendo, a questi ultimi, la cessione coattiva dei lori diritti, in seguito al crollo consolidatisi solo in una quota di comproprietà del suolo e dei materiali medesimi (Cass. II, n. 4414/1977; sul punto, Cass. II, n. 23333/2006 ha avuto modo di precisare che, nell'ipotesi di perimento dell'edificio in condominio, il rifiuto del condomino a partecipare alla ricostruzione, quale presupposto per ottenere, da parte degli altri condomini, la cessione coattiva della sua quota, ai sensi dell'art. 1128, comma 4, c.c., deve manifestarsi o nella richiesta di vendita del suolo o in una netta opposizione a ricostruire l'edificio ed a sopportare la relativa spesa, non essendo sufficiente, a tal fine, un comportamento meramente inerte o una semplice divergenza in ordine alle caratteristiche del nuovo edificio: nella specie, si era confermata la sentenza del giudice di merito, che aveva escluso che la volontà del condomino di procedere alla ricostruzione soltanto a condizione che essa fosse conforme all'edificio preesistente e sulla base di un preciso preventivo di spesa integrasse un rifiuto alla ricostruzione, tale da legittimare gli altri condomini alla richiesta di cessione coattiva).

A ciò va aggiunto che il diritto di ricostruire comprende non solo la ricostruzione della porzione di piano esclusiva, ma anche di tutte quelle strutture comuni (beni e impianti) che siano necessari all'esistenza ed alla fruizione delle unità immobiliari private (Cass. II, n. 5762/1980); ne consegue, pertanto, che la disciplina della riedificazione non può non tenere conto della sussistenza di tale prevalente diritto e, soprattutto, della sua interferenza sugli aspetti operativi dell'effettiva ricostruzione dell'immobile.

Una volta acquisito il riconoscimento, in capo al singolo condomino, di tale diritto alla ricostruzione, si pone il problema della sua natura giuridica, ovvero della sua qualificazione al fine di determinarne i concreti effetti, dal medesimo spiegati, nei rapporti tra i soggetti interessati.

Al riguardo, si afferma che il diritto a ricostruire costituisca esplicazione della situazione conseguente al crollo e, in particolare, della situazione di comunione pro indiviso sull'area (e sui materiali di risulta); si ritiene che il medesimo diritto rappresenti una facoltà compresa del diritto di comproprietà sull'area e, in quanto tale, non soggetta ad autonoma prescrizione, secondo il principio generale per cui in facultativis non datur praescriptio (v., ex plurimis, Cass. II, n. 15482/2012; Cass. II, n. 1375/1979); pertanto, se l'edificio condominiale perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, senza che nessun condomino richieda la vendita all'asta del suolo e dei materiali, a norma dell'art. 1128 c.c., il diritto di ciascun condomino alla ricostruzione dell'edificio non viene meno per mancato esercizio, non potendosi estendere, all'ipotesi in esame, la prescrizione ventennale per non uso prevista dall'art. 954 c.c. per il diverso diritto di costruire un edificio su suolo altrui.

Un'eventuale estinzione di tale facoltà (di ricostruzione) non potrebbe avvenire che unitamente all'estinzione del diritto soggettivo di cui costituisce manifestazione, ossia del diritto di comproprietà.

La ricostruzione dell'edificio, pertanto, non avviene quale esplicazione di un diritto di superficie, ossia del diritto di realizzare una costruzione su suolo altrui, previsto dall'art. 952 c.c.: il suolo, infatti, non appartiene a soggetti estranei ma agli stessi soggetti ricostruenti (ex condomini).

Diversamente potrebbe dirsi qualora l'area sulla quale sorgeva l'edificio risultasse, per apposita convenzione, di proprietà di un soggetto diverso dagli ex condomini: in tal caso, l'esercizio del diritto di ricostruire, piuttosto che esplicazione di una facoltà compresa nel diritto di comproprietà (e, per questo, imprescrittibile), costituirebbe esplicazione di un diritto di superficie, il quale, in quanto tale, è sottoposto all'estinzione a causa del non uso protratto per vent'anni; peraltro, il fenomeno dell'estinzione per non uso corrisponde ad una normale caratteristica dei diritti reali gravanti su bene in proprietà altrui, per i quali, appunto, è previsto come regola generale (v., ad esempio, l'art. 954, ultimo comma, c.c. nel caso del diritto di superficie, nonché gli artt. 970,1014,1026 e 1073 c.c., per quanto riguarda gli altri diritti reali in re aliena, ossia il diritto di enfiteusi, il diritto di usufrutto, i diritti di uso e abitazione nonché il diritto di servitù).

Considerato che la ricostruzione non può avvenire se non con il consenso dei condomini e che, inoltre, ben può essere limitata ai soli condomini consenzienti, l'ordine con il quale effettuare la ricostruzione dei vari piani (o porzioni di piano) non può che discendere dall'effettiva composizione della compagine dei condomini ricostruenti.

In pratica, quanti e quali piani ricostruire, e con quale ordine, dipende direttamente dal numero e dalla qualità dei condomini disposti ad effettuare l'operazione; ne consegue che la costruzione dovrà essere possibilmente realizzata con le stesse originarie caratteristiche, fatta salva l'impossibilità derivante dalla mancata adesione di taluni aventi diritto (per una fattispecie particolare, v. Cass. II, n. 2516/1956).

Qualora, poi, l'intera compagine condominiale disponga, all'unanimità, la ricostruzione dell'edificio, il condominio rivive con la medesima conformazione giuridica, di diritti e di obblighi (di recente, v. Cass. II, n. 6198/2011; tra le pronunce di merito, si segnala App. Firenze 24 ottobre 1960).

Gli effetti giuridici della ricostruzione, tuttavia, sono diversi a seconda che lo stabile venga riedificato con la medesima struttura oppure si proceda a modifiche o innovazioni.

Nel primo caso, siamo di fronte ad una vera e propria «reviviscenza» del condominio con redistribuzione delle unità immobiliari in proprietà esclusiva agli originali proprietari, in base agli stessi diritti e quantità in precedenza possedute – in buona sostanza, salvo la sua contraria volontà, ciascun partecipante acquisterebbe la medesima proprietà che gli apparteneva nell'edificio distrutto – mentre, nel secondo, l'esito della reviviscenza viene impedito, invece, dallo spiegarsi degli effetti dell'accessione la quale, al contrario, produce il nascere di una comunione pro indiviso sulla nuova costruzione (De Tilla 1999, 817).

In quest'ordine di concetti, si è precisato (Cass. II, n. 3933/1989) che, in caso di ricostruzione dell'edificio, anche se di volumetria superiore a quella del precedente (nella specie, per realizzazione di una sopraelevazione), per il principio dell'accessione di cui all'art. 934 c.c., ciascuno dei comunisti acquista la proprietà di una quota ideale di esso corrispondente a quella spettantegli sul suolo, a meno che gli effetti dell'accessione, prima del loro verificarsi, non siano esclusi o modificati in conseguenza di accordo tra le parti (il principio è stato, poi, confermato da Cass. II, n. 10314/1991; ancora più di recente, v. Cass. II, n. 1543/1999).

Secondo i principi generali, l'edificio, ricostruito in maniera difforme dall'originario stabile in condominio, costituendo – come sopra rilevato – l'oggetto di una comunione ordinaria pro indiviso tra i comproprietari dell'area, ben può tornare a configurare un edificio in condominio in conseguenza della stipulazione di un negozio di divisione il quale assegni in proprietà separata i piani o le porzioni di piano (tra i contributi sull'argomento, Apicella, 37; Palombella 2011; Dogliotti – Figone, 297).

L'ipotesi di reviviscenza del condominio, tuttavia, non è pacifica in giurisprudenza.

Secondo un orientamento (Cass. II, n. 3933/1989, cit.), l'edificio ricostruito – a prescindere dalla corrispondenza, o meno, della sua struttura attuale con quella dell'edificio originario – entrerebbe a far parte dell'oggetto della comunione pro indiviso sull'area, in esplicazione del principio generale di accessione (art. 934 c.c.), in base a cui una proprietà preesistente (il suolo) attira nella sua orbita altri beni (l'edificio ricostruito), i quali, in precedenza, ne erano estranei.

La Suprema Corte ha, più recentemente, confermato tale preferenza per lo spiegarsi degli effetti della comunione, precisando che il condominio nasce solo quando i comunisti individuano gli appartamenti di proprietà esclusiva di ciascuno di essi, con un'operazione negoziale che assume la portata di una vera e propria divisione; ne consegue che la nuova costruzione sarà soggetta esclusivamente alla disciplina dell'accessione e la sua proprietà apparterrà ai comproprietari dell'area di risulta in proporzione delle rispettive quote (Cass. II, n. 11201/1996, sia pure con riferimento alle conseguenze fiscali; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Nocera Inferiore 6 marzo 2005; in particolare, secondo Cass. II, n. 12775/2008, il perimento, totale o per una parte che rappresenti i tre quarti dell'edificio condominiale, determina l'estinzione del condominio per mancanza dell'oggetto, in quanto viene meno il rapporto di servizio tra le parti comuni mentre permane tra gli ex condomini soltanto una comunione pro indiviso dell'area di risulta, potendo la condominialità essere ripristinata solo in caso di ricostruzione dell'edificio in modo del tutto conforme al precedente, conseguendone che, in caso di ricostruzione difforme, la nuova costruzione sarà soggetta esclusivamente alla disciplina dell'accessione e la sua proprietà apparterrà ai comproprietari dell'area di risulta in proporzione delle rispettive quote: nella fattispecie, riguardante un palazzo andato distrutto a causa dei bombardamenti nell'ultimo conflitto bellico, si era confermata la pronuncia di secondo grado che aveva escluso il diritto alla sopraelevazione in capo ad uno dei comproprietari, perché la nuova costruzione era stata edificata con un piano in meno rispetto alla precedente, e non poteva applicarsi il regime giuridico del condominio; cui adde, da ultimo, Cass. II, n. 21716/2020, ad avviso della quale la situazione di condominio potrebbe ripristinarsi solo allorché i comunisti individuino gli appartamenti di proprietà esclusiva di ciascuno di essi, con un'operazione negoziale che assume la portata di una vera e propria divisione).

Appare, invece, alquanto macchinosa la tesi sostenuta da una pronuncia di merito (Trib. Genova 19 gennaio 1959), secondo la quale, con la ricostruzione del nuovo edificio, non si ricostituirebbero condominio e proprietà separata, ma una «quota ideale», per ciascun condomino, di tutto l'edificio, corrispondente ai millesimi di proprietà sull'immobile distrutto, con la conseguenza che, per sciogliere tale comunione e far risorgere il condominio, sarebbe necessario un atto sottoscritto da tutti i condomini.

Sull'argomento, affrontando una fattispecie particolare, i magistrati di Piazza Cavour (Cass. II, n. 9547/2018) hanno affermato che l'amministratore delle unità minime di intervento (c.d. UMI), costituite ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 76 del 1990, con riferimento agli immobili distrutti o da demolire o da riparare in conseguenza degli eventi sismici di cui al medesimo decreto, è legittimato, sia attivamente che passivamente, per tutto quanto concerne l'esecuzione dei lavori di ricostruzione o riparazione oggetto delle deliberazioni adottate dal condominio, nei medesimi termini in cui lo è l'amministratore di un condominio di edificio, avendo l'art. 15 cit. l'unico fine, acceleratorio e semplificatorio, di rendere applicabile la disciplina codicistica del condominio, quanto alle deliberazioni ed alla rappresentanza delle UMI, sol che sussistano le condizioni previste dalla legge speciale per la ricostruzione ed indipendentemente dalla sussistenza o meno delle condizioni previste dagli artt. 1117 ss. c.c. per la costituzione del condominio (in una fattispecie analoga, Cass. II, n. 14899/2013 ha chiarito che l'amministratore del condominio costituito convenzionalmente, ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. 30 marzo 1990, n. 76, per gli immobili distrutti o da demolire o da riparare in conseguenza degli eventi sismici di cui al medesimo decreto, è legittimato passivamente in relazione alle controversie concernenti l'esecuzione dei lavori di ricostruzione o riparazione oggetto delle delibere adottate dal condominio stesso, essendo ciò conforme alle ragioni acceleratrici della normativa sulla ricostruzione, che postulano un amministratore munito dei poteri di rappresentanza di cui all'art. 1131 c.c.).

Condomino dissenziente

In conseguenza di quanto sopra, il condomino che non intende ricostruire non può porre in essere comportamenti ostruzionistici, utilizzando strumentalmente le caratteristiche strutturali dell'edificio e la posizione in esso della sua porzione di piano esclusiva perita (di contro, Cass. II, n. 2277/1952, ha puntualizzato che un condomino può legittimamente intraprendere la ricostruzione dell'edificio, ivi compresi i muri maestri del piano sottostante, senza preventiva deliberazione dell'assemblea o autorizzazione del proprietario del piano inferiore, sicché quest'ultimo non può ostacolare la ricostruzione dell'edificio, ma solo cedere i propri diritti ad altri condomini).

In quest'ottica, è stato reputato ricadente nel divieto di atti emulativi ex art. 833 c.c., l'atto di opposizione alla ricostruzione posto in essere da un condomino senza una sua, pur minima, utilità, in considerazione, tra l'altro, della funzione sociale della proprietà ex art. 42 Cost. (App. Napoli 23 ottobre 1985, aggiungendo che l'utilizzazione dei beni non è un fatto che riguarda solo l'individuo, sicché il limite generale ex art. 833 c.c. comporta la negazione di tutela degli atti di esercizio della proprietà, quando, da un lato, rileva il danno di chi subisce l'atto e, dall'altro, è manifesta l'assenza di utilità dell'autore del medesimo).

In accordo con l'inquadramento della disciplina come sopra delineato, il condomino, che non vuole partecipare alla ricostruzione dell'edificio in condominio, è obbligato a cedere i suoi diritti ai condomini, i quali, al contrario, intendono procedere alla ricostruzione sopportandone integralmente i costi: dunque, per un verso, si persegue l'esigenza di costruire, con deliberazione a maggioranza, seppur qualificata, che vincola tutti i condomini, e, per altro verso, si tutela la posizione del singolo dissenziente, il quale non è tenuto alle spese di ricostruzione (v., al riguardo, le recenti puntualizzazioni di Cass. II, n. 15928/2007; sul versante della giurisprudenza di merito, v. Trib. Napoli 20 giugno 1987; App. Palermo 31 ottobre 1980).

La suddetta cessione obbligatoria riguarda i diritti che il singolo condomino (non ricostruente) vanta sui beni risultanti dal crollo, vale a dire sull'area e sui materiali: in altri termini, il condomino che non ricostruisce è tenuto a cedere la sua quota-parte sul bene attuale, e di tale obbligo costituisce diretta e speculare conseguenza l'onere imposto ai condomini ricostruenti di acquistare i corrispondenti diritti (Salis 1961, 253).

La fattispecie rientra nel classico schema giuridico dell'onere, che si configura quando l'esercizio di un potere (di ricostruire) attribuito ad un soggetto (i condomini ricostruenti) è condizionato all'adempimento di un obbligo (l'acquisto della quota-parte dei diritti): in buona sostanza, sussiste l'onere per gli altri condomini di ricevere i diritti sulla proprietà del rinunciante, pagandone il valore, precisandosi che tale facoltà spetta solo ai condomini dissenzienti o assenti all'assemblea che hanno deliberato la ricostruzione e non a quelli che l'hanno approvata.

Si ritiene che l'operazione di ricostruzione/cessione sia liberamente conformabile da parte degli aventi diritto, con la conseguenza che sarebbe pienamente lecito, per il proprietario di più unità immobiliari, procedere ad una ricostruzione parziale, alienando solo una parte dei suoi diritti (cessione parziale), ossia cedere anche uno solo, rimanendo così liberato dalle spese di ricostruzione della parte ceduta (Branca 1968, 2727, il quale, stante che il condomino fosse proprietario di un solo piano, sarebbe liberato con la cessione del suo diritto, si chiede allora perché imporre al proprietario di più piani la cessione di tutti i suoi diritti, potendo valutare opportuna la partecipazione alla ricostruzione con una quota più limitata).

A questo punto, è opportuno interrogarsi se sia possibile che la cessione dei diritti, da parte del condomino che non intende ricostruire, possa avvenire a favore di soggetti terzi.

La giurisprudenza ha dato risposta affermativa, nel senso che la cessione dei diritti, da parte del condomino che non intende ricostruire, possa avvenire sia a favore di soggetti terzi – ad esempio, qualora la compagine condominiale non sia interessata all'acquisto – sia a favore di alcuni soltanto dei condomini, con facoltà di scelta attribuita al soggetto cedente (Cass. II, n. 1328/1949, precisando che i successori del condomino, a titolo particolare o universale, sarebbero obbligati alla cessione, a meno che intendano partecipare alla ricostruzione; riconosce, in capo al condomino cedente, la facoltà di preferire taluni tra i possibili cessionari anche Cass. II, n. 4900/1987, cit.).

In dottrina, solo una voce minoritaria (Guidi, 205) esclude la possibilità della cessione a terzi, sostenendo che gli altri condomini potrebbero far annullare l'atto di vendita, evidentemente considerando il diritto di natura reale.

L'opinione maggioritaria è, invece, nel senso che sussiste un'obbligazione propter rem, sicché il cedente è tenuto solidalmente con il cessionario a contribuire alle spese della ricostruzione già deliberata, in parziale deroga al regime di cui all'attuale art. 63 disp. att. c.c. (v., tra gli altri, Branca 1982, 549, il quale precisa che, se, pur non essendo i condomini interessati all'acquisto, il dissenziente non potesse o non volesse vendere ad un terzo, si ammette la rinuncia al proprio diritto, sicché la maggioranza dovrebbe provvedere alla ricostruzione ed il rinunciante non sarebbe più costretto a contribuirvi).

Tuttavia, qualora alcuni condomini avessero già richiesto di acquistare i diritti del condomino dissenziente, l'alienazione sarebbe inefficace nei loro confronti, ma se nessun condomino fosse intenzionato all'acquisto, allora il dissenziente potrebbe vendere ad un terzo, liberandosi della sua obbligazione, ed il terzo, entrando nel condominio, sarebbe obbligato a contribuire alle spese della suddetta ricostruzione.

Va puntualizzato, inoltre, che, nonostante la norma preveda che il condomino dissenziente «è tenuto» a cedere i suoi diritti, inducendo a configurare una cessione coattiva, l'obbligazione di cedere (e il corrispondente onere di acquistare) non spiegano i loro effetti automaticamente; al fine di attuare effettivamente la cessione, quindi, sarà necessario, essendosi in presenza di atti dispositivi di diritti reali, procedere alla stipulazione di un atto scritto, nelle alternative forme della scrittura privata, della scrittura privata autenticata o dell'atto pubblico, occorrendo comunque un documento ad hoc in cui le parti manifestino per iscritto la relativa volontà di cessione, non essendo sufficiente all'uopo che, nel progetto di ricostruzione o nel contratto di appalto, il diritto del condomino risultasse attribuito ad altri.

Attesa tale sua natura, l'obbligazione di cedere appare, altresì, pienamente attuabile in maniera coattiva in base all'art. 2932 c.c., per cui, in tal caso, la cessione sarà posta in essere a mezzo di una sentenza costitutiva che dia esecuzione all'obbligo di vendere imposto dalla legge al condomino dissenziente (tra le prime pronunce, v. Cass. II, n. 1328/1949, cit.; più di recente, v. Cass. II, n. 4777/1978; sulla particolare cessione dei diritti da parte di un minore e della conseguente necessità dell'intervento autorizzativo del giudice, v. Cass. II, n. 782/1962).

La cessione dovrà avvenire «secondo la stima che ne sarà fatta», come espressamente recita l'ultimo comma dell'art. 1128 c.c.; la mancanza di ulteriori specificazioni in ordine alla stima dell'oggetto della cessione, autorizza ad opinare che i condomini, nella qualità di cedenti e di cessionari, godono della massima libertà possibile relativamente alle modalità di effettuazione della stima stessa: pertanto, si potrà procedere a stima consensuale tra le parti o a perizia contrattuale ai sensi dell'art. 1349 c.c., oppure si potrà compromettere la questione in arbitri o, infine, chiedere l'intervento dell'autorità giudiziaria.

Perimento di parte non rilevante dell'edificio

Qualora il perimento dell'edificio interessi una parte non rilevante dello stesso (di valore inferiore ai tre quarti del totale), l'assemblea, nel rispetto dell'ordinario procedimento di formazione della volontà condominiale ed adempiendo alle formalità cronologicamente ordinate – convocazione, discussione, votazione, verbalizzazione, comunicazione del verbale – può deliberare la ricostruzione del condominio.

In questo caso, il condominio non cessa di esistere, come nell'ipotesi di perimento totale, nella quale si configura esclusivamente una comunione ordinaria pro indiviso sull'area, ma si concentra sulle strutture sopravvissute; del resto, se residua una parte dell'edificio, trattandosi di alcune cose comuni e, seppur parzialmente, di alcune proprietà individuali, rispetto a tale parte permane il condominio ed i titolari delle cose comuni continuano ad essere anche i proprietari della parte distrutta.

Sopravvivendo il condominio, seppur ristretto ad un complesso di porzioni immobiliari di inferiore consistenza, l'assemblea condominiale conserva la sua competenza sulla gestione dei beni ed impianti comuni e, di conseguenza, è in grado di deliberare validamente sulla ricostruzione delle parti comuni.

Anche in tale ipotesi, tuttavia, lo strumento maggioritario non può incidere sui diritti esclusivi dei singoli e, pertanto, nessuna deliberazione vincolante può essere presa in ordine alla ricostruzione delle parti esclusive, la quale può essere effettuata solo spontaneamente, ed in conformità alla precedente estensione e conformazione della porzione di piano perita, da parte del singolo proprietario esclusivo, nonché a tutta sua cura e spese (Cass. II, n. 3102/1955, la quale, peraltro, sostiene che un eventuale obbligo di ricostruzione in capo al singolo condomino è difficilmente giustificabile, atteso che l'obbligatorietà della ricostruzione deliberata dall'assemblea riguarda, di norma, solo le parti comuni dell'edificio, ed importa per il condomino l'obbligo di ricostruire anche il proprio appartamento solo se, in mancanza, si rendesse impossibile la riedificazione delle suddette parti comuni; cui adde Cass. II, n. 4777/1978, cit.).

Insoluto appare il problema relativo alla configurazione, o meno, di un obbligo alla ricostruzione a carico dell'assemblea.

La giurisprudenza, in alcune remote pronunce, ha ravvisato la sussistenza di tale obbligo a carico del supremo organo gestorio: infatti, qualora il perimento di un edificio non raggiunga i tre quarti del suo valore, ciascun condomino può esigere che le parti comuni crollate siano ricostruite e, in tal caso, l'assemblea, anche se in essa si rinvenga il voto favorevole della maggioranza qualificata ex art. 1136 c.c., non può decidere, salvo che tutti i condomini siano d'accordo, la totale demolizione dell'edificio e la sua ricostruzione ex novo, oppure la vendita al suolo e dei materiali, ma deve deliberare la riedificazione delle parti comuni (Cass. II, n. 2767/1968; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Napoli 29 ottobre 1947, secondo il quale se l'assemblea decidesse la demolizione, la deliberazione sarebbe nulla, ma il giudice non potrebbe comunque ordinare la ricostruzione e fissare un termine per l'esecuzione).

Ad avviso di alcuni (Visco 1967, 666), non si potrebbe obbligare il condomino a ricostruire il proprio appartamento, a meno che, in mancanza, si renda impossibile la ricostruzione delle parti comuni, non escludendo la possibilità che, deliberando la riedificazione, l'assemblea possa disporre innovazioni, cui si applicherebbe la relativa disciplina.

Una parte della dottrina ritiene, invece, che, dalla lettera della legge, non possa essere desunta con certezza la sussistenza a carico dell'assemblea di un obbligo di ricostruzione (Branca 1982, 543, secondo il quale l'assemblea è libera di decidere di ricostruire o meno l'edificio, altrimenti, se l'assemblea fosse sempre «tenuta» alla ricostruzione, non sarebbe affatto necessaria una deliberazione e, per giunta, a maggioranza qualificata); tra l'altro, dall'intero sistema normativo condominiale, si evince la regola che l'assemblea non è vincolata nel merito della gestione della cosa comune, e, per di più, lo stabilire una maggioranza qualificata per la riedificazione (art. 1128, comma 2, c.c.) equivale ad affermare, implicitamente, la possibilità che tale maggioranza non sia raggiunta e che, quindi, non sia deliberata alcuna ricostruzione.

Peraltro, in mancanza di una decisione dell'organo gestorio in tal senso, ciascun condomino potrebbe ricostruire il proprio piano a sue spese, come pure le parti comuni necessarie al godimento della sua proprietà esclusiva, ovviamente nel rispetto delle preesistenti caratteristiche statico-estetiche, in modo che ciascun altro condomino possa fare altrettanto e, comunque, far uso delle medesime parti comuni; se, poi, il singolo intraprendesse la ricostruzione dell'edificio senza la preventiva autorizzazione assembleare – a giudizio di Cass. II, n. 2277/1952, cit. – gli altri condomini e, in particolare, il proprietario del piano sottostante a quello del condomino «ricostruttore», non potrebbero opporsi, ma semmai cedere i propri diritti o partecipare alla spesa, ma soltanto, essendo mancati i consensi e l'autorizzazione, nei limiti del puro valore dell'opera.

In proposito, una parte della dottrina (Branca 1953, I, 301) sostiene che ciascun condomino possa opporsi, altrimenti non avrebbe alcun senso la previsione di una deliberazione assembleare, mentre, solo qualora l'opera fosse eseguita senza opposizione, i condomini dovrebbero rimborsare, nei limiti del loro arricchimento, le spese del costruttore.

La giurisprudenza si è anche espressa nel senso che la ricostruzione, effettuata da un condomino, non comporta alcun trasferimento automatico di proprietà (Cass. II, n. 2206/1976).

Comunque, in caso di perimento dell'edificio per una parte inferiore ai tre quarti del suo valore, la deliberazione che approva la ricostruzione è vincolante per tutti i condomini – consenzienti, dissenzienti, astenuti e assenti, in proporzione ai loro diritti sulle parti comuni – obbligandoli a partecipare alle relative spese, dalle quali possono sottrarsi cedendo i loro diritti; del resto, permane il regime di condominio anche per i condomini le cui parti sono andate distrutte (Trib. Firenze 13 maggio 1957).

Qualora sia impossibile ottenere una pronuncia dell'assemblea, da adottarsi con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., che autorizzi, ai sensi del comma 2 dell'art. 1128 c.c., la ricostruzione delle parti comuni dell'edificio perito per meno di tre quarti del suo valore – ipotesi diversa, quindi, da una deliberazione negativa – si ritiene che non possa essere esperito il procedimento previsto dall'art. 1105, ultimo comma, c.c. nel caso di stallo dell'amministrazione dei beni (e applicabile al condominio in virtù del richiamo operato dall'art. 1139 c.c.); in proposito, si è puntualizzato (Cass. II, n. 5762/1980, cit.) che il ricorso all'autorità giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione è precluso perché si tratta di controversia sull'esistenza e sull'estensione di diritti soggettivi esclusivi, necessariamente coinvolti dal contrasto in ordine alla ricostruzione delle parti comuni, la quale deve essere decisa in sede contenziosa.

In senso conforme, si è espressa la dottrina (Branca 1982, 545), evidenziando come il ricorso ex art. 1105, comma 4, c.c. sia inammissibile anche perché, nella specie, non si tratterebbe di amministrazione ordinaria.

Ovviamente, la deliberazione si rende necessaria anche per la determinazione delle concrete modalità attuative della ricostruzione: infatti, l'assemblea, mentre è tenuta a deliberare la ricostruzione, rimane pur sempre libera di decidere, nella pienezza dei suoi poteri discrezionali, «circa» la ricostruzione – come testualmente si esprime il comma 2 dell'art. 1128 c.c. – ossia sulle modalità (tecniche, statiche, estetiche), sui tempi e sulle spese della riedificazione, tanto che l'art. 1136 c.c. richiede all'uopo espressamente una maggioranza qualificata, senza che il giudice possa ordinare la ricostruzione delle parti comuni perite, sindacando il merito, l'opportunità e l'equità della deliberazione (Cass. II, n. 2767/1968, cit.; tra le pronunce di merito, v. Trib. Termini Imerese-Corleone 13 febbraio 2007; Trib. Milano 14 settembre 1992).

La suddetta deliberazione deve essere assunta – non con il consenso di tutti i condomini, bensì – con la maggioranza prevista dal comma 2 dell'art. 1136 c.c. (almeno la metà del valore dell'edificio e la maggioranza degli intervenuti), giusta l'esplicita indicazione testuale contenuta nel comma 4 dello stesso articolo, che richiama appunto le decisioni assembleari attinenti alla ricostruzione dell'edificio.

Sul punto, la dottrina (Salis 1959, 378) ritiene che il calcolo della maggioranza debba essere effettuato secondo la quota millesimale originariamente spettante ai condomini e non, quindi, secondo una quota millesimale rapportata all'attuale consistenza dell'immobile.

Premesso quanto sopra, la ricostruzione dell'edificio, nell'ipotesi di perimento di parte non rilevante ex art. 1128, comma 2, c.c., comporta le stesse conseguenze giuridiche illustrate a proposito della ricostruzione volontaria, ad opera dei condomini, dell'intero edificio o di parte rilevante di esso (oggetto di dettagliata disamina da parte di Salciarini, in Celeste – Salciarini, 365).

Ne deriva, anche in tale ipotesi, che:

a) la ricostruzione della porzione di piano esclusiva non può essere imposta al singolo condomino, essendo la deliberazione assembleare vincolante esclusivamente riguardo alla riedificazione dei beni ed impianti comuni;

b) nel caso di mancata ricostruzione da parte di taluni condomini della porzione esclusiva di loro proprietà esclusiva, costoro sono tenuti a cedere i loro diritti agli altri condomini ricostruenti, con facoltà, da parte dei cedenti, sia di scegliere gli eventuali cessionari, sia di cedere a terzi, sia di cedere parzialmente, a seguito, per esempio, della riedificazione di uno solo dei due piani precedentemente posseduti (Cass. II, n. 23333/2006; tra le pronunce di merito, v. Trib. Verbania 27 aprile 2001);

c) il diritto di chiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali di risulta è compatibile (e può coesistere) con la ricostruzione dell'edificio, quando quest'ultima sia limitata ad una parte soltanto dello stabile e non strettamente dipendente dall'utilizzo dell'intera area e dei materiali derivanti dal crollo;

d) il valore dei diritti ceduti da parte dei condomini non partecipanti alla ricostruzione dovrà essere valutato in aumento rispetto all'ipotesi di perimento totale dell'immobile, o di sua parte rilevante; in tal caso, infatti, la quota-parte dei beni sopravvissuti non riguarderà soltanto l'area su cui sorgeva l'edificio ed i materiali di risulta, ma anche la quota-parte (millesimale) sui beni e impianti comuni sopravvissuti;

e) se l'immobile ricostruito è strutturalmente corrispondente allo stabile preesistente si dà luogo alla reviviscenza del condominio, mentre se, invece, viene ricostruito un edificio con caratteristiche costruttive differenti – per esempio, con un piano in più – il condominio non rivive, ma si configura, operando il fenomeno dell'accessione, una comunione ordinaria pro indiviso tra i condomini ricostruenti avente ad oggetto l'intero bene ricostruito (in quest'ultimo caso, per far rivivere il condominio, gli aventi diritto dovranno stipulare un formale atto di divisione, con assegnazione in proprietà separata dei piani o porzioni di piano).

Mette punto riportare, in argomento, il recente insegnamento del supremo organo di nomofilachia (Cass. S.U., n. 3873/2018), secondo il quale, in tema di accessione, il consenso alla costruzione eseguita da uno dei comproprietari del suolo, manifestato dal comproprietario non costruttore, pur non essendo idoneo a costituire un diritto di superficie o altro diritto reale, preclude l'esercizio dello ius tollendi; peraltro, ove tale diritto non venga o non possa essere esercitato, i comproprietari del suolo sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprietà, le spese sostenute per l'edificazione dell'opera.

Valore dell'immobile perito

Qualche criticità si registra in ordine al metodo di calcolo del valore dell'immobile perito.

Alcune precisazioni sono doverose al riguardo, in quanto è in relazione ad una precisa quantità della struttura distrutta – uguale o superiore ai tre quarti oppure inferiore a tale frazione – che l'art. 1128 c.c. pone le due diverse regolamentazioni delineate nei paragrafi precedenti.

Risulta, dunque, necessario indicare, con sufficiente precisione, il criterio in base al quale distinguere le suddette fattispecie: nel silenzio della giurisprudenza, la dottrina si è incaricata di individuare l'esatta modalità pratica di effettuazione del calcolo.

Si è affermato (Triola, 747) che, per calcolare il valore delle parti dell'edificio distrutte, sono possibili due metodi: o rapportare il valore delle parti distrutte dell'edificio con quello delle parti superstiti, allo scopo di verificare se il valore delle prime è il triplo del valore delle seconde, oppure, rapportare il valore dell'intero edificio ante perimento con il valore dell'edificio post perimento, al fine di verificare se il valore della parte superstite raggiunga un quarto del valore originario.

L'unica pronuncia, peraltro di merito rinvenuta in argomento (Trib. Benevento 19 agosto 1950), ha affermato che, nel calcolo del valore della parte perita di un immobile, non deve tenersi conto del valore del suolo su cui l'edificio era stato costruito.

Il problema della considerazione, o meno, del valore del suolo nel calcolo del valore della parte sopravvissuta, risulta del tutto irrisolto in dottrina, ove le due tesi contrapposte equamente si dividono il campo (per la negativa, si confrontino Visco 1972, 667, e Rizzi – Rizzi 1983, 304, mentre per la tesi positiva militano Guidi 1952, 205, e Nobile, 77).

Parimenti, è controverso se si debbano considerare anche le spese di ricostruzione (così Peretti Griva 1960, 380; contra,Salis 1959, 399); anche se tale distinzione si riferisce soltanto ad alcuni elementi di valutazione rispetto ad altri, in realtà, la norma de qua, parlando di perimento dell'edificio superiore ai tre quarti del suo valore, richiede prima di tutto una stima attuale dell'edificio, come se non fosse crollato, e poi della parte rimasta, e solo così si potrà valutare se la rovina sia superiore o inferiore alla soglia indicata dal legislatore codicistico (in tal senso, Branca 1982, 536).

Il comma 3 dell'art. 1128 c.c. dispone, inoltre, che «l'indennità corrisposta per l'assicurazione relativa alle parti comuni è destinata alla ricostruzione di queste».

La conseguenza di tale impostazione è che tale indennità non potrebbe essere impiegata, nonostante la deliberazione assembleare (adottata a maggioranza), per altri scopi, come non potrebbe essere divisa tra i condomini, essendo questa – unitamente alle altre sopra indicate – una delle manifestazioni del favor del legislatore per la ricostruzione dell'edificio perito.

Al contrario, nel caso di accordo unanime dei condomini, con cui questi ultimi abbiano espressamente e definitivamente rinunciato alla ricostruzione – la quale configura un diritto soggettivo di ciascun compartecipante, l'indennità de qua ben potrebbe subire una diversa destinazione e, in particolare, potrebbe essere ripartita pro quota tra i condomini stessi.

Nel caso di rinuncia a partecipare alla ricostruzione e cessione di diritti ai sensi del comma 4 dell'art. 1128 c.c., si ritiene (Peretti Griva 1960, 394) che il cedente non potrebbe percepire la sua quota-parte della suddetta indennità, vincolata alla suddetta ricostruzione, conservandosi, anche in questo caso, la destinazione della somma alla ricostruzione delle parti comuni; ovviamente, nel caso di cessione, la quota-parte dell'indennità assicurativa non potrebbe non rientrare nella valutazione del valore (e quindi, del corrispettivo) di quanto ceduto.

Per alcuni (Salis 1959, 399), infine, la destinazione particolare della somma la renderebbe immune da eventuali azioni esecutive da parte dei creditori, nel senso che i diritti ipotecari e privilegiati si potrebbero far valere solo sulla parte di indennità non impegnata per la ricostruzione o sul prezzo della cessione.

Bibliografia

Alvino, Limiti all'esenzione della servitù di passaggio coattivo dei beni di cui al comma quarto dell'articolo 1051 cod. civ., in Giust. civ. 1969, I, 215; Apicella, Perimento totale o parziale dell'edificio condominiale e quote di comproprietà sull'opera ricostruita, in Il Civilista 2010, fasc. 10, 37; Basile, Condominio negli edifici, perimento totale dell'edificio e delibera di ricostruzione, in Nuova giur. civ. comm. 1988, I, 8; Branca, Condominio negli edifici, in Comm. S.B., Bologna-Roma, 1982; Branca, Perimento parziale e poteri dell'assemblea condominiale, in Foro it. 1968, I, 2727; Branca, Perimento parziale e poteri dell'assemblea condominiale, in Foro it. 1968, I, 2727; Branca, Ricostruzione delle parti comuni d'un edificio non deliberata dall'assemblea dei condomini, in Foro it. 1953, I, 301; Calbi, Modalità di attuazione della vendita all'asta di cui all'art. 1128 primo comma cod. civ., in Giust. civ. 1976, I, 1206; Celeste - Salciarini, I beni comuni. L'individuazione e l'utilizzo, Milano, 2009; Celeste, Scosse telluriche e perimento parziale dell'edificio, in Consulente immobiliare 2013, fasc. 927, 604; Criscuolo, Demolizione di edificio in procinto di crollare e scioglimento del condominioex art. 1128 c.c., in Dir. giur. 1977, 591; De Tilla, Condominio e perimento dell'edificio, in Riv. giur. edil. 1994, I, 704; De Tilla, Sulla ricostruzione dell'edificio in condominio, in Arch. loc. 1999, 817; Dogliotti-Figone, Il condominio, in Giur. sistem. dir. civ. e comm., diretta da Bigiavi, Torino, 2001; Garutti, Edificio condominiale ricostruito e diritti dei condomini originari, in Giur. it. 1980, I, 1, 808; Grosso, Condominio, ricostruzione e diritto di superficie, in Foro pad. 1956, I, 1219; Guidi, Il condominio nel nuovo codice civile, Milano, 1952; Nicolini, Il perimento dell'edificio estingue il rapporto di condominio, in Immobili &  diritto 2011, fasc. 6, 21; Nobile, La determinazione del valore dell'edificio agli effetti del comma 1 dell'art. 1128 c.c., in Foro pad. 1951, I, 77; Palombella, Fabbricato demolito e ricostruito? Il nuovo immobile si divide in proporzione ai millesimi posseduti, in dirittoegiustizia.it 2011; Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960; Peretti Griva, Un caso elegante di ricostruzione del condominio, in Riv. dir. comm. 1959, I, 159; Rizzi-Rizzi, Il condominio negli edifici, Bologna, 1983; Salis, Aventi diritto a partecipare alla divisione di edificio demolito e ricostruito con cubatura minore di quella precedente, in Riv. giur. edil. 1980, I, 537; Salis, Demolizione consensuale di edificio e diritto alla ricostruzione, in Riv. giur. edil. 1978, I, 469; Salis, Ricostruzioni di scale ed obblighi dell'assemblea condominiale, in Riv. giur. edil. 1969, I, 36; Salis, Demolizione consensuale di edificio e diritto alla ricostruzione, in Riv. giur. edil. 1968, I, 468; Salis, Ricostruzione di un edificio in condominio interamente distrutto e diritti del condomino che non ha partecipato alla ricostruzione, in Riv. giur. edil. 1961, I, 253; Salis, Il condominio negli edifici, in Tr. Vas., Torino, 1959; Santersiere, Rovine di unità immobiliari. Condizioni ambientali e responsabilità, in Arch. loc. 2000, 93; Trabucchi, Case cortili aie e giardini, e esenzioni dalla servitù coattiva di passaggio, in Giur. it. 1969, I, 1, 1384; Triola, Il condominio, in Tr. Bes., Torino, 2002, 747; Visco, La ricostruzione degli edifici condominiali distrutti da eventi bellici, in Nuovo dir. 1968, 321; Visco, Le case in condominio, Milano, 1967.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario