Disp. Att. Trans. Codice Civile - 30/03/1942 - n. 318 art. 70[I]. Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie. L'irrogazione della sanzione è deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del Codice (1). (1) L'art. 1, d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modif., in l. 21 febbraio 2014, n. 9, ha inserito le parole: «L'irrogazione della sanzione è deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del Codice ». L'articolo era stato sostituito dall'art. 24, l. 11 dicembre 2012, n. 220. Il testo recitava: «[I]. Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento. La somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie». La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. InquadramentoLa norma in commento è stato oggetto di una curiosa evoluzione: nascita, oblio e, infine, resurrezione (Salciarini, 11). Invero, prevista dal codice civile del 1942, o meglio dalle sue disposizioni di attuazione all'art. 70, la norma contemplava la sanzione fino a 100 lire del vecchio conio, e forse allora poteva costituire un discreto deterrente; con il tempo, purtroppo, la medesima norma ha perso gran parte della sua portata precettiva stante la costante perdita di acquisto della nostra moneta, in quanto correlata ad un importo, non oggetto di aggiornamento, che si è rivelato sùbito irrisorio, se non addirittura anacronistico, mentre, con l'avvento dell'euro, avvenuto nel 2002, si era solo provveduto a convertire il medesimo importo in 0,05 centesimi (v., però, Corte cost., n. 388/1997, secondo cui era inammissibile, appartenendo alla discrezionalità del legislatore, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 70 disp. att. c.c., laddove disponeva che, per le infrazioni al regolamento, potesse essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento, in riferimento agli artt. 3,41 e 42 Cost.). Di recente, con l'entrata in vigore della l. n. 220 del 2012, che ha innalzato la misura della sanzione ad un importo considerevole (200 euro e 800 in caso di recidiva), la norma è risorta dalle proprie ceneri e, probabilmente, vedrà coinvolte le cronache del condominio e, di riflesso, le aule di giustizia; e una conferma indiretta di tale interesse viene proprio del decreto-legge c.d. destinazione Italia (convertito dalla l. n. 9 del 2014), il quale ha individuato questa tematica, tra sole cinque – che, poi, sono diventate quattro, avendo il legislatore, in sede di conversione, fatto marcia indietro sul «contenimento del consumo energetico» – come le più rilevanti criticità introdotte dalla Riforma, su cui era appunto urgente intervenire. Comunque, non si è voluto formalizzare un procedimento simile a quello previsto per le sanzioni disciplinari nel rapporto di lavoro (art. 7 l. n. 300 del 1970), né introdurre un triplo grado di giurisdizione: in buona sostanza, si è inteso solo istituzionalizzare un embrione di contraddittorio, prevedendo la contestazione della violazione della norma regolamentare da parte dell'amministratore, la (sia pure implicita) possibilità di replica da parte del trasgressore, la riserva di potestà decisoria in capo all'assemblea e l'impugnabilità della statuizione sanzionatoria davanti al magistrato. Il c.d. decreto destinazione Italia ha contemplato, in ogni caso, il «passaggio assembleare» che, da un lato, depotenzia le facoltà dell'amministratore, a cui rimane pur sempre l'obbligo di «curare l'osservanza» del regolamento, e, dall'altro, rischia di rivelarsi più costoso – quanto a convocazione, deliberazione, comunicazione, ecc. – rispetto alla sanzione da irrogare in concreto al soggetto trasgressore. Evoluzione normativaLa versione del 2013 era del seguente tenore: «Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie.» La dottrina si era interrogata in ordine alla natura di tale sanzione pecuniaria: pena privata, multa convenzionale, mezzo disciplinare di cui l'amministratore può servirsi per curare l'osservanza del regolamento, o forma di risarcimento del danno forfettariamente quantificata in via preventiva derivante dall'inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti dai condomini (Capponi–Chiocca, 731). A parte l'aggiornamento «quantitativo» della sanzione, il testo è sostanzialmente identico alla versione del 1942, ricalcando anche la disciplina del r.d. n. 56 del 1934, il cui art. 27 disponeva che «i regolamenti di condominio possono stabilire per le infrazioni alle norme circa l'uso delle cose comuni e gli atti che turbano la tranquillità dei condomini una sanzione pecuniaria non superiore a lire 50». Non si ha la pretesa di ritenere che tale sanzione sia l'unico mezzo veramente adeguato ed efficace per fare astenere da una certa condotta il suo autore potenziale – spesso l'obbligazione risarcitoria non è sufficiente a scoraggiarlo, stante che il profitto dell'iniziativa potrebbe effettivamente essere superiore al limite del danno – tuttavia, è auspicabile che la previsione della stessa possa evitare che il normale funzionamento del regime condominiale sia compromesso da condotte concretizzatesi in eccessi o usi arbitrari delle cose comuni, sia perseguendo il fine di prevenzione per «orientare» anche nel futuro l'operato dei singoli, sia mirando a tutelare la legalità della gestione condominiale (Nunziata, 727). In altri termini, è sotto gli occhi di tutti che la realtà condominiale si presenta, al tempo stesso, complessa e delicata: la convivenza di una pluralità di persone all'interno dello stesso edificio urbano nonché l'uso delle cose, degli impianti e dei servizi comuni può, quindi, essere disciplinata convenientemente solo con un adeguato presidio delle prescrizioni fissate dal regolamento. La Riforma del 2013 si muove nel senso di un rafforzamento della sua efficacia preventiva e repressiva delle condotte lesive, anche se si dimentica di predisporre opportuni limiti e garanzie, consapevole, al contempo, che eventuali eccessivi irrigidimenti renderebbero inapplicabile di fatto il meccanismo sanzionatorio. Orbene, è noto che il regolamento di condominio contiene, tra l'altro, le norme disciplinanti l'uso delle cose comuni (art. 1138, comma 1, c.c., nel rispetto delle disposizioni inderogabili del codice civile); esso è già, in via primaria, presidiato da norme generali e sanzionatorie apprestate dall'ordinamento (ad esempio, artt. 1102 ss., 1117 ss., 2043 ss. c.c.), tuttavia, è ben possibile che si aggiungano anche obblighi determinati peculiarmente da ciascun condominio ed individuati dal rispettivo regolamento. La l. n. 220 del 2012 non ha mutato da facoltativa in obbligatoria la previsione di apposite specifiche sanzioni da parte dei singoli regolamenti – si è adoperato, infatti, il termine «può» – nel senso che il predisporre o meno delle penalizzazioni private per rafforzare l'osservanza dei precetti contenuti nel capitolato disciplinare comune e prevenire le violazioni, aggiuntive rispetto ai mezzi coercitivi già offerti dall'apparato legislativamente esistente, è una scelta che non può effettuarsi in via generale ed astratta, ma necessariamente caso per caso, considerando le peculiarità delle singole situazioni concrete. Violazione del regolamentoLa sanzione de qua (se contemplata) deve essere, però, necessariamente prevista in un regolamento condominiale: tale regolamento potrà essere anche quello approvato con il quorum di cui al comma 3 dell'art. 1138 c.c. – che richiama quello del comma 2 dell'art. 1136 c.c., e cioè il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all'assemblea che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio – non essendo necessario che lo stesso sia di natura contrattuale, richiesto, invece, ove si intende incidere sulla sfera dei diritti soggettivi negozialmente acquisiti (De Tilla, 20). La possibilità di irrogare una sanzione deve sussistere solo se vi è un'esplicita previsione, a monte, nel regolamento (laddove non è, invece, più subordinata alla presenza di una specifica clausola del regolamento la possibilità di sospendere l'erogazione dei servizi comuni in caso di mora ultrasemestrale, secondo il nuovo testo dell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c.). In difetto, né l'amministratore – che non potrebbe essere autorizzato dall'assemblea, volta per volta, ad irrogarla – né l'assemblea – che non potrebbe irrogarla direttamente (in vece dell'amministratore) – potrebbero avere tale titolarità (Pret. Verona 12 febbraio 1990); è intuitivo, infatti, che la previsione nel regolamento della possibilità di irrogare la sanzione debba essere «preventiva» rispetto alla commissione dell'infrazione da parte del trasgressore, non potendo la stessa essere irrogata ex post. Deve trattarsi di un'infrazione al regolamento di condominio: giustamente la Riforma del 2013 non ha tipizzato i comportamenti sanzionabili, purché essi si riconnettano ad una violazione del suddetto regolamento, che potrà riguardare l'uso delle cose comuni, la tutela del decoro, l'utilizzo dei servizi condominiali, ecc.; non è apparso, quindi, opportuno delimitare in modo preciso il campo delle disposizioni regolamentari presidiabili con le sanzioni private, non essendo giusto che alcune piuttosto di altre siano meritevoli di tutela con misure sanzionatorie, particolarmente penetranti, facilmente applicabili e raramente eludibili. Profilo qualitativoSotto il profilo qualitativo, si è mantenuta la disposizione secondo cui le sanzioni apprestabili sono, dal punto di vista contenutistico, esclusivamente di tipo pecuniario, coerentemente d'altronde con la natura civilistica di tali sanzioni, aventi un carattere latamente risarcitorio, escludendo, ad esempio, misure alternative quali il ripristino dello stato dei luoghi, anche fornendo idonea cauzione per garantire l'osservanza futura di precetti e sanzioni già irrogate; in altri termini, alla luce dell'art. 70 disp. att. c.c., il regolamento condominiale non può prevedere sanzioni diverse, o diversamente afflittive, poiché ciò sarebbe in contrasto con i principi generali dell'ordinamento, che non conferiscono al privato, se non eccezionalmente, il diritto di autotutela (Scripelliti, 1580). Al riguardo, la magistratura di vertice (Cass. II, n. 820/2014) ha considerato illegittima la sanzione della rimozione delle autovetture (c.d. ganasce) irregolarmente parcheggiate dai condomini nell'area comune, in quanto considerata come una forma di autotutela privata non consentita dal nostro ordinamento. Resta inteso, però, che l'aver confermato la devoluzione della sanzione al fondo di cui l'amministratore dispone per le «spese ordinarie» dovrebbe significare che, di tale fondo, non possa beneficiare, sia pure pro quota, anche il condomino trasgressore, pena altrimenti l'inutilità della pena afflittiva; de iure condendo, sarebbe stato meglio non prevedere uno specifico vincolo di destinazione alle suddette somme, autorizzando implicitamente l'amministratore a deciderne l'impiego per ogni spesa comunque necessaria per le cose comuni o per l'esercizio dei servizi condominiali, preferendo destinare tali somme alle medesime voci di spesa protette dalle disposizioni regolamentari violate o nel cui àmbito ricadono i beni o gli oggetti lesi dalle infrazioni commesse. Profilo quantitativoIn ordine alla misura della nuova sanzione, la somma indicata non dovrebbe essere un limite massimo invalicabile, nel senso che le parti possono accordarsi in modo diverso, regolando liberamente i loro interessi, disciplinando i loro atti in vista dell'esigenza comune della comunità condominiale (al pacifico ed ordinato godimento del bene comune) ed adeguando congruamente l'importo alla gravità dell'infrazione al codice disciplinare approvato (considerando la variabilità e mutevolezza delle fattispecie concrete). D'altronde, che sia una norma derogabile lo si ricava dal combinato disposto dell'art. 70 disp. att. c.c. con il successivo (ed invariato) art. 72, che contempla espressamente quali sono le norme di attuazione inderogabili – e precisamente, gli artt. 63, 66, 67 e 69 – tralasciando di richiamare quella relativa all'entità della sanzione pecuniaria per l'infrazione del regolamento. Qualora, poi, si intendesse la sanzione come «penale», se appare manifestatamene eccessiva, potrebbe eventualmente essere ridotta dal giudice in via equitativa, avuto riguardo all'interesse che il condominio ha all'adempimento oppure qualora l'obbligo previsto dal regolamento sia stato in parte eseguito, argomentando ex art. 1384 c.c. (Nucera, 446). La suddetta derogabilità in ordine al limite massimo quantitativo consentirebbe, poi, di evitare una più o meno rapida obsolescenza del dettato normativo (ad esempio, considerando la svalutazione) con l'esigenza di ulteriori interventi legislativi sul punto, e non renderebbe nemmeno necessario introdurre al contempo un meccanismo di adeguamento progressivo della somma al corrente costo della vita. Tuttavia, gli ermellini sono stati di diverso avviso (Cass. II, n. 10329/2008, e Cass. II, n. 948/1995), con l'avallo successivo dei giudici della Consulta (Corte cost. n. 388/1997), che hanno, peraltro, denunciato l'inadempimento del legislatore nel non rivalutarne l'importo (sull'analoga questione relativa all'invariata misura delle sanzioni disciplinari previste a carico dei notai, v. Corte cost. n. 44/1995; nella giurisprudenza di merito, si segnala Pret. Salerno 31 maggio 1998, che aderisce alla tesi accolta dai giudici di legittimità). La dottrina si è espressa nel senso della superabilità del predetto limite (Girino, 399), ma non sono mancate voci contrarie (Moscati, 521), le quali, su di un piano generale, ricordano che le norme prevedenti le c.d. pene private costituiscono un'anomalia della reazione rispetto allo schema tipico del risarcimento del danno e, pertanto, sono di stretta interpretazione. Essendo la sanzione irrogabile «fino a euro 200», è ragionevole ritenere che, non essendo prefissato un «minimo», sia sempre possibile infliggere multe di importo inferiore; comunque, gli eventuali «vecchi» regolamenti che contemplino la sanzione «di cento lire» si presumono aggiornati automaticamente ai nuovi importi, senza bisogno di un intervento modificatore ad hoc da parte dell'assemblea. RecidivaDiscusso è, poi, il concetto di «recidiva», ossia se debba intendersi nel senso di «generica», ossia riferita a qualsiasi altra infrazione del regolamento, o «specifica», ossia correlata alla stessa violazione in precedenza messa in atto dal trasgressore. Ad esempio, nella prima ipotesi, l'aumento della sanzione si potrebbe applicare qualora il condomino, violatore del precetto una prima volta per aver parcheggiato l'autovettura nella rampa del garage, non abbia osservato il regolamento occupando il pianerottolo con una scarpiera, mentre, nella seconda ipotesi, opererebbe soltanto qualora lo stesso condomino perseveri a parcheggiare. Nella prospettiva di rafforzare la forza dissuasiva della sanzione, il legislatore non ha specificato tale concetto, sicché è preferibile che lo stesso regolamento puntualizzi se la maggiorazione dell'importo possa applicarsi qualora si verifichi una successiva violazione di «altra» prescrizione regolamentare, oppure nell'ipotesi di ulteriore violazione della «stessa» prescrizione (ulteriore problema è, salvo individuare sempre una responsabilità oggettiva del proprietario dell'unità immobiliare, verificare se le violazioni riguardino le persone che hanno individualmente trasgredito). Possibili destinatariNon adoperando la Riforma del 2013 alcun riferimento al «condomino» in qualità di trasgressore, si potrebbe sostenere che la sanzione pecuniaria possa essere irrogata anche al conduttore o al comodatario dell'appartamento, o al titolare del diritto di usufrutto, uso, abitazione, in quanto costoro, quali effettivi utilizzatori delle parti di uso comune dell'edificio, in misura ed in proporzioni analoghe a quelle del proprietario, si trovano in una posizione di ingerenza nell'organizzazione condominiale – di cui ne subiscono perciò la disciplina – e ad essere titolari di poteri corrispondenti di fatto all'esercizio degli omonimi diritti. Al riguardo, la giurisprudenza sembra pacifica nel senso che, con il contratto di locazione, si trasferisce al conduttore il diritto di utilizzare le parti comuni negli stessi limiti spettanti al suo locatore, tanto che qualora l'inquilino di un'unità immobiliare di proprietà esclusiva violi le limitazioni poste dal regolamento condominiale – ad esempio, riguardo alla destinazione dell'appartamento – si ritiene comunemente che l'azione del condominio, diretta a fare accertare l'illiceità di tale comportamento ed a farlo cessare, possa essere proposta anche direttamente nei confronti del conduttore medesimo (sull'efficacia vincolante del regolamento nei confronti dell'inquilino, sia direttamente, sia mediante obbligo pattizio, v., rispettivamente, Cass. II, n. 10185/2012, e Cass. II, n. 8239/1997). In questa prospettiva, l'amministratore potrebbe irrogare le sanzioni anche ai familiari, dipendenti, conviventi e conduttori del condomino, senza però addebitare a quest'ultimo i relativi importi, con un'applicazione della tecnica simile a quella della responsabilità oggettiva (Trib. Milano 13 marzo 1986). In senso contrario, si era espresso il Supremo Collegio (Cass. II, n. 10837/1995), ad avviso del quale la sanzione prevista dall'art. 70 disp. att. c.c., attesa la sua natura eccezionale di c.d. pena privata avente come destinatari i condomini, non è applicabile nei confronti dei conduttori delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, i quali, benché si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio, rimangono, però, «estranei all'organizzazione condominiale»; affermazione, quest'ultima, che forse deve attualmente fare i conti con il sempre maggiore coinvolgimento dell'inquilino all'interno della vita condominiale, consacrato dalla Riforma sotto vari profili, che vanno dalla convocazione all'assemblea degli «aventi diritto» (art. 1136, comma 6, c.c.), all'eventuale annullabilità della deliberazione in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli «aventi diritto» (art. 66, comma 3, disp. att. c.c.), alla possibilità dei «titolari di diritti di godimento» di prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo (art. 1130-bis, comma 1, c.c.), e, infine, all'obbligo dell'amministratore di curare e tenere aggiornata la «anagrafe condominiale» contenente anche i nominativi dei conduttori (art. 1130, n. 6, c.c.). Iter sanzionatorioL'organo deputato all'accertamento dell'infrazione dovrà essere l'amministratore, escludendo, quindi, sia l'assemblea sia terzi vigilatori (come, ad esempio, guardie private); del resto, l'amministratore è competente a curare l'osservanza del regolamento ed a disciplinare l'uso delle cose comuni (art. 1130 c.c., rispettivamente, nn. 1 e 2), e non avrà bisogno di alcuna autorizzazione assembleare, in quanto tale attribuzione rientra nelle funzioni istituzionali proprie di tale organo, anche se non dotato, di norma, di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei singoli (in precedenza, v. Cass. II, n. 8804/1993). All'amministratore spetterà, poi, contestare l'infrazione al trasgressore; dovrà pur sempre trattarsi di una condotta imputabile (per dolo o per colpa) allo stesso trasgressore; dovrà essere esattamente specificata quale inadempienza è stata accertata, non essendo sufficiente – anche ai fini dell'impugnativa di cui appresso – indicare ed imporre divieti o obblighi generici, magari con «norme di chiusura», riferendosi ad essi, negli stessi termini, quando dovrà applicarsi la relativa sanzione (Celeste, 27). Incerto era, invece, il soggetto legittimato ad irrogare, in concreto, la sanzione correlata all'infrazione del regolamento. Tale incertezza, però, è stata, di recente, risolta dall'art. 1, comma 9, lett. e), del d.l. n. 145 del 2013 – convertito, senza modificazioni sul punto, dalla l. n. 9 del 2014 – il quale stabilisce che «l'irrogazione della sanzione è deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del codice» civile – ossia, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell'edificio – che, peraltro, costituiscono gli stessi quorum necessari per approvare il regolamento, o per integrarne il relativo testo (art. 1138, comma 3, c.c.). Tale aggiunta si rivela in aperta controtendenza con quanto statuito in precedenza dalla magistratura di vertice (Cass. II, n. 14735/2006), secondo la quale, al fine di attivarsi per far cessare gli abusi, l'amministratore non necessitava di alcuna previa deliberazione, posto che egli era tenuto ex lege a curare l'osservanza del regolamento per tutelare l'interesse generale al decoro, alla tranquillità e all'abitabilità dell'edificio, rimanendo, altresì, nelle sue facoltà, ex art. 70 disp. att. c.c., anche quella di irrogare sanzioni pecuniarie ai responsabili di siffatte violazioni, purché lo stesso prevedesse tale possibilità. Eventuali rimediPertanto, attualmente, l'amministratore, esautorato dal potere di irrogare la sanzione, è obbligato a convocare l'assemblea per deliberare sul punto, e ciò non solo quando, in forza dell'art. 66, comma 1, disp. att. c.c. «lo ritiene necessario», ma anche qualora sia sollecitato in tal senso da parte di un solo condomino, non richiedendosi l'iniziativa di almeno due condomini che rappresentino almeno un sesto del valore dell'edificio (l'eventuale inosservanza di tale incombente esporrebbe lo stesso amministratore alla revoca giudiziaria ai sensi dell'art. 1129, comma 13, n. 1, c.c., non avendo provveduto a «convocare l'assemblea ... negli altri casi stabiliti dalla legge»). Quindi, soltanto dopo l'autorizzazione da parte dell'assemblea, con il quorum qualificato di cui sopra, l'amministratore, sempre competente per l'applicazione della sanzione pecuniaria, potrà dare pratica attuazione alla stessa: ciò avverrà mediante il ricarico della somma sulla c.d. bolletta condominiale, che, segnalando il riparto della quota periodica delle spese «personali» a carico di ciascuno, funge anche da titolo attestante l'indicazione della misura sanzionatoria inflitta. In difetto di pagamento, si può chiedere al giudice un decreto ingiuntivo, però, non immediatamente esecutivo, difettando sul punto la previsione dell'art. 63, comma 1, disp. att. c.c., che conferisce questa situazione privilegiata soltanto alla «riscossione di contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea». Avverso tale decreto, potrà proporsi l'opposizione ordinaria ai sensi dell'art. 645 c.p.c., di regola davanti al Giudice di Pace – che attualmente può conoscere le cause relative a beni mobili di valore non superiore a 5.000 euro – ma non potrebbe sindacarsi la legittimità della deliberazione che ha autorizzato l'amministratore ad irrogare la sanzione (secondo l'insegnamento di Cass. S.U., n. 4421/2007). Alla relativa delibera non dovrebbe concorrere (per evidente conflitto di interessi) il voto dell'interessato, ossia il soggetto trasgressore, che però deve essere ugualmente convocato alla relativa riunione, potendo intervenire per far valere la sua posizione. In questa nuova prospettiva, non potrà più operare il disposto dell'art. 1133 c.c., che prevedeva che, contro il provvedimento dell'amministratore (nella specie, che irrogava la sanzione), era sempre ammesso il ricorso all'assemblea (Tortorici, 13). È salva, in ogni caso, la facoltà di adire l'autorità giudiziaria ex art. 1137, comma 2, c.c.; in argomento, si è affermato (Cass. II, n. 132/1976) che la deliberazione con la quale l'assemblea, alla stregua del regolamento condominiale, accerti eccessi ed abnormità nell'uso dei beni comuni da parte del singolo – nella specie, per deposito di materiali nel cortile o nell'androne – ed applichi nei confronti di quest'ultimo la sanzione pecuniaria prevista, non comporta lesione dei diritti del condomino medesimo sulle cose e servizi comuni, ma attiene esclusivamente alla disciplina dell'uso di quelle cose e servizi, e, quindi, non è affetta da nullità, deducibile in ogni momento con azione di accertamento, ma è solo impugnabile ai sensi e nei termini perentori di cui all'art. 1137 c.c. L'atto applicativo sarebbe, quindi, annullabile ed assoggettato al termine di impugnazione contemplato per le deliberazioni assembleari; ad esempio, il condomino potrebbe opporre che la sanzione gli sia stata ingiustamente applicata per non avere commesso l'infrazione che gli viene addebitata, ma difficilmente il giudice potrebbe sindacare nel merito il quantum della sanzione irrogata, purché nei limiti minimo e massimo consentiti (Trib. Napoli 5 gennaio 2001, ad avviso del quale spetta al giudice investito dell'impugnativa di una deliberazione verificare l'eccesso di potere dell'assemblea, che abbia deciso su una materia relativa all'uso di un'area comune, con limitazioni a carico di condomini non previste da alcun regolamento contrattuale e con sanzioni eccedenti il limite massimo previsto nell'art. 70 disp. att. c.c.). Tuttavia, segnatamente in tale materia, si dovrebbe comunque evitare un eccessivo ed illimitato ricorso al giudice, essendo auspicabile la previsione dell'impiego di procedure conciliative alternative per decidere sulla legittimità ed adeguatezza della sanzione irrogata (la «resuscitata» mediazione obbligatoria dovrebbe impedire, se ben condotta, qualsiasi «sfogo» giudiziario, alla luce peraltro dei sottesi interessi in gioco). BibliografiaCapponi-Chiocca, La sanzione pecuniaria per l'infrazione al regolamento di condominio (orientamenti di dottrina e di giurisprudenza), in Arch. loc. 1992, 731; Celeste, L'amministratore può irrogare sanzioni se il condomino viola il regolamento, in Immobili & diritto 2007, fasc. 8, 27; De Tilla, In caso di violazione del regolamento sanzioni pecuniarie per i condomini, in Immobili E diritto 2007, fasc. 1, 20; Girino, Il condominio negli edifici, in Tr. Res., Torino, 1982; Moscati, Pena privata ed autonomia privata, in Riv. dir. civ. 1975, I, 521; Nucera, Infrazioni al regolamento e relativa sanzione, in Arch. loc. 2013, 446; Nunziata, Il problema sanzionatorio nel condominio: qualche breve osservazione de iure condendo sull'art. 70 disp. att. c.c., in Arch. loc. 1994, 727; Salciarini, La multa ex art. 70 disp. att. c.c. e la riforma del condominio: cronaca di una resurrezione, in Dossier condominio 2014, fasc. 140, 11; Scripelliti, Beni comuni e limiti alla autotutela da parte dell'amministratore, in Giur. it. 2014, 1580; Tortorici, Sanzioni per violazioni al regolamento, in Amministrare immobili 2014, fasc. 180, 15. |