Disp. Att. Trans. Codice Civile - 30/03/1942 - n. 318 art. 68

Alberto Celeste

[I]. Ove non precisato dal titolo ai sensi dell'articolo 1118, per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio.

[II]. Nell'accertamento dei valori di cui al primo comma non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare.

(1) Articolo sostituito dall'art. 22, l. 11 dicembre 2012, n. 220. Il testo recitava: «[I]. Per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini .[II]. I valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell'intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio. [III]. Nell'accertamento dei valori medesimi non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano». La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013.

Inquadramento

Il codice civile, o meglio le sue disposizioni di attuazione, si occupano delle tabelle millesimali, in primo luogo, al comma 1 dell'art. 68, il quale, nonostante l'intervento di maquillage realizzato dalla Riforma del 2013, ha mantenuto sostanzialmente intatto il suo contenuto precettivo e, soprattutto, non sembra aver comportato una diversa funzionalità di tale strumento; il disposto de quo, infatti, prevede che, qualora non venga precisato dal titolo ai sensi dell'art. 1118 c.c., per gli effetti indicati dagli artt. 1123,1124,1126 e 1136 c.c., «il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio».

Il testo precedente risultava sdoppiato nel senso che, al comma 1, si prevedeva che, per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il regolamento di condominio doveva «precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini», mentre, al comma 2, si stabiliva che i valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell'intero edificio, dovevano essere espressi «in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio».

In buona sostanza, oltre il richiamo all'art. 1118 c.c. (che disciplina il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni) e la versione più aggiornata dell'oggetto (abbandonando l'arcaico concetto del piano/porzione di piano), viene confermata la prescrizione che una «apposita tabella», allegata al regolamento, esprima in millesimi il valore di ciascuna unità immobiliare.

Resta, invece, invariato il disposto del comma 2 (ex 3), secondo il quale, nell'accertamento dei valori di cui sopra, «non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare».

Orbene, il riferimento al testo della norma – sia pure con le lievi modifiche sopra evidenziate – è essenziale per poter comprendere esattamente quali siano l'impostazione e le finalità di tali tabelle millesimali.

Invero, la norma afferma quattro concetti ben distinti: 1) nel condominio, è necessario che, in una tabella (allegata al regolamento), sia precisato il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare, ragguagliato a quello dell'intero edificio; 2) tale valore (rectius, tale rapporto di valore) deve essere espresso in millesimi; 3) le suddette tabelle sono finalizzate a coadiuvare la gestione del fabbricato, in quanto esse devono essere formate, da un lato, al fine della ripartizione delle spese («... per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126...»), e, dall'altro, affinché il procedimento assembleare possa concretamente svolgersi («... per gli effetti indicati dagli articoli... 1136 del codice»); 4) viene indicato (vincolativamente e in negativo) anche il criterio di individuazione di tale valore delle suddette unità immobiliari (l'irrilevanza della rendita del bene e degli eventi successivi alla sua costruzione).

Questa è, dunque, l'esatta cornice normativa che il sistema codicistico pone come necessario riferimento, e che occorre considerare al fine di individuare le caratteristiche, giuridiche e tecniche, di quel peculiare strumento costituito dalle «tabelle millesimali» (per tutti, Salciarini, in Celeste–Salciarini, 439).

Prima facie, potrebbe sostenersi che il legislatore abbia previsto un meccanismo piuttosto semplice e funzionale, basato su di un mero accertamento dei valori della proprietà privata posti in rapporto tra di loro, tuttavia, la realtà ci consegna un documento ben più «cervellotico» da decifrare, perché, in concreto, le tabelle sono composte da una notevole messe di numeri e calcoli che, solo con una certa difficoltà, si riesce a collegare a quell'agevole ed immediato rapporto di valore contemplato dall'art. 68 disp. att. c.c.

Ad ogni buon conto, i principi giuridici previsti dal codice civile e l'attuazione pratica di essi – per quanta complicazione possa essere (a volte inutilmente) scaturita nella prassi – sono sostanzialmente corrispondenti, sicché, anche nella più apparentemente confusa delle tabelle, potrà scorgersi riprodotto il suddetto meccanismo previsto dalla legge.

Definizione

Con saldo riferimento all'art. 68 disp. att. c.c., le tabelle millesimali possono essere definite come la «rappresentazione di un rapporto di valore», dove per «rapporto» si intende la comparazione tra due elementi e «valore» la valutazione economica di una res: tale rappresentazione grafica è realizzata a mezzo di segni (cioè, parole e numeri) ed è contenuta in un documento cartaceo che tali segni mostra e conserva.

Per quanto riguarda il predetto rapporto di valore, esso consiste nella quantificazione della relazione (sempre di valore) che intercorre tra ciascuna proprietà esclusiva e la somma di tutte le singole proprietà esclusive (somma che la precedente versione della norma individuava opportunamente con la locuzione «intero edificio», da ritenersi implicita anche nella nuova laddove si fa riferimento al valore «proporzionale»).

In altri termini, le tabelle non sono altro che la raccolta e l'elencazione di un certo numero di frazioni aritmetiche – tante quante sono le unità immobiliari che compongono lo stabile in condominio – nelle quali il numeratore è rappresentato dal valore della proprietà esclusiva ed il denominatore è rappresentato dal valore dell'intero edificio.

L'intera frazione – sia il numeratore sia il denominatore – deve essere, poi, come stabilito dall'art. 68, comma 1, disp. att. c.c., rapportata a millesimi (cioè, a mille), in modo che, dal punto di vista aritmetico, i valori (rectius, i rapporti di valore) espressi siano tra loro omogenei, ossia tra loro comparabili e, quindi, utilizzabili contemporaneamente, e nel loro complesso, per effettuare le operazioni ed i calcoli di gestione.

Da quanto sopra, è evidente che le tabelle millesimali non possono essere formate se non si conosce il valore di ciascuna unità immobiliare, che rappresenta l'unico dato necessario per la rappresentazione di tutti i rapporti di valore (proprietà esclusiva/intero edificio) elencati nelle tabelle stesse: invero, solo disponendo dei valori di ciascuna proprietà esclusiva, è possibile non solo individuare i numeratori del rapporto, ma anche, mediante la loro somma, il denominatore.

Ci si potrebbe interrogare sul motivo per il quale il legislatore codicistico abbia optato per il concetto di caratura «millesimale».

La frazione (concreta) così ottenuta, viene, infatti, ex art. 68 disp. att. c.c., trasformata in una frazione (astratta) con numeratore e denominatore rapportati a 1.000; in proposito, il fatto che il legislatore abbia scelto la cifra (rectius, la quantità) di 1.000 costituisce una pura convenzione e, quindi, astrattamente sostituibile da diversa, ed altrettanto funzionale, quantità; ma una ragione potrebbe rinvenirsi in quanto si è forse ritenuto che indicare una specifica (e vincolante) cifra per il denominatore della frazione, rappresentante il rapporto di valore tra le unità immobiliari, potesse consentire di esprimere il suddetto rapporto con maggiore precisione, soprattutto con riferimento all'estrema eterogeneità architettonica ed urbanistica (e, quindi, di valore) degli edifici.

Natura giuridica

È fonte di accese dispute interpretative la corretta individuazione della natura giuridica delle tabelle millesimali, che rappresenta, sostanzialmente, un'operazione di classificazione dell'istituto, necessaria poiché da essa scaturiscono, appunto giuridicamente, tutta una serie di effetti pratici.

Sul punto, si è affermato che la previsione dell'art. 68 disp. att. c.c., in base alla quale le tabelle millesimali devono essere redatte al fine dell'effettuazione della ripartizione delle spese (artt. 1123,1124 e 1126 c.c.) e del funzionamento dell'assemblea (art. 1136 c.c.), esclude implicitamente qualsiasi riferimento ad «effetti reali» delle medesime e, quindi, attribuisce alle tabelle stesse una natura semplicemente dichiarativa, di mero accertamento delle circostanze di fatto – vale a dire, del rapporto di valore tra la singola porzione esclusiva e la somma di tutte le porzioni esclusive – e, quindi, senza che si determini la costituzione e/o la modificazione di diritti dei singoli sui beni (Peretti Griva,136; Raschi, 695).

Esprimendo il concetto in diverso modo, può dirsi che le tabelle millesimali rappresentino un rapporto di valore che è nei fatti (rectius, tra i beni), sicché non dipende dalla volontà dei titolari di tali beni e, soprattutto, preesiste alla loro redazione.

A tale impostazione, un'autorevole dottrina (Salis 1967, 65) ha obiettato che le tabelle millesimali avrebbero rilevanza anche con riferimento all'art. 1118 c.c., vale a dire sul diritto dei partecipanti sulle cose comuni, il quale «è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene», e che, in ogni caso, la natura di atto di accertamento, meramente dichiarativo, non è compatibile con la previsione della revisione per errore ex art. 69 disp. att. c.c.; si precisa che il valore di proprietà di ciascuno è chiaramente quel «valore», cui ha riguardo l'art. 1118 c.c., così come non si è mai sinora dubitato che i «valori», cui è necessario fare riferimento per la determinazione dei quorum nelle assemblee, sono esattamente quelli cui ha riguardo l'art. 1118 c.c., disposizione veramente fondamentale nella particolare disciplina del condomino negli edifici, in quanto pone, per questo particolare tipo di comunione, una regola del tutto diversa; si conclude, dunque, per una qualificazione dell'atto in termini di mera «dichiarazione di scienza».

Orbene, secondo la prospettiva adottata dal codice civile, è innegabile che il rapporto di valore (delle unità immobiliari tra di loro) è considerato preesistente alla redazione delle tabelle, le quali si limitano a «fotografarlo» senza poter incidere sulla sua quantificazione (e, quindi, in maniera semplicemente dichiarativa e non costitutiva), come testimoniava, tra l'altro e risolutivamente, la facoltà, concessa a ciascun condomino dall'art. 69, comma 2, n. 1), disp. att. c.c. (vecchio testo), di poterne chiedere la revisione in presenza di un errore di valutazione (sul concetto di «errore», si rinvia al commento dell'art. 69 disp. att. c.c.).

Da ciò ne deriva, secondo alcuni (Giorgianni, 227) che la qualificazione delle tabelle millesimali debba farsi in termini di negozio di accertamento, ossia come atto mirante ad eliminare i dubbi che possano derivare da una situazione giuridica, che da incerta viene resa certa.

A ben considerare l'impostazione generale data ai rapporti condominiali dal codice civile, la collocazione dello strumento «tabelle» rivela ipotesi ricostruttive ancora più peculiari.

Procedendo con ordine, si osserva che: a) il condominio è costituito da un insieme di beni comuni posti strutturalmente/oggettivamente a servizio di un altro insieme di beni esclusivi (rapporto di strumentalità o accessorietà); b) la quota di comproprietà dell'insieme dei beni comuni è determinata dal rapporto di valore esistente, in senso reciproco, tra i beni esclusivi; c) tale rapporto di valore deve essere rappresentato a mezzo di una «apposita tabella» recante frazioni aritmetiche con denominatore 1.000; d) la quota di comproprietà sui beni comuni può, però, essere determinata non solo dal predetto rapporto di valore, ma anche da un accordo contrattuale («titolo contrario» exartt. 1117 e 1118 c.c.) che stabilisca diversamente.

Sotto quest'ultimo aspetto, il suddetto titolo potrebbe stabilire o che la proprietà di un determinato bene, altrimenti comune, secondo la «presunzione» contenuta nell'art. 1117 c.c., venga attribuita ad uno o più condomini (per esempio, il lastrico solare di copertura), oppure che la quota di comproprietà sia rappresentata da una quantità diversa ex art. 1118 c.c. rispetto a quella espressa dal predetto rapporto di valore (ad esempio, prescrivendo che lo stesso lastrico solare di copertura spetti in comproprietà pro indiviso per quote uguali solamente a quattro condomini su dodici totali).

Pertanto, la presenza di un titolo contrario, che abbia ad oggetto la proprietà dei beni «condominiali», può avere influenza su tale rapporto di valore, eventualmente determinandone, al momento della costituzione del rapporto stesso – ma anche successivamente, seppur in concreto, assai di rado – gli esatti termini di raffronto, cioé sia il numeratore sia il denominatore della frazione aritmetica; in altri termini, il titolo può determinare direttamente la quantità della quota di comproprietà, prescindendo dal reale accertamento del predetto rapporto di valore.

Si aggiunga, poi, che, anche con riferimento alla ripartizione delle spese, un accordo contrattuale – la «diversa convenzione» di cui all'art. 1123, comma 1, c.c.è in grado di stabilire ripartizioni diverse e, per così dire, personalizzate, che prescindano dalla quota millesimale (fondata, quest'ultima, sul «reale» rapporto di valore tra i beni esclusivi); basandosi sul consenso unanime, i condomini dispongono di ampia discrezionalità, non sussistendo alcun limite operativo – salva, forse, la «meritevolezza» del contenuto dell'accordo sindacabile ai sensi dell'art. 1322 c.c. – nel senso che gli stessi potrebbero addirittura contemplare l'esenzione totale o parziale per uno o più partecipanti al condominio (ammettono tale possibilità, anche indirettamente, tra le altre, Cass. II, n. 5975/2004; Cass. II, n. 714/1998; Cass. II, n. 6844/1988; Cass. II, n. 898/1984).

Dalle suesposte considerazioni, ne deriva che le tabelle millesimali non possono far altro che accertare un rapporto di valore (sia esso relativo al fatto, sia esso relativo al titolo contrario, sia esso relativo alla diversa convenzione) ed esprimere il tutto a mezzo di frazioni millesimali; tale atto, di natura dichiarativa, è fondato su dichiarazioni unanimi e concordanti: la concordanza delle dichiarazioni non si spiega in termini contrattuali (cioè, con la corrispondenza di proposta ed accettazione), bensì con il fatto che, essendo più soggetti ad avere il potere di disposizione del medesimo rapporto – come sopra detto – della dichiarazione di tutti tali soggetti si ha necessità per poter effettuare il predetto atto di accertamento dei condomini.

Ad avviso di un'autorevole dottrina (Giorgianni, 238), l'effetto di tali dichiarazioni «sarà sempre, egualmente, quello di fissare il fatto, accertandolo definitivamente, ove la dichiarazione promani da chi aveva interesse a contestarlo»; inoltre, «dalla circostanza che il potere di accertamento costituisce esplicazione del potere di disposizione, nasce la conseguenza che occorre la capacità e la legittimazione a disporre della situazione accertata, cosicché l'accertamento delle parti può operare solo sui rapporti patrimoniali disponibili o sui fatti che si riferiscono a rapporti disponibili, il che viene da un altro verso a confermare la sua natura negoziale».

In particolare, la c.d. tabella di proprietà (o tabella A o generale), rappresentante le quote di comproprietà individuate come sopra detto, deve essere utilizzata al fine della determinazione dei quorum assembleari previsti dall'art. 1136 c.c., il quale, essendo inderogabile ex art. 1138, comma 4, c.c., «deve» rappresentare necessariamente la reale distribuzione, tra i partecipanti, della titolarità sui beni.

D'altronde, qualora si ammettesse che, contrattualmente, possano essere determinate quote millesimali di comproprietà dei beni comuni differenti da quanto stabilito dal reale rapporto di valore o dal titolo – in ogni caso, da qualcosa che costituisce un prius rispetto alle tabelle stesse – si dovrebbe ammettere anche, di conseguenza, la possibilità di una deroga, sia pure indiretta, all'art. 1136 c.c., eludendo, ad esempio, i quorum mimini previsti dal comma 3 dell'art. 1136 c.c. (segnatamente, un terzo dei millesimi).

Pertanto, per un verso, è vero che le tabelle millesimali costituiscono sempre e comunque un posterius, qualcosa di distinto e successivo, dal fatto che determina il rapporto di valore in essere rappresentato: in forza di ciò, non incidono (e non possono farlo) sul prius, cioè sul rapporto, ma possono solo riconoscerlo, «fotografarlo», renderlo certo (Cass. II, n. 5633/2002, secondo cui, riguardo al superamento della presunzione di «condominialità» prevista dall'art. 1117 c.c., non è determinante l'inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo; più esplicitamente, Cass. II, n. 3251/1998, ad avviso della quale le tabelle de quibus «hanno funzione accertativa e valutativa delle quote condominiali, onde ripartire le relative spese e stabilire la misura del diritto di partecipazione alla volontà assembleare, ma non incidono sui diritti reali spettanti a ciascun condomino»; cui adde, più di recente, Cass. II, n. 8520/2017).

Per altro verso, va evidenziato che, nel condominio, proprio a proposito di tabelle millesimali, si verifica un fenomeno giuridico del tutto peculiare: nello specifico, un insieme di beni comuni è posto, strutturalmente, oggettivamente, permanentemente ed irrinuciabilmente, a servizio di un altro insieme di beni esclusivi; tale rapporto di strumentalità, utilità o accessorietà determina rilevanti conseguenze giuridiche, in quanto, dai valori delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, viene direttamente desunta l'entità della quota di comproprietà spettante a ciascun condomino sui beni comuni; in altri termini, l'entità della quota di proprietà che il singolo condomino possiede sulle cose, servizi e impianti comuni viene individuata attraverso l'entità di un altro bene (diverso, distinto e separato) costituito dalla proprietà esclusiva.

In conclusione, è possibile affermare che la quota millesimale è stata prevista dal legislatore ad un duplice scopo: da un lato, per consentire il valido compimento degli atti di gestione necessari all'amministrazione dell'immobile e, dall'altro, per accertare esattamente la quantità della quota di comproprietà spettante a ciascun condomino sui beni comuni.

Funzione pratica

Delineata la definizione e la qualificazione giuridica delle tabelle millesimali, occorre ulteriormente precisare qual è, secondo la normativa vigente, la loro funzione pratica.

L'art. 68, comma 1, disp. att. c.c. la individua con la locuzione «per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 ...»: si tratta, quindi, di due insiemi di norme che attengono, da un lato, alla ripartizione delle spese(artt. 1123,1124 e 1126 c.c.), e, dall'altro, al funzionamento dell'assemblea (art. 1136 c.c.); sotto il primo profilo, non va dimenticato che il valore espresso in millesimi nelle tabelle può essere utile per il riparto – non solo degli esborsi, ma anche – delle «entrate», correlate ad eventuali utili derivanti dalla stessa amministrazione condominiale (si pensi ai canoni di locazione dei locali comuni, agli indennizzi assicurativi, ai rimborsi fiscali, alle sovvenzioni, ecc.).

In buona sostanza, la funzione delle tabelle millesimali è quella di sovraintendere e consentire il complesso di atti, sia direttamente con l'attuazione delle deliberazioni (strumentali alla gestione del condominio), sia indirettamente (nel senso che la ripartizione delle spese approvata dall'assemblea risulta prodromica alla riscossione delle quote condominiali da parte dell'amministratore).

Come si evince chiaramente dalla tipologia delle norme coinvolte, le tabelle millesimali si pongono come «centro» della vita del condominio: in altri termini, la loro redazione costituisce uno strumento irrinunciabile per una corretta ed efficace gestione dell'immobile.

Attesa l'utilità dello strumento-tabelle, sorge il problema se le stesse siano anche indispensabili, ossia se tutti gli atti amministrativi sarebbero ugualmente possibili e validi anche in assenza di tali tabelle.

La risposta è stata nel senso che le tabelle millesimali «agevolano ma non condizionano» la gestione dell'immobile (così, testualmente, Triola 2002, 254), e la spiegazione del fenomeno risiede, ancora una volta, nella constatazione che il rapporto di valore espresso dalle tabelle esiste, e preesiste, di fatto.

Anche la giurisprudenza ha osservato che le tabelle rappresentano, pur sempre, una «fotografia» della situazione di fatto, ossia della consistenza e delle caratteristiche dell'edificio, e tale situazione esiste nel concreto prima ed a prescindere dalla redazione delle tabelle, che si limitano a rappresentarla graficamente e non a crearla ex novo, e, per converso, sono sempre verificabili a posteriori i criteri provvisori utilizzati prima della redazione delle tabelle (nel senso che la loro redazione non si pone in termini di assoluta necessità, v., tra le altre, Cass. II, n. 12471/2012; Cass. II, n. 17115/2011; Cass. II, n. 3264/2005; Cass. II, n. 6202/1998; Cass. II, n. 431/1990; Cass. II, n. 5794/1983; Cass. II, n. 1946/1978).

Pertanto, dal punto di vista prettamente operativo, nel caso di assenza di tabelle millesimali, sarà necessario individuare ed applicare un criterio provvisorio di individuazione delle quote di valore – v., di recente, Cass. II, n. 1439/2014, che opta, se del caso, per la mera annullabilità e giammai nullità – con le quali procedere sia alle deliberazioni (art. 1136 c.c.) sia alla ripartizione delle spese (artt. 1123 ss. c.c.).

In applicazione di tale principio, è stata, per esempio, ritenuta valida la deliberazione assembleare che, in assenza delle tabelle, sia stata presa con una maggioranza calcolata in base al numero di vani degli appartamenti in proprietà esclusiva, a condizione, naturalmente, che tale diverso criterio desse luogo ad un risultato corrispondente alla situazione reale dell'edificio (in termini, v. Cass. II, n. 5794/1983, precisando che la legittimità della deliberazione che, in difetto di tabella millesimale, sia stata resa con una maggioranza riferita al numero delle camere degli appartamenti di proprietà individuale, o abbia deciso sulla ripartizione delle spese alla stregua del medesimo parametro, non può essere contestata dal singolo condomino per il solo fatto della mancanza di detta tabella, ove non risulti che il citato criterio, in concreto adottato, diverga da quello del rapporto fra gli indicati valori).

Dunque, riguardo alle tabelle millesimali, il termine «obbligatorietà» va recepito in maniera del tutto peculiare e caratteristica e, in realtà, va coordinato con tutto l'impianto normativo previsto per la fattispecie condominiale.

Infatti, l'obbligatorietà delle stesse non va intesa nel senso di imposizione ex lege della loro redazione, nel caso in cui non si sia provveduto spontaneamente, ma nel diverso significato di attribuzione a ciascun singolo condomino del diritto di chiederne (giudizialmente) la formazione, qualora perduri sul punto un atteggiamento di indifferenza ed ostruzione da parte della compagine condominiale.

A ben vedere, si tratta di una facoltà che la legge assegna al singolo allo scopo di consentire una gestione dello stabile – e, quindi, una ripartizione delle spese ed un funzionamento dell'assemblea – corrispondente alla reale situazione di fatto degli immobili.

Ciò non toglie che l'amministrazione dei beni sia comunque possibile anche in assenza della formazione delle tabelle, sulla scorta della considerazione – più volte ribadita – che il rapporto di valore tra le proprietà esclusive, il quale costituisce sia la base sia il risultato dell'elaborato tabellare, preesiste alla sua relativa redazione.

Criteri tecnici di redazione

Se le tabelle millesimali rappresentano un rapporto di valore tra le porzioni di piano esclusive, la loro caratteristica struttura non può che necessariamente identificarsi in quella di un vero e proprio elaborato peritale, a volte notevolmente analitico, che rappresenti tali valori in reciproco rapporto tra loro.

Per giungere alla loro formazione, quindi, occorre che le unità immobiliari che compongono il condominio vengano valutate nella loro consistenza e qualità, cosa che può essere fatta soltanto attraverso la realizzazione di un'autentica «perizia» sugli immobili; tale rilievo comporta che le tabelle millesimali potrebbero dar luogo ad esiti, anche diversi, che dipendono direttamente dalla metodologia utilizzata dal tecnico per l'effettuazione della valutazione delle proprietà esclusive (non è esclusa, infatti, la possibilità di avere differenti tabelle elaborate da distinti periti in ordine allo stesso stabile).

Non esistono, nella disciplina legale, regole vincolanti per la redazione delle tabelle millesimali, in quanto si ritiene che la perizia di valore posta a base delle tabelle millesimali non debba essere redatta a seguito di un unico e cogente metodo di valutazione, bensì possano venire adottati sistemi anche differenti, a condizione, però, che i criteri adottati siano idonei all'individuazione degli effettivi valori dello stabile in considerazione.

Tuttavia, tale mancanza di prescrizioni di legge sul metodo utilizzabile per realizzare la stima dei beni non deve ingannare sulla coerenza ed efficacia della normativa applicabile alla fattispecie: invero, se si tiene conto che le tabelle millesimali rappresentano un rapporto di valore (e non, semplicemente, un mero elenco di valori), si rileva che l'utilizzazione di metodi di valutazione diversi non comporti alcuna differente conseguenza pratica purché dia ugualmente luogo agli stessi risultati, a patto che, all'interno della stessa perizia, il metodo di valutazione delle diverse unità immobiliari sia uniforme, costante ed omogeneo.

Se ciò avviene, il risultato di un particolare metodo di valutazione dovrebbe essere identico a quello di un metodo differente in ragione del fatto che gli eventuali diversi valori così ottenuti non vengono valutati isolatamente, ma sono messi in rapporto tra di loro, all'interno dei risultati derivanti dall'applicazione dello stesso metodo.

A ben vedere, i metodi usati più frequentemente nella prassi, per la valutazione delle unità immobiliari facenti parte di un condominio, si restringono principalmente a due: a) l'utilizzazione dei valori inseriti nel piano di commercializzazione di vendita degli immobili, nel caso si tratti di un edificio condominiale realizzato da un'impresa costruttrice, la quale si occupi anche della predisposizione delle tabelle; la formazione delle tabelle costituisce un procedimento quasi automatico, consistendo nella mera trasposizione (proporzionamento a 1.000) dei valori monetari che l'impresa costruttrice ha assegnato alle singole proprietà esclusive quali corrispettivi di vendita; b) la redazione di una vera e propria perizia realizzata secondo ben precisi parametri (in base alle istruzioni contenute nelle, sia pur datate, circolari del Ministero dei Lavori Pubblici n. 12480 del 26 marzo 1966 e n. 2945 del 26 luglio 1993, quest'ultima a precisazione della prima, sia pure riguardo alle «cooperative edilizie a contributo statale»).

Senza addentrarci troppo – in quanto trattasi di materia eminentemente tecnica attinente alla disciplina della valutazione degli immobili – può essere sufficiente delineare, in questa sede, i momenti successivi del procedimento di formazione delle tabelle come segue:

a) di ciascuna proprietà esclusiva viene rilevata, secondo gli usuali metodi, la superficie reale, i c.d. metri quadrati calpestabili, che costituisce la base oggettiva dell'intero calcolo (Cass. II, n. 16644/2007, nel senso di considerare anche le eventuali pertinenze delle proprietà esclusive, tra le quali possono essere considerati i giardini in proprietà esclusiva dei singoli condomini; in senso conforme, v. Cass. n. 12018/2004; cui adde, più di recente, Cass. II, n. 21043/2017, ad avviso della quale, ai fini della redazione delle tabelle millesimali di un condominio, per determinare il valore di ogni piano o porzione di piano occorre prendere in considerazione sia gli elementi intrinseci dei singoli immobili oggetto di proprietà esclusiva, quali l'estensione, sia quelli estrinseci, quali l'esposizione, nonché le eventuali pertinenze di tali proprietà esclusive, come i giardini, poiché consentono un migliore godimento degli appartamenti al cui servizio ed ornamento sono destinati in modo durevole, determinando un accrescimento del loro valore patrimoniale; contra, nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Bologna 3 maggio 2005);

b) a questo valore vengono applicati diversi parametri (pari, inferiori o superiori a 1), detti coefficienti, i quali – valutando in positivo o in negativo vari aspetti dell'immobile, sia intrinseci (estensione, ampiezza, numero dei vani) sia estrinseci (destinazione, piano, orientamento, prospetto, luminosità, funzionalità generale) – ne determinano una variazione trasformando detto valore nel risultato della perizia dei singoli immobili espresso non in termini di valore monetario ma in base ad un numero astratto, ottenendo, in tal modo, tutti i numeratori della frazione/rapporto;

c) i valori così ricavati (c.d. superficie virtuale) sono sommati, realizzando come risultato il denominatore di ciascuna frazione/rapporto;

d) entrambi i numeri (numeratore e denominatore) di ciascuna frazione/rapporto vengono rapportati a 1.000, ottenendosi il valore millesimale finale.

Coefficienti di valutazione

A questo punto, va verificato come operano in concreto i coefficienti di valutazione; nello specifico, riguardo ai sei coefficienti di cui sopra (RezzonicoRezzonico, 70), si osserva:

1) la «destinazione» valuta ciascun vano dell'unità immobiliare, alla luce delle dimensioni planimetriche dei vari ambienti e valorizzandone l'utilizzo; in quest'ottica, si «premia» il soggiorno, le camere da letto e gli studi, e si dà via via minor valore ai locali adibiti a servizi (cucina, bagni, ripostigli, corridoi) ed alle superfici accessorie (balconi, terrazzi);

2) il «piano» tiene conto dell'altezza dell'unità immobiliare all'interno dello stabile, avvantaggiando, negli edifici con ascensori, quelli medi, con un piccolo calo per l'ultimo (che, essendo sottostante ad un tetto o ad un lastrico solare, subisce perdite di calore) ed uno più consistente per il terreno o il rialzato (tale criterio cambia se l'ascensore non c'è, verificandosi un calo di valore proporzionale dal secondo piano in su);

3) l'«orientamento» riflette i punti cardinali calcolati per quadranti, avvantaggiando l'esposizione tra sud-est e sud-ovest;

4) il «prospetto» concerne la veduta verso l'esterno, distinguendo tra vedute su giardini o strade principali, a sua volta differenziate tra arterie trafficate e vie tranquille (favorite), oppure su cortili, cavedi o chiostrine (penalizzate), calcolando anche la distanza rispetto alla facciata dello stabile prospiciente;

5) la «luminosità» riflette il rapporto tra la superficie illuminante (finestre, luci, balconi, ecc.) e la superficie illuminata (i vani), verificando se nell'edificio le finestre hanno ampiezze molto diverse, appartamento per appartamento, e quando hanno una dimensione standard;

6) la «funzionalità generale», tenendo conto della distribuzione della superficie utile, costituisce un correttivo che prende in adeguata considerazione situazioni molto particolari (ad esempio, nell'ipotesi di altezze dei locali superiori o inferiori alla media).

Da quanto sopra esposto, risulta che, costituendo la superficie delle proprietà esclusive solo la base di partenza del calcolo – la quale viene, poi, modificata dall'applicazione dei coefficienti – è ben possibile che, ad unità immobiliari di identica metratura, corrispondano quote millesimali diverse a causa della (necessaria) applicazione differenziata dei suddetti coefficienti.

Inoltre, l'art. 68, comma 2, disp. att. c.c. detta un criterio generale al quale l'attività valutativa degli immobili deve necessariamente attenersi, e segnatamente, «nell'accertamento dei valori di cui al primo comma non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare».

La ratio della norma va rinvenuta nel senso di richiedere che la valutazione sia fatta riferendosi allo stato ed alla consistenza che l'edificio possiede (o possedeva) al termine dei lavori di costruzione, impedendo così che eventuali successive attività unilaterali da parte dei condomini – come miglioramenti ma anche deterioramenti – possano influire sul valore delle porzioni immobiliari.

In applicazione di tale principio, la giurisprudenza ha affermato, per esempio, che, ai fini della valutazione, non deve tenersi conto della destinazione d'uso impressa dai condomini alle unità immobiliari (per l'ininfluenza sui valori tabellari della destinazione dei locali al piano terra ad attività commerciale, v. Trib. Cagliari 31 marzo 1978).

In proposito, va segnalato che la mera «modificazione della destinazione d'uso» in concreto della singola unità immobiliare, con conseguente valorizzazione della stessa ai fini della revisione delle tabelle, era stata inserita nel testo redatto dal Senato, ma è scomparsa in quello licenziato dalla Camera, e non ha trovato seguito nell'approvazione della versione definitiva della l. n. 220 del 2012.

Comunque, considerando – v. supra – che la legge non prevede espressamente specifici ed obbligatori metodi per la redazione delle tabelle (cioè, per l'effettuazione della perizia valutativa), si ritiene siano legittime anche altre e diverse modalità di formazione delle tabelle medesime; in quest'ottica, la giurisprudenza, sia pure non recente, aveva riconosciuto valide anche le tabelle formate con riferimento al numero dei vani di ciascun appartamento (Cass. II, n. 2922/1979), oppure prendendo a base del calcolo gli imponibili catastali (Cass. II, n. 3808/1975).

Di solito, nel condominio, coesistono la tabella A, c.d. di proprietà, che indica la quota di comproprietà dei singoli condomini riguardo alle cose comuni (art. 1118 c.c.), cui si fa riferimento per tutte le spese «generali», di conservazione, manutenzione e amministrazione delle parti comuni, e le tabelle B, C, D, ecc., c.d. di gestione, che riguardano altre tipologie di spesa – ad esempio, riscaldamento, portierato, ascensore, scale, scarico acque, illuminazione, e quant'altro – con cui si cerca di «calibrare» gli oneri contributivi ai vantaggi in concreto goduti (art. 1123 c.c.); tale distinzione sembra richiamata dal novellato art. 69 disp. att. c.c. che, dopo aver dettato le regole per la rettifica, modifica e revisione delle tabelle di cui agli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., si premura di precisare che le stesse valgono anche per quelle relative alla mera «ripartizione delle spese».

In proposito, si è giustamente osservato (Saraz, 227) che tanto più si prevedono in apposite tabelle le possibili eventualità, tanto minori saranno le difficoltà di interpretazione al fine di individuare «chi e in che misura» debba partecipare alle deliberazioni ed alle conseguenti spese sottoposte al vaglio assembleare, debellando, o almeno riducendo drasticamente, le dispute tra i condomini all'interno del condominio e, di riflesso, nelle aule di giustizia.

Supercondominio

È legittimo chiedersi se le considerazioni di cui sopra in ordine alle tabelle millesimali valgano anche per quell'ipotesi edilizia che prende il nome di supercondominio.

In effetti, nel caso di c.d. supercondominio – ora disciplinato espressamente dall'art. 1117-bis c.c. e, per quanto concerne il funzionamento dell'assemblea, dall'art. 67, commi 3 e 4, disp. att. c.c. – cioè di un complesso immobiliare formato da più edifici aventi tra loro in comune uno specifico insieme di beni e/o impianti, le tabelle millesimali devono essere formate tenendo presente la suddetta peculiarità.

In pratica, per tali tabelle millesimali, che rappresentano la quota di spettanza del singolo sulle cose comuni a più edifici, si dovrà calcolare, prima, la misura proporzionale da riconoscersi ad ogni singolo edificio in rapporto al suo valore nei confronti degli altri fabbricati dell'intero complesso, e, poi, suddividere questo dato tra i partecipanti al condominio di ogni singolo edificio (Trib. Milano 24 marzo 2003, il quale ha precisato che la ripartizione delle spese comuni deve essere effettuata mediante la determinazione del valore di ogni edificio all'interno del supercondominio, e la formazione di tabelle millesimali che ripartiscano la quota dell'edificio tra i singoli proprietari in proporzione del valore delle singole unità immobiliari).

In altri termini, nel supercondominio, il consueto rapporto tra le unità immobiliari ed il fabbricato che le comprende, si integra con il valore proporzionale di ciascun edificio rispetto all'intero gruppo degli immobili, di modo che, per individuare la quota, che riproduce il diritto di ciascun condomino sulle cose comuni, il calcolo deve essere duplice, dovendosi tener conto sia del valore reciproco delle unità immobiliari nell'àmbito della singola costruzione sia di quello dell'edificio rispetto al tutto.

Occorre, dunque, che venga redatta una tabella ad hoc, che, però, non si realizzi trasferendo, sic et simpliciter, le quote millesimali indicate all'interno di ciascun singolo edificio (che, ovviamente, sarà dotato di una sua apposita tabella), bensì rapportando tra loro i valori dei singoli edifici; ciò si rende necessario in considerazione del fatto che i millesimi dei singoli edifici, in realtà, non sono raffrontabili tra di loro, avendo, i suddetti edifici, un valore complessivo tra loro certamente non identico (se non per puro caso).

Formazione immediata o progressiva

In mancanza di un'espressa disposizione legislativa in tal senso, ci si può chiedere se le tabelle debbano concretizzarsi necessariamente in un documento scritto.

In effetti, l'impostazione adottata dal codice civile considera, esplicitamente anche se in maniera indiretta, le tabelle come un documento scritto, non essendo ragionevole che le stesse possano realizzarsi diversamente sotto il profilo materiale; d'altronde, considerato che la formazione del regolamento è soggetto al requisito della forma scritta – specie a seguito di Cass.  S.U., n. 943/1999 – tale impostazione dovrebbe valere anche per il suo «allegato», costituito dalle tabelle millesimali.

Con ciò, ovviamente, non si esclude che le moderne tecnologie possano consentirne lo stesso risultato – si pensi allo sviluppo di un software che abbia le stesse funzionalità della versione cartacea – ma, quale che siano le modalità di formazione – immediata o progressiva, v. appresso – è richiesto sempre una «trasfusione» in un documento scritto (Salciarini, 95).

D'altronde, diversamente opinando, non si potrebbe spiegare l'espressa previsione, contenuta nel comma 1 dell'art. 68 disp. att. c.c., in base alla quale le medesime tabelle devono essere «allegate» al regolamento di condominio, il quale ultimo si configura anch'esso, necessariamente, in un documento scritto; né potrebbe immaginarsi l'effettuazione di un'attività peritale avente ad oggetto le unità immobiliari, tanto meno se realizzata applicando gli innanzi descritti coefficienti ministeriali.

Tale rilievo sembra, però, mal coordinarsi con il prevalente orientamento giurisprudenziale – v. appresso – il quale ammette che la stessa approvazione delle tabelle possa anche non consolidarsi in una forma specifica e, quindi, consistere in semplici comportamenti dei soggetti interessati (c.d. facta concludentia).

In realtà, quando si afferma che le tabelle possono essere approvate anche a mezzo di semplici comportamenti concludenti attuati di fatto dalle persone dei condomini (e, quindi, senza alcuna forma), tale asserzione non vuole significare la completa mancanza di un documento scritto: infatti, le pronunce che valorizzano le suddette condotte si riferiscono sempre a tabelle approvate in via preliminare dall'assemblea (evidentemente, non totalitaria) e, successivamente, applicate in concreto con l'adesione tacita anche dei soggetti che non avevano partecipato, nella suddetta prima fase, alla formazione della volontà assembleare, ma, anche in tali ipotesi, le tabelle sono state considerate nella loro implicita natura di documenti scritti (in pratica, una qualche «traccia documentale» deve pur esserci comunque).

In proposito, si riteneva che l'approvazione assembleare potesse avvenire anche a mezzo di soggetto incaricato dal singolo condomino, senza necessità che la relativa delega rivestisse la forma scritta (Cass. II, n. 3251/1998; cui adde Cass. II, n. 3634/1979, poiché tale approvazione, quale atto di mera natura valutativa del patrimonio ai limitati effetti della distribuzione del carico delle spese, nonché della misura del diritto di partecipazione alla formazione della volontà assembleare del condominio, non era idonea a incidere sulla consistenza dei diritti reali a ciascuno spettanti).

Tuttavia, tali rilievi devono fare attualmente i conti con il nuovo disposto dell'art. 67, comma 1, disp. att. c.c. – così come modificato dalla l. n. 220 del 2012 (al cui commento si rinvia) – il quale prescrive sempre, indipendentemente dall'oggetto della deliberazione da assumere, e quindi anche nell'ipotesi dell'approvazione delle tabelle millesimali, la «delega scritta».

Dunque, in applicazione delle regole generali, la manifestazione del consenso dovrebbe avvenire «espressamente» e in via principale ed immediata all'interno e per mezzo del procedimento assembleare; una delibera totalitaria, adottata – non all'unanimità dei presenti alla riunione, ma – all'unanimità dei partecipanti al condominio, costituisce, quindi, il passaggio e strumento tipico per giungere ad una valida approvazione delle tabelle stesse.

L'affermazione, tuttavia, va meglio specificata, in quanto la sostenuta necessità del consenso unanime dei condomini porta con sé la conseguenza che il procedimento assembleare – concepito in funzione di un risultato del tutto diverso, qual è la deliberazione a semplice maggioranza – non rappresenta, in realtà, l'unico passaggio obbligato (Trib. Milano 10 ottobre 1988).

A ben vedere, può ugualmente pervenirsi ad una valida approvazione dell'elaborato tabellare anche attraverso la raccolta di tali consensi per le vie ordinarie, senza procedere alla convocazione dell'assemblea, vale a dire, uno per uno, in momenti anche differiti, come è pacificamente ammesso con riferimento alla formazione progressiva del contratto; d'altronde, nonostante le tabelle millesimali siano previste come «allegate» al regolamento di condominio, nulla vieta che i condomini procedano alla sola approvazione di queste, svincolate dal testo regolamentare.

Se, infatti, è ammessa la formazione del consenso per comportamento concludente – v. supra – e, quindi, per manifestazione di volontà tacita e non espressa, non può negarsi che la medesima manifestazione possa configurarsi in un momento successivo, ma in maniera espressa, magari mediante la sottoscrizione di un'apposita dichiarazione (nel senso che potrebbe giungersi ugualmente alla formazione di un consenso unanime anche qualora si proceda all'approvazione della tabella millesimale predisposta dal venditore-costruttore ed allegata ai singoli contratti di vendita, v., nella giurisprudenza di legittimità, Cass. II, n. 1028/1995, e, in quella di merito, Trib. Desio 21 ottobre 2002).

La giurisprudenza si è preoccupata di ampliare il concetto di consenso necessario all'approvazione delle tabelle millesimali.

L'intima ratio, forse sottaciuta, di tale orientamento è quella di rompere la rigidità di un sistema basato esclusivamente sul consenso espresso di tutti gli aventi diritto, nel tentativo di gestire una difficoltà che, nel condominio, si rivela a volte addirittura insuperabile, stante l'estrema laboriosità pratica di far partecipare tutti i condomini (contemporaneamente) agli atti di gestione, ancorché necessari.

In tale prospettiva, si è ritenuto che il consenso all'approvazione delle tabelle possa essere rilasciato dal singolo condomino anche mediante un comportamento concludente, vale a dire ponendo in essere una condotta che, senza possibilità di equivoci, sia incompatibile con la volontà di non accettare, oppure dimostri un consenso implicito o presupposto (De Tilla, 1237; Salis 1981, 747; Basile, 40).

In pratica, si ritiene che se il condomino (che non abbia partecipato all'approvazione delle tabelle) abbia, successivamente, posto in essere un comportamento di concreta adesione agli atti di gestione basati su tali valori tabellari – quali, ad esempio, il ripetuto e pacifico pagamento degli oneri condominiali ripartiti in base ai relativi valori millesimali – sia da considerare, in concreto, come consenziente al contenuto del documento tabellare, o non possa più eccepire la mancanza della sua originaria adesione (sull'approvazione tacita delle tabelle millesimali, si vedano le fattispecie esaminate, sia pure con diverse soluzioni, da Cass. II, n. 602/1995, in materia di opposizione a decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c.; Cass. II, n. 4814/1994; Cass. II, n. 1367/1994; Cass. II, n. 7297/1993; Cass. II, n. 5593/1980; Cass. II, n. 4774/1977; sul versante della giurisprudenza di merito, v. Trib. Salerno 30 luglio 2004; Trib. Torino 3 giugno 1987).

Da ultimo, tuttavia, ponendosi in consapevole contrasto con il precedente insegnamento (Cass. II, n. 3245/2009), il Supremo Collegio si è espresso, a chiari note, nel senso che, in tema di condominio, le tabelle millesimali possono esistere (o non esistere) indipendentemente dal regolamento condominiale, la loro allegazione rappresentando un fatto meramente formale che non muta la natura di entrambi gli atti, ma nondimeno, in base al combinato disposto degli artt. 68 disp. att. c.c. e 1138 c.c., l'atto di approvazione (o di revisione) delle tabelle, avendo veste di deliberazione assembleare, deve rivestire la forma scritta ad substantiam, dovendosi, conseguentemente, escludere approvazioni per facta concludentia (così Cass. II, n. 26042/2019).

Comunque nel sopra delineato orientamento tradizionale, era costante l'affermazione che, nel comportamento dei condomini assenti, i quali avessero pagato i contributi condominiali secondo le tabelle approvate a maggioranza, era possibile individuare un'accettazione delle tabelle stesse, non vertendosi in tema di effetti reali, per cui il consenso all'approvazione delle tabelle, non postulando il requisito di particolari requisiti formali, ben poteva manifestarsi per facta concludentia.

Tale interpretazione potrebbe essere condivisibile solo in un'ottica di reale contemperamento degli interessi, qualora si consideri quali negative ripercussioni sull'amministrazione degli immobili possa avere un atteggiamento rigidamente formalistico di applicazione delle norme.

Vale la pena di precisare, però, che il comportamento del condomino, per poter essere rilevante in termini di facta concludentia, deve rivestire caratteri di sicura univocità, sicché è necessaria un'indagine, caso per caso, sulla reale consapevolezza del soggetto (v., tra le altre, Cass. II, n. 8863/2005, la quale ha escluso che i condomini, partecipando alle assemblee per tre anni ed effettuando i pagamenti in conformità delle nuove tabelle, avessero manifestato per fatti concludenti quel consenso che avevano espressamente negato in occasione della relativa deliberazione assembleare; Cass. II, n. 7884/1991, per la quale il pagamento ripetuto e costante di oneri condominiali ripartiti in base ad una tabella, alla cui approvazione il pagante non aveva partecipato, non poteva essere valutato, sic et simpliciter, come comportamento concludente; Cass. II, n. 1057/1985, nel senso che il consenso non avrebbe potuto dedursi dal comportamento tenuto da quei condomini che, nell'assemblea, avessero già espresso dissenso dall'approvazione delle tabelle millesimali, in quanto, in presenza della loro esplicita volontà, non era lecito ricercare una contraria volontà tacita o presunta che sulla prima avrebbe dovuto prevalere).

Ne deriva che se, da un lato, il principio della rilevanza del comportamento concludente in termini di accettazione può dirsi acquisito, dall'altro, solo a determinate condizioni potrà, tale comportamento, essere rilevato.

Approvazione all'unanimità o a maggioranza.

Tesi contrapposte

La vexata quaestio riguardava la necessità o meno del consenso di tutti i condomini per l'approvazione delle tabelle millesimali.

In dottrina, alcuni autori si sono mostrati favorevoli all'approvazione a maggioranza delle tabelle millesimali (Triola 2007, 389; Branca, 788; Salis 1966, 1950, secondo il quale le tabelle approvate a maggioranza erano efficaci fino a quando non venisse riconosciuto in giudizio che esse erano la risultante di un calcolo sbagliato; per altri contributi sull'argomento, Favino, 132; D'Ambrosio, 434).

La giurisprudenza (di legittimità e di merito) tradizionale era abbastanza concorde nel dichiarare invalida – sia pure con le sfumature diverse di cui appresso – la deliberazione dell'assemblea, con cui fossero state approvate le tabelle millesimali, sul presupposto, dato per pacifico, che la stessa assemblea risultasse incompetente ad approvare le medesime tabelle con votazione maggioritaria, essendo, invece, indispensabile il consenso di tutti i condomini.

Posta, dunque, la necessità del consenso di tutti i condomini, le opinioni divergevano in ordine alla qualificazione da dare alla deliberazione dell'assemblea che avesse approvato le tabelle millesimali a mera maggioranza (sia pure qualificata).

Alcune sentenze (Cass. II, n. 7359/1996) affermavano che la deliberazione di approvazione delle tabelle adottata a maggioranza era inefficace, per nullità radicale deducibile da ciascun condomino senza limitazione di tempo.

Altre decisioni (v., soprattutto, Cass. II, n. 14037/1999, e, tra le meno recenti, Cass. II, n. 4274/1974) ritenevano che la suddetta deliberazione configurava, invece, un'ipotesi di nullità non assoluta, ma soltanto relativa, in quanto opponibile dai condomini consenzienti e non vincolante per i dissenzienti e gli assenti, i quali avrebbero potuto dedurne l'inefficacia secondo i principi generali, senza essere tenuti all'osservanza del termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c.

In una posizione più articolata, si ponevano quelle sentenze (v., per tutte, Cass. II, n. 7040/1983), secondo le quali la deliberazione assunta a maggioranza sarebbe stata affetta da nullità assoluta (e, quindi, inefficace anche per coloro che avevano votato a favore) ove non fosse stata assunta con la maggioranza degli intervenuti che rappresentasse anche la metà del valore dell'edificio, mentre sarebbe stata affetta da nullità relativa derivante dalla loro mancata adesione solo nei confronti degli assenti e dissenzienti ove assunta con la suddetta maggioranza.

Infine, si rivelava originale la soluzione prospettata in una decisione (Cass. II, n. 5593/1980), secondo la quale la deliberazione di approvazione non all'unanimità dei condomini era da considerarsi semplicemente inefficace, ma condizionata al raggiungimento in epoca successiva del consenso unanime verificatosi in virtù dell'applicazione di fatto delle tabelle da parte dei condomini assenti.

Dunque, il filone interpretativo «tradizionale» era nel senso che l'approvazione delle tabelle millesimali non rientrasse nella competenza dell'assemblea, costituendo oggetto di un negozio di accertamento, che richiedeva il consenso di tutti i condomini: difettando tale consenso unanime, alla formazione delle medesime tabelle poteva provvedere il giudice, su istanza degli interessati, ma in contraddittorio con tutti i condomini (v., ex multis, di recente, Cass. II, n. 14951/2008; tra le più datate, Cass. II, n. 5686/1988; Cass. II, n. 1846/1978).

I tasselli motivazionali su cui si basava il suddetto orientamento erano principalmente tre.

Il primo faceva leva sul fatto che la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi era regolata direttamente dalla legge, per cui non rientrava nella competenza dell'assemblea, sottolineando l'inesistenza di una norma che attribuisse alla stessa assemblea il potere di deliberare in tal senso (Cass. II, n. 7359/1996; Cass. II, n. 3952/1958).

Il secondo si riferiva alla natura negoziale dell'atto di approvazione delle tabelle, nel senso che, pur non potendo considerarsi come contratto, non avendo carattere dispositivo – in quanto con esso i condomini non intendevano in alcun modo modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, ma soltanto determinare quantitativamente tale portata – doveva essere inquadrato nella categoria dei negozi di accertamento (in senso conforme, v., tra le prime, Cass. n. 1801/1964).

Il terzo evidenziava che le tabelle millesimali, essendo predisposte anche al fine del computo della maggioranza dei condomini (quorum) nelle assemblee, avevano carattere pregiudiziale rispetto alla costituzione ed alla validità delle deliberazioni assembleari e, quindi, non potevano formarne oggetto (Lorenzi, 387; Salis 1967, 1064, secondo il quale il fatto che le tabelle fossero contenute nel regolamento, a norma dell'art. 68 disp. att. c.c., stava semplicemente ad indicare un'allegazione formale che non mutava la natura intrinseca dell'istituto come innanzi descritta).

Negli ultimi tempi, però, si era affermato un orientamento, distinto (non è dato sapere quanto consapevolmente) da quello tradizionale, secondo il quale le tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio, qualora avessero natura «convenzionale» – in quanto predisposte dall'unico originario proprietario ed accettate dagli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, o oggetto di accordo da parte di tutti condomini – potevano, nell'àmbito dell'autonomia privata, fissare criteri di ripartizione delle spese comuni anche diversi da quelli stabiliti dalla legge ed essere modificate con il consenso unanime dei condomini (o per atto dell'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c.); ove, invece, avessero natura non convenzionale ma «deliberativa» – perché approvate con decisione dell'assemblea condominiale – le medesime tabelle millesimali, che dovevano necessariamente contenere criteri di ripartizione delle spese conformi a quelli legali, ed a tali criteri erano tenute ad uniformarsi nei casi di revisione, potevano essere modificate dall'assemblea con la maggioranza stabilita dell'art. 1136, comma 2, c.c., in relazione all'art. 1138, comma 3, c.c. (o con atto dell'autorità giudiziaria ex art. 69 citato).

In quest'ordine di principi, ne conseguiva che, mentre era affetta da nullità la deliberazione che modificasse le tabelle millesimali convenzionali adottata dall'assemblea senza il consenso unanime dei condomini, era valida la deliberazione modificativa della tabella millesimale di natura non convenzionale adottata dall'assemblea con il quorum contemplato dal comma 2 dell'art. 1136 c.c., ossia la metà del valore dell'edificio (v., soprattutto, Cass. II, n. 11960/2004; cui adde Cass. II, n. 4219/2007; Cass. II, n. 17276/2005; Cass. II, n. 15094/2000; Cass. II, n. 5399/1999).

Intervento delle Sezioni Unite

In questo acceso dibattito giurisprudenziale, è intervenuto il supremo organo di nomofilachia, il quale – a chiari note – ha ritenuto che, per l'approvazione delle tabelle millesimali, fosse sufficiente la maggioranza contemplata dall'art. 1136, comma 2, c.c., a cui rinviava l'art. 1138, comma 3, c.c., in tema di approvazione del regolamento di condominio, al quale, in base al disposto dell'art. 68 disp. att. c.c., le medesime tabelle dovevano essere allegate (Cass.S.U., n. 18477/2010).

Quest'ultima pronuncia ha avuto una vasta eco in dottrina e, tra i vari commenti, alcuni si sono mostrati entusiasti mentre altri hanno espresso perplessità sul risaltato ermeneutico raggiunto (Petrolati 2011, 575; Del Prato, 2266; Celeste 2010, 1805; Piselli, 40; Bottoni, 409; Bellante, 1799; Nasini, 775; Martone, 85; Vidiri, 59; Nobili, 5; Del Chicca, 185; Tiby, 205).

Per completezza, va evidenziato che, a seguito della Riforma del 2013, è rimasto invariato il testo del citato comma 2 dell'art. 1136 c.c., ma è stato cambiato quello del comma 1, nel senso che, attualmente, per quanto concerne ilquorumcostitutivo per l'assemblea in prima convocazione, si è passati a «tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio» – prima, per quest'ultima si richiedevano i due terzi – comportando, di fatto, un abbassamento delle maggioranze anche per quel che riguarda l'approvazione delle tabelle.

Dovrebbe essere, quindi, caduto il tabù della necessaria unanimità per l'approvazione delle tabelle millesimali da parte dei condomini e – pur se non affermato espressamente dalle Sezioni Unite – dovrebbe essere venuto meno anche l'obbligo di citare in giudizio tutti i partecipanti al condominio nella causa volta alla formazione delle medesime tabelle, non dovendo più annoverarsi il relativo giudizio tra le ipotesi di litisconsorzio necessario di cui all'art. 102 c.p.c.

In realtà, all'udienza del 13 aprile 2010, la II Sezione della Corte di Cassazione, con un'ordinanza interlocutoria, aveva rimesso nuovamente alle Sezioni Unite solo l'importante questione relativa al quorum necessario per la formazione o la modificazione delle tabelle millesimali (Izzo, 874): si ritornava, quindi, al supremo organo di nomofilachia, perché, rimessa in precedenza, la stessa questione era rimasta preclusa dal giudicato interno formatosi sul punto; rispetto alla precedente ordinanza interlocutoria n. 2658/2009, non era stata, invece, riproposta la problematica concernente la legittimazione passiva dell'amministratore, ma la soluzione della questione di cui sopra, così come attualmente prospettata dalle Sezioni Unite, condiziona fortemente la prima, nel senso che è giocoforza trarne le conseguenze anche sotto il profilo processuale.

Secondo il Supremo Collegio, nella sua massima composizione, i summenzionati argomenti addotti per sostenere la tesi «tradizionale» dell'incompetenza dell'assemblea circa l'approvazione delle tabelle millesimali non sono sembrati convincenti.

In ordine al primo argomento, secondo il quale la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi è regolata direttamente dalla legge, per cui non rientra nella competenza dell'assemblea, si è obiettato, da un lato, che la legge non regola le concrete modalità di determinazione dei millesimi, ma si limita a stabilire che essi debbano essere espressione del valore di ogni piano o porzione di piano, escludendo l'incidenza di determinati fattori (art. 68, comma 2, disp. att. c.c.); dall'altro, che, se la suddetta determinazione fosse effettivamente regolata dalla legge, escludendo ogni margine di discrezionalità, non si comprenderebbe perché le tabelle millesimali dovrebbero essere necessariamente approvate all'unanimità o formate in un giudizio da svolgere nel contraddittorio di tutti i condomini.

In ordine al secondo argomento, l'affermazione che la necessità dell'unanimità dei consensi dipenderebbe dal fatto che la deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali costituirebbe un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni – secondo la Corte – si rivela in contrasto con quanto, ad altri fini, sostenuto nella stessa giurisprudenza di vertice, ossia che la tabella millesimale serve solo ad esprimere, in precisi termini aritmetici, un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini, senza incidere in alcun modo su tali diritti.

In effetti, i condomini, quando approvano la tabella che ha determinato il valore delle singole unità immobiliari secondo i criteri stabiliti dalla legge, non fanno altro che riconoscere l'esattezza delle operazioni di calcolo della proporzione tra il valore della quota e quello del fabbricato (in sintesi, la misura delle quote risulta determinata in forza di una precisa disposizione di legge); l'approvazione del risultato di un'operazione tecnica non importa la risoluzione o la preventiva eliminazione di controversie, di discussioni o di dubbi: il valore di una cosa è quello che è, ed il suo accertamento non implica alcuna operazione volitiva, ragion per cui il semplice riconoscimento che le operazioni sono state compiute in conformità al precetto legislativo non può qualificarsi attività negoziale (Florino, 682).

Pertanto, il fine dei condomini, allorché approvano il calcolo delle quote, non è quello di rimuovere l'incertezza sulla proporzione del concorso nella gestione del condominio e nelle spese – incertezza che non esiste perché il rapporto non può formare oggetto di discussione, dovendo determinarsi sulla base di precise disposizioni – ma è solo quello di prendere atto della traduzione in frazioni millesimali di un rapporto di valori preesistente e, per conseguirlo, non occorre un negozio, il cui schema contempla come intento tipico l'eliminazione dell'incertezza mediante accertamento e declaratoria della situazione preesistente.

In definitiva, la deliberazione che approva le tabelle non si pone come fonte diretta dell'obbligo contributivo del condomino, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione del medesimo obbligo, determinato in base ad una valutazione tecnica; caratteristica propria del negozio giuridico è, invece, la conformazione della realtà oggettiva alla volontà delle parti, mentre l'atto di approvazione della tabella fa capo ad una documentazione ricognitiva di tale realtà, donde il difetto di note negoziali; se si considera, poi, che, in base all'art. 68 disp. att. c.c., le tabelle servono agli effetti di cui agli artt. 1123,1124,1126 e 1136 c.c., ossia ai fini della ripartizione delle spese e del computo dei quorum costitutivi e deliberativi in sede di assemblea, si avverte sùbito la difficoltà di supporre che una determinazione ad opera dell'assemblea possa incidere sul diritto di proprietà del singolo condomino (come evidenziato anche da Belmonte, 266).

D'altronde, una determinazione che non rispecchiasse il valore effettivo di un'unità immobiliare rispetto all'intero edificio potrebbe risultare pregiudizievole per il condomino, nel senso che potrebbe costringerlo a pagare spese condominiali in misura non proporzionata al valore della parte di immobile di proprietà esclusiva, ma non inciderebbe sul diritto di proprietà come tale, quanto piuttosto sulle obbligazioni che gravano a carico del condomino in funzione di tale diritto di proprietà, a cui si può porre riparo – ad avviso dei giudici di legittimità – mediante la revisione della tabella ex art. 69 disp. att. c.c. (al cui commento si rinvia).

La Suprema Corte aggiunge che un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni dovrebbe risultare per iscritto; non sembra possibile sostenere che il consenso dei condomini che non hanno partecipato alla deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali potrebbe essere validamente manifestato per facta concludentia dal comportamento dagli stessi tenuto successivamente alla deliberazione stessa, essendo anche difficile attribuire un valore negoziale alla manifestazione di volontà diretta all'approvazione della deliberazione (cioè di assunzione di un impegno nei confronti di coloro che hanno votato nello stesso modo e di proposta contrattuale nei confronti degli altri) ed al comportamento degli altri condomini successivo alla stessa (cioè di accettazione di una proposta).

In ordine al terzo argomento, l'affermazione per cui le tabelle millesimali, essendo predisposte anche al fine del computo delle maggioranze nelle assemblee, hanno carattere pregiudiziale rispetto alla costituzione ed alla validità delle deliberazioni e, quindi, non possono formarne oggetto, è sembrata in contrasto con la giurisprudenza della stessa Corte, secondo la quale un criterio di identificazione delle quote di partecipazione condominiale, dato dal rapporto tra il valore delle proprietà singole ed il valore dell'intero edificio, preesiste alla formazione delle tabelle e consente di valutare (ove occorre, a posteriori ed in giudizio) se i quorum di costituzione dell'assemblea e di deliberazione siano stati raggiunti, per cui le tabelle agevolano, ma non condizionano lo svolgimento delle assemblee e, in genere, la gestione del condominio.

Tuttavia – secondo il Supremo Collegio – anche il nuovo orientamento, in primo luogo, non chiarisce come possano esservi tabelle millesimali approvate con deliberazione dell'assemblea condominiale, se la giurisprudenza maggioritaria aveva, reiteratamente e categoricamente, escluso una competenza dell'assemblea in merito.

In secondo luogo, lo stesso filone interpretativo si pone in contrasto con la precedente giurisprudenza di legittimità, la quale, in tema di regolamento condominiale di origine c.d. contrattuale, aveva chiarito che occorre distinguere tra disposizioni tipicamente «regolamentari» e disposizioni «contrattuali», e che solo per le seconde è necessario, ai fini della loro modifica, l'accordo di tutti i partecipanti, mentre le prime sono modificabili con le maggioranze previste dalla legge; si precisa ulteriormente che: a) sulla diversa natura dei due gruppi di disposizioni e sul diverso loro regime di modificabilità, non può incidere la loro comune inclusione nel regolamento; e b) hanno natura contrattuale solo le clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetti ad altri.

La Suprema Corte, dopo aver smontato uno per uno gli argomenti posti a base degli orientamenti di cui sopra, conclude nel senso che, una volta chiarito che, a favore delle summenzionate tesi, non viene addotto alcuna ragione convincente, considerando che tali tabelle, in base all'art. 68 disp. att. c.c., sono allegate al regolamento di condominio, il quale, in base all'art. 1138 c.c., viene approvato dall'assemblea a maggioranza, dovrebbe essere logico dedurre che le tabelle vanno approvate con la stessa maggioranza richiesta per il regolamento.

Rilievi critici

Partendo dal filone interpretativo c.d. innovativo, è senz'altro da condividersi l'affermazione secondo la quale non è affatto decisiva l'allegazione delle tabelle al regolamento per individuarne la natura e la relativa disciplina (sulla formazione e sulla revisione), mentre perplessità suscita l'altro assunto laddove si reputa piuttosto decisivo il contenuto delle tabelle stesse in relazione ai parametri legali, ossia se siano a questi conformi o derogatori.

Sembra che la sentenza delle Sezioni Unite critichi l'indirizzo c.d. innovativo, ma non fornisca utili criteri operativi per distinguere le tabelle convenzionali da quelle assembleari, limitandosi a rilevare che le prime configurano «quella diversa convenzione di cui all'art. 1123, comma 1, c.c.», rispetto al regime legale di ripartizione delle spese, laddove la distinzione è, in realtà, tutt'altro che certa sul piano pratico.

Invero, non è agevole verificare in concreto l'adozione di criteri difformi rispetto ai valori vigenti, nel senso che è difficile, a parte i casi più eclatanti, distinguere l'errata applicazione dei criteri legali dalla deroga convenzionale agli stessi, ossia che i partecipanti abbiano «scientemente» inteso discostarsi dai dettami legali, specie considerando l'ampia discrezionalità di cui dispone il tecnico nelle operazioni estimative.

Non sembra, poi, affatto decisiva l'eventuale clausola di stile, eventualmente inserita dal notaio negli atti pubblici nei quali siano versati i regolamenti di condomino, del tenore seguente: «... anche in deroga agli articoli del codice civile ...», giacché è il contenuto obiettivo della disposizione a determinarne la natura, e non la forma in cui è inserita o la generica intenzione soggettiva.

Se proprio si vuole mantenere tale distinzione (foriera di equivoci), appare preferibile essere molto prudenti nell'individuazione della tabella «convenzionale», limitandone la configurazione contrattuale alle sole ipotesi in cui sia univoca la volontà di instaurare un regime alternativo a quello legale in forza dell'introduzione di un criterio radicalmente diverso da quello offerto dal codice civile, così rimettendo all'àmbito della competenza assembleare, che delibera a maggioranza, soltanto ogni scostamento determinato dalla discrezionalità tecnica nelle stime delle tabelle millesimali.

Ritornando al primo filone interpretativo, c.d. tradizionale e sicuramente maggioritario, le Sezioni Unite – come abbiamo sopra visto – si premurano di smontare i summenzionati argomenti addotti per sostenere la tesi dell'incompetenza dell'assemblea circa l'approvazione delle tabelle millesimali.

Alla conclusione dell'iter motivazionale, si afferma, però, che, considerando che le tabelle millesimali, in base all'art. 68 disp. att. c.c., sono allegate al regolamento di condominio, il quale, in base all'art. 1138 c.c., viene approvato dall'assemblea a maggioranza, è logico dedurre che tali tabelle vanno approvate con la stessa maggioranza richiesta per il regolamento; d'altronde, «allegazione» sta a significare anche identità di disciplina per l'approvazione, poiché un atto allegato ad un altro, con cui viene contestualmente formato, deve ritenersi sottoposto alla stessa disciplina, a meno che il contrario risulti espressamente (in senso fortemente critico, v., soprattutto, Celeste 2010, 23).

A ciò si potrebbe, innanzitutto, replicare – ma ciò non risolve il nocciolo del problema – che, ad essere coerenti fino in fondo, ossia si intenda mantenere la «identità di disciplina», qualora l'atto «principale» sia un regolamento di natura contrattuale, anche la tabella «allegata» dovrebbe essere approvata all'unanimità, a parte il rilievo che un regolamento potrebbe pure non esistere, o perché la compagine condominiale non voglia adottarlo, o perché più semplicemente non sia obbligatorio perché al di sotto della soglia legale dei dieci partecipanti di cui all'art. 1138 c.c.

A ben vedere, appare assorbente osservare che, nonostante le tabelle siano previste come «allegate» al regolamento, nulla vieta che i condomini procedano alla sola approvazione di queste, ossia svincolate del tutto dall'approvazione del regolamento, o addirittura fuori dal contesto assembleare, come quando si proceda mediante la sottoscrizione successiva di un documento contenente le tabelle, sulla falsariga del contratto a formazione progressiva.

Sembra, inoltre, contraddittorio affermare – come fanno le Sezioni Unite in un passaggio dell'articolata motivazione – che «la legge non regola le concrete modalità di determinazione dei millesimi, ma si limita a stabilire che essi debbono essere espressione del valore di ogni piano o porzione di piano, escludendo l'incidenza di determinati fattori», riconoscendo, quindi, la persistenza di un «margine di discrezionalità» che compete ai condomini esercitare, e, sùbito dopo, sostenere che la tabella millesimale «serve solo ad esprimere in termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condòmini», che «la misura delle quote risulta determinata in forza di una precisa disposizione di legge», e che nessuna «incertezza» esiste «perché il rapporto non può formare oggetto di discussione, dovendo essere determinato sulla base di precise disposizioni».

In altri termini, appare incoerente, da un lato, rilevare la sussistenza di un «margine di discrezionalità» per negare che la determinazione dei millesimi sia già compiutamente regolata ex lege, e, dall'altro, postulare una «precisa disposizione di legge» che preesiste all'elaborazione delle tabelle escludendo qualsiasi margine di «incertezza» (e, in buona sostanza, dando atto della loro inutilità).

In realtà, tutti gli operatori del settore sanno benissimo che la materia delle tabelle millesimali è stata lasciata dal legislatore alle prassi estimative dei tecnici ed all'elaborazione della giurisprudenza, con il risultato che ogni elaborazione tecnica propone spesso risultati diversi per un medesimo edificio.

È vero che il rapporto di valore tra le unità immobiliari è, per così dire, in re ipsa, in quanto inerisce alla conformazione, collocazione e destinazione di ciascuna porzione del fabbricato, vale a dire a caratteristiche obiettive preesistenti alla valutazione delle tabelle, ma l'incidenza di tali caratteristiche sulla stima del valore relativo di ogni unità immobiliare non è affatto determinata dalla legge se non in via negativa, ossia riguardo ai parametri che non devono essere presi in considerazione – canone di locazione, miglioramenti, stato di manutenzione, ex art. 68, comma 2, disp. att. c.c., che utilizza non casualmente il termine «accertamento» – per cui sembra intuitivo che un certo margine di incertezza e di discrezionalità permanga e si imponga, pertanto, un'operazione di vero e proprio accertamento per dirimere la res dubia.

Ecco, quindi, che la questione preliminare da risolvere è la corretta qualificazione da dare all'atto con cui i condomini approvano le tabelle millesimali, salvo, poi, distinguere all'interno delle medesime tabelle: ci si riferisce, in particolare, al secondo argomento su cui si basa logicamente l'orientamento tradizionale, perché il primo ed il terzo – relativi, rispettivamente, all'esistenza di una norma che contempli il potere dell'assemblea di deliberare sul punto ed al carattere pregiudiziale delle tabelle rispetto alla costituzione assembleare – non sembrano rivestire peso decisivo.

Una volta correttamente inquadrate le tabelle, consegue de plano l'individuazione dei legittimi contendenti nel processo volto alla loro formazione, ossia il solo amministratore, come rappresentante legale del condominio, o tutti i proprietari delle unità immobiliari dello stabile interessato.

Si è sopra evidenziato che le tabelle millesimali rappresentino un rapporto di valore che è nei fatti (rectius, tra i beni), non dipende dalla volontà dei titolari di tali beni e, soprattutto, preesiste alla loro redazione; invero, secondo la prospettiva adottata dal codice civile, è innegabile che il rapporto di valore (delle singole unità immobiliari tra di loro) è considerato preesistente alla redazione delle tabelle, le quali si limitano a «fotografarlo» senza poter incidere sulla sua quantificazione.

Le peculiarità della normativa condominiale suggeriscono, però, altre importanti riflessioni.

Parlando in termini semplici: al momento in cui si acquista un appartamento in un edificio in regime di condominio si diventa sia proprietario dell'unità immobiliare oggetto della compravendita sia comproprietario delle parti comuni dello stabile; queste ultime sono indicate dall'art. 1117 c.c., o da un «titolo contrario» che, però, deve avere natura convenzionale; la presenza di un titolo contrario, il quale abbia ad oggetto la proprietà dei beni «condominiali», può avere influenza sul rapporto di valore che rappresenta la suddetta quota di comproprietà, eventualmente determinandone, al momento della costituzione del rapporto stesso, gli esatti termini di raffronto (sia il numeratore sia il denominatore della frazione aritmetica).

E ancora, la quota di comproprietà dell'insieme delle parti comuni è determinata dal rapporto di valore esistente, in senso reciproco, tra i beni esclusivi (art. 1118 c.c.); tale rapporto di valore deve essere rappresentato a mezzo di una «tabella», recante frazioni aritmetiche con denominatore 1.000, in misura proporzionale al valore dell'appartamento, «se il titolo non dispone altrimenti»; in mancanza di indicazioni specifiche, l'art. 68 disp. att. c.c. ci dice come calcolare questo rapporto di valore, ma lo fa in negativo, mentre, in tale calcolo, entrano in gioco non solo elementi oggettivi (ad esempio, le dimensioni dell'appartamento), ma anche altre valutazioni abbastanza soggettive (quali l'ubicazione, il piano, l'esposizione, la luminosità, la destinazione), di qui le incertezze, e la conseguente necessità di accertarle.

Alzando il livello del discorso, si rileva che le norme sul condominio distinguono nettamente il settore riservato all'autonomia privata da quello affidato alla maggioranza, e, in particolare, escludono che l'assemblea possa adottare deliberazioni che comportino la disposizione dei diritti dei singoli (i concetti di «attribuzione» e «gestione» sono mirabilmente illustrati in Corona 2001, passim).

Il comma 1 dell'art. 1118 c.c. insegna che il diritto di ciascun partecipante sulle cose comuni è proporzionato al valore dell'appartamento rispetto all'intero edificio, «se il titolo non dispone altrimenti»: la proporzione relativa al valore frazionario delle singole unità immobiliari, la c.d. quota millesimale, costituisce, quindi, il parametro fissato dalla legge per determinare la misura dei diritti e degli obblighi facenti capo ai condomini, misura che non può essere mutata con una deliberazione approvata a maggioranza ma solo per atto negoziale (ossia mediante gli atti di compravendita costitutivi del condominio, gli accordi posteriori stipulati da tutti i condomini o il regolamento condominiale di natura contrattuale).

Sotto il profilo attivo, sulla base di tale proporzione, la norma fissa il criterio per commisurare la partecipazione dei condomini all'assemblea, essendo il quorum relativo alla costituzione ed alla formazione delle maggioranze composto, oltre che dal numero dei partecipanti, anche dal valore proporzionale delle unità immobiliari di ciascuno, che l'assemblea medesima non è legittimata in alcun modo a modificare.

Sotto il profilo passivo, la norma dell'art. 1123, comma 1, c.c. conferma che solo per contratto si può derogare al criterio, secondo cui il contributo di ciascun condomino nelle spese per la conservazione delle parti comuni, per la prestazione dei servizi e per le innovazioni è proporzionato al valore della propria unità immobiliare, sicché tali proporzioni non possono essere mutate con una deliberazione dell'assemblea.

In definitiva, il potere di disporre dei profili, attivi e passivi, della situazione soggettiva di condominio – sopra evidenziati – è riservato all'autonomia privata, e tra le attribuzioni dell'assemblea non rientra quella di modificare il quorum di partecipazione all'assemblea, né di incidere sulla misura delle obbligazioni di contribuire nelle spese; al regime legale di imputazione e di ripartizione (artt. 1118, comma 1, e 1123, comma 1, c.c.), si può derogare solo per contratto, sicché è nulla, per impossibilità dell'oggetto, in quanto la materia non rientra tra le attribuzioni dell'assemblea, la deliberazione che, a maggioranza, formi ex novo le tabelle millesimali.

Inoltre, il summenzionato rapporto di strumentalità – tipico del rapporto di condominio – determina rilevanti conseguenze anche riguardo alle tabelle millesimali: infatti, l'entità della quota di comproprietà che il singolo possiede sulle cose, servizi ed impianti comuni viene individuata attraverso l'entità di un altro bene (diverso, distinto e separato) costituito dalla proprietà esclusiva.

Si può, pertanto, ribadire che la quota millesimale è prevista dal legislatore ad un duplice scopo: da un lato, per consentire il valido compimento degli atti di gestione necessari all'amministrazione dell'immobile (artt. 1123 ss. e 1136 c.c.), e, dall'altro, per accertare esattamente la quantità della quota di comproprietà spettante a ciascun condomino sui beni comuni (art. 1118 c.c.).

Dai rilievi di cui sopra – ed andando consapevolmente di contrario avviso alla tesi espressa dal supremo organo di nomofilachia – si ritiene che le tabelle millesimali debbano essere approvate all'unanimità dei consensi dei condomini, fondando la giustificazione di tale opinione in base alla natura negoziale delle medesime tabelle.

Infatti, se si accoglie la tesi che l'elaborato tabellare sia costituito da un vero e proprio atto di accertamento – v. supra – la necessità del consenso unanime va ricercata nel fatto che il perfezionamento del suddetto atto di accertamento non potrebbe che avvenire con il consenso di tutti i soggetti coinvolti, ossia di tutti coloro che hanno interesse a che la sottostante situazione di fatto, consistente nell'oggettivo rapporto di valore tra le proprietà esclusive, sia definitivamente accertata.

In questa prospettiva – lo si ripete – la manifestazione del consenso potrebbe avvenire, in via principale, all'interno e per mezzo del procedimento assembleare: una deliberazione totalitaria, ossia di tutti i partecipanti al condominio costituisce, di solito, lo strumento tipico per giungere ad una valida approvazione delle tabelle stesse, anche se il procedimento assembleare non costituisce, in realtà, l'unico passaggio obbligato, poiché può ugualmente pervenirsi ad una valida approvazione dell'elaborato tabellare anche attraverso la raccolta di tali consensi per le vie ordinarie, ossia senza procedere alla convocazione dell'assemblea, ad esempio collezionando le sottoscrizioni, di volta in volta, in momenti anche differiti, com'è pacificamente ammesso con riferimento alla formazione progressiva del contratto.

I rilievi di cui sopra, però, non valgono per le tutte le tipologie di tabelle millesimali, in quanto si può operare un distinguo all'interno di esse.

Invero, non si esclude che possano approvarsi a mera maggioranza le c.d. tabelle di gestione, ossia diverse da quella di proprietà – come, per esempio, quella del riscaldamento, oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite, le quali, in verità, non operano alcuna distinzione tra esse – perché le suddette tabelle non recano, al loro interno, alcuna valutazione delle porzioni immobiliari esclusive (ma, seguendo lo stesso esempio, l'individuazione, rectius l'accertamento, del criterio della superficie radiante, ed una semplice misurazione della stessa).

Tali tabelle non possono produrre alcun rilevante effetto sui diritti soggettivi dei partecipanti al condominio, tanto meno di natura «immobiliare»; si tratta, infatti, di una scelta della semplice misurazione tecnica, molto simile a quella che potrebbe effettuarsi, ad esempio, in sede di realizzazione della c.d. tabella scale prevista dall'art. 1124 c.c., in relazione alla quale è necessario procedere alla misurazione dell'altezza dei vari piani (fermo restando che la comproprietà delle medesime scale è pur sempre rappresentata dalla quota millesimale di proprietà secondo la tabella A).

In tali casi, l'unanimità non è richiesta, concretandosi in una mera individuazione (o scelta) del criterio di ripartizione, per la quale è sufficiente una deliberazione assembleare adottata secondo il sistema maggioritario; atteso, però, che, nel caso di approvazione di siffatte tabelle di ripartizione, la decisione, avendo valore «programmatico» (ossia valevole per il futuro) ed essendo applicabile a tutte le ripartizioni della medesima natura, rappresenterà anche una regola interna del fabbricato, è preferibile che la stessa sia approvata con i quorum (500 millesimi) contemplati dall'art. 1138, comma 3, c.c. per l'approvazione del regolamento di condominio.

Non si nasconde che la tesi qui propugnata, ossia la necessaria unanimità dei consensi dei condomini nella deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali – quantomeno, di quella comunemente indicata con la lettera A – comporta inevitabili conseguenze giuridiche, sia sul piano sostanziale, essendo spesso difficile raggiungere la totalità delle adesioni da parte di tutti i partecipanti (rischiando di «ingessare» lo status quo ante anche per le eventuali modifiche), sia sul piano processuale, risultando non agevole incardinare il giudizio nei confronti di tutti i proprietari delle unità immobiliari.

Tuttavia, quantomeno sotto il profilo sostanziale, si ritiene che la formazione delle tabelle integri un negozio plurilaterale di accertamento, richiedente il consenso di ogni singolo condomino, nessuno escluso, in quanto costituisce un atto totalmente estraneo alla sfera decisionale dell'assemblea, nel senso che può, occasionalmente, determinarsi in sede assembleare, ma comunque prescinde del tutto dai meccanismi deliberativi propri dell'organo gestorio; essendo funzione della tabella quella di precisare, in termini matematici, l'entità della «quota» di cui ciascun condomino è titolare nella comunione delle parti comuni dell'edificio (riguardo agli artt. 1117 e 1118 c.c.), non si reputa che possa riconoscersi alla maggioranza il potere di determinare, a suo arbitrio, anche le quote dei condomini di minoranza, con il rischio del prevalere di una maggioranza «interessata», che approva volutamente una tabella non conforme, ad libitum o ancorché di poco, ai valori reali, ai danni dei condomini più deboli economicamente o semplicemente impreparati sul punto.

È vero che il singolo può chiedere la revisione, ma ciò comporta costi e non sempre si riesce a rilevare l'errore valutativo, perché non oggetto di operazioni matematiche esatte, per cui anche per un millesimo il partecipante al condominio potrebbe essere ingiustamente espropriato della quota di comproprietà sulle cose comuni, con dubbi di legittimità costituzionale ex art. 42 Cost.

Si consideri, infine, la posizione del terzo, il quale aveva acquistato sulla base delle risultanze dei registri immobiliari, ove le tabelle erano allegate al regolamento trascritto, e, poi, si potrebbe trovare a pagare in base a nuovi prospetti approvati dall'assemblea a mera maggioranza, che non registrano alcuna forma di pubblicità a lui opponibile.

Novità della Riforma

A ben vedere, la l. n. 220 del 2012, nel modificare l'art. 69 disp. att. c.c., non si è occupata espressamente della «approvazione» ex novo della tabella millesimale, preoccupandosi di stabilire il criterio dell'unanimità solo nel caso di «rettifica» o di «modifica», salva la possibilità di intervenire con il principio maggioritario in determinate ipotesi espressamente menzionate.

Segnatamente, il comma 1 del suddetto disposto stabilisce che i valori millesimali delle singole unità immobiliari «possono essere rettificati o modificati all'unanimità», precisando, tuttavia, nel secondo periodo, che gli stessi valori «possono essere rettificati o modificati» con il quorum di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. – in buona sostanza, con il voto favorevole della metà del valore dell'edificio – in due ordini di situazioni, riassumibili come errore originario di elaborazione dei valori millesimali oppure come sopravvenuta e qualificata inadeguatezza delle tabelle millesimali vigenti (rispettivamente, nn. 1 e 2).

Orbene, il fatto che la Riforma del 2013 non abbia accennato all'elaborazione iniziale dei valori millesimali non esclude che il requisito della unanimità dei consensi, formulato nell'incipit del novellato art. 69, comma 1, disp. att. c.c. riguardo alle sole rettifiche e modifiche delle tabelle millesimali, non possa non valere a fortiori anche per la genesi dei valori millesimali, vale a dire per l'originaria formazione delle tabelle, sicché è stata ravvisata (Celeste 2013, 279), una radicale incompatibilità della nuova disciplina con il principio della formazione delle tabelle a maggioranza come affermato dalle Sezioni Unite (peraltro, ribadito più di recente, sia pure come passaggio incidentale o sotto forma di obiter dictum, in Cass. II, n. 11387/2013).

In altri termini, si conferma che la formazione delle tabelle integri un negozio di accertamento, richiedente il consenso di ogni singolo condomino, nessuno escluso, in quanto costituisce un atto totalmente estraneo alla sfera decisionale dell'assemblea, nel senso che può, occasionalmente, determinarsi in sede assembleare, ma comunque prescinde del tutto dai meccanismi deliberativi propri dell'organo gestorio, essendo irrilevante interrogarsi sul raggiungimento di quale maggioranza.

Sul punto, è stata, però, avanzata una diversa ipotesi ricostruttiva (Petrolati 2014), secondo la quale, laddove si afferma che i valori millesimali «possono» essere modificati all'unanimità, si deve intendere che i valori millesimali sono in linea di principio rimessi all'autonomia dispositiva dei condomini, i quali liberamente rideterminano le carature delle rispettive unità immobiliari ove sussista la volontà negoziale validamente in tal senso espressa da ciascun partecipante al condominio: il contenuto precettivo di tale disposizione è, cioè, diretto non già ad imporre un limite al potere di modificazione ma a legittimarne l'esercizio in sede negoziale.

È ovvio che quanto affermato per la modifica delle tabelle vigenti debba necessariamente valere anche per l'elaborazione iniziale delle stesse, non potendosi ammettere che l'autonomia negoziale possa esplicarsi solo ai fini della variazione dei valori originari e non, invece, per la genesi delle tabelle; il legislatore, quindi, pur facendo espresso riferimento alla «rettifica» o «modifica» dei valori millesimali, esprime in realtà, con riguardo alle specifiche vicende secondarie, il principio generale della libera disponibilità negoziale delle tabelle.

Tuttavia, il requisito dell'unanimità viene meno nelle ipotesi tassative di rettifica o modifica volte a rimediare ad un errore iniziale di elaborazione dei valori millesimali (n. 1) o di sopravvenuta inadeguatezza dei valori stessi in conseguenza di variazioni volumetriche o nel numero delle unità immobiliari tali da alterare la caratura anche di un solo condomino in misura superiore al 20% (n. 2): per tali situazioni, infatti, è sufficiente una deliberazione assembleare con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c.

L'operatività del metodo collegiale e del principio di maggioranza significa che, per le suindicate ipotesi esemplificative, lo stesso legislatore ha ravvisato la sussistenza non già di atti dispositivi, bensì di atti di mera gestione del condominio, sia pure con funzioni regolative delle posizioni dei singoli condomini, per quanto riguarda il riparto delle spese e la partecipazione alla formazione delle decisioni assembleari (tali essendo i profili essenziali di rilevanza delle tabelle millesimali).

In tali ipotesi, invero, si tratta di rendere conformi le tabelle millesimali ai parametri legali e convenzionali già vigenti nel condominio, così eliminando il vizio originario di determinazione dei valori o adeguando le tabelle alle variazioni sopravvenute nella consistenza e/o composizione dell'edificio.

Se questa è la giustificazione dell'àmbito riservato alla gestione assembleare, è da ritenere che, anche per l'iniziale approvazione delle tabelle c.d. legali, ossia conformi ai parametri indicati dal codice civile per la ripartizione delle spese, sia sufficiente la deliberazione dell'assemblea con il quorum qualificato previsto per le funzioni regolative exartt. 1138, comma 3, e 1136, comma 2, c.c.; pure in tal caso, quindi, la Riforma del 2013 ha espresso, con riguardo specifico alla rettifica o modifica dei valori, il principio più generale secondo cui la tabella conforme alla disciplina legale è affidata ad un atto gestorio, mentre quella derogativa è rimessa all'autonomia negoziale.

In tal senso – seguendo tale tesi – dovrebbe ritenersi pienamente confermato il discrimine operato dalla Suprema Corte, con il richiamato arresto delle Sezioni Unite, tra tabelle c.d. legali e tabelle c.d. contrattuali.

Il corollario processuale di tale discrimen attiene, poi, all'instaurazione del contraddittorio, nel senso che, per la determinazione iniziale oppure per la revisione delle tabelle millesimali secondo la disciplina legale o convenzionale già vigente nel condomino, il contraddittorio si svolge nei riguardi del condominio unitariamente rappresentato dall'amministratore, mentre le tabelle in deroga alla disciplina vigente possono essere approvate solo all'unanimità, nell'esplicazione dell'autonomia contrattuale, secondo il principio affermato nell'incipit dell'art. 69, comma 1, disp. att. c.c.; la precisazione che il contraddittorio semplificato, circoscritto cioè dal lato passivo all'amministratore, è previsto «ai soli fini della revisione», si giustifica, quindi, in forza del rilievo che, nel giudizio di revisione, non sono affatto innovati i parametri normativi vigenti nel condominio, ma si tratta soltanto di adeguare ad essi i valori millesimali.

Bibliografia

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