Disp. Att. Trans. Codice Civile - 30/03/1942 - n. 318 art. 66

Alberto Celeste

[I]. L'assemblea, oltre che annualmente in via ordinaria per le deliberazioni indicate dall'articolo 1135 del codice, può esser convocata in via straordinaria dall'amministratore quando questi lo ritiene necessario o quando ne è fatta richiesta da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione.

[II]. In mancanza dell'amministratore, l'assemblea tanto ordinaria quanto straordinaria può esser convocata a iniziativa di ciascun condomino.

[III]. L'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell'ora della stessa. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati1.

[IV]. L'assemblea in seconda convocazione non può tenersi nel medesimo giorno solare della prima 2.

[V]. L'amministratore ha facoltà di fissare più riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell'assemblea in termini brevi, convocando gli aventi diritto con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell'assemblea validamente costituitasi 3.

[VI]. Anche ove non espressamente previsto dal regolamento condominiale, previo consenso della maggioranza dei condomini, la partecipazione all'assemblea può avvenire in modalità di videoconferenza. In tal caso, il verbale, redatto dal segretario e sottoscritto dal presidente, è trasmesso all'amministratore e a tutti i condomini con le medesime formalità previste per la convocazione4.

 

[1] Comma sostituito dall'art. 20, l. 11 dicembre 2012, n. 220. Il testo recitava: «L'avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza». La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. Successivamente, l'art. 63, comma 1-bis, lett. a), d.l. 14 agosto 2020, n. 104, conv., con modif., dalla l. 13 ottobre 2020, n. 126, in vigore dal 14 ottobre 2020, ha inserito, al presente comma,  le parole:« o, se prevista in modalita' di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terra' la riunione e dell'ora della stessa» dopo le seguenti: «e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione».

[2] Comma inserito dall'art. 20, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013.

[3] Comma inserito dall'art. 20, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013.

[4] Comma aggiunto dall'art. 63, comma 1-bis, lett. a), d.l. 14 agosto 2020, n. 104, conv., con modif., dalla l. 13 ottobre 2020, n. 126, in vigore dal 14 ottobre 2020 e successivamente modificato dall'art. 5-bis d.l. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito, con modif. in l. 27 novembre 2020, n. 159, in vigore dal 4 dicembre 2020, che ha sostituito le parole : «della maggioranza dei condomini» alle parole : «di tutti i condomini».

Inquadramento

L'amministratore del condominio è, di regola, il soggetto istituzionalmente deputato alla convocazione dell'assemblea (ad avviso di Cass. II, n. 14930/2013, anche l'amministratore la cui nomina assembleare non sia stata immediatamente seguita dall'accettazione).

Resta fermo che, rientrando la convocazione dell'assemblea tra i poteri attinenti alla gestione del condominio in capo all'amministratore, gli stessi permangono anche dopo la sua scadenza e sino alla nomina del nuovo amministratore o alla sua destituzione da parte dell'autorità giudiziaria (al riguardo, si veda l'importante puntualizzazione offerta, di recente, da Cass. II, n. 454/2017, secondo la quale il provvedimento camerale di revoca dell'amministratore del condominio ha efficacia, ex art. 741 c.p.c., dalla data dell'inutile spirare del termine per il reclamo avverso di esso, sicché gli atti compiuti dall'amministratore anteriormente al momento in cui tale revoca diviene efficace non sono viziati da alcuna automatica invalidità, continuando a produrre effetti e ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti del condominio).

L'art. 66 disp. att. c.c. mantiene, tuttavia, la possibilità per i condomini (almeno due) che rappresentino un sesto del valore dell'edificio, di provvedere direttamente alla convocazione dell'assemblea straordinaria.

Comunque, la convocazione dell'assemblea ove non eseguita dai singoli condomini può essere effettuata oltre che dall'amministratore, titolare del relativo potere ex art. 66 disp. att. c.c., anche da un terzo che operi quale suo delegato, secondo il meccanismo della rappresentanza volontaria (Cass. II, n. 335/2017: nella specie, si era cassata l'impugnata sentenza, che aveva escluso la validità della convocazione dell'assemblea ad opera del socio accomandante della società amministratrice dello stabile, senza tuttavia verificare se detta convocazione, eseguita mediante l'utilizzo di carta intestata di detta società ed apposizione, ad opera dell'accomandante, della propria sigla sulla relativa ragione sociale, fosse o meno imputabile alla società amministratrice).

Rispetto al testo precedente che si rivelava silente sul punto, il comma 3 dell'art. 66 disp. att. c.c. prevede ora che «l'avviso di convocazione ... deve contenere ... l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione»: quindi, oltre quelle spaziali, nel suddetto avviso vanno specificate anche le coordinate temporali.

Per quanto concerne, poi, le particolari modalità dell'avviso contemplate nel novellato comma 3 dell'art. 66 disp. att. c.c., le stesse si rivelano in linea con i moderni sistemi di comunicazione, anche se questi ultimi non sempre offrono la prova dell'avvenuto ricevimento da parte del destinatario.

Infine, relativamente al termine di preavviso, rispetto al precedente art. 66 disp. att. c.c. – secondo cui l'avviso di convocazione doveva essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza – il novellato comma 3 mantiene il termine di cinque giorni ma fa riferimento espresso, molto opportunamente, alla data fissata per «l'adunanza in prima convocazione».

Assemblea ordinaria e straordinaria

Nello specifico, l'art. 66 disp. att. c.c., al comma 1, distingue l'assemblea «ordinaria», convocata a cura dell'amministratore annualmente per discutere e decidere le materie rientranti nelle attribuzioni indicate dall'art. 1135 c.c. – specie in ordine alle fondamentali statuizioni di indirizzo e di controllo di cui ai nn. 1), 2) e 3) – e l'assemblea «straordinaria», convocata quando l'amministratore lo ritiene necessario o quando ne è fatta richiesta da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio, specificando che, decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione (la distinzione tra i due tipi di riunione attiene, però, soltanto ai soggetti cui fa capo il relativo potere di iniziativa, restando identico per entrambe il meccanismo di costituzione, di svolgimento e di formazione della volontà assembleare, v., ex multis, Cass. II, n. 3456/1984).

In quest'ultimo caso, quindi, a parte la sollecitazione ad opera dei singoli – v. appresso – la convocazione dell'assemblea straordinaria è rimessa alla discrezionalità dell'amministratore (la cui valutazione è sottratta a qualsiasi controllo di legittimità), che ne valuterà l'opportunità a seconda delle esigenze condominiali e degli argomenti da trattare.

Invero, l'amministratore, spesso e per varie ragioni, può avvertire il bisogno di sollecitare le statuizioni dell'assemblea (in ordine alle quali non è possibile attendere la convocazione ordinaria), o di sentire immediatamente il parere dei condomini (su determinate materie attinenti all'amministrazione), oppure, in certi casi, è obbligato a sottoporre all'organismo deliberativo la discussione su date questioni (Ginesi, 515).

A prescindere dai casi summenzionati in cui la convocazione dell'assemblea è correlata ad un potere discrezionale dell'amministratore («quando questi lo ritiene necessario»), dal sistema si possono enucleare alcune ipotesi in cui sussiste un vero e proprio obbligo in tal senso:

a) per l'approvazione del rendiconto di gestione (art. 1130, n. 10, c.c.);

b) per dare notizia «senza indugio» delle citazioni o dei provvedimenti che esorbitano dalle competenze dell'amministratore (art. 1131, comma 3, c.c.);

c) a seguito di richiesta di almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio (art. 66, comma 1, disp. att. c.c.);

d) per riferire dei lavori di manutenzione straordinaria autonomamente disposti dall'amministratore in quanto «rivestano carattere urgente» (art. 1135, comma 2, c.c.).

Sollecitazione del singolo

La Riforma ha introdotto altre ipotesi in cui il singolo condomino, prescindendo dalla caratura millesimale di appartenenza, in deroga al citato art. 66, comma 1, disp. att. c.c., può sollecitare l'amministratore alla convocazione dell'assemblea, e segnatamente:

e) nel caso di attività che incidono negativamente ed in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni (art. 1117-quater, comma 1, c.c.);

b) nel caso di gravi irregolarità fiscali o di inottemperanza all'obbligo di aprire un conto corrente intestato al condominio, al fine di far cessare la violazione e revocare l'incarico dell'amministratore (art. 1129, comma 11, c.c.);

c) nel caso si debba deliberare le innovazioni c.d. sociali (art. 1120, comma 2, c.c.), corredando la richiesta con l'indicazione specifica degli interventi proposti e delle relative modalità di esecuzione;

d) nel caso si debba rettificare o modificare le tabelle millesimali a mera maggioranza (art. 69, comma 1, disp. att. c.c.).

Pertanto, in precedenza, poteva considerarsi legittimo il rifiuto dell'amministratore di inserire nell'ordine del giorno alcuni argomenti proposti da singoli condomini, potendo tale richiesta essere formulata in modo vincolante soltanto da almeno due condomini che rappresentassero un sesto delle quote dell'edificio per la richiesta di convocazione di assemblea straordinaria o per la diretta convocazione in caso di inerzia dell'amministratore (Cass. II, n. 26336/2008).

Invece, nella nuova disciplina, qualora l'amministratore, a fronte della sollecitazione del condomino (anche singolarmente) prevista nei summenzionati casi, non provveda a convocare l'assemblea, si sancisce espressamente, come sanzione, la revoca da parte del magistrato, alla luce del nuovo art. 1129, comma 12, n. 1), c.c., che contempla, tra le «gravi irregolarità», che giustificano la destituzione giudiziaria, «l'omessa convocazione dell'assemblea ... negli altri casi stabiliti dalla legge».

Iniziativa del condomino

Come accennato sopra, l'art. 66 disp. att. c.c., al comma 1, mantiene la possibilità per i condomini (almeno due) che rappresentino un sesto del valore dell'edificio, di provvedere direttamente alla convocazione dell'assemblea straordinaria, una volta decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta in tal senso all'amministratore.

Non si nascondono le difficoltà per il singolo di conoscere gli esatti nominativi degli altri partecipanti, non essendo in possesso della c.d. anagrafe condominiale, ora in possesso dell'amministratore in forza dell'art. 1130, n. 6), c.c., ma una richiesta a quest'ultimo non appare violare la normativa sulla privacy di cui al d.lgs. n. 196/2003 (Fulco, 66).

Trattasi della convocazione c.d. diretta, a differenza di quella c.d. indiretta – analizzata sopra – ossia realizzata per il tramite dell'amministratore del condominio, che, però, deve possedere tutti i requisiti di legge (formali e sostanziali, ivi incluso uno specifico ordine del giorno); il predetto termine va, comunque, rispettato e non può essere derogato nemmeno in caso di urgenza (salva l'applicazione dell'art. 1134 c.c.), mentre, per «convocazione» dell'assemblea, ai sensi dell'art. 66 citato, deve intendersi la mera comunicazione dell'avviso e non l'effettuazione dell'assemblea stessa nel termine di dieci giorni, spettando al buon senso dell'amministratore procedere allo svolgimento dell'invocata assemblea entro termini ragionevoli al fine di rispettare le esigenze dei condomini richiedenti, evidentemente interessati a discutere argomenti da loro reputati importanti per l'intera compagine condominiale (non escludendo che l'amministratore possa aggiungere altri argomenti a quelli da sottoporre all'esame dell'assemblea).

Un'ipotesi eccezionale in cui il singolo condomino può, by-passando l'amministratore, convocare direttamente l'assemblea è contemplata dalla Riforma del 2013 nel caso di perdita dei requisiti di c.d. onorabilità che comportano la cessazione dell'incarico dell'amministratore, al fine di nominarne uno nuovo (art. 71-bis, comma 4, disp. att. c.c.); la previsione si spiega perché, in questo caso, non c'è più un amministratore a cui rivolgere la relativa istanza, in quanto quello nominato viene considerato decaduto ex lege.

Il citato capoverso consente tale convocazione, da parte del singolo condomino, utilizzando l'espressione «senza formalità», per cui ci si è chiesti se la deroga attenga ai soggetti destinatari dell'avviso, ai termini per la convocazione o/e alle modalità dell'avviso.

Non sembra, però, che l'iniziativa del singolo possa superare il disposto del comma 6 dell'art. 1136 c.c., secondo il quale tutti i partecipanti al condominio debbano essere convocati; dubbia è, altresì, la possibilità di convocare la riunione non rispettando il termine minimo di cui all'art. 66, comma 3, disp. att. c.c., anche se una certa urgenza viene giustificata proprio dal fatto che si registra un condominio privo del suo amministratore.

L'assenza di formalità riguarda piuttosto le nuove modalità dell'avviso di convocazione, nel senso che il condomino non sembra tenuto ad inviare l'avviso per la nomina del nuovo amministratore «a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o consegna a mano»; in altri termini, l'iniziativa del singolo può concretarsi in qualsiasi modo, direttamente o anche a mezzo di un nuncius o di un procuratore, che provvedano a dare avviso della convocazione e ad informare oralmente o per iscritto gli altri condomini, sia pure schematicamente, dell'oggetto dell'ordine del giorno che sarà trattato in quell'assemblea straordinaria, per ragioni di praticità, sfrondando di qualsiasi formalismo il relativo procedimento di convocazione (salvo, ovviamente, il problema della prova della rituale convocazione in caso di contestazione in sede giudiziaria).

Nulla si dispone, invece, qualora l'amministratore non provveda a convocare (nemmeno) l'assemblea ordinaria, ossia quella prevista per trattare gli argomenti di competenza dell'assemblea ex art. 1135 c.c.

Per superare l'impasse, si suggerisce (Celeste, 101) di applicare analogicamente il disposto del comma 1 dell'art. 66 disp. att. c.c.: in pratica, i condomini (anche uno solo) dovranno rivolgere all'amministratore un'istanza di convocazione di un'assemblea straordinaria, ponendo all'ordine del giorno proprio la discussione sulla situazione venutasi a creare a causa dell'inadempimento dell'obbligo del primo di indire l'assemblea ordinaria, e, decorsi invano dieci giorni da essa, potranno convocare direttamente l'assemblea, prendendo tutti i provvedimenti del caso, non esclusa la destituzione dall'incarico dell'amministratore inottemperante ai propri elementari doveri.

Da ricordare, sul punto, da un lato, che l'art. 1130, n. 10), c.c. prevede che quest'ultimo deve redigere il rendiconto condominiale annuale della propria gestione all'assemblea, e, dall'altro, che l'autorità giudiziaria può revocarlo se non ottempera a tale disposto (art. 1129, comma 11, c.c., non più subordinando il relativo incombente a due anni di gestione).

Mancanza dell'amministratore

Il comma 2 del citato art. 66 contempla la diversa ipotesi – non di inerzia del rappresentante del condominio protratta per il periodo di tempo di cui sopra, ma – di «mancanza dell'amministratore»: in tal caso «ciascun condomino», indipendentemente dalla caratura millesimale di appartenenza, è legittimato a convocare l'assemblea «tanto ordinaria quanto straordinaria»; infatti, mancando l'amministratore, l'assemblea rimane l'unico organismo di amministrazione, sicché appare corretto che ogni partecipante possa invocare una sua decisione in materia ogni qual volta che lo ritenga necessario.

Si richiede che il condominio sia privo di amministratore, e ciò può avvenire per qualsiasi causa, sia qualora la relativa nomina non è necessaria (trattandosi di condominio formato da otto o meno partecipanti), sia nell'ipotesi in cui il condominio non abbia ab origine provveduto a tale nomina in sede assembleare (e nessuno dei condomini si sia rivolto al giudice per tale incombente ai sensi dell'art. 1129, comma 1, c.c.), sia nell'ipotesi in cui l'amministratore, inizialmente nominato, sia successivamente venuto meno (per morte, per perdita della capacità di agire, per dimissioni accettate dall'assemblea senza provvedere alla nomina del successore, per revoca ex art. 1129, comma 11, c.c., per sospensione della deliberazione di nomina in forza dell'art. 1137, comma 3, c.c.).

A tali situazioni, non dovrebbe essere assimilata quella dell'amministratore impossibilitato temporaneamente a svolgere le sue funzioni (Cass. II, n. 3139/1973), o dell'amministratore scaduto dall'incarico, perché in tali casi dovrebbe operare il regime della prorogatio, che la Riforma sembra, però, aver fortemente limitato, come si evince dalla lettura dell'art. 1129, commi 8 e 10, c.c.

Unità immobiliare in comproprietà (rinvio)

Il nuovo testo del comma 2 dell'art. 67 disp. att. c.c. – al cui commento si rinvia – prevede che, nell'ipotesi in cui un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste ultime hanno diritto ad un solo rappresentante nell'assemblea, che deve essere designato dai comproprietari interessati a norma dell'art. 1106 c.c.: quindi, tutti i comproprietari (due o più persone) hanno diritto di essere informati della riunione condominiale, sicché a tutti deve essere inviato l'avviso di convocazione.

Locazione

Il comma 6 dell'art. 1136 c.c. attualmente prevede che l'assemblea non possa deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto siano stati regolarmente convocati.

La formulazione del suddetto capoverso è, prima facie, simile al testo precedente, secondo cui «l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione»; in buona sostanza, a parte quest'ultimo «invito alla riunione» che può ragionevolmente assimilarsi al (più tecnico) «convocazione all'assemblea», il legislatore del 2012 ha intenzionalmente sostituito la parola «condomini» con «aventi diritto».

Il riferimento agli «aventi diritto» ha riportato in auge un'antica disputa concernente l'individuazione o meno del conduttore tra i possibili destinatari dell'avviso di convocazione dell'assemblea spedito dall'amministratore.

Al riguardo, occorre prendere le mosse dall'art. 10 della l. 27 luglio 1978, n. 392 – che conferma (ed amplia) una tendenza inaugurata con l'art. 6 della l. 22 dicembre 1973, n. 841 – secondo cui il conduttore può avere diritto di voto, in luogo del proprietario dell'appartamento locatogli, nelle deliberazioni dell'assemblea condominiale relative alle spese ed alle modalità di gestione del servizio di riscaldamento e di condizionamento d'aria, mentre ha diritto di intervenire, senza però la possibilità di voto, sulle statuizioni concernenti la modificazione degli altri servizi comuni.

In tutti questi casi, è preliminare la risoluzione della questione in ordine alla natura del diritto di partecipazione del conduttore, per affrontare poi le problematiche connesse alla sua convocazione, agli effetti dell'omesso avviso e, quindi, all'impugnabilità delle relative deliberazioni (Nucera 2013, 440).

In estrema sintesi, le opinioni divergevano tra chi reputava sussistere l'obbligo di convocazione da parte dell'amministratore che fosse stato tempestivamente edotto della locazione e, quindi, un diritto autonomo in capo al conduttore di partecipare alle assemblee, e chi poneva, invece, a carico del locatore l'obbligo di rituale convocazione dell'inquilino.

Seguendo la prima tesi – che aveva trovato pochi consensi in giurisprudenza (Cass. II, n. 4420/1980) – stante la completa equiparazione del conduttore al condomino operata dall'art. 10 citato – salvo sempre l'onere del locatore di effettuare all'amministratore le necessarie segnalazioni in ordine all'esistenza del rapporto di locazione, poiché, in difetto di comunicazioni in proposito, nulla quaestio – doveva, quindi, concludersi che l'omesso avviso al conduttore viziava la deliberazione, al pari dell'omessa convocazione di un condomino, e rendeva la deliberazione stessa impugnabile; in pratica, il diritto del conduttore a partecipare all'assemblea sarebbe stato del tutto autonomo e personale, sicché l'amministratore aveva l'obbligo di inviare direttamente all'inquilino l'avviso di convocazione.

Seguendo la seconda tesi – decisamente maggioritaria – la mancata convocazione avrebbe prodotto, invece, i suoi effetti esclusivamente nel rapporto interno tra proprietario e conduttore; invero, l'art. 10 della l. n. 392/1978 non aveva comportato modificazioni al disposto dell'(allora) art. 66, comma 3, disp. att. c.c., che disciplinava la comunicazione dell'avviso di convocazione ai soli condomini, con la conseguenza che tale avviso doveva essere comunicato al proprietario e non al conduttore dell'appartamento, restando solo il primo a farsi parte diligente per informare il secondo dell'avviso di convocazione ricevuto dall'amministratore onde consentirgli di partecipare alle deliberazioni previste dal citato art. 10, senza che le conseguenze della mancata convocazione del conduttore potessero farsi ricadere sul condominio, che rimaneva «estraneo al rapporto di locazione» (così Cass. II, n. 4802/1992).

Tale interpretazione trovava anche conforto nelle disposizioni del codice civile, che disciplinavano, da un lato, la materia condominiale negli edifici, e, dall'altro, il contratto di locazione di immobili urbani; nell'àmbito del condominio, poi, l'amministratore agiva in forza di un mandato con rappresentanza ricevuto dai singoli condomini (sicché, ai fini delle convocazioni assembleari, non sussisteva alcun onere di informazione all'amministratore del concluso contratto di locazione), mentre, nell'àmbito del contratto di locazione, il locatore ed il conduttore contraevano reciproci diritti ed obblighi, nel contesto di un rapporto che aveva effetto solo inter partes, senza alcun riflesso rispetto ai terzi estranei a tale rapporto, quali il condominio e gli altri condomini (Balzani, 19; Basile, 327).

Peraltro, quanto sopra si rivelava in linea con il consolidato principio secondo il quale, per il pagamento degli oneri condominiali, l'amministratore si dovesse rivolgere solo ed esclusivamente nei confronti dei condomini e non direttamente nei confronti degli inquilini, mentre l'eventuale mancato rimborso ad opera di questi ultimi comportava riflessi interni nel solo rapporto di locazione, portando, se del caso, alla sua risoluzione ex art. 5 della legge citata (Cass. II, n. 17201/2008; Cass. II, n. 384/1995; Cass. II, n. 1104/1994; Cass. II, n. 246/1994; Cass. II, n. 10719/1993).

Pertanto, come per la riscossione degli oneri condominiali, così per la convocazione alle assemblee, ogni qual volta si era in presenza di un contratto di locazione, si registrava pur sempre un rapporto «mediato» – v. anche l'art. 10 citato dove si parla del conduttore «in luogo del proprietario dell'appartamento» – con esclusione di ogni relazione diretta tra condominio ed inquilino con tutte le necessarie implicazioni sopra esaminate: in pratica, anche se l'amministratore sapeva chi fosse il conduttore, oppure gli era stata comunicata l'esistenza di un contratto di locazione, doveva fare finta di non conoscere l'inquilino e rivolgersi soltanto al proprietario, unico suo legittimo destinatario: infatti, era a lui che doveva richiedere i contributi condominiali non corrisposti, ed era sempre a lui che doveva indirizzare gli avvisi di convocazione per l'assemblea, spettando solo al locatore informare il conduttore circa l'assemblea, con le modalità ritenute più opportune (non trattandosi di atto che richiedeva peculiari formalità).

Pur se i conduttori delle unità immobiliari erano, di solito, considerati estranei ai rapporti condominiali, tuttavia, la giurisprudenza aveva via via individuato zone di interferenza tra il rapporto di locazione e l'istituto condominiale, sia pure non circoscrivendole con precisione e fornendo soluzioni spesso contrastanti (godimento e modifica delle cose comuni, efficacia delle disposizioni regolamentari, pretese risarcitorie, tutela possessoria, ecc.).

In questa nuova prospettiva, va letta la nuova versione del comma 6 dell'art. 1136 c.c., che ha sostituito il termine «condomini» con quello di «aventi diritto», quasi a significare che vi sono altri soggetti, diversi dai condomini, come appunto i conduttori, i quali hanno diritto ad essere convocati all'assemblea direttamente, cioè by-passando il locatore, da parte dell'amministratore il quale, pertanto, diventa obbligato in tal senso (Masoni, 577).

Che non si tratti di una mera disattenzione del patrio legislatore lo si ricava anche da altre significative modifiche dell'art. 66 disp. att. c.c., il cui comma 3, in fondo, precisa che, in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione all'assemblea degli «aventi diritto», la deliberazione è annullabile su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati (d'altronde, anche nel previgente regime, Cass. II, n. 869/2012, aveva ammesso che il potere di impugnare le deliberazioni condominiali compete, per il disposto dell'art. 1137 c.c., ai titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, anche in caso di locazione, salvo che nella particolare materia dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, per la quale la decisione e, conseguentemente, la facoltà di ricorrere al giudice, sono attribuite ai conduttori).

In quest'ottica, va, altresì, letta la novità contenuta nel comma 5 dello stesso art. 66, che contempla ora la possibilità, in capo all'amministratore, di fissare più riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell'assemblea in termini brevi, convocando gli «aventi diritto» con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell'assemblea validamente costituitasi.

Chiude il cerchio il novellato disposto dell'art. 1130 c.c. che, tra le attribuzioni dell'amministratore, annovera ora, al n. 6), la cura della tenuta del registro dell'anagrafe condominiale, contenente la generalità dei singoli proprietari nonché dei titolari di diritti reali e di «diritti personali di godimento» (comprensive di codice fiscale, residenza o domicilio), e tale registro, aggiornato anche ai nomi dei conduttori, ha un senso solo se si configura un obbligo dell'amministratore di convocare questi ultimi, ovviamente laddove la legge contempli il loro potere di voto o/e di intervento in assemblea.

Peraltro, in forza dell'art. 1130-bis, comma 1, c.c., non solo i condomini, ma anche «i titolari di diritti di godimento sulle unità immobiliari» e, dunque, gli inquilini, possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copie a proprie spese (aggiungendo che le scritture contabili e le c.d. pezze d'appoggio vanno conservati per dieci anni dalla data della relativa registrazione); il diritto di prendere visione «in ogni tempo», estraendo copia dei documenti giustificativi di spesa, è stato opportunamente esteso anche ai conduttori, ai quali, finora, il comma 3 dell'art. 9 della citata l. n. 392/1978, facendo obbligo di pagare gli oneri condominiali di loro spettanza entro due mesi dalla richiesta da parte del locatore, delimitava, di fatto, entro il medesimo periodo, il termine massimo per l'esercizio del diritto di chiedere l'indicazione analitica delle spese e dei criteri di ripartizione, nonché di prendere visione dei documenti (Scarpa 2013, 694).

Mette punto rammentare, infine, che l'art. 71-ter disp. att. c.c. – al cui commento si rinvia – abilita l'accesso al sito internet attivato dall'amministratore su richiesta dell'assemblea, previa approvazione con il quorum di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., agli «aventi diritto» e, tra questi, senz'altro gli inquilini, i quali possono, quindi, consultare ed estrarre copia in formato digitale dei documenti previsti dalla stessa deliberazione assembleare.

In conclusione, alla luce dei summenzionati rilievi, sembra proprio che la Riforma del 2013 abbia comportato un maggiore (e, forse, opportuno) coinvolgimento dell'inquilino nella vita condominiale.

Resta inteso che, se l'art. 10 della l. n. 392 del /1978 attribuisce al conduttore il diritto di votare «in luogo» del proprietario nelle deliberazioni delle assemblee condominiali aventi ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, tale diritto va riconosciuto a ciascun conduttore; ne consegue che, per le unità immobiliari dello stabile condotte in locazione, riguardo alle deliberazioni di cui sopra, le «teste» sono soltanto quelle dei corrispondenti conduttori, quanti essi sono, in rappresentanza del valore millesimale di quelle unità immobiliari (se, ad esempio, un condomino che, ai sensi dell'art. 1136 c.c., è portatore di un solo voto, ha locato i cinque appartamenti di cui è titolare, ai sensi dell'art. 10 citato, hanno diritto di voto, uno per ciascuno, i cinque inquilini portatrici ciascuno dei millesimi attribuiti alle unità condotte in locazione, per cui, dal punto di vista soggettivo, per quei cinque appartamenti si moltiplicano i partecipanti); in pratica, la legge c.d. sull'equo canone, per queste deliberazioni, induce a «dimenticarsi» delle teste dei proprietari e «pensare» solo alle teste degli inquilini, sicché sarebbe sbagliata la premessa secondo cui il voto (unico) spettante al proprietario si moltiplica per cinque, atteso che il voto non spetta più, quantomeno per quanto concerne quegli argomenti, al proprietario, ma appunto agli inquilini (d'altronde, se ci fosse un unico conduttore di cinque appartamenti diversi, avremmo una sola testa, con i millesimi di tutte e cinque le unità immobiliari).

Usufrutto (rinvio)

Gli ultimi 3 commi dell'art. 67 disp. att. c.c. – come modificati dalla Riforma del 2013, al cui commento si rinvia – hanno indicato quali sono le questioni sulle quali usufruttuario e nudo proprietario possono votare in sede assembleare, e, formulata in questi precisi termini, ha risolto, implicitamente, anche la questione che riguarda l'individuazione del soggetto al quale l'amministratore del condominio deve inviare il relativo avviso di convocazione: il legittimo destinatario di tale avviso, pertanto, andrà di volta in volta identificato tra i due soggetti in parola riguardo agli argomenti posti all'ordine del giorno della riunione.

Vendita dell'appartamento

Le unità immobiliari che fanno parte dello stabile condominiale sono soggette a varie vicende giuridiche, tra le quali la vendita.

In precedenza, affinché il nuovo soggetto, cui era stata alienata l'unità immobiliare si legittimasse di fronte al condominio quale nuovo titolare interessato a partecipare alle assemblee – e, quindi, ad impugnare le relative deliberazioni – occorreva almeno, pur nel silenzio della legge al riguardo, una qualche iniziativa, esclusiva dell'acquirente o concorrente dell'alienante che, in forma idonea, rendesse noto al condominio medesimo il mutamento del titolare della proprietà separata, da cui derivava al nuovo soggetto la veste di condomino (sull'inesistenza dell'obbligo, in capo all'amministratore, di verificare a tale scopo i registri immobiliari, v. Cass. II, n. 985/1999).

In questa prospettiva, da un lato, l'acquirente di un appartamento in un edificio poteva far valere la sua qualità di condomino, solo ove avesse provveduto previamente alla notificazione o comunicazione al condominio dell'atto del suo acquisto – ad esempio, attraverso l'esibizione o il deposito presso l'amministratore della scrittura privata di compravendita – così che, fino a quando non avesse reso noto all'amministratore l'avvenuto passaggio di proprietà, non poteva lagnarsi di non essere stato invitato a partecipare all'assemblea, né poteva pretendere che risultasse inficiato, riguardo al periodo già trascorso, tutto quanto deliberato dal condominio ed eseguito dall'amministratore nella formale assenza ed estraneità di esso acquirente (Cass. II, n. 1176/1980; Cass. II, n. 1946/1978; Cass. II, n. 1887/1973).

Dall'altro lato, l'alienante rimaneva legittimato a partecipare direttamente alle riunioni assembleari, nonostante aveva perduto lo status di condomino, fino a quando l'acquirente non si fosse qualificato di fronte al condominio, rendendo noto, in forma adeguata, il mutamento di titolarità dell'unità immobiliare, che giustificava il suo formale inserimento nel condominio (Cass. II, n. 9/1990; Cass. II, n. 2093/1973; Cass. II, n. 2484/1972).

Sul punto, si era ritenuta legittima la disposizione del regolamento di condominio che prevedeva, a tal fine, a carico dell'alienante l'onere di comunicare all'amministratore, con lettera raccomandata, gli estremi del trasferimento ed i dati personali dell'acquirente, con la conseguenza che, in caso di inosservanza, ritualmente l'avviso di convocazione dell'assemblea veniva indirizzato al venditore (Cass. II, n. 2658/1987); tuttavia non necessariamente si richiedeva l'osservanza di questa formalità se lo scopo di portare a conoscenza del condominio il mutamento di titolarità fosse stato realizzato in altro modo egualmente valido (Cass. II, n. 89/1967).

Dunque, indipendentemente dalla realtà giuridica concernente l'appartamento, fino a quando non fosse stato notificato o comunicato l'avvenuto passaggio di proprietà, rimanevano medio tempore in capo all'alienante i diritti di partecipare alle assemblee e, di riflesso, di impugnare le relative deliberazioni.

La situazione è notevolmente migliorata alla luce dell'imposta anagrafe condominiale, in base alla quale, attualmente, l'amministratore, nell'apposito registro di cui all'art. 1130, n. 6), c.c. – la cui irregolare tenuta, peraltro, è causa di possibile revoca giudiziaria ai sensi del precedente art. 1129, comma 12, n. 7), c.c. – deve avere a disposizione «le generalità dei singoli proprietari ... comprensive del codice fiscale e della residenza e del domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare», prescrivendosi, altresì, che ogni variazione dei dati debba essere comunicata all'amministratore in forma scritta entro sessanta giorni (in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, lo stesso amministratore è facoltizzato a richiedere con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe, sicché, decorsi inutilmente trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l'amministratore può acquisire le informazioni necessarie, «addebitandone il costo ai responsabili»).

L'interesse dell'alienante a comunicare tempestivamente all'amministratore il nuovo proprietario dell'unità immobiliare sita nel condominio, al fine di una corretta convocazione dell'assemblea, risulta, peraltro, rafforzato dal novellato art. 63, comma 5, disp. att. c.c., secondo il quale chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore «copia autentica del titolo» che determina il trasferimento del diritto.

Resta inteso che tali oneri di comunicazione alla gestione condominiale della variazione di titolarità della porzione esclusiva non incidono sull'individuazione del momento traslativo dei contratti di cessione dei diritti di condominio, il quale coincide, comunque, con lo scambio del consenso tra il precedente condomino cedente ed il condomino subentrante cessionario; invero, la comunicazione della variazione, che deve non soltanto assumere la forma scritta, per l'annotazione nel registro dell'anagrafe, ma addirittura essere accompagnata dalla trasmissione di copia autentica dell'atto di proprietà, occorre allo scopo di procurare la liberazione dell'alienante dall'obbligo di contribuzione alle spese condominiali (in pratica, nei confronti del condominio, il cedente viene individuato come coobbligato con il cessionario per tutti i contributi che maturano fino al momento in cui sia data, con la prevista modalità formale, notizia del trasferimento del diritto di proprietà sull'unità immobiliare).

Per completezza, si segnala che, in assenza di un'espressa previsione normativa ad hoc, il custode giudiziario di un immobile sottoposto a pignoramento non può partecipare alle assemblee condominiali, salvo che il giudice dell'esecuzione abbia fornito sul punto specifiche istruzioni operative, contenute nel provvedimento di nomina del custode o in altro successivo (Cass. II, n. 29070/2023).

Situazioni apparenti

Ci si è spesso interrogati cosa succeda nell'ipotesi di mancata trasmissione del titolo di trasferimento all'amministratore, nella nuova fattispecie obbligatoria delineata dal comma 5 dell'art. 63 disp. att. c.c.

Va premesso, sul punto, che l'omissione informativa non ha la forza di sospendere l'efficacia della vicenda traslativa nei confronti del condominio, al quale non si concede un potere sanzionatorio di opposizione di tipo invalidante, rivolta contro l'altrui attività negoziale allo scopo di impedirne la propagazione degli effetti verso la gestione collettiva; l'irrilevanza della vicenda traslativa non comunicata all'amministratore non è tesa a prevenire la cessione dei diritti su unità immobiliari esclusive, ma a contestare l'opponibilità di una cessione già perfetta e predeterminata, dando luogo ad un effetto transitorio sospensivo destinato a durare fino alla trasmissione di copia autentica del titolo; né sarebbe sostenibile che il contratto di cessione della porzione individuale sia ora sottoposto alla condizione risolutiva della clausola di gradimento da parte del condominio.

Dunque, l'onere di dare notizia del trasferimento alla gestione condominiale rimane del tutto all'esterno dell'assetto strutturale della cessione dell'unità immobiliare.

La comunicazione della variazione soggettiva deve essere compiuta entro sessanta giorni dal verificarsi della vicenda traslativa e deve assumere forma scritta, nel rispetto dei principi dettati dagli artt. 1334 e 1335 c.c.; essa può avvenire pure in modo indiretto, purché chiaro ed idoneo allo scopo di conferire certezza nei rapporti di gestione condominiale e di portare così a conoscenza dell'amministratore l'avvenuto trasferimento.

Comunque, il meccanismo del permanente obbligo del cedente, il quale non comunichi l'alienazione, e del subentro dell'acquirente nei debiti condominiali del suo dante causa, opera unicamente nel rapporto tra il condominio ed i soggetti che si succedono nella proprietà della singola unità immobiliare, e non anche nel rapporto interno tra alienante ed acquirente, per la natura personale (e non reale) delle rispettive obligationes; salvo che le parti non abbiamo diversamente convenuto, il compratore risponde, perciò, verso il venditore soltanto per le spese condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui egli sia divenuto condomino, ed ha diritto di rivalersi nei confronti del suo dante causa allorché sia stato chiamato dal condominio a rispondere di obbligazioni nate in epoca anteriore all'acquisto.

Al riguardo, si è affermato (Cass. II, n. 12709/2002) che, nell'individuazione dei soggetti da convocare per l'assemblea non possa operare il principio dell'apparenza del diritto, poiché esso, nella materia contrattuale, è applicabile a tutela della buona fede dei terzi che, in presenza di circostanze obiettive ed univoche, abbiano fatto ragionevole affidamento ad una situazione di fatto risultata non corrispondente allo stato di diritto, mentre, nella materia della proprietà condominiale, non può ravvisarsi una situazione di «terzietà» tra il condominio ed il condomino, che non ha una soggettività giuridica diversa da quella dei singoli condomini, sicché devono prevalere i principi della pubblicità e dell'effettività che superano ogni apparenza.

Anche più di recente (Cass. II, n. 8824/2015), gli ermellini si sono espressi nel senso che, nelle assemblee condominiali, devono essere convocati solo i condomini, in quanto, nei rapporti tra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso, mancano le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, volto essenzialmente alla tutela dei terzi di buona fede e terzi, rispetto al condominio, non possono essere ritenuti i condomini; pertanto, deve essere convocato soltanto il vero proprietario, e non chi si comporta come tale senza esserlo, non potendo invocare il principio dell'apparenza il condominio, e per esso il suo amministratore, che abbia omesso di accertare la realtà sui pubblici registri.

Tuttavia, la natura obbligatoria del dovere di contribuzione alle spese del condominio affievolisce l'efficacia del sistema pubblicitario immobiliare ai fini dell'individuazione del soggetto tenuto all'adempimento, non dovendosi qui dirimere un contrasto tra i titolari di diritti reali secondo i meccanismi tipici di opponibilità della trascrizione.

Risulta, pertanto, fondata la tesi secondo cui, in caso di alienazione della porzione esclusiva, lo status di condomino e le conseguenti legittimazioni appartengono all'acquirente soltanto dal momento in cui il trasferimento venga reso noto al condominio: in pratica, tale status si trasferisce in capo all'acquirente – non immediatamente, al prodursi della vicenda traslativa dell'unità immobiliare, bensì – unicamente quale conseguenza della pubblicità avuta da tale vicenda agli occhi della gestione condominiale; con l'ulteriore peculiarità che il venditore, conservando lo status di condomino fino al momento della comunicazione della situazione che determina il trasferimento del diritto, dovrebbe anche poter partecipare alle assemblee condominiali in cui si provveda all'approvazione ed alla ripartizione delle spese di conservazione occorse in data anteriore a tale momento, e su di lui gravanti, e rimanere legittimato ad impugnare le relative deliberazioni, in modo da far valere le sue ragioni connesse al pagamento dei contributi maturati.

Attualmente, per effetto degli artt. 1130, n. 6), c.c. e 63, ultimo comma, disp. att. c.c., potrebbe ragionevolmente sostenersi la rilevanza dell'apparentia iuris a garanzia dell'affidamento maturato dall'amministratore del condominio (in senso contrario, v. Cass. II, n. 2616/2005; Cass. II, n. 7849/2001);

Pertanto, da un lato, l'amministratore non è sempre tenuto a controllare se chi si comporta come condomino abbia effettivamente lo status per interloquire, nel senso che sia realmente proprietario dell'unità immobiliare facente parte dell'edificio condominiale da lui gestito, e, dall'altro, chi si presenta come condomino e pretenda di essere convocato alle assemblee ha l'onere di dimostrare la veridicità del proprio assunto mediante l'esibizione del relativo titolo di proprietà e di informare l'amministratore in ordine ad eventuali variazioni.

Di contro, anche se la qualità di condomino costituisce la condizione indefettibile per avere diritto a partecipare all'assemblea di condominio ed aver diritto, pertanto, al tempestivo avviso della relativa convocazione, ritenendo applicabile il principio dell'apparenza, si potrebbe, in buona sostanza, valorizzare una situazione manifesta, quale si presenta e come si presenta ai terzi, anche nel caso in cui questa non coincida con la situazione effettiva, intendendo così tutelare la buona fede dell'amministratore nel convocare il c.d. condomino apparente, e ciò sia nell'ipotesi di apparenza «pura» (caratterizzata dalla sua derivazione dall'insieme oggettivo di cui si tratta), sia in quella «colposa» (caratterizzata dal concorso, nella formazione del convincimento di chi convoca, del comportamento del titolare apparente).

Si assiste, infatti, a reiterate mendaci dichiarazioni ed a manifeste inequivoche attività di soggetti – inquilini, usufruttuari, coniugi, parenti, ecc. – che si concretano nella partecipazione assidua alle assemblee in proprio e non come delegati, nei contatti frequenti con gli organi condominiali, nel pagamento senza contestazione delle quote spese intestate a loro nome, nel pacifico essere destinatari di avvisi di convocazione o altra corrispondenza inerente la vita della collettività, nella condotta processuale in precedenti giudizi, atteggiamenti tutti che fuorviano l'amministratore, facendo nascere in quest'ultimo (incolpevolmente) il convincimento che detto stato di fatto (non corrispondente a quello di diritto) rispecchi la realtà giuridica.

Ora, succede, in un momento qualsiasi, che il vero proprietario, in evidente mala fede, impugni la deliberazione che ha approvato lo stato di riparto concernente alcune spese, eccependo di non aver ricevuto alcuna comunicazione per partecipare alla relativa assemblea, stante che l'avviso è stato inviato al c.d. condomino apparente, che finora si era comportato da vero dominus della casa, complice ovviamente anche il condomino occulto.

Negare – come fa una corrente della giurisprudenza di legittimità, sull'abbrivio di Cass.S.U., n. 5035/2002 – l'applicazione del principio dell'apparenza nei rapporti tra condominio e singolo partecipante, significa in pratica rendere oltremodo difficile l'attività dell'amministratore nella corretta convocazione dell'organo gestorio, presupposto indispensabile della regolare costituzione dell'assemblea e della validità delle relative deliberazioni.

Nei casi in cui si è di fronte ad una situazione di fatto ragionevolmente attendibile che ha generato una incolpevole aspettativa in qualcuno, anche se non conforme alla realtà, ma non altrimenti accertabile se non attraverso le sue esteriori manifestazioni, per esigenze di celerità, praticità e funzionalità del condominio, e, in ultima analisi, per non complicare troppo la vita dell'edificio urbano contro gli interessi della collettività condominiale, occorrerebbe, invece, dare rilevanza all'apparenza giuridica.

È vero che, nelle vicende su accennate, si potrebbe, con l'ordinaria diligenza, verificare l'effettiva titolarità del bene atteso il regime di pubblicità contemplato per i beni immobili nel nostro ordinamento, ma è altrettanto vero che non può premiarsi così la condotta (non certo in buona fede) di colui che, comportandosi sempre come legittimo proprietario, all'improvviso adduca di non essere condomino, invocando il rispetto della legalità e della trasparenza, ma in realtà solo per giustificare l'insolvenza ed esimersi dal pagare il dovuto (v., però, Cass. II, n. 10824/2023, secondo cui, all'assemblea condominiale, va convocato l'effettivo titolare del diritto di proprietà dell'unità immobiliare, indipendentemente dall’avvenuta comunicazione all'amministratore della eventuale vicenda traslativa ad essa relativa, non incidendo la disciplina in ordine alla tenuta del registro di anagrafe condominiale, di cui all'art. 1136, comma 6 c.c., e all'obbligo solidale per il pagamento dei contributi in caso di cessione dei diritti, di cui all'art. 63, comma 5, disp. att. c.c., sull'acquisizione dello status di condomino e sulle conseguenti legittimazioni).

Pertanto, attualmente, nel caso di vendita dell'unità immobiliare facente parte dello stabile condominiale, affinché un nuovo soggetto si legittimi di fronte al condominio quale nuovo titolare della stessa, e quindi centro di imputazioni di diritti (come quello di partecipare alle assemblee), è pur sempre necessaria una determinata iniziativa del soggetto interessato il quale, con le prescritte modalità – segnatamente, «in forma scritta», come stabilito dall'art. 1130, n. 6), c.c. – renda noto all'ente il mutamento della titolarità della proprietà separata, da cui deriverà al nuovo soggetto la qualità di condomino di quell'edificio, e, dall'adempimento di queste formalità, gli avvisi di convocazione saranno a lui indirizzati (diverso discorso deve farsi, invece, riguardo al soggetto cui rivolgere la richiesta di pagamento degli oneri condominiali, segnatamente in via monitoria).

Decesso del condomino

È ragionevole ritenere che, nell'ipotesi di decesso di un condomino (Bertotto, 1309), e di successione nella proprietà dell'unità immobiliare di uno o più eredi, l'amministratore sia tenuto ad invitare questo o questi, se tale situazione sia stata opportunamente comunicata oppure sia in qualche modo conosciuta alla compagine condominiale, non essendo configurabile un onere dell'amministratore di individuare chi siano e dove risiedano gli eredi del condomino deceduto ai fini della regolare gestione condominiale.

In quest'ordine di concetti, il Supremo Collegio ha rilevato che, ove l'avente causa non indichi e non dimostri all'amministrazione la sua qualità di nuovo condomino, l'amministratore adempie l'obbligo della comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea indirizzando l'avviso all'ultimo domicilio del condomino defunto, a nome di lui, e dimostrando l'avvenuta ricezione dell'avviso da parte di persona addetta al domicilio medesimo (Cass. II, n. 3798/1978).

Una remota pronuncia dei giudici di legittimità (Cass. II, n. 1215/1969) sembrava, invece, preferire l'applicazione analogica della norma di cui all'art. 303 c.p.c., prevista per la riassunzione del giudizio, suggerendo di indirizzare l'avviso in questione impersonalmente e collettivamente agli eredi nella casa del de cuius, tuttavia, va rilevato che tale norma ha una valenza eminentemente processuale e prevede l'osservanza di tali modalità solo sino ad un anno della morte (in questo caso, del proprietario).

Su una posizione, per così dire, mediana tra le suddette interpretazioni, si pone un più recente arresto dei giudici di Piazza Cavour, secondo i quali l'amministratore, il quale sia a conoscenza del decesso di un condomino, non è tenuto ad inviare alcun avviso ai di lui eredi, fino a quando questi non gli manifestino la loro qualità (nella specie, Cass. II, n. 6926/2007 aveva confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la nullità dell'assemblea e delle relative deliberazioni, in base al rilievo che, avendo l'amministratore comunicato l'avviso di convocazione impersonalmente agli eredi del condomino defunto presso il domicilio di uno di essi, poteva presumersi, in considerazione della comunanza di interessi e dello stretto legame di parentela, che la comunicazione stessa fosse stata portata a conoscenza anche degli altri eredi).

In una peculiare fattispecie, in cui un immobile in condominio faceva parte di un'eredità non ancora accettata, si è statuito (Cass. II, n. 14065/2005) che il chiamato è legittimato ad intervenire alle assemblee condominiali, mentre nessuna incombenza volta a provocare la nomina di un curatore dell'eredità giacente è configurabile in capo all'amministratore del condominio, che ha invece l'obbligo di convocare all'assemblea tale curatore ove il medesimo sia stato nominato, e di tale nomina egli abbia avuto notizia.

Si può, dunque, opinare che, qualora vi siano state modificazioni attinenti alle posizioni dei condomini (con riflessi in ordine alla legittimazione ad intervenire e votare in assemblea), i nuovi titolari, per aver diritto a partecipare alla vita della compagine condominiale, debbano attivarsi nei confronti dell'amministratore, provando, con forme idonee, l'intervenuto avvicendamento nella proprietà dell'unità immobiliare (escludendo, quindi, un onere di quest'ultimo nel senso di farsi parte diligente nella ricerca dei soggetti effettivamente titolari dei diritti reali sulle stesse unità); questo vale, a maggior ragione, in caso di morte di un condomino, perché in tal caso l'eventuale inerzia dell'avente causa non è surrogabile dall'iniziativa del venditore – interessato, di solito, a non corrispondere più gli oneri condominiali relativi all'appartamento oggetto del trasferimento – sicché una collaborazione dell'erede o degli eredi in tal senso è necessaria, specie alla luce dei possibili titoli di successionemortis causa.

Più semplicemente, l'amministratore convocherà coloro che risultano dall'anagrafe condominiale di cui all'art. 1130, n. 6), c.c., mentre il relativo aggiornamento è condizionato alle tempestive ed opportune segnalazioni da parte degli aventi diritto; d'altronde, in caso di decesso di un condomino, il suddetto amministratore non è in grado di sapere se trattasi di successione legittima o testamentaria, oppure se colui che è chiamato a succedere abbia o meno accettato l'eredità e, conseguentemente, la qualità di condomino con il correlato diritto di essere convocato all'assemblea, potendo, peraltro, il successore dell'unità immobiliare essere un terzo legatario (ad ogni buon conto, non sembra che l'amministratore sia legittimato a ricorrere al giudice per la nomina del curatore dell'eredità giacente al fine di sapere chi è il successore nella proprietà dell'appartamento sito nel condominio da lui amministrato).

Conflitto di interessi

La situazione di conflitto di interessi presuppone la concorrenza di una pluralità di soggetti portatori dello stesso interesse, o di interessi diversi ma relativi a beni o servizi identici.

La realtà condominiale registra sovente la sussistenza di tale situazione, stante la quasi connaturale conflittualità insita nella convivenza negli edifici, che genera potenzialmente contrasti per la necessaria coesistenza di posizioni non sempre collimanti, dove riesce talvolta difficile contemperare interessi individuali e collettivi.

In particolare, nella sede assembleare, si assiste alla presenza di una pluralità di soggetti, costituita dai singoli condomini (ed eventualmente dall'amministratore, sia o meno contemporaneamente anche condomino), che manifestano la propria volontà, pur nella possibile divergenza di opinioni, attraverso la deliberazione imputabile al condominio, il quale però non è un ente del tutto distinto dai singoli partecipanti (in quanto, secondo l'impostazione tradizionale, trattasi di ente di gestione, non dotato di personalità giuridica, né di autonomia patrimoniale).

Orbene, il conflitto di interessi nell'assemblea condominiale non è stato contemplato dal legislatore codicistico, né sfiorato dalla Riforma del 2013, e rivela difficoltà ricostruttive, stante che, di regola, lo stesso presuppone rapporti tra soggetti distinti, non identificabili, però, del tutto nel condomino e nel condominio; da ciò gli sforzi della giurisprudenza per risolvere tutte le problematiche connesse a questo fenomeno di turbamento delle decisioni dell'organo gestorio, utilizzando soprattutto – con risultati non sempre soddisfacenti – la disciplina prevista per l'analoga situazione esistente nel contesto societario.

Nel caso in cui sussista una posizione di conflitto tra condominio e condomino, si pone, innanzitutto, il problema se convocare o meno quest'ultimo per l'assemblea che dovrà adottare le decisioni su tale argomento posto all'ordine del giorno.

A fronte di un'iniziale incertezza, la giurisprudenza di legittimità sembra orientarsi per la risposta affermativa.

Invero, in un primo momento, si é affermato (Cass. II, n. 3596/1956) che, se un condomino rivendica l'esclusiva proprietà di parti comuni dell'edificio, viene a determinarsi un insanabile contrasto tra detto condomino e gli altri interessati a resistere all'azione, non potendo essere inquadrato nello schema di un mero dissenso di carattere interno tra la maggioranza e la minoranza, conseguendone che il condomino attore in rivendicazione (nella proprietà esclusiva di cose comprese nella sfera comune) non ha diritto di essere convocato alla riunione in cui si decide di resistere a tale domanda.

Il Supremo Collegio parte dal presupposto per cui, per l'applicabilità del principio in base al quale la minoranza è vincolata dalla deliberazione della maggioranza, è indispensabile che la prima sia ammessa ad esprimere il proprio parere in sede assembleare, senza che possa addursi in contrario che il voto dei condomini non convocati non avrebbe alcun peso decisivo ai fini del raggiungimento del quorum – semplice o qualificato – richiesto dalla legge; peraltro, nel caso di cui sopra, il precetto che impone l'invito alla riunione di tutti i condomini (art. 1136, comma 6, c.c.) deve essere interpretato in senso logico e non letterale, e quindi, non essendo concepibile una contemporanea partecipazione al giudizio del rivendicante, in persona propria, e del medesimo rivendicante, rappresentato come condomino dall'amministratore, la rappresentanza in questo caso devoluta a quest'ultimo deve necessariamente intendersi limitata solo al gruppo di condomini interessati a contrastare la predetta domanda proposta dall'attore-condomino.

Una parte della dottrina (Branca, 618) aveva condiviso tale soluzione, adducendo, però, altre argomentazioni a suo sostegno: il partecipante che nega l'esistenza di una comunione sulla cosa, di cui si dichiari, invece, proprietario esclusivo, si mette in una posizione di insanabile contrasto con gli altri, in quanto, con questa sua richiesta, si pone «fuori dal gruppo» di coloro che pretendono di essere condomini della cosa stessa (in tal caso, l'amministratore rappresenta solo questo gruppo di condomini che, in quanto vantino sulla cosa un diritto di comproprietà, possono dare al primo il mandato di far valere in loro nome e nel loro interesse questa pretesa); escludendo di essere condomino, il predetto partecipante non può evidentemente pretendere di esercitare quei diritti che solo a favore di chi partecipa al condominio sono riconosciuti dalla legge (tra questi, quello di cui al comma 6 citato), e non può, quindi, pretendere di essere invitato a far parte di un'assemblea a cui nega di appartenere, né, ancor meno, di esprimere in tale adunanza una dichiarazione di volontà (il voto) in una veste (condomino) che nega di avere.

Al contrario, una quasi coeva pronuncia (Cass. II, n. 3865/1956) si era orientata nel senso che la summenzionata disposizione dell'art. 1136, comma 6, c.c. deve essere osservata qualunque possa essere l'oggetto cui l'assemblea è chiamata a deliberare, e così anche quando si debba discutere la misura di diritti di comunione di un condomino, o l'esercizio abusivo di tali diritti, e si debba proporre di agire giudizialmente per la tutela degli interessi del condominio, per cui l'omesso avviso del predetto condomino basta a determinare la nullità della deliberazione, senza che possa addursi in contrario che il voto dello stesso, non debitamente convocato, non avrebbe, in ogni caso, potuto avere influenza alcuna ai fini della maggioranza, semplice o qualificata, prescritta dalla legge.

Successivamente, i giudici di legittimità hanno ribadito il principio che, nella causa promossa da un condomino contro il condominio, l'assemblea, chiamata a dichiarare se debba costituirsi e resistere, non può deliberare, se non consta che sia stato invitato anche il condomino che ha promosso la causa (Cass. II, n. 1980/1995).

Il ragionamento espresso dagli ermellini contempla i seguenti passaggi motivazionali (pienamente condivisibili): l'ordinamento giuridico vigente, nel disciplinare la materia del condominio negli edifici, ha posto talune regole giuridiche inderogabili in ordine alla costituzione dell'assemblea ed alla validità delle deliberazioni adottate dalla stessa; il comma 6 dell'art. 1136 c.c., disciplinando in particolare la costituzione dell'assemblea e la validità delle sue deliberazioni, dispone che l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini siano stati invitati alla riunione; dalla norma citata discende che, nel caso di convocazione dell'assemblea, ciascun partecipante al condominio, senza limitazione alcuna, ha diritto di essere regolarmente invitato alla riunione; a ciò induce la chiara lettera del capoverso citato, in cui si disconosce espressamente all'assemblea il potere di deliberare, ove non consti che «tutti» i condomini siano stati invitati alla riunione medesima; l'aggettivo indefinito che precede il sostantivo «condomini» ha, infatti, la funzione specifica di fissare l'àmbito soggettivo della disposizione relativa alla valida costituzione dell'assemblea, comprendendovi edittalmente il numero completo dei partecipanti al condominio senza alcuna limitazione, proprio in vista della loro condizione di portatori di interessi comuni (Triola 1995, 1166).

Non sembra che si possa negare la partecipazione alla riunione condominiale ad un condomino soltanto per il fatto che l'interesse di questi si trovi in una situazione di ipotetico conflitto con quella del condominio unitariamente considerato; la legge impone la presenza all'adunanza condominiale di tutti i partecipanti, ed anche di quelli in conflitto di interessi con il condominio, consentendo, altresì, una loro presenza attiva, nel senso di non vietare attività persuasive, che appaiono inoffensive a fronte della posizione contrastante degli altri partecipanti non confliggenti.

Sul punto, si è osservato che il condominio, come confluenza di poteri dello stesso contenuto, ma reciprocamente limitati gli uni dagli altri nella misura, costituisce una naturale espressione di una situazione di conflitto, almeno virtuale; da ciò deriva, da una parte, la posizione di norme (artt. 1102,1118,1120,1122,1124,1125,1126,1127 c.c.) intese a dirimere determinati conflitti che, dallo stato virtuale, si trasformino in contrasti attuali, e, dall'altra, l'impossibilità di escludere dalle assemblee quei condomini che, a causa di circostanze particolari, si trovino, già prima della riunione, in posizione di attuale conflitto di interessi con gli altri condomini, o con gruppi di essi; data l'essenzialità della natura conflittuale del condominio, non avrebbe alcun significato escludere dalle riunioni assembleari i condomini in conflitto con gli altri, atteso che la loro posizione di conflitto potrebbe essere superata soltanto da una deliberazione dell'assemblea, in cui le opposte ragioni vengono prese in esame ed eventualmente composte (v., più di recente, Cass. II, n. 15360/2001).

In questa prospettiva, risulta, quindi, invalida la deliberazione adottata nell'ipotesi di illegittima esclusione del condomino dall'assemblea, e ciò – lo si ripete – anche nel caso in cui il voto (ipotetico) del singolo partecipante in conflitto di interessi con il condominio non dovesse risultare determinante ai fini del raggiungimento del quorum deliberativo, in quanto con la sua partecipazione alla riunione il medesimo avrebbe potuto determinare un orientamento dei votanti in senso diverso da quello che si è in realtà manifestato con la votazione.

Anche la giurisprudenza di merito sembra orientarsi nel senso che i condomini che versano in una situazione di conflitto di interessi con il condominio hanno diritto di partecipare all'assemblea, pur dovendo, poi, astenersi al momento della votazione relativamente a quegli argomenti dell'ordine del giorno su cui esiste il contrasto (v., tra le altre, Trib. Genova 26 settembre 2003; Trib. Chieti 11 ottobre 2000; App. Milano 5 maggio 1998; contra, Trib. Pescara 30 luglio 2003, precisando che la mancata convocazione del condomino in conflitto di interessi non determina l'invalidità della deliberazione in quanto il medesimo non avrebbe potuto comunque partecipare al voto).

Condominio parziale

Può accadere che, nell'àmbito della riunione condominiale, debba essere discusso uno o più argomenti all'ordine del giorno che riguardino solo un numero ristretto di persone facenti parte del condominio: ci si chiede allora se, nelle ipotesi c.d. di condominio parziale, la modificazione dell'assemblea deliberante in relazione alla titolarità abbia o meno riflessi per la prodromica fase della convocazione.

Al riguardo, occorre prendere le mosse dalla considerazione che i presupposti per l'attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, di alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, comma 3, c.c., che le cose, i servizi e gli impianti non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti (v., per tutte, Cass. II, n. 23851/2010; Cass. II, n. 8136/2004).

Tale norma dispone che, quando si tratta di cose che, benché comuni, sono destinate a servire solo una parte dell'intero fabbricato, deve seguirsi il criterio secondo cui le spese vanno poste soltanto a carico dei condomini che traggono utilità dalla cosa (la norma parla di scale, lastrici solari, cortili, ma è ovvio che, in tale regime, possono essere attratte in via analogica anche altre parti comuni non richiamate).

Questo disposto trova il suo fondamento nel collegamento strumentale, materiale e funzionale, e, in altri termini, nella relazione di accessorio a principale, con le singole unità immobiliari, per cui le cose, servizi ed impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle predette unità di una parte soltanto dell'edificio appartengono ai proprietari di queste unità e non agli altri (Petrolati, 535).

In quest'ordine di concetti, ad esempio, in sede di ripartizione delle spese del tetto di un complesso immobiliare coperto da tetti diversi, occorrerebbe aver riguardo alla copertura dei singoli corpi di fabbrica, e porre le medesime spese non a carico di tutti i condomini, e lo stesso dicasi per i lastrici solari di proprietà comune per tutto ciò che concerne la pavimentazione, il manto di asfalto o di materiale impermeabile, le solette che li sorreggono, le gronde, i canali di attraverso cui si raccolgono e defluiscono le acque piovane, e quant'altro; così, i proprietari dei boxes contenuti in un immobile che, benché posto all'interno del perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, sia separato dall'edificio con le unità abitative, non dovrebbero concorrere alle spese di manutenzione della facciata di quest'ultimo, e, di converso, le spese riguardanti le zone comuni di queste pertinenze (si pensi all'illuminazione e pulizia dei corridoi e delle rampe di accesso) saranno a carico soltanto dei proprietari dei boxes (di solito, attraverso tabella millesimale ad hoc); proseguendo, nel caso di uno stabile con due scale accessibili dallo stesso ingresso, che servono due gruppi di condomini distinti, le spese per le scale andranno a carico del relativo gruppo che viene servito, mentre quelle per l'androne saranno suddivise tra tutti i condomini; così le spese di manutenzione delle colonne di eduzione e di scarico graveranno su ogni gruppo di condomini situati sulla stessa verticale e non sugli altri, e via dicendo (v., ex multis, Cass. II, n. 7885/1985; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Piacenza 22 maggio 2001).

Ne consegue che, dalle situazioni di c.d. condominio parziale, derivano indirettamente implicazioni inerenti la gestione e l'imputazione delle spese, e, in particolare, non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea - ed il correlativo obbligo dell'amministratore di inviare l'avviso di convocazione (Batà, 232; De Paola, 751) – relativamente alle cose, ai servizi ed agli impianti da parte di coloro che non ne hanno la titolarità, ragion per cui la composizione del collegio ed il calcolo delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità delle parti comuni che della deliberazione formano oggetto.

Tuttavia — ad avviso di Cass. II, n. 697/2000 — nell'ipotesi di convocazione di un'unica assemblea condominiale allo scopo di decidere su di una serie di questioni, alcune delle quali riguardanti solo singoli condomini — convocazione sicuramente valida, in quanto non vietata da alcuna norma — i condomini eventualmente non legittimati a votare su di un determinato argomento che non li riguardi non possono, attraverso la partecipazione alla discussione che precede quella votazione, influire sull'esito della stessa.

Luogo della riunione

Il novellato comma 3 dell'art. 66 disp. att. c.c., rispetto al passato, menziona il «luogo della riunione» tra gli aspetti contenutistici dell'avviso di convocazione, ma continua a non offrire alcuna indicazione al riguardo.

Pertanto, nel silenzio della legge – nelle società per azioni, l'art. 2363 c.c. prescrive, invece, che l'assemblea sia convocata dagli amministratori nella sede della società – e, in difetto di disposizioni specifiche del regolamento sul punto, la relativa determinazione è rimessa alla discrezionalità dell'amministratore, secondo il buon senso e criteri di opportunità.

Si conviene, tuttavia, che, nella scelta della sede della riunione dell'assemblea condominiale, l'amministratore incontri due limiti.

Il primo limite è di carattere territoriale, nel senso che la predetta riunione deve comunque avvenire entro il confine della città dove si trova l'edificio condominiale e non in un Comune diverso, specie quando il condominio sia costituito da soggetti residenti (Trib. Imperia 20 marzo 2000).

In questa prospettiva, si pone una recente sentenza di merito (Trib. Treviso 29 giugno 2016), ad avviso della quale, seppure la disciplina codicistica non disciplini esplicitamente il luogo dove debba tenersi l'assemblea, ciò non significa che colui il quale abbia il potere di convocarla, ossia l'amministratore, possa sceglierlo in maniera insindacabile, sicché, in mancanza di una norma regolamentare o di uno specifico accordo tra gli interessati, la scelta del luogo ove l'assemblea deve essere tenuta deve effettuarsi tenendosi conto del “luogo ove si trova il bene comune” (nella specie, relativamente ad un condominio sito in un città del veneto, si era convocata l'assemblea presso lo studio legale di un avvocato di Milano – e, quindi, a circa 250 chilometri di distanza dal luogo in cui sorgeva l'edificio – al fine di discutere e deliberare su determinati argomenti posti all'ordine del giorno: proposta impugnazione da parte di un condomino, il Tribunale adìto, annullando la deliberazione impugnata, ha affermato che l'amministratore, allorché il regolamento nulla disponga circa il luogo dell'assemblea, “deve convocarla scegliendo la sede nel rispetto del limite territoriale della città in cui sorge il condominio”, consentendo la possibilità per tutti i condomini di parteciparvi al fine dell'ordinato svolgimento delle discussioni).

Soltanto quando le assemblee riguardano condominii siti in località di villeggiatura (mare, montagna, ecc.), sembra opportuno che le riunioni si svolgano in loco, ossia negli stessi luoghi dove si trascorrono le ferie e nei periodi di vacanza nei quali sussiste il maggior numero di condomini (estate, inverno, ecc.), a meno che la totalità dei frequentatori, o quantomeno la maggioranza – salva la prova che la scelta del luogo sottenda l'intento specifico di rendere impossibile la partecipazione all'assemblea di un determinato condomino – abbia la residenza in un dato Comune (si pensi ad una seconda casa vicino ad una grande città).

In quest'ottica, risulta pienamente condivisibile il convincimento di una pronuncia di merito (Trib. Sciacca 18 ottobre 2007), secondo la quale va considerata legittima la convocazione dell'assemblea condominiale fuori del Comune di ubicazione dell'edificio, sito in zona di villeggiatura e costituito da non residenti per oltre la metà, in quanto ciò agevola la partecipazione alla formazione della volontà collegiale, corrispondendo, così, alle obiettive esigenze e agli interessi della maggioranza dei condomini.

Il secondo limite è di carattere oggettivo, e concerne l'idoneità intrinseca del luogo delle riunioni sotto il profilo ambientale, nel senso che il posto scelto deve offrire affidamento per la partecipazione potenziale di tutti i condomini – può svolgersi in un locale destinato ad hoc per le riunioni oppure avente altre destinazioni purché, ad esempio, non si tratti di un locale insalubre o troppo angusto in modo da non contenere comodamente tutti i partecipanti – e per l'ordinato svolgimento della discussione, anche sotto il profilo della riservatezza; si pensi alla sala sita nella vicina parrocchia, all'appartamento messo a disposizione da un condomino (Trib. Milano 25 gennaio 1993), all'ufficio dell'amministratore, e non, ad esempio, in una località difficilmente raggiungibile.

Invero, la scelta del luogo non deve essere ispirata da intenti defatigatori, stante che il precetto di individuare la sede all'interno della città potrebbe essere formalmente rispettato, convocando però l'assemblea in un posto disagevole – ad esempio, dall'altro capo di una metropoli – scelto appositamente al fine di disincentivare la partecipazione dei condomini.

Secondo una remota pronuncia dal Supremo Collegio (Cass. II, n. 2284/1958), la sala della sede di un partito politico, purché sufficientemente ampia, costituisce di per sé un luogo idoneo ad ospitare un'assemblea di condominio, qualora ad essa abbiano accesso, durante lo svolgimento della stessa assemblea, soltanto i condomini che a questa devono partecipare (non potendosi, peraltro, pensare a pregiudiziali politiche nella trattazione di semplici affari amministrativi).

Ovviamente, se nell'avviso sia omesso o genericamente indicato il luogo dello svolgimento dell'assemblea, le deliberazioni adottate potranno essere impugnate davanti all'autorità giudiziaria (Cass. II, n. 14461/1999), mentre diverso è il caso in cui, in forza dell'indicazione contenuta nel regolamento, si renda inutile la specificazione del luogo.

Soprattutto durante il particolare periodo correlato al rischio epidemiologico da coronavirus - ma con interessanti spunti di riflessione anche per le fasi successive al lock down - si è discusso molto circa la possibilità di svolgimento delle assemblee condominiali con la modalità della videoconferenza, che era stata consentita dalla legislazione emergenziale con riferimento alle analoghe assemblee delle associazioni non riconosciute, fondazioni e società (v. anche il commento subart. 72 disp. att. c.c.). Al riguardo, si è sottolineato chenessuna disposizione di legge impone espressamente la compresenza “fisica” degli intervenuti in uno stesso luogo, nel senso chei termini “partecipazione”, “intervento”, “presenza”, adoperati dalle norme codicistiche, non selezionano alcuna particolare modalità di partecipazione, di intervento o di presenza. Non si nascondono le difficoltà operative di tale modalità di svolgimento, connesse, per un verso, alla (purtroppo ancora) scarsa dimestichezza degli utenti con i nuovi strumenti telematici, e, per altro verso, alla mancata o problematica copertura della rete internet, ma si è dell'avviso che il progresso delle tecnologie risolveranno queste problematiche “tecniche”, sicché, non ravvisandosi preclusioni “giuridiche”, pure per il futuro non legato all'epidemia da Covid-19, il sistema della videoconferenza, anche nella forma “mista” - ossia per chi vuole in praesentia e per chi lo desidera da remoto - con i dovuti accorgimenti del caso, possa soddisfare quel metodo collegiale e quel principio maggioritario che costituiscono l'essenza della contestuale discussione, dell'immediata votazione e delle meditate delibere adottate dalla compagine condominiale.

Tali suggerimenti sono stati recepiti (sia pure con ritardo) dal legislatore, il quale, in sede di conversione del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (recante “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia”), con la legge 13 ottobre 2020, n. 126 - pubblicata nella Gazzetta ufficiale 13 ottobre 2020, n. 253, s.o. n. 37/L, ed entrata in vigore il giorno successivo (ossia il 14 ottobre 2020) - ha approvato l'emendamento di cui al comma 1-bis dell'art. 63. Nello specifico, al comma 3 dell'art. 66 disp. att. c.c., vengono inserite, dopo le parole “e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione”, le seguenti: “o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e l'ora stessa”, nonché, dopo il comma 5, le seguenti: “Anche ove non espressamente previsto dal regolamento condominiale, previo consenso di tutti i condomini, la partecipazione all'assemblea può avvenire in videoconferenza. In tal caso, il verbale, redatto dal segretario e sottoscritto dal presidente, è trasmesso all'amministratore e a tutti i condomini con le medesime formalità previste per la convocazione”.

A distanza di poco meno di due mesi, è intervenuta la l. 27 novembre 2020, n. 159 - recante “ Misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta Covid, nonché per l'attuazione della direttiva UE 2020/739 del 3 giugno 2020”, pubblicata nella Gazzetta ufficiale 3 dicembre 2020, n. 300, e in vigore dal giorno successivo (ossia dal 4 dicembre 2020) - che, in sede di conversione del d.l. 7 ottobre 2020, n. 125, ha modificato il testo del novello comma 6 dell'art. 66 disp. att. c.c. In particolare, sotto la spinta dell'esigenza di dare ossigeno al settore edilizio, agevolato dal ricorso al superbonus 110%, il legislatore ha optato, come condizione legittimante l'assemblea in videoconferenza, per la (più abbordabile) maggioranza dei condomini, e quindi, abbandonando il consenso totalitario e facendo riferimento soltanto all'elemento personale delle teste, a prescindere dai millesimi.

Giorno dell'adunanza

Rispetto al testo precedente che si rivelava silente sul punto, il comma 3 dell'art. 66 disp. att. c.c. prevede ora che «l'avviso di convocazione ... deve contenere ... l'indicazione (del luogo) e dell'ora della riunione»: quindi, oltre quelle spaziali – analizzate supra – nel suddetto avviso vanno specificate anche le coordinate temporali, anche se il legislatore menziona solo l'ora, dimenticandosi la data, ossia il giorno, il mese e l'anno in cui l'assemblea si debba svolgere.

Prendendo le mosse da quest'ultima, in effetti, nulla stabilisce il codice in ordine al tempo della convocazione, nel senso che non si fissa una data precisa: ovviamente, il concetto di «data della convocazione» si potrebbe riferire esclusivamente all'assemblea ordinaria, nel senso che il regolamento condominiale potrebbe imporre un dato periodo entro il quale la stessa debba essere tenuta – ad esempio, entro centottanta giorni successivi alla scadenza dell'esercizio per discutere l'approvazione del «rendiconto condominiale annuale di gestione», come ora espressamente dispone l'art. 1130, n. 10), c.c. – mentre l'assemblea straordinaria è, per tale sua caratteristica, a convocazione eventuale, ossia può essere fatta in qualsiasi tempo a seconda delle esigenze ad essa sottese.

È, invece, stato eliminato quell'inciso che compariva nel testo approvato dalla Commissione Giustizia della Camera nella seduta del 23 maggio 2012, secondo il quale «l'assemblea, sia in prima sia in seconda convocazione, non può svolgersi in un giorno in cui ricorre una festività religiosa riconosciuta come tale dalla Chiesa cattolica o dalle confessioni che, ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione hanno stipulato intese con lo Stato»; in effetti, trattavasi di disposizione che, per quanto rispettosa delle varie fedi presenti nel nostro Paese, avrebbe causato non poche difficoltà operative, specie per l'amministratore il quale, a fronte di una compagine condominiale multirazziale, potrebbe ben ignorare le varie religioni professate dagli abitanti dello stabile, anche perché coperte dalla privacy costituendo dati sensibili (in argomento, Nucera 2011, 690, circa la convocazione dell'assemblea in un giorno coincidente con la Pasqua ebraica).

Prima e seconda convocazione

È prassi largamente diffusa quella secondo cui, nell'invito, compaiano due date, una immediatamente successiva all'altra, riferite, rispettivamente, alla prima ed alla seconda convocazione, quest'ultima in un giorno successivo a quello della prima ma non oltre dieci giorni dalla medesima.

Il codice civile se ne occupa curiosamente in due disposizioni, segnatamente, nell'art. 1136, comma 3, c.c., secondo cui, qualora l'assemblea in prima convocazione non possa deliberare per mancanza di numero legale, l'assemblea in seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima «e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima», reiterando lo stesso precetto nel comma 4 dell'art. 66 disp. att. c.c., ad avviso del quale «l'assemblea in seconda convocazione non può tenersi nel medesimo giorno solare della prima».

Trattasi della c.d. doppia convocazione utilizzata al chiaro fine di evitare un raddoppio delle formalità e degli adempimenti relativi alla convocazione nonché per esigenze di velocizzazione, il che, ovviamente, non esclude che si possa provvedere alle due diverse convocazioni con due diversi e separati avvisi, rispettando, per ciascuna data, i requisiti di legge, specie riguardo al termine di preavviso.

Si ritiene che dette date debbano essere indicate con precisione, per cui, qualora la menzione dei giorni sia affetta da errore materiale e l'assemblea – a meno che non rappresenti la totalità dei partecipanti al condominio – si sia tenuta nei giorni in cui effettivamente avrebbe dovuto aver luogo se l'errore non ci fosse stato, sussiste il vizio di omessa convocazione che inficia la deliberazione adottata.

È comunque principio consolidato secondo cui non basta fissare tale convocazione per un'ora dopo quella stabilita per la prima convocazione, occorrendo, invece, che si vada almeno al giorno successivo, anche se è non è obbligatorio che dalla prima convocazione siano trascorse almeno ventiquattro ore (Cass. II, n. 196/1970); in pratica, il precetto di cui all'art. 1136, comma 3, c.c. vuole evitare che la seconda convocazione sia di fatto un prolungamento della prima, per cui, se la prima convocazione è fissata per le ore 23,50 di un giorno, non si può fissare la seconda alle ore 0,10 del giorno successivo, in quanto la finalità della legge verrebbe sostanzialmente elusa (Cass. II, n. 22685/2014, ad avviso della quale la norma di cui all'art. 1136 c.c., secondo la quale tra l'assemblea di prima e di seconda convocazione deve passare almeno un giorno, va intesa non già nel senso che debbano trascorrere ventiquattro ore, ma che la seconda assemblea deve essere tenuta, come minimo, nel giorno successivo; nella giurisprudenza di merito, si segnalano: Trib. Milano 5 aprile 1990; Trib. Milano 23 febbraio 1989, ad avviso del quale sono viziate da nullità assoluta le deliberazioni assunte nel corso di assemblee condominiali le cui prima e seconda convocazione siano previste solo in ore diverse della medesima giornata, anziché in giorni distinti).

Il secondo termine («non oltre dieci giorni») intende, poi, superare l'inconveniente opposto a quello fin qui esaminato: una nuova convocazione troppo lontana dalla precedente non è più una che si riallaccia a quest'ultima come invece dovrebbe, in quanto, se trascorre un notevole lasso di tempo, ad esempio, l'ordine del giorno potrebbe essere dimenticato.

Convocazioni consecutive

Il sistema conosce esclusivamente l'assemblea in prima convocazione e quella in seconda convocazione qualora venga a mancare il quorum costitutivo della prima: in effetti, una terza convocazione non è prevista, sicché, se difetta anche il quorum della seconda, occorre ricominciare daccapo, con un nuovo avviso di convocazione.

La prassi aveva registrato spesso alcune ipotesi in cui l'assemblea di seconda convocazione, non potendo esaurire per quella data le questioni oggetto della riunione (di solito, «attesa l'ora tarda»), decideva un «aggiornamento» ad una data successiva per finire la discussione e le decisioni su tali questioni, per assumere maggiori informazioni, per raccogliere altri elementi valutativi, per acquisire il parere di una persona esperta, e quant'altro (Milan, 468).

Tuttavia, non prevedendo la legge, per alcuna ragione, una convocazione successiva alla seconda, tale aggiornamento doveva considerarsi alla stregua della convocazione di una nuova assemblea, che, di conseguenza, non poteva validamente deliberare se non constava che tutti i condomini fossero stati tempestivamente invitati a partecipare (integrando, peraltro, la preventiva convocazione un requisito essenziale per la validità di qualsiasi deliberazione); quindi, per l'aggiornamento era necessaria una nuova convocazione, anche se l'avviso andava ragionevolmente recapitato soltanto agli assenti, in quanto i presenti alla riunione potevano, già in quel momento, avere notizia della data in cui si sarebbe tenuta la successiva assemblea.

In ordine, poi, al valore da dare a questa successiva riunione, si era considerato che, allorquando un'assemblea condominiale, operante in seconda convocazione, fosse rinviata per il prosieguo ad altra data sugli stessi argomenti all'ordine del giorno, con il debito accordo degli intervenuti e previo tempestivo avviso della data fissata a coloro che risultavano assenti, tale assemblea non doveva ritenersi di prima convocazione, con l'obbligo delle relative maggioranze per le deliberazioni, risultando soltanto la legittima continuazione dell'assemblea in seconda convocazione (in argomento, v. Cass. II, n. 1516/1988; Cass. II, n. 4648/1981).

Ci si era chiesti, a questo punto, se fosse possibile fissare, in un unico avviso, più riunioni condominiali consecutive: a tale quesito la prassi aveva dato sostanzialmente una risposta positiva, nel senso che, qualora fosse prevedibile che l'esame di argomenti particolarmente impegnativi e complessi posti all'ordine del giorno dell'assemblea non potesse esaurirsi in una sola riunione, si era consentito all'amministratore – ove non fosse diversamente previsto dal regolamento di condominio – di fissare più riunioni consecutive, in modo da assicurare lo svolgimento dell'assemblea in termini brevi, e così provvedere alla convocazione delle relative assemblee successive con un unico avviso, senza la necessità di ulteriori convocazioni formali che avrebbero provocato ritardi e disguidi (per una risposta positiva, v. Cass. II, n. 4846/1988).

Comunque, tale prassi trova oggi l'avallo da parte dell'ultimo comma del novellato art. 66 disp. att. c.c., il quale espressamente dispone che l'amministratore abbia la facoltà di fissare più riunioni consecutive, in modo da assicurare lo svolgimento dell'assemblea in termini brevi, convocando gli aventi diritto con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell'assemblea validamente costituitasi.

D'altronde, non si può pretendere che, qualora l'ordine del giorno sia particolarmente nutrito, allorché gli argomenti sono degni di approfondimento, quando sono molti e complessi gli argomenti da trattare, l'adunanza prosegua senza interruzioni, nelle ore notturne o, addirittura, nei giorni successivi, essendo ciò incompatibile con la normale resistenza fisica dei partecipanti che, ad un certo momento, non sarebbero più in grado di seguire le discussioni con la necessaria lucidità.

Rimane fermo che l'originario avviso indichi puntualmente la data e l'orario dei successivi incontri, laddove, nel silenzio circa il luogo della riunione, deve intendersi quello dove si sono svolte le precedenti; siccome il legislatore parla di «prosecuzione dell'assemblea validamente costituitasi», si deve dedurre che, nelle successive riunioni, il quorum costitutivo a cui fare riferimento sia sempre quello della prima riunione, anche qualora nei successivi incontri lo stesso non sia raggiunto; in altri termini, non si è in presenza di una nuova e diversa assemblea nella quale portare a termine la discussione degli argomenti non trattati, ma semplicemente di proseguire la precedente riunione, in seconda convocazione, anche ai fini delle maggioranze deliberative.

A questo punto, è importante che l'originario avviso sia chiaro nel «fissare più riunioni consecutive», ossia indicando con precisione il giorno e l'orario in cui saranno discussi i vari argomenti posti all'ordine del giorno, evitando di calendarizzare incontri con date distanti le une dalle altre (ovviamente, il termine per impugnare, ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., decorreranno dalle singole decisioni adottate).

Orario dell'incontro

Sempre con riferimento alle modalità «temporali» dell'avviso di convocazione, lo stesso deve indicare anche l'orario in cui si terrà la riunione condominiale.

In proposito, l'amministratore – salvo precise disposizioni del regolamento condominiale al riguardo – dovrà considerare le esigenze comuni (di abitazione e di lavoro) dei condomini che fanno parte dello stabile, così che va considerata inopportuna la convocazione in orari lavorativi o notturni, nei quali, per motivi intuibili, l'assemblea potrebbe probabilmente andare deserta o registrare pochissimi partecipanti che non raggiungano il livello numerico prescritto per una valida costituzione dell'organismo deliberante (la scelta non deve, ovviamente, essere ispirata da un evidente spirito defatigatorio).

Per prassi, si indica, in prima convocazione, orari inconsueti (ad esempio, ore 23,30), per far sì che l'assemblea vada deserta, non potendo raggiungere le maggioranze prescritte, e deliberare poi in seconda convocazione, e ciò dipende dalla maggiore funzionalità e produttività di quest'ultima derivante dai suoi quorum più ridotti che rendono le decisioni più gestibili; in realtà, esistono svariati modi per «scoraggiare» i condomini dal partecipare all'assemblea di prima convocazione ed «indurre» alla seconda convocazione, quali, ad esempio, l'indicazione in neretto o in maiuscolo dei dati dell'adunanza preferita, mentre diverso è il discorso in cui vi sia l'invito «espresso», a mezzo di biglietto supplementare allegato all'avviso, di far «saltare» la prima convocazione considerando soltanto l'altra come «vera» assemblea (v. singolarmente Trib. Bologna 8 gennaio 1992, secondo il quale era da ritenersi lecito l'invito contenuto nell'avviso di convocazione di un'assemblea condominiale in cui «si pregano» i condomini ad intervenire all'assemblea in seconda convocazione, in quanto non comportante la volontà di impedire lo svolgimento dell'assemblea stessa in prima convocazione).

Ovviamente, chi diserta l'assemblea in prima convocazione, perché, data l'ora tarda, crede ragionevolmente che quest'ultima vada deserta, lo fa a proprio rischio, in quanto anche la prima convocazione è da considerarsi valida a tutti gli effetti (Cass. II, n. 697/2000, aggiungendo che, in mancanza di una norma che disponga il contrario, non esistono limiti di orario alla convocazione di un'assemblea condominiale, nè la fissazione dell'assemblea in ora notturna può ritenersi completamente preclusiva della possibilità di parteciparvi

).

Peraltro, l'omissione o la generica indicazione della data o/e dell'ora della riunione non hanno effetto se tutti i condomini, nessuno escluso, partecipano all'assemblea, come anche chi abbia partecipato ad un'assemblea dei condomini, tenutasi in seconda convocazione nello stesso giorno della prima, senza aver mosso alcuna obiezione al riguardo, non può successivamente impugnare la deliberazione presa deducendo la predetta irregolarità (in senso «buonista», si segnala Cass. II, n. 6919/1982, secondo la quale, ove il relativo avviso sia stato fatto per iscritto, l'omissione in esso del giorno e dell'ora, non è di per sé decisiva ai fini della validità o meno della deliberazione assembleare, dovendo, invece, accertarsi dal giudice di merito se il condomino ne abbia avuto notizia aliunde, ma in tempo utile alla consegna dell'avviso, con la conseguenza della validità di detta deliberazione).

Termine di preavviso

Relativamente al termine di preavviso, rispetto al testo precedente dell'art. 66 disp. att. c.c. – secondo cui «l'avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza» – il novellato comma 3 mantiene il termine di cinque giorni ma fa riferimento espresso alla data fissata per «l'adunanza in prima convocazione».

Tale precisazione si rivela assai opportuna, nel senso che il suddetto termine va rispettato sia per la prima sia per la seconda convocazione quando l'avviso di queste sia stato fatto con un unico atto: invero, considerata la possibilità per l'assemblea di poter deliberare in seconda convocazione in presenza delle condizioni stabilite dall'art. 1136, comma 3, c.c. e sul presupposto della regolare convocazione di tutti i condomini alla prima convocazione, la Riforma ha puntualizzato che l'invito, contenente l'indicazione di entrambe le date di convocazione (prima e seconda), deve pervenire ai partecipanti entro il termine di cui all'art. 66 citato con riferimento alla prima data di convocazione, anche se questa è andata deserta (in precedenza, in linea con tale interpretazione, già Cass. II, 24041/2020, Cass. II, n. 22047/2013, e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Bologna 5 gennaio 1998).

Qualora, poi, la data della seconda convocazione non figuri già nell'avviso della prima, non sembra che quella debba avvenire se non cinque giorni dopo il fallimento di questa, nel senso che, nel silenzio del codice, il termine di preavviso sia necessario alla seconda per analogia di quanto è disposto per la prima: invero, l'una è una ripresa dell'altra, per cui il preavviso dato per la vecchia vale a fortiori per la nuova, e, constatato il fallimento di quella, si può convocare sùbito questa anche per il giorno successivo.

Il termine ivi contemplato (cinque giorni) continua a rivestire la finalità di consentire al condomino, da un lato, di organizzare le proprie occupazioni allo scopo di poter presenziare all'assemblea o, se del caso, delegare qualcuno, e, dall'altro, di prepararsi adeguatamente all'esame ed alle decisioni da assumere riguardo agli argomenti posti all'ordine del giorno, esponendo le proprie motivazioni ed offrendo il proprio contributo (D'Urso, 374; Nucera 2013, 438).

Il predetto termine va calcolato a ritroso, tenendo conto che, nel computo dei termini a giorni, si esclude il giorno iniziale, secondo la massima dies a quo non computatur in termine, mentre si calcolano quelli finali, secondo l'altra massima dies ad quem computatur in termine (Zerilli, 111); quando la legge – come nel caso di specie – per la decorrenza del termine, fa riferimento al dies ad quem anziché al dies a quo, il giorno finale, a cominciare dal quale il termine all'indietro viene ad assumere il valore di capo, non deve essere computato, mentre va considerato nel termine il giorno iniziale, in conformità alla regola generale dettata dall'art. 155 c.p.c.; pertanto, il termine di cinque giorni decorre dal primo giorno immediatamente precedente a quello fissato per lo svolgimento dell'assemblea, e da esso vanno calcolati i cinque giorni per verificare la tempestività della ricezione dell'avviso.

Osservano, in proposito, i giudici di legittimità – riprendendo una datata ma sempre attuale pronuncia (Cass. II, n. 995/1969) – che la regola generale in tema di computo dei termini subisce eccezioni tutte le volte che la legge dispone che non si debba tener conto dell'estremo finale; questo carattere eccezionale dei c.d. giorni liberi è stato mantenuto fermo solo in alcuni casi, come ad esempio nell'ipotesi del termine a comparire (art. 163-bis c.p.c.) o del termine per la comunicazione delle comparse conclusionali (art. 190 c.p.c.), ma appunto perché trattasi di casi eccezionali, espressamente previsti, non può ovviamente soccorrere il criterio dell'analogia; in questo contesto, l'avverbio «almeno» non attribuisce particolare qualificazione all'espressione adoperata dalla legge, nel senso di darle un significato equivalente a quello di «giorni liberi» (v., altresì, Trib. Milano 7 maggio 1992; Trib. Milano 1° luglio 1985), perché con esso si è voluto semplicemente significare, rafforzando il concetto espresso dal testo della disposizione, che l'avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini non oltre cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza, come per dire che aldilà di quel termine l'ultimo adempimento sarebbe tardivo. Più di recente, si è chiarito (Cass. II, n. 18635/2021) che, nel calcolo del termine di “almeno cinque giorni prima”, stabilito dall'art. 66, ultimo comma, disp. att. c.c. - nella formulazione vigente ratione temporis - per la comunicazione ai condomini dell'avviso di convocazione dell'assemblea, atto recettizio di cui il condominio deve provare la tempestività rispetto alla riunione fissata per la prima convocazione, trattandosi di giorni non liberi” (stante l'eccezionalità dei termini c.d. liberi - che escludono dal computo i giorni iniziale e finale - limitati ai soli casi espressamente previsti dalla legge e da calcolare a ritroso, non va conteggiato il dies ad quem (e, cioè, quello di svolgimento della riunione medesima), che assume il valore di capo o punto fermo iniziale, mentre va incluso il dies a quo (coincidente con la data di ricevimento dell'avviso), quale capo o punto fermo finale, secondo la regola generale fisata negli artt. 155, comma 1, c.p.c. e 2963 c.c.

Il mancato rispetto di tale modalità dell'avviso di convocazione – per giurisprudenza costante, sia di legittimità, v., ex plurimis, Cass. II, n. 2148/1987, sia di merito, Trib. S. Maria Capua Vetere 20 dicembre 1983; App. Lecce 9 maggio 1983; contra, isolata, Trib Ariano Irpino 22 giugno 2004, che opta per la nullità – comporta l'annullabilità della deliberazione adottata, non rilevando la c.d. prova di resistenza, ossia che si sarebbero comunque raggiunte le prescritte maggioranze nelle votazioni da far ritenere indifferente anche il voto contrario degli assenti (v., tra le altre, Cass. II, n. 5084/1993), per cui, se tale vizio non viene fatto valere nel termine di decadenza di cui all'art. 1137, comma 2, c.c., la deliberazione, quantunque viziata, diviene irretrattabile.

Invero, in questo caso, non è in discussione l'an della convocazione, ma solo la conformità del procedimento seguito per la preventiva informazione dei condomini rispetto alla disciplina legale (o a quella peculiare del regolamento condominiale).

Tale conclusione viene avallata dalla Riforma, la quale, nel novellato art. 66, comma 3, disp. att. c.c., in fondo, statuisce che, «in caso di (omessa), tardiva (o incompleta) convocazione degli aventi diritto», la deliberazione assembleare possa essere annullata ex art. 1137 c.c. su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati.

Perfezionamento dell'invio

La Riforma del 2013 non detta, erò, soluzioni sulla problematica relativa al perfezionamento dell'incombente concernente il rispetto del termine di preavviso, ossia se l'avviso di convocazione di cui all'art. 66 disp. att. c.c., al fine di consentire al condomino di decidere la propria strategia partecipativa, debba essere non solo «inviato», ma anche «ricevuto» (di contro, l'art. 1117-ter c.c., a proposito delle deliberazioni che approvano le modifiche alle destinazioni delle parti comuni dell'edificio, stabilisce che la convocazione dell'assemblea – oltre che essere affissa per non meno di tranta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati – deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da «pervenire» almeno venti giorni prima della data di convocazione).

La giurisprudenza ha prevalentemente optato per la seconda soluzione (Cass. II, n. 5769/1985; contra, Cass. II, n. 6863/1982; tra le recenti pronunce di merito, si segnalano: Trib. Busto Arsizio-Gallarate 28 settembre 2011; Trib. Bologna 29 luglio 1996; App. Genova 26 aprile 1996; Trib. Milano 17 aprile 1989).

Del resto, considerando che l'avviso di convocazione ha natura di atto unilaterale recettizio, lo stesso produce effetto soltanto quando perviene a conoscenza del destinatario (Frigerio, 548), sicché eventuali ritardi, nel recapito della corrispondenza, seppure imputabili al servizio postale, non potrebbero essere posti a giustificazione, da parte dell'amministratore, dell'eventuale mancata ricezione della comunicazione in tempo utile; il condomino, in pratica, deve avere a disposizione cinque giorni pieni al fine di disporre la propria attività in modo da essere presente all'assemblea, per cui «comunicazione» vuol dire avere notizia della fissata adunanza e non spedizione dell'invito.

Una diversa soluzione, invece, potrebbe frustrare le esigenze conoscitive (e, conseguentemente, partecipative) a cui tale incombente è finalizzato, nel senso che la consegna del plico al servizio postale cinque giorni prima dell'adunanza potrebbe ritenersi idonea a ritenere regolarmente convocata l'assise condominiale anche qualora, per le note disfunzioni di tale servizio, l'invito potrebbe giungere anche in prossimità dell'evento o, addirittura, dopo il suo svolgimento (Grondona, 447).

Orbene, nonostante l'avvento delle moderne tecnologie e l'espressa autorizzazione ad avvalersi dei strumenti telematici (segnatamente, mail e pec), resta preponderante l'invio dell'avviso di convocazione dell'assemblea mediante lettera raccomandata, ci si augura con ricevuta di ritorno, anche se il legislatore si dimentica di questa ulteriore garanzia (risulta confinata a piccole realtà immobiliari la consegna a mano, comprovata, ad esempio, dal foglio firmato fatto girare dal portiere dello stabile).

Il problema sorge perché risulta incerto, nel caso della raccomandata, l'individuazione del preciso momento in cui possa ritenersi che l'avviso sia stato, appunto, «comunicato» al condomino.

Al riguardo, notevole apprensione aveva destato, negli operatori del settore – amministratori in primis – le affermazioni di un recente arresto del Supremo Collegio, la quale si era pronunciata sul diverso incombente della «comunicazione» del verbale agli assenti, ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni per l'impugnazione ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., ma con principi ragionevolmente esportabili anche all'avviso di convocazione.

Invero, si era statuito (Cass. II, n. 25791/2016) che, ai fini del decorso del termine di impugnazione contemplato nel suddetto art. 1137 c.c., la comunicazione, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, del verbale assembleare al condomino assente all'adunanza si ha per eseguita, in caso di mancato reperimento del destinatario da parte dell'agente postale, decorsi dieci giorni dalla data di rilascio dell'avviso di giacenza o, se anteriore, da quella di ritiro del piego, in applicazione analogica dell'art. 8, comma 4, della l. n. 890 del 1982, onde garantire il bilanciamento tra l'interesse del notificante e quello del destinatario in assenza di una disposizione espressa, non potendo la presunzione di cui all'art. 1335 c.c. operare relativamente ad un avviso – come quello di giacenza – di tentativo di consegna, che non pone il destinatario nella condizione di conoscere il contenuto dell'atto indirizzatogli.

Tuttavia, di recente, gli stessi giudici di legittimità (Cass. II, n. 23396/2017) hanno osservato che l'avviso di convocazione – atto eminentemente privato, e del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall'applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari – costituisce un atto unilaterale recettizio, per cui esso rinviene la propria disciplina nell'art. 1335 c.c., al medesimo applicandosi la presunzione di conoscenza in tale norma prevista (superabile da una prova contraria da fornirsi dal convocato), in base alla quale la conoscenza dell'atto è parificata alla «conoscibilità», in quanto riconducibile anche solamente al pervenimento della comunicazione e non alla sua materiale apprensione o effettiva conoscenza.

Invero, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. degli atti recettizi in forma scritta giunti all'indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo indicato dalla norma; l'onere della prova a carico del mittente riguarda, in tale contesto, solo l'avvenuto recapito all'indirizzo del destinatario, salva la prova, da parte del destinatario, dell'impossibilità di acquisire in concreto l'anzidetta conoscenza per un evento estraneo alla sua volontà (v., in termini, Cass. II, n. 8275/2019;  Cass. II, n. 4352/1999).

Da ciò deriva l'ovvio corollario per cui, se è vero che, per ritenere sussistente, ex art. 1335 c.c., la presunzione di conoscenza, da parte del destinatario, della dichiarazione a questo diretta, è necessaria e sufficiente la prova che la dichiarazione stessa sia pervenuta all'indirizzo del destinatario, tale momento, ove la convocazione all'assemblea di condominio sia stata inviata mediante lettera raccomandata non consegnata per l'assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell'agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi (si pensi al momento in cui la lettera sia stata ritirata o al compiersi della giacenza).

Viene, dunque, riaffermato, il principio di diritto per cui, in tema di condominio, riguardo all'avviso di convocazione di assemblea di cui all'art. 66 disp. att. c.c., stante che detto avviso deve qualificarsi quale atto di natura privata – del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall'applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari – e, in particolare, quale atto unilaterale recettizio ai sensi dell'art. 1335 c.c., al fine di ritenere fornita la prova della decorrenza del termine dilatorio di cinque giorni antecedenti l'adunanza di prima convocazione, condizionante la validità delle delibere, è sufficiente e necessario che il condominio (sottoposto al relativo onere), in applicazione della presunzione del citato art. 1335, dimostri la data di pervenimento dell'avviso all'indirizzo del destinatario, salva la possibilità per quest'ultimo di provare di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia; tale momento, ove la convocazione all'assemblea sia stata inviata mediante lettera raccomandata – cui il testo dell'art. 66 disp. att. c.c. affianca, nel testo successivo alla riforma di cui alla l. n. 220 del 2012, altre modalità partecipative – e questa non sia non consegnata per l'assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell'agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi (quali il momento in cui la lettera sia stata effettivamente ritirata o in cui venga a compiersi la giacenza).

Nel senso di cui sopra, in effetti, si erano già espressi i magistrati di Piazza Cavour (v., di recente, Cass. II, n. 22311/2016, in fattispecie condominiale del tutto simile a quella in esame, cui adde i numerosi precedenti in altre materie, soprattutto lavoristica e agraria); va segnalata, altresì, un'altra pronuncia in materia locatizia (Cass. III, n. 8399/1996), secondo la quale una questione di legittimità costituzionale dell'art. 1335 c.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. – per la disparità di trattamento che la norma, come sopra interpretata, creerebbe fra i destinatari di atti unilaterali recettizi, anche di rilevante interesse economico-giuridico, rispetto ai destinatari degli atti giudiziari, notificati a mezzo posta – sia manifestamente infondata, trattandosi di situazioni non omogenee e consentendo, comunque, l'art. 1335 citato di superare la presunzione di conoscenza del destinatario dell'atto, ove quest'ultimo provi di essersi trovato senza sua colpa nell'impossibilità di averne notizia.

Inderogabilità della norma

Trattasi, comunque, di norma inderogabile per espresso richiamo del successivo art. 72 disp. att. c.c. (Trib. Napoli 13 maggio 1991), sicché deve ritenersi nulla una clausola regolamentare che preveda un termine minore di cinque giorni di quello contemplato nel comma 3 dell'art. 66 disp. att. c.c., mentre è possibile un aumento dello stesso, nel senso di prescrivere che la spedizione dell'avviso debba avvenire con un margine più ampio, oppure prevedere un termine di cinque giorni che debba essere lasciato «libero» tra la comunicazione dell'avviso di convocazione e l'adunanza condominiale: ciò può avvenire, ad esempio, tenendo presente gli impegni professionali e lavorativi dei condomini, o del fatto che la riunione si tenga in un luogo di villeggiatura, per cui sia opportuno che l'invito giunga con un notevole anticipo rispetto alla riunione, oppure considerando l'importanza delle questioni da trattare in assemblea, nel senso che richiedano un'adeguata preparazione (con eventuale raccolta di pareri tecnici, indagini esplorative, preventivi di spesa, e quant'altro).

In quest'ultimo caso, ad esempio, ove la disposizione contenuta nel regolamento condominiale preveda che l'avviso debba essere inviato ai condomini otto giorni prima della riunione, se la comunicazione avviene in un termine inferiore a quello così prescritto, la deliberazione assembleare è annullabile e la relativa impugnativa può essere proposta anche da coloro che, pur essendo intervenuti alla riunione, abbiano in questa sede manifestato il loro dissenso in ordine all'assemblea di deliberare validamente.

Nulla esclude, ovviamente, che il condomino interessato rinunci all'osservanza del termine minimo maggiore, ritenendo all'uopo sufficiente un termine più breve, e, in pratica, non impugnando la deliberazione adottata, faccia acquiescenza alla stessa, come anche la mancata osservanza del predetto termine non ha alcuna rilevanza se tutti i condomini partecipano all'adunanza e nessuno si oppone alla discussione.

È ovvio che, qualora l'avviso di cui sopra sia ricevuto addirittura successivamente al giorno fissato alla riunione, sussiste – diversamente dall'ipotesi di avviso intempestivo – una situazione equivalente a quella relativa all'omessa convocazione, inficiando così la deliberazione adottata, in quanto l'avviso posteriore fa mancare il rapporto di strumentalità tra l'atto e lo scopo al quale è preordinato, che è appunto quello di consentire di avere «preventiva» conoscenza della riunione onde potervi intervenire.

Ordine del giorno

Alla luce delle modifiche apportate dalla l. n. 220/2012, il contenuto precettivo del nuovo comma 3 dell'art. 66 disp. att. c.c. si presenta più dettagliato, in quanto attualmente è prescritto che l'avviso di convocazione debba contenere la «specifica indicazione dell'ordine del giorno» (oltre che l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione).

Invero, il vecchio testo prevedeva soltanto che «l'avviso deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza», mentre rimane invariato il comma 3 dell'art. 1105 c.c. – contemplato per la comunione, ma applicabile anche al condominio negli edifici in forza del rinvio di cui all'art. 1139 – secondo cui, per la validità delle deliberazioni della maggioranza, si richiede che tutti i partecipanti siano stati «preventivamente informati dell'oggetto della deliberazione».

Rispetto al passato, si prescrive espressamente che l'avviso di convocazione per l'assemblea condominiale contenga l'ordine del giorno, che questo sia «specifico» e che siano indicate quantomeno le coordinate spazio-temporali della relativa riunione, sostanzialmente codificando un principio già ampiamente acquisito in giurisprudenza (in ordine alla prassi per cui, con l'avviso di convocazione, si invia anche una bozza del verbale della futura assemblea, Scalettaris, 723).

Dunque, l'avviso di convocazione, sotto il profilo contenutistico, deve indicare – oltre il luogo e l'orario della riunione – con precisione l'argomento o gli argomenti che saranno trattati e decisi nell'assemblea: quest'ultima disposizione soddisfa una legittima pretesa dei partecipanti al condominio, ossia di conoscere, con un certo preavviso, gli argomenti che saranno discussi nella riunione al fine di poter votare consapevolmente se intendono presenziare alla stessa oppure al fine di poter dare direttive specifiche a chi li rappresenterà se desiderano essere assenti (Cass. II, n. 21449/2010).

Resta inteso (ad avviso di Cass. II, n. 10865/2016), che la delibera assembleare che abbia ad oggetto un contenuto generico e programmatico – come, nella specie, la ricognizione del riparto dei poteri tra singoli condomini, amministratore ed assemblea – non necessita, ai fini della sua validità, che il relativo argomento sia tra quelli posti all'ordine del giorno nell'avviso di convocazione, trattandosi di contenuti non suscettibili di preventiva specifica informativa ai condomini e, comunque, costituenti possibile sviluppo della discussione e dell'esame di ogni altro punto all'ordine del giorno.

L'ordine del giorno deve, quindi, contenere un'indicazione sufficientemente articolata delle materie da trattare, per dar modo ai soggetti interessati non solo di decidere in anticipo se intervenire o meno alla riunione, ma anche per evitare che gli assenti si trovino, per così dire, spiazzati di fronte a deliberazioni prese su argomenti che, proprio perché non indicati all'ordine del giorno, non avrebbero giustamente essere discussi né votati (quasi scontata la precisazione di Trib. Parma 9 dicembre 1991, secondo cui, se nell'ordine del giorno di convocazione dell'assemblea, è indicata la «discussione» di un argomento, i condomini sono validamente chiamati, non solo a discutere, ma anche a deliberare su tale argomento).

I temi da trattare, quindi, vanno indicati con chiarezza, pur se sommariamente, e con impliciti richiami ai problemi connessi, bastando che il soggetto interessato sia messo in condizione di desumere dall'avviso ricevuto quale «oggetto» della discussione sarà trattato in sede assembleare, in ordine al quale è sufficiente un succinto e schematico richiamo purché esauriente e comprensibile; l'indicazione degli argomenti da discutere può, quindi, avvenire in forma sintetica ed abbreviata, ancorché implicita, attraverso il riferimento a categorie logiche e deduttive oppure a nozioni pratiche ed operative, sempre che, attraverso la lettura dell'ordine del giorno, il condomino possa essere a conoscenza della reale portata delle materie da trattare e delle implicazioni delle eventuali statuizioni (Carrato, 35)

Ne consegue che l'oggetto di una deliberazione possa essere ricompreso nell'indicazione di un oggetto più ampio o, attraverso una valutazione consequenziale, possa essere connesso all'oggetto espressamente indicato (Trib. Roma 21 ottobre 1986).

Se è ben vero che, ai fini della validità delle deliberazioni dell'assemblea, è necessario che nell'avviso di convocazione sia contenuto un ordine del giorno recante la specifica elencazione degli argomenti da trattare nell'indetta adunanza, deve ritenersi, però, che la specificità dell'ordine del giorno non postula un'indicazione analitica e minuziosa di ogni singolo aspetto delle materie dedotte in discussione, e deve essere ravvisata sussistente tutte le volte che il contenuto dell'avviso di convocazione sia tale da mettere i condomini in condizione di comprendere i termini essenziali dell'indetto dibattito, sì da poter decidere in anticipo se intervenire, direttamente o indirettamente, alla convocata riunione, essendo, nel primo caso, preparati ad affrontare le proposte tematiche e, nel secondo caso, in grado di dare le eventuali istruzioni all'eventuale delegato (Cass. II, n. 1511/1997).

Ne deriva che, nell'avviso di convocazione, non deve essere prefigurato il risultato dell'esame del punto da parte dell'assemblea, della discussione conseguente e dello sviluppo di questa (Cass. II, n. 13047/2014; Cass. II, n. 21298/2007, nella specie, si era confermato l'assunto del giudice di merito secondo cui la formula «presentazione degli elaborati» relativi al progetto di risanamento e ristrutturazione del condominio non potesse che comprendere anche il riferimento alla decisione circa l'approvazione o meno degli stessi); pertanto, deve ritenersi compresa nell'ordine del giorno dell'assemblea convocata per l'approvazione dei lavori di sostituzione dell'impianto di riscaldamento, la decisione di accertare previamente l'indispensabilità o meno dell'esecuzione dei lavori, l'idoneità di quelli preventivati nonché la congruità dei relativi costi, incaricando all'uopo un esperto di redigere un parere tecnico su tali questioni (Cass. II, n. 11677/1993).

Nello stesso senso, ove secondo l'ordine del giorno l'assemblea sia chiamata a deliberare sullo stanziamento di un fondo per spese relative a lavori di manutenzione del fabbricato condominiale, si è ritenuto (Cass. II, n. 3463/1975) che l'assemblea possa approvare uno stanziamento a titolo fondo per spese impreviste e straordinarie, giacché queste rispondono all'esigenza della gestione condominiale e rientrano nel più ampio àmbito oggettivo delle spese occorrenti per il godimento e la conservazione delle parti comuni dell'edificio, di guisa che la voce di spesa, così precisata, non esorbita i limiti delle attribuzioni dell'amministratore ed il decisum assembleare si pone in rapporto di meno a più rispetto all'argomento iscritto nell'ordine del giorno, mentre, diversamente opinando, si attuerebbe un'ingiustificata compressione dei poteri dell'assemblea, la quale rimarrebbe priva di qualsiasi pur angusta autonomia e dovrebbe esaurire il compito istituzionale riconosciutogli dall'ordinamento con l'approvazione o con la reiezione dell'argomento enunciato nella comunicazione di convocazione dell'assemblea stessa, senza alcun margine di possibilità di discussione, avente lo scopo di precisare, chiarire e persino limitare la portata della questione in ordine alla quale deve adottarsi la deliberazione.

In quest'ordine di concetti, di recente, si è avuto modo di precisare (Cass. II, 21966/2017), che la mancata specifica indicazione, tra gli argomenti oggetto dell'ordine del giorno dell'assemblea, dell'approvazione del compenso a favore dell'amministratore non determina la violazione del diritto di informazione preventiva dei convocati e, dunque, l'invalidità della deliberazione, atteso che tale compenso rappresenta, ai sensi dell'art. 1129, comma 14, c.c., una spesa a carico del condominio e, dunque, una voce del relativo bilancio, suscettibile di approvazione in sede di decisione concernente il consuntivo spese.

Peraltro, la sufficienza, o l'insufficienza, delle indicazioni poste all'ordine del giorno va valutata considerando anche che le stesse sono destinate a soggetti che sono o si presume che siano a conoscenza delle principali questioni sollevate nel condominio, per cui può succedere che un argomento potrebbe apparire a prima vista non specifico mentre costituisca un problema ormai noto al condominio (Cass. II, n. 63/2006, la quale ha ritenuto che l'eventuale genericità dell'avviso non comportasse l'invalidità della relativa deliberazione in quanto risultava che il condomino era sufficientemente informato, sia pure aliunde, dell'argomento che avrebbe costituito oggetto della riunione; Cass. II, n. 89/1967, nell'ipotesi in cui il regolamento di condominio stabiliva la corresponsione di un compenso all'amministratore, ha considerato che la determinazione di questo costituisse un argomento strettamente connesso alla nomina dell'amministratore medesimo, con la conseguenza che non era necessaria una sua espressa indicazione nell'avviso di convocazione; di contro, Trib. Napoli 17 dicembre 1990, ha reputato insufficiente la circoscritta indicazione nell'ordine del giorno di «lavori urgenti ed indispensabili» per deliberare legittimamente sui lavori di tinteggiatura generale del fabbricato e di rifacimento degli intonaci).

Varie e eventuali

Alla fine dell'elenco degli argomenti da trattare nella riunione condominiale, compare, per un uso corrente nella prassi, la dicitura «varie ed eventuali», ma è incerto l'esatto contenuto che possa avere tale incombente assembleare.

Di solito, tale «voce» comprende comunicazioni da parte dell'amministratore o dei condomini, comunque a puro titolo informativo (senza l'impegno di spesa, salvo trattarsi di minimi esborsi), o suggerimenti e raccomandazioni all'amministratore (per agevolarlo in una più corretta gestione condominiale), o richieste di chiarimenti allo stesso (per avere delucidazioni su talune condotte o prassi), o richieste di inserire una data questione all'ordine del giorno della successiva assemblea (o aggiornare una tematica discussa all'esito di incarichi esplorativi o alla raccolta di alcuni preventivi), oppure argomenti di secondaria importanza e di minimo rilievo pratico, tali da non necessitare una specifica menzione nell'ordine del giorno e di essere oggetto di una deliberazione assembleare (Coppolino, 381; De Tilla, 400)

Sulla legittimazione ad impugnare del condomino delegante, si pronunciato un giudice di merito (Trib. Napoli 28 novembre 2000), in una fattispecie di annullamento di deliberazione assembleare nella parte in cui, con riferimento al capo «varie ed eventuali» previsto dall'ordine del giorno, approvava la costituzione di un fondo speciale finalizzato a fronteggiare spese condominiali urgenti (Trib. Torino 30 novembre 1988).

In una fattispecie relativa all'esecuzione dei lavori di rifacimento della facciata dell'edificio condominiale, si è affermato che, ai fini della validità della deliberazione dell'assemblea sul punto, è necessario che il relativo argomento sia stato specificatamente inserito nell'avviso di convocazione dell'assemblea, in quanto riguardante la materia dell'amministrazione straordinaria del bene comune, non potendo considerarsi ricompreso nella dizione «varie» (Cass. II, n. 4316/1986; tra le pronunce di merito, si segnala App. Genova 20 febbraio 1988, la quale ha escluso che la voce «varie ed eventuali» fosse sufficiente a legittimare la decisione di stipulare un contratto di assicurazione contro gli incendi).

Resta inteso che, se a seguito dell'informazione e della relativa discussione sul punto, emerga la necessità di adottare una decisione in merito a qualche argomento ritenuto particolarmente rilevante e bisognoso di una più approfondita valutazione, la relativa statuizione dovrà per forza essere rimandata ad una successiva riunione, nella quale sarà inserito tale argomento nell'ordine del giorno con una voce ad hoc (Trib. Bologna 21 giugno 2006, secondo cui la mancata previsione dell'ordine del giorno di un punto inerente ai presunti danni arrecati da alcuni condomini ai beni comuni ed alla proprietà esclusiva del condominio non può ex adverso ritenersi compresa sotto la generica voce «problematiche varie condominiali»; Trib. S. Maria Capua Vetere 7 febbraio 1984).

In buona sostanza, le questioni che impongano una deliberazione potranno essere delibate ma non decise tra le «varie» (Fontana, 620; Tiscornia, 149).

Vizi della delibera

La giurisprudenza è stata costante nel considerare l'omissione o incompletezza dell'ordine del giorno una causa di annullabilità – e non nullità – della deliberazione adottata, che pertanto doveva essere impugnata nel termine di decadenza di trenta giorni di cui all'art. 1137, comma 2, c.c. (v., ex multis, Cass. II, n. 6212/1992; tra le pronunce di merito, si segnalano: Trib. Perugia 15 gennaio 2000, e App. Milano 20 maggio 1980; contra, Trib. Bologna 14 gennaio 1998, e Trib. Napoli 14 ottobre 1987), ma non ha alcun effetto se la totalità dei condomini partecipano alla riunione senza nulla obiettare.

Infatti – secondo l'impostazione tradizionale – la sanzione della nullità della deliberazione dell'assemblea presidiava esclusivamente l'esigenza che tutti i condomini fossero previamente informati della convocazione dell'assemblea, così da poter essere partecipi del procedimento di formazione della medesima deliberazione, per cui, salvaguardata tale esigenza, le lacune e le irregolarità del procedimento di convocazione e di informazione dei condomini, in esse compresa l'eventuale incompletezza dell'ordine del giorno, non potevano che dar luogo a deliberazioni contrarie alla legge, espressamente soggette, come tali, all'impugnazione per annullamento (Bordolli, 689).

Alla stregua del nuovo discrimen individuato dalla magistratura di vertice tra deliberazioni nulle e annullabili – inaugurato da Cass. II, n. 31/2000, e avallato da Cass.S.U., n. 4806/2005, cui adde Cass. II, n. 143/2004 – il vizio di incompletezza dell'ordine del giorno ancor più rientra nelle seconde, con la conseguenza che questa dovrà essere impugnata nel termine di trenta giorni, giusta il disposto dell'art. 1137 c.c., il che, d'altronde, ha trovato espressa conferma, a livello legislativo, nel novellato art. 66, comma 3, disp. att. c.c., il quale, in fondo, statuisce che «in caso di ... incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137» c.c.

Peraltro, si era anche affermato che, quando l'assemblea procedesse alla trattazione di materia non indicata specificatamente nell'avviso di convocazione, la partecipazione alla discussione, senza sollevare eccezioni al riguardo, precludeva al condomino il diritto di impugnare la deliberazione adottata, in conseguenza dell'acquiescenza prestata con il proprio comportamento alla formale irregolarità della costituzione dell'assemblea (sull'inesistenza della legittimazione ad impugnare da parte del condomino dissenziente nel merito, che non aveva però eccepito tale irregolarità, v., altresì, Cass. II, n. 5889/2001; Cass. II, n. 8344/1998; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Torino 6 marzo 2009; Trib. Udine 10 febbraio 2003; Trib. Parma 9 dicembre 1991; cui adde Trib. Napoli 9 novembre 1988, il quale reputa configurabile un vizio di natura formale che produce la semplice annullabilità della deliberazione, conseguendone che, qualora tale deliberazione non venga impugnata nel termine di cui all'art. 1137 c.c., l'irregolarità dalla quale era affetta deve ritenersi sanata, aggiungendo che il partecipante alla suddetta irregolare assemblea che non abbia mosso alcuna obiezione al riguardo in sede di discussione, non può impugnare la deliberazione presa, ponendo a fondamento dell'impugnazione la predetta irregolarità, perché con il suo comportamento ha aderito all'attuazione del procedimento irregolare di convocazione).

Resta fermo, però, che l'accertamento della completezza o meno dell'ordine del giorno di un'assemblea condominiale, nonché della pertinenza della deliberazione dell'assemblea al tema in discussione indicato nell'ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, è poi demandato all'apprezzamento del giudice del merito insindacabile in sede di legittimità se sufficientemente, adeguatamente e non contraddittoriamente motivato (v., ex multis, Cass. II, n. 13763/2004; Cass. II, n. 3634/2000; Cass. II, n. 11526/1999; Cass. II, n. 1511/1997).

Detto in altre parole, costituisce giudizio di fatto, come tale sottratto al sindacato della Cassazione, a meno che riveli violazione dei canoni ermeneutici posti dalla legge oppure errori logici o giuridici, l'accertamento del contenuto di una deliberazione dell'assemblea, nonché l'interpretazione della volontà formata e manifestata dalla maggioranza dei condomini e l'accertamento, quindi, della pertinenza della deliberazione medesima al tema di discussione proposto con l'avviso di convocazione (Cass. II, n. 14560/2004, nella specie, si era confermata la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che la deliberazione adottata dall'assemblea, che impegnava il condominio per l'esecuzione di opere definitive per un ammontare pari a oltre duecentoquarantasette milioni di lire, potesse oggettivamente riconnettersi ad un ordine del giorno che indicava come oggetto della discussione l'esecuzione di diverse e specifiche opere provvisionali urgenti, per un importo inferiore a dieci milioni di lire, o, in alternativa, di opere più rilevanti, ma per un importo di cinquantacinque milioni di lire).

Modalità di comunicazione dell'avviso

Per quanto concerne le particolari modalità dell'avviso contemplate nel novellato comma 3 dell'art. 66 disp. att. c.c., le stesse si rivelano in linea con i moderni sistemi di comunicazione (Vidiri, 1070), anche se questi ultimi non sempre offrono la prova dell'avvenuto ricevimento da parte del destinatario.

In precedenza, nel silenzio della legge sul punto, si era concordi nel ritenere che l'avviso di convocazione all'assemblea non era soggetto a particolari formalità, salvo che non fossero previste dal regolamento di condominio; in pratica, la convocazione di tutti i condomini per l'assemblea poteva essere compiuta in qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo, purché risultasse che erano state fornite al condomino informazioni sufficienti a renderlo edotto dell'assemblea ed a metterlo in condizione di parteciparvi (Cass. II, n. 15087/2005; Cass. II, n. 2450/1994; Cass. II, n. 140/1985; Cass. II, n. 590/1980); parimenti (ad avviso di Cass. II, n. 29747/2017), l'assemblea dei partecipanti alla comunione ordinaria, è validamente costituita mediante qualsiasi forma di convocazione purché idonea allo scopo, in quanto gli artt. 1105 e 1108 c.c. non prevedono l'assolvimento di particolari formalità, menzionando semplicemente la preventiva conoscenza dell'ordine del giorno e la decisione a maggioranza dei partecipanti.

Dunque, non era imposto che la comunicazione rivestisse la forma scritta, sicché poteva avvenire, per la giusta esigenza di evitare eccessive formalizzazioni, oralmente o per telefono, di preferenza personalmente – ossia direttamente al destinatario e non, ad esempio, ad un membro della famiglia – sempre che il condomino avesse in qualche modo avuto sicuramente notizia della riunione (Gallucci, 2010).

In quest'ordine di concetti, tale prova poteva essere raggiunta con ogni mezzo, anche per presunzioni, aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2728 c.c.

Esaminando fattispecie particolari, i giudici di legittimità avevano ritenuto raggiunta tale prova alla stregua della dimostrata spedizione della raccomandata contenente l'avviso di convocazione attraverso il tempestivo inserimento del relativo avviso nella casella intestata al condomino destinatario, integrata dalla presunzione che lo stesso destinatario controllasse assiduamente la presenza al suo interno della corrispondenza a lui diretta (Cass. II, n. 875/1999); o desumendola da un foglio nel quale risultava apposta la firma dei condomini per «ricevuta comunicazione assemblea condominiale» di un dato giorno (Cass. II, n. 1033/1995); o in base all'esibita distinta di spedizione della raccomandata contenente l'avviso di convocazione, integrata dalla presunzione che le raccomandate consegnate alla posta arrivano a destinazione e del successivo comportamento del destinatario (Cass. II, n. 2148/1987); o mediante la convocazione dell'avviso di convocazione alla moglie del portiere, con funzioni di sostituta, presso lo stabile in cui si trovava il destinatario (Cass. II, n. 140/1985); o nel caso in cui il condomino aveva respinto la raccomandata pervenutagli nei termini, ponendosi così in condizione di non poter conoscere la data della riunione assembleare (Cass. II, n. 196/1970); oppure qualora fosse accertata l'esistenza di una prassi, in base alla quale l'avviso di convocazione di assemblea, destinato ad uno dei condomini non abitanti nell'edificio condominiale, veniva consegnato ad altro condomino, suo congiunto (Cass. II, n. 8449/2008).

Per converso, si era ritenuto che non si potesse attribuire al comportamento di un condomino nelle successive sedute di assemblea valore di prova presuntiva univoca della ricezione da parte sua dell'avviso di convocazione per un'assemblea precedente alla quale non avesse partecipato, e nessun valore certificante avevano i verbali delle citate assemblee successive (Cass. II, n. 2368/1970); né la prova poteva essere offerta con la dimostrazione della consegna dell'avviso a soggetti ai quali non era stato conferito uno stabile potere di rappresentanza nei confronti del condominio (Cass. II, n. 2838/1999); né risultava rilevante l'affermazione, anche se non contestata, che nello stabile era invalsa la consuetudine di affiggere gli avvisi mediante cartello esposto in portineria o in altro luogo condominiale di transito, non potendosi, appunto, da ciò presumere con certezza l'avvenuta conoscenza da parte dei tutti gli aventi diritto alla convocazione (contra, App. Lecce-Taranto 27 agosto 2004, che aveva ritenuto idoneo l'avviso effettuato tramite affissione di volantino in prossimità del locale box di pertinenza del condomino, dallo stesso abitualmente utilizzato).

La Riforma del 2013 ha, sul punto, scelto di predeterminare le forme legittime della convocazione assemblare, prescrivendo opportunamente che il suddetto avviso debba avvenire «a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano».

Si privilegia, comunque, la forma scritta, in quanto, da un lato, consente al condominio di provare più agevolmente l'avvenuto e tempestivo invio dell'avviso, e, dall'altro, consente di informare adeguatamente i partecipanti delle materie poste all'ordine del giorno, che talvolta possono essere svariate e complesse (Della Corte, 7).

D'altronde, il novellato art. 66 disp. att. c.c., al comma 3, continua a parlare di «avviso di convocazione ... comunicato», il che induce a ritenere che debba essere fatto comunque per iscritto; il fatto che si è esclusa, a contrario, la forma orale, porta necessariamente a ritenere che non si possano utilizzare altri mezzi di comunicazione, oltre quelli tassativamente previsti, anche se idonei a supporre presuntivamente la conoscenza della convocazione da parte di coloro che sono chiamati a partecipare all'assise condominiale.

Pertanto, se la trasmissione avviene mediante posta raccomandata con ricevuta di ritorno – da effettuarsi alla residenza della persona da convocare o, se sussiste, al domicilio dalla stessa eletto – tale forma di comunicazione offre garanzie di certezza in ordine al recapito dello stesso, producendo in giudizio, se la circostanza è contestata, la relativa cartolina.

Con ciò non si esclude la consegna a mano – quest'ultima praticabile nelle realtà condominiali abbastanza ridotte, considerando, d'altronde, che non tutti sono dotati di modem e computer – attraverso la circolazione, ad esempio, presso ogni unità immobiliare di un foglio da parte del portiere, sul quale ciascun condomino possa apporre la data del ritiro e la propria firma (modalità, d'altronde, largamente utilizzata nella prassi, anche per ragioni di rapidità ed economicità); di contro, non sarebbe sufficiente, invece, un avviso affisso in portineria, che potrebbe anche non essere notato e letto da tutti gli interessati, ad esempio, perché accedono alle loro abitazioni, usando l'ascensore direttamente dal garage sito nel piano interrato, ossia senza transitare nell'androne ove è sita la guardiola del portiere (v., però, la fattispecie contemplata dall'art. 1117-ter c.c. che, per la modificazione della destinazione delle parti comuni dell'edificio, prescrive, altresì, che la convocazione dell'assemblea debba essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi «nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati»).

Inoltre, il suddetto avviso può avvenire via fax, anche se questa modalità non offre la prova certa dell'avvenuta ricezione, sicché, imponendosi maggiori cautele, la prassi di richiedere al destinatario la conferma di tale ricezione non appare affatto eccessiva o impropria; la giurisprudenza amministrativa che si è occupata dell'argomento (Cons. Stato, n. 6208/2011) ha avuto modo di rilevare che l'invio tramite fax rappresenta uno strumento idoneo a determinare la piena conoscenza del provvedimento stesso, in quanto il fax costituisce un sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente sia, attraverso il c.d. rapporto di trasmissione, la ricezione del messaggio in quello ricevente, sicuramente atto a garantire l'effettività della comunicazione: posto che gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema garantiscono in via generale una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, ne consegue la presunzione circa l'avvenuta ricezione, senza che colui che dimostra di aver inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova, salva l'eventuale prova contraria concernente la funzionalità dell'apparecchio ricevente fornita, secondo l'ordinaria regola processualista, da chi afferma la mancata ricezione del messaggio.

Sotto questo profilo, la posta elettronica certificata dà maggiori garanzie, perché l'atto raggiunge il suo scopo anche se il destinatario non apre la posta, perché il sistema inserisce il documento nella casella «virtuale», essendo onere di chi la possiede consultarla periodicamente; segnatamente, l'utilizzo della PEC, già presente nella prassi, in quanto strumento tecnologico economico, veloce e, soprattutto, sicuro per quel che riguarda la certezza dell'avvenuta comunicazione e la prova legale dell'avvenuta ricezione, ben si presta all'invio di comunicazioni relative agli avvisi di convocazione per l'assemblea, non escludendo l'utilizzo di questo mezzo informatico anche per altri incombenti della gestione condominiale, come, ad esempio, solleciti di pagamento a fronte di spese straordinarie o/e urgenti (peraltro, potrebbe utilizzarsi anche la mail ordinaria, non necessariamente certificata, subordinandola però all'apposito impegno da parte del condomino di confermare l'avvenuto ricevimento).

Dell'invio informatico dell'avviso di convocazione all'assemblea si occupa, altresì, il nuovo art. 1117-ter c.c. avente ad oggetto la modificazione della destinazione d'uso delle parti comuni: attesa la delicatezza dell'argomento da decidere, la disposizione di nuovo conio stabilisce particolari modalità per la conclusione dell'iter assembleare, tra cui il fatto che il relativo avviso deve effettuarsi «mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici» (il pensiero corre spontaneo alla PEC perché, al momento dell'invio della relativa mail, il gestore si occuperà di inviare all'amministratore-mittente una ricevuta che costituirà valore legale dell'avvenuta trasmissione del messaggio, con precisa indicazione temporale del momento in cui la stessa è stata inviata).

Quanto sopra, ovviamente, alla condizione che tali strumenti siano in possesso dei condomini destinatari e questi ultimi abbiano espressamente manifestato l'intenzione di vedersi recapitare in tal modo le relative convocazioni (Meo, 693).

Peraltro, non appare contrastante con i principi del nostro ordinamento giuridico il ricorso a modi di informazione diversi dalla comunicazione diretta, perché tali modi sono espressamente previsti dalla nostra legislazione in varie disposizioni (Corpino, 630).

È stata, quindi, ritenuta regolare la convocazione fatta con il sistema dei pubblici proclami, stabilito dal regolamento della comunione e giustificato dall'ingente numero dei comproprietari e dalla conseguente pratica impossibilità di avere tempestiva conoscenza dei trasferimenti delle varie quote di comproprietà (Cass. II, n. 1375/1966, in materia di consorzio, ma applicabile senz'altro al fenomeno del c.d. supercondominio; cui adde Cass. II, n. 4278/1976, secondo la quale non incideva il fatto che alcuni destinatari fossero stati indicati con errori materiali, qualora detti errori, in relazione ad ogni circostanza del caso, non potessero far sorgere dubbi sull'uguale raggiungimento dello scopo perseguito da tale forma di notificazione, e cioè di una concreta possibilità di conoscenza da parte dei destinatari).

Disposizioni del regolamento

Nulla esclude che il regolamento di condominio prescriva determinate forme (più o meno severe) per l'invio dell'avviso in oggetto, al fine di rafforzare la garanzia che la comunicazione sia effettuata preventivamente a tutti i condomini; in questo caso, le disposizioni specifiche devono essere rispettate, al pari della disciplina legale, nei confronti di ciascun condomino, con la conseguenza, in caso di violazione, dell'annullabilità delle deliberazioni così viziate (Cass. II, n. 1515/1988; contra, Trib. Perugia 4 agosto 1993).

In quest'ottica, tanto per fare un esempio, qualora il regolamento condominiale preveda espressamente che l'avviso di convocazione sia fatto con lettera raccomandata, non dovrebbe essere considerata equipollente la consegna a mano dello stesso, anche se il diritto del singolo ad avere piena conoscenza della convocazione della riunione non sia stato concretamente leso, salvo ritenere comunque raggiunto lo scopo.

Onere della prova

Pure se sono mutate le modalità per la comunicazione dell'avviso di convocazione per l'assemblea condominiale, rimane il problema dell'onere della prova, nel senso che, ferme le più stringenti formalità, va individuato il soggetto che, in caso di contestazione in ordine alla ritualità del suddetto avviso, debba dimostrare che l'iter assembleare sia stato conforme alle regole legali.

Al riguardo, la giurisprudenza è concorde nel senso che, affinché sia soddisfatta l'esigenza che tutti i condomini abbiano avuto preventiva notizia dell'assemblea, l'onere di provare che il predetto avviso sia stato trasmesso e la comunicazione abbia avuto buon fine spetta al condominio, non essendo corretto che il condomino debba offrire la prova negativa dell'inosservanza dell'obbligo legale (v., tra le altre, Cass. II, n. 5254/2011; Cass. II, n. 24132/2009; Cass. II, n. 5267/1997; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Palermo 5 settembre 1991).

Detto principio è stato chiarito dal Supremo Collegio (Cass. II, n. 12379/1992), il quale ha statuito che debba trovare conferma l'affermazione secondo cui il condomino, il quale chieda l'accertamento dell'invalidità della deliberazione, deve fornire la prova che le regole di formazione della volontà assembleare non siano state rispettate; l'onere di provare che tutti i condomini siano stati tempestivamente avvisati della convocazione incombe, viceversa, sul condominio e non già sul condomino, il quale eccepisca l'invalidità della deliberazione assembleare, non potendo porsi a suo carico l'onere di una dimostrazione negativa come quella della mancata osservanza dell'obbligo di tempestivo avviso all'universalità dei condomini;

Non esiste, peraltro, alcuna contraddizione logico-giuridica tra le esposte affermazioni di principio, poiché la diversa soggettività dell'onere probatorio, alla luce dei principi informatori della materia (art. 2697, commi 1 e 2, c.c.), si spiega con il rilievo che, mentre nella prima ipotesi l'impugnativa del condomino è portata contro una deliberazione formalmente valida, nel secondo caso incombe al condominio fornire la dimostrazione della regolarità della convocazione, quale elemento costitutivo della validità della deliberazione (Salciarini, 28).

Nello stesso senso, sia pure sulla base di argomentazioni diverse, un'altra pronuncia (Cass. II, n. 8199/1998) ha ribadito che è vero che la deduzione dell'inesistenza di un fatto (cioè la deduzione di un fatto negativo) non esonera, per il solo aspetto del particolare contenuto (negativo) del petitum, dall'onere della prova, che sempre incombe su colui che chiede una pronuncia giudiziale, ma è anche vero che, nel caso specifico, non si comprende quale prova avrebbe dovuto dare il condomino in ordine alla mancanza di avviso nei suoi confronti di convocazione dell'assemblea; invero, nell'ipotesi in cui un soggetto, che per la sua qualifica deve essere avvisato della convocazione dell'assemblea alla quale ha diritto di partecipare, deduca di non essere stato avvisato, mentre egli, in base al principio della distribuzione dell'onere probatorio, è tenuto a dimostrare tale qualifica (da cui discende la sua posizione di «creditore» dell'avviso), spetta a colui che è tenuto ad effettuare la comunicazione (e, quindi, ne è «debitore») a dover dare la prova di aver adempiuto all'obbligo dell'avviso.

In buona sostanza, il singolo dovrà dimostrare, in caso di contestazione, l'esistenza di eventuali vizi inerenti alla formazione della volontà assembleare, mentre spetterà al condominio – o supercondominio – convenuto dal primo per l'invalidità della deliberazione dimostrare la regolarità del procedimento di convocazione.

D'altronde, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. degli atti recettizi in forma scritta giunti all'indirizzo del destinatario, opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo indicato dalla norma, sicché l'onere di provare l'avvenuto recapito all'indirizzo del destinatario è a carico del mittente, salva la prova da parte del destinatario medesimo dell'impossibilità di acquisire in concreto l'anzidetta conoscenza per un evento estraneo alla sua volontà (Cass. II, n. 4352/1999; tra le pronunce di merito, v. App. Milano 19 marzo 1996 e Trib. Milano 2 aprile 1992; per una peculiare fattispecie, v. Trib. Bologna 24 gennaio 2011, secondo cui, qualora il condominio dia prova della regolare notifica, a mezzo posta, di un plico la cui datazione porta a presumere che il suo contenuto fosse l'avviso di convocazione assembleare, è onere del condomino, destinatario dell'avviso, dimostrare, ai fini dell'accertamento dell'omessa convocazione, che detto plico non conteneva alcuna lettera al suo interno, oppure ne recava una di contenuto diverso da quello indicato dal mittente).

Pertanto, in ordine alla problematica concernente l'onere della prova della convocazione dei condomini, sembra oramai superato quell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui spettava al condomino la dimostrazione del mancato rispetto delle condizioni previste dalla legge per la regolare formazione della volontà assembleare (v., tra le altre, Cass. II, n. 4691/1989; Cass. II, n. 3169/1978).

Tuttavia, reputando che la omessa, irregolare o intempestiva convocazione del condomino all'assemblea comporti la mera annullabilità (e non nullità) della deliberazione adottata in quella riunione – come opinato dal recente orientamento della giurisprudenza di vertice – si dovrebbe coerentemente inferire che l'onere di provare l'esistenza del vizio sia posto a carico dello stesso condomino che agisce impugnando tale deliberazione (Scarpa 2011, 420), essendo espressione del principio generale che è sempre onere dell'attore allegare e provare i fatti costitutivi della domanda, e, quindi, in caso di impugnazione della deliberazione, i fatti dai quali discende l'invalidità del provvedimento assembleare; in altri termini, poiché la mancata convocazione all'assemblea costituisce vizio procedimentale, incidente sul processo formativo della volontà assembleare e da cui ha origine la semplice annullabilità della medesima deliberazione, il condomino ricorrente che chieda l'annullamento ex art. 1137 c.c. non può limitarsi ad allegare di non aver ricevuto l'avviso, ma ha l'onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali l'omessa comunicazione risulti, secondo i principi generali in tema di annullamento dell'atto, spettando al medesimo condomino ricorrente di provare l'elemento costitutivo dell'invalidità della deliberazione impugnata.

D'altronde, la prova negativa dell'inosservanza dell'obbligo di convocazione può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (Trib. Salerno 28 settembre 2010).

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