Disp. Att. Trans. Codice Civile - 30/03/1942 - n. 318 art. 71 bis[I]. Possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio coloro: a) che hanno il godimento dei diritti civili; b) che non sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni; c) che non sono stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione; d) che non sono interdetti o inabilitati; e) il cui nome non risulta annotato nell'elenco dei protesti cambiari; f) che hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado; g) che hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale. [II]. I requisiti di cui alle lettere f) e g) del primo comma non sono necessari qualora l'amministratore sia nominato tra i condomini dello stabile. [III]. Possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio anche società di cui al titolo V del libro V del codice. In tal caso, i requisiti devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condominii a favore dei quali la società presta i servizi. [IV]. La perdita dei requisiti di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del primo comma comporta la cessazione dall'incarico. In tale evenienza ciascun condomino può convocare senza formalità l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore. [V]. A quanti hanno svolto attività di amministrazione di condominio per almeno un anno, nell'arco dei tre anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, è consentito lo svolgimento dell'attività di amministratore anche in mancanza dei requisiti di cui alle lettere f) e g) del primo comma. Resta salvo l'obbligo di formazione periodica (1) 12.
[1] Articolo inserito dall'art. 25, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. [2] V. d.m. 13 agosto 2014, n. 140, Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalita' per la formazione degli amministratori di condominio nonchè dei corsi di formazione per gli amministratori condominiali. InquadramentoNel quadro legislativo delineato dalla l. n. 220 del 2012 non poteva mancare una norma specifica per l'amministratore di condominio, la cui figura, profondamente mutata rispetto al passato, per le sue nuove peculiarità, è stata confermata come elemento essenziale per una corretta e consapevole gestione dell'ente condominiale. L'art. 71-bis disp. att. c.c. si qualifica come norma cardine per assicurare che l'amministrazione del condominio non sia affidata – come nel passato – a soggetti dotati di generiche ed indefinite capacità professionali, essendo oggi obbligatorio che nel rappresentante dell'ente condominiale coesistano tutti i presupposti e le qualità che hanno trasformato il vecchio amministratore in un soggetto più competente (anche se tale professionalità non è ancora riconosciuta dalla formazione di albo di categoria), più responsabile e costantemente aggiornato anche sull'evoluzione della normativa in materia. E questo sotto tutti i profili: fiscale, amministrativo, lavorativo, della sicurezza e così via. Profili generali della normaL'art. 71-bis disp. att. c.c., introdotto dal legislatore della riforma, assume un carattere particolarmente rilevante in quanto contribuisce ad innovare decisamente la figura dell'amministratore sotto il profilo dei requisiti necessari per lo svolgimento dell'attività di gestore dell'ente. Si tratta di condizioni che unanimemente sono considerate presentare caratteri di ordine pubblico e tali da rendere imperativa ed inderogabile la norma, determinando il carattere professionale del rapporto di mandato tra amministratore e condomini ed il conseguente inquadramento di tale figura tra le professioni non regolamentate disciplinate dalla l. n. 4/2018 (Magra, 2018). La norma ha carattere generale in quanto non è destinata ad una categoria specifica di persone e non ammette eccezioni. Anche l'avvocato, quindi, per esercitare l'attività di amministratore deve avere i requisiti richiesti dall'art. 71-bis, essendo irrilevante il fatto che il professionista sia soggetto all'obbligo di aggiornamento connesso all'esercizio della propria attività di legale. Allo stesso modo per l'avvocato/amministratore il possesso dei requisiti di legge è sottoposto alla verifica dell'assemblea (GALLUCCI, 2019). Poiché la violazione dell'art. 71-bis , disp.att.c.c., non potrebbe che determinare la nullità della delibera di nomina dell'amministratore, estranea all'applicabilità dell'art. 1137, comma 2, c.c., ne consegue che non può essere accolta dal giudice la domanda di esibizione , da parte dell'amministratore, della documentazione e delle informazioni che riguardano la regolare nomina del medesimo, dal momento che detta documentazione è rilevante solo ai fini della richiesta di revoca e/o di impugnazione della delibera di nomina ( App. Napoli 12 gennaio 2023, n. 97 ). La circostanza che l'art. 71- bis disp. att. c.c. regoli espressamente, al quarto comma, la fattispecie della “ perdita dei requisiti ” (di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del primo comma), indicandola come causa di “cessazione dall'incarico” (della quale l'assemblea, convocata “senza formalità”, si limita a prendere atto), non significa affatto che identica soluzione debba prescegliersi per l'ipotesi del difetto originario dei requisiti stessi . Sarebbe, anzi, manifestamente irragionevole una disposizione che parificasse nel trattamento normativo la perdita sopravvenuta dei requisiti di professionalità ed onorabilità necessari per lo svolgimento di un incarico, la quale logicamente riveste un effetto ex nunc , alla ipotesi dell'accertamento dell'insussistenza ab initio dei requisiti legittimanti, vicenda che non può che produrre i suoi effetti ex tunc . Neppure assume rilievo l'argomento che l'art. 71- bis disp. att. c.c. non prevede espressamente la nullità della delibera di nomina di un soggetto sprovvisto dei requisiti in esame. L'art. 1418, comma 1, c.c., applicabile anche in materia, prevede la nullità dell'atto di autonomia privata “contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente” (cd. nullità per illegalità): l'essere l' art. 71- bis disp. att. c.c. una norma proibitiva “imperfetta” , che, cioè, non abbina al divieto di svolgimento dell'incarico di amministratore di condominio senza i requisiti una esplicita sanzione civilistica, non vale a smentire la nullità della delibera di nomina (Cass. .II, n. 28196/2024; Cass. II, n. 28195/2024 ). L'attenzione del legislatore si è in primo luogo focalizzata, ai fini della validità della nomina – come meglio si dirà a seguire – sui presupposti che devono accompagnare l'amministratore e che si sostanziano in requisiti minimi , cosiddetti etici o di onorabilità (quali condizioni attinenti al godimento dei diritti civili, all'assenza di condanne penali, all'interdizione, all'inabilitazione ed all'assenza di protesti), la cui mancanza (anche di uno solo di essi) comporta automaticamente la nullità della delibera di nomina, ed in requisiti cosiddetti professionali , riguardanti il profilo culturale (ovvero l'aver acquisito un diploma di scuola superiore di secondo grado) e, più specificamente, professionale (risolto con l'introduzione dei corsi di formazione iniziale e di aggiornamento periodico). Questi due ultimi requisiti, tuttavia, non sono necessari nel caso in cui il prescelto sia anche condomino, ovvero abbia svolto attività di amministratore di condominio per almeno un anno nell'arco del triennio anteriore all'entrata in vigore della legge di riforma n. 220/2012. In dette ipotesi, comunque, resta fermo l'obbligo di frequentazione dei corsi di formazione periodica. La norma, poi, al comma 4 prevede espressamente che la perdita dei requisiti (con l'eccezione della frequenza ai corsi formativi) comporta l'immediata cessazione dalla carica e, in tal caso, ogni condomino può convocare «senza formalità» l'assemblea per la nomina di un nuovo amministratore. Si ritiene che l'amministratore nominato dall'assemblea, ma privo dei requisiti di legge, sia parificato ad un falsus procurator, con la conseguenza che gli atti da lui compiuti, pur nulli, possono sempre essere ratificati dall'assemblea «dovendosi intendere il contratto concluso dall'amministratore privo dei requisiti come un contratto in formazione fino al momento della ratifica» (Redivo, 3). Considerata la ratio dell'art. 71 bis disp.att.c.c., preordinato ad assicurare ai condomini edilizi amministratori meritevoli di fiducia e provvisti di capacità ed esperienza, solo la sanzione della nullità può ritenersi idonea ad assicurare l'effettività della prescrizione legale. Il corso svolto per l'attività di dottore commercialista non è equiparabile ai corsi specifici di formazione e aggiornamento per l'attività di amministratore condominiale previsti dal DM 140/2014. In tal caso detta mancata frequentazione rende nulla tanto la nomina dell'amministratore, quanto la relativa delibera assembleare, poiché priva dei requisiti di cui all'art. 71 bis disp.att.c.c. La nullità originaria, inoltre, non è sanabile con il successivo sopraggiungere, nel corso del rapporto, della condizione originariamente mancante, dovendo questa precedere la nomina e l'esercizio dell'attività (Trib. Trapani 7 aprile 2021). Collegata ai requisiti è, inoltre, l'ipotesi di incompatibilità. In particolare, è pacifico che l'amministratore deve avere raggiunto la maggiore età e non essere né interdetto, né inabilitato. L'amministratore è mandatario del condominio e, come tale, deve svolgere la sua attività con competenza ed indipendenza di giudizio (tecnica ed intellettuale). Lo stesso legislatore, peraltro, valorizzando il momento pubblicistico della funzione e conferendo rilievo a fatti e comportamenti idonei ad indurre il ragionevole sospetto che l'esecuzione del mandato non corrisponde alle esigenze di un'amministrazione improntata a correttezza, serietà e competenza, ha ulteriormente rafforzato la professionalità dell'attività dallo stesso svolta (Lazzaro 2017, 316). Ampiamente giustificati, quindi, i limiti imposti alla nomina dell'amministratore, anche in considerazione delle conseguenze che ne possono derivare. In questo senso è da escludere che possa rivestire la carica colui che sia in rapporto di dipendenza con il condominio o in lite con lo stesso perché, in tal caso, sussisterebbe un chiaro conflitto di interessi tra mandante e mandatario (Cassano, 158). Da ultimo va rilevato che l'art. 71-bis citato, nell'indicare quali siano i requisiti di cui debba essere dotato l'amministratore per svolgere il mandato affidatogli dall'assemblea, non ha precisato se vi sia un obbligo a suo carico di darne comunicazione ai condomini. La giurisprudenza ha parlato di presunzione di esistenza dei requisiti di professionalità, che sussiste fintanto che un condomino non abbia chiesto all'amministratore di darne prova. Ciò in quanto alcuna disposizione impone all'amministratore di dimostrare il possesso dei requisiti in assemblea, all'atto della nomina o con la missiva di accettazione, fermo restando che la consapevolezza di tacere la mancanza dei requisiti espone lo stesso ad eventuali responsabilità professionali (Trib. Roma 9 marzo 2018). Clausola regolamentare in violazione della normativaLa nomina di un amministratore privo dei requisiti di cui al citato art. 71-bis non può essere consentita da una clausola del regolamento condominiale, poiché le norme riguardanti l'amministrazione dell'ente hanno un carattere assoluto e, come tali, sono inderogabili ai sensi dell'art. 1138 c.c. (Celeste-Scarpa, 174). In senso ancora più rigoroso si è parlato, tout court, di inesistenza della nomina in assenza anche di un solo requisito (Nasini, 678). È stato, comunque, riconosciuto che il regolamento può prevedere cause di incompatibilità ulteriori, in mancanza delle quali, il dissenziente è legittimato ad impugnare la relativa delibera (Triola, 391; Celeste-Scarpa, 174). Ribadito che il soggetto, nominato in base ad una clausola regolamentare che violi palesemente il dettato legislativo per mancanza dei requisiti minimi, non può considerarsi mandatario del condominio (data la nullità della stessa), non può che derivare dalla medesima nomina assembleare l'assenza di qualsivoglia diritto del soggetto a percepire un compenso per l'attività da questi svolta per il condominio, salva, in ogni caso, la possibilità per lui di agire nei confronti dell'ante mandante, per indebito arricchimento. In tempi recenti la Suprema Corte (pur se chiamata a decidere su fattispecie anteriore all'entrata in vigore della l. n. 220/2012 ed avente ad oggetto il divieto, per regolamento condominiale, del conferimento dell'incarico di amministratore ad una società di persone) ha affermato che deve ritenersi che, in tema di condominio negli edifici, l'art. 1138, comma 4, c.c., pur dichiarando espressamente non derogabile dal regolamento (tra le altre) la disposizione dell'art. 1129 c.c., che attribuisce all'assemblea la nomina dell'amministratore e stabilisce la durata dell'incarico, non preclude però che il regolamento condominiale possa stabilire che la scelta dell'assemblea debba cadere su determinati soggetti – persone fisiche o persone giuridiche – che presentino determinate caratteristiche, requisiti o titoli professionali (Cass. II, n. 24432/2016). Occorre ricordare, comunque, che per effetto dell'art. 71-bis, comma 3, disp. att. c.c. l'incarico di amministratore può essere svolto anche da società e che i requisiti in questione devono essere posseduti non solo dall'amministratore della stessa, ma anche dai soci illimitatamente responsabili e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi (sul punto si rinvia al commento dell'art. 1129 c.c). Tale principio può essere esteso anche alle società cooperative, sul presupposto che il fine mutualistico è pienamente compatibile con la prestazione di servizi a terzi, concretandosi nella creazione di occasioni di lavoro per i soci (Trib. Bologna 15 marzo 2018). Una volta affidato l'incarico ad una società in nome collettivo, al momento della nomina non è indispensabile indicare quale tra i soci illimitatamente responsabili o tra gli amministratori svolga l'incarico conferito dall'assemblea, poiché la legge non richiede di specificare chi dei soci, di fatto, svolgerà le relative mansioni (Trib. Novara 25 gennaio 2022, n. 34 ). Quanto all'amministrazione condominiale affidata ad una società unipersonale né è stata messa in rilievo la caratteristica fondamentale: ovvero l'essere un soggetto giuridico del tutto autonomo e distinto dalla persona fisica identificabile nell'unico socio, rispetto al quale rappresenta un centro autonomo di interessi ed è titolare di un patrimonio separato . Tale distinzione fiscale e pubblicistica tra i due soggetti comporta che il socio, in persona, non può far valere in giudizio i diritti propri della società . Da ciò consegue, pertanto, che la persona fisica, in proprio, è carente di legittimazione attiva nell'azione con la quale intenda recuperare dal condominio dei crediti spettanti alla società unipersonale della quale egli stesso è socio ( Trib. Roma 10 dicembre 2024, n. 18824 ). I requisiti minimiPer requisiti minimi debbono intendersi quelle qualità di onorabilità (ovvero etici) inerenti alle capacità giuridiche dell'amministratore, indicati nelle lett. a), b), c), d) ed e) dell'art. 71-bis disp. att. c.c. La loro assenza produce la nullità assoluta della delibera di nomina, mentre conseguenza analoga si verifica nell'ipotesi di sopravvenuto venir meno anche di uno soltanto di detti requisiti. Essi attengono sostanzialmente alla capacità di agire del soggetto da incaricare della funzione di amministratore e riguardano la necessità di pieno godimento dei diritti civili; l'inesistenza di possibili condanne penali e la sottoposizione del soggetto a misure di prevenzione definitiva; l'inesistenza della condizione di interdetto o di inabilitato in capo al soggetto da nominare e l'esclusione dalla nomina di soggetti protestati. Per contro, i requisiti concernenti il grado di istruzione (lett. f dell'art. 71-bis) e la partecipazione ai corsi di formazione e di aggiornamento (lett. g della norma) consentono, come si dirà, la possibilità di esonero e, comunque, conseguenze meno gravose e rigorose per il prescelto. In argomento, è stato evidenziato l'intento del legislatore di indirizzare anche il settore degli amministratori condominiali verso una maggiore «professionalizzazione», soprattutto visto che questa attività non può più ritenersi confinata nel solo ambito dei rapporti interni con i condomini, avendo sempre più spesso riflessi verso i terzi, non ultima l'amministrazione finanziaria (Del Torre, 605). L'art. 71-bis citato ha sostanzialmente lo scopo di creare una figura che, seppure non rientrante in un albo o collegio professionale, quantomeno non sia totalmente dilettantistica (Giuggioli-Giorgetti, 275). Peraltro, tale assetto normativo ha non solo finalità di garanzia del condominio e dei condomini, ma anche di ordine pubblico e di tutela del vivere sociale (Celeste — Scarpa, 13). Godimento dei diritti civiliIl primo dei requisiti minimi, disciplinato dalla lett. a) dell'art. 71-bis, attiene al pieno godimento dei diritti civili in capo al nominato ed è strettamente collegato a quanto disposto nelle successive lett. b) e c), riguardanti l'esclusione imperativa dalla possibilità di incarico per un soggetto che abbia riportato condanne per determinati reati, ovvero che sia stato sottoposto a misure di prevenzione ormai divenute definitive. Va precisato, in relazione al soggetto fallito, che questi, alla luce dell'art. 42 l. fall., non può assumere l'incarico di amministratore, non godendo dei diritti civili. La norma, infatti, prevede, in capo al fallito, la perdita della capacità di amministrare beni a seguito dello spossessamento, mentre il successivo art. 48 sancisce l'obbligo di consegna al curatore del fallimento di tutta la corrispondenza già consegnata al fallito. In ogni caso, il mandato conferito al fallito si risolve de iure, senza neppure la possibilità di trasferimento del contratto di mandato al curatore (Del Torre, 605). È stato, altresì, conferito rilievo all'art. 2382 c.c., che tra le cause di ineleggibilità e di decadenza per gli amministratori delle società per azioni prevede, oltre l'interdizione e l'inabilitazione, anche il fallimento, con conseguente applicabilità della norma, in via analogica, alla materia condominiale (De Renzis, 453). Peraltro, in considerazione del fatto che il rapporto amministratore/condominio è stato oramai definitivamente inquadrato nell'ambito del mandato, la conferma a quanto sostenuto in dottrina si trova anche in risalente giurisprudenza (senza che risultino ulteriori decisioni sul punto) secondo cui l'art. 1728, comma 2, c.c., concernente l'estinzione del mandato per sopravvenuta incapacità del mandatario, trova applicazione, per analogia, anche al caso di estinzione del mandato per l'instaurarsi di fallimento od altra analoga procedura concorsuale a carico del mandatario, con l'operatività degli obblighi di informativa contenuti nella medesima norma (Cass. II, n. 5527/1981). Condanne per delitti e misure di prevenzioneLa lett. b) della norma in esame esclude che soggetti, che siano stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni, possano essere nominati amministratori di condominio. La norma è stata criticata per vari aspetti. In primo luogo, per la mancanza di precisazione in ordine alla definitività della condanna, per cui si dovrebbe dedurre che anche una condanna in primo grado sarebbe sufficiente per integrare l'assenza del requisito in oggetto. È stato, altresì, rilevato che il dettato legislativo potrebbe presentare anche profili di incostituzionalità, non solo per il riferimento generico al codice penale, ma anche ed ancora di più per avere richiamato, del tutto genericamente, «la legge» senza ulteriori precisazioni, rendendo così il contesto ancora più vasto di quello già ampio della norma (Nasini, 679). Per altro verso è stato osservato, con una posizione logicamente condivisibile, che l'amministratore deve risultare comunque incensurato (ovvero, quanto meno, attraverso un'eventuale sentenza assolutoria passata in giudicato), dovendo preferirsi, nella logica dell'ordinamento vigente, una interpretazione non del tutto rigorosa a quella strettamente letterale che emerge dalla lettura della norma, ove non si parla di passaggio in giudicato, come avviene per le misure di prevenzione (Del Torre, 605). In senso contrario si è affermato che tale preclusione è collegata agli effetti di una sentenza penale irrevocabile di condanna con efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso. È stato, infatti, ritenuto che l'ineleggibilità o la decadenza dell'amministratore opera con riferimento anche a reati commessi prima dell'entrata in vigore della l. n. 220/2012, senza che si possa ravvisare un contrasto con il principio di irretroattività della norma penale. Nel caso specifico, la ratio dell'art. 71-bis – come già evidenziato in dottrina – sarebbe quello di impedire o di allontanare dallo svolgimento del mandato l'amministratore privo di quei requisiti che garantiscano una rettitudine morale e sociale per l'esercizio dell'attività (Scarpa, 15). In giurisprudenza, si è, tuttavia, parlato di condanna definitiva per omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali, reati costituenti un'ipotesi speciale di appropriazione indebita, che rappresenta una causa ostativa allo svolgimento dell'incarico di amministratore condominiale (Trib. Sciacca 16 giugno 2014). Un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 71-bis, comma 1 lett. b) disp. att.c.c. impone di ritenere che laddove il legislatore ha utilizzato il termine “condanna”, abbia voluto intendere una condanna inflitta con sentenza passata ingiudicato, poiché solo in questo modo può essere salvaguardato il principio di presunzione di non colpevolezza consacrato dall'art. 27, comma 2 Cost. (Trib. Milano 20 giugno 2018. Nella specie, il Tribunale aveva ritenuto non costituire motivo di revoca dell'amministratore la condanna non passata ingiudicato per interposizione di ricorso per cassazione, inflittagli per il reato tentato di finanziamento illecito ad esponenti politici, peraltro non qualificabile quale reato contro il patrimonio). Ed ancora è stato messo in luce il silenzio della legge in merito alla condanna a seguito di patteggiamento, che è pur sempre una condanna (anche perché equiparata ad essa ai sensi dell'art. 445, comma 1-bis c.p.p.) e che, come tale, avrebbe dovuto essere presa in considerazione dal legislatore nel momento del conferimento dell'incarico al soggetto prescelto da parte dell'assemblea (Sforza Fogliani, 214). Per quanto concerne poi le misure di prevenzione la disposizione di legge precisa che deve trattarsi di una misura definitiva, ribadendo che non si comprende perché la definitività della condanna alla reclusione non dovrebbe riguardare anche i delitti. Interdetti e inabilitatiLa lett. d) dell'art. 71-bis citato concerne sostanzialmente soggetti che soffrono di un'incapacità mentale di intendere e di volere (che nell'ipotesi dell'inabilitato può anche essere parziale), grave ed abituale, dalla quale deriva un'incapacità di provvedere ai propri interessi, cui consegue la necessità di garantire attraverso gli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, una tutela adeguata a colui che è affetto dai predetti disturbi della psiche. L'interdizione ha carattere costitutivo ed è produttiva di effetti soltanto dalla data di pubblicazione della sentenza che la dichiara. L'interdetto è parificato dal legislatore ad un minore, mentre l'efficacia del relativo provvedimento giudiziario viene a cessare, automaticamente, dal momento in cui la sentenza di revoca dell'interdizione passa in giudicato, in ragione del venire meno dei presupposti della sua pronuncia. Questo tipo di interdizione non va confusa con la c.d. interdizione legale, che discende direttamente dalla legge (art. 32 c.c.) e che riguarda il soggetto condannato alla pena dell'ergastolo o, comunque, ad una pena della reclusione non inferiore a cinque anni. Essa è limitata ai soli atti patrimoniali e riveste un carattere sanzionatorio, posto dalla legge a tutela dei terzi. Infatti, in conseguenza di tale sanzione, la disciplina impone l'annullabilità assoluta degli atti compiuti dal condannato legalmente interdetto, con il riconoscimento, in capo ad ogni soggetto che vi abbia interesse, della legittimazione attiva ad agire per la revoca dell'incarico svolto dall'amministratore il quale, pur trovandosi in detta situazione, sia stato nominato o confermato dall'assemblea alla guida del condominio. L'inabilitazione, invece, presuppone un'infermità del soggetto non sufficientemente grave da imporne l'interdizione ed anche per questo istituto la domanda giudiziale può proporsi da ogni interessato. Ad essa consegue il divieto per l'inabilitato di compiere atti di straordinaria amministrazione (ai quali è delegato il curatore nominato dal giudice), mentre lo stesso può continuare a procedere all'amministrazione ordinaria. I motivi posti a fondamento dell'azione di inabilitazione sono la prodigalità, l'uso abituale di alcoolici e/o stupefacenti, il sordomutismo, la cecità dalla nascita o dalla prima infanzia. La misura viene a cessare con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca, mentre gli atti compiuti dal soggetto inabilitato in violazione della normativa vigente in materia sono annullabili su istanza dello stesso inabilitato, dei suoi eredi o aventi causa (artt. 43 e 427 c.c.). Interdizione ed inabilitazione producono le stesse conseguenze in ordine allo svolgimento del mandato di amministratore condominiale, in quanto entrambi i casi le stesse comportano la nullità della delibera di nomina, ovvero della decadenza automatica in ipotesi di cessazione dall'incarico. È stato osservato che la legge non si è espressa sull'ipotesi in cui il rappresentante del condominio sia assistito da un amministratore di sostegno. Sul punto alcuni autori ritengono che, anche per tale fattispecie, vi debba essere un'applicazione analogica dell'art. 71-bis, lett. d), in considerazione del carattere eccezionale delle misure esaminate, talchè il soggetto si verrebbe a trovare in posizione del tutto analoga a quella dell'inabilitato (Nasini, 682). Sulla stessa linea altro autore il quale ha affermato, chiaramente ed espressamente, che il soggetto affiancato dall'amministratore di sostegno non può svolgere l'attività di amministratore di condominio. In tale ipotesi, tuttavia, la nomina di un amministratore che si trovi in tale situazione non provocherebbe l'automatica risoluzione del rapporto di mandato in essere (Terzago, 321). Soggetti protestatiL'art. 71-bis, alla lett. e), esclude che possa essere nominato amministratore di condominio un soggetto il cui nome risulta annotato nel registro dei protesti cambiari. Trattasi di norma chiara sia nella formulazione letterale che nella sua ratio, essendo evidente che il legislatore abbia inteso evitare che l'incarico di amministrare lo stabile condominiale sia affidato a persona inaffidabile per l'avventata gestione del proprio patrimonio e delle proprie attività. Va solo evidenziato il riferimento al registro informatico dei protesti (istituito con la l. n. 235/2000), che consiste in un registro pubblico aggiornato ogni mese, nel quale sono elencati i protesti risultanti nel territorio di competenza e relativi al mancato pagamento di assegni bancari e postali, cambiali e vaglia cambiari. Tale registro è consultabile on line ed è conservato nello stesso registro informatico per cinque anni dal momento della registrazione. Va considerato, comunque, che il debitore, il quale estingua il suo debito entro dodici mesi dall'iscrizione nell'elenco predetto, ha diritto alla cancellazione del proprio nome dal registro, con la conseguenza che una volta dato corso a tale formalità non vi sono più impedimenti per la nomina dell'amministratore. Il diploma di scuola secondaria di secondo gradoNell'àmbito dei c.d. requisiti professionali previsti dall'art. 71-bis disp. att. c.c. rientrano quello relativo al grado di istruzione (lett. f) e quello riguardante la partecipazione ai corsi di formazione (lett. g), che sono stati introdotti per la prima volta dal legislatore al fine di assicurare che la gestione del condominio sia affidata a soggetto preparato e competente. Quindi, nulla a che vedere con il passato, allorché la normativa in materia era del tutto carente, lasciando ampio spazio all'operatività di soggetti spesso non in grado di affrontare le complesse problematiche che interessano le compagini condominiali, rese ancora più articolate dal ricorrente sovrapporsi di normative speciali. Quanto al grado di istruzione la norma, che parla di conseguimento di diploma di scuola secondaria di secondo grado, riguarderebbe ogni titolo relativo al superamento di un corso quinquennale di studi, successivo al corso di scuola media inferiore e che apre l'accesso all'università. La giustizia amministrativa, con riferimento all'accesso ai concorsi pubblici ha dato un'interpretazione restrittiva dell'espressione «scuola secondaria superiore», che non può comprendere ogni tipo di diploma, ottenuto al termine degli studi svolti in una qualunque scuola e dopo un corso di studi medi inferiori. Infatti, solo il titolo rilasciato a compimento del positivo superamento di un corso di studi quinquennale, che si conclude con un esame di maturità e che apre l'accesso agli studi universitari o abilita all'esercizio di una professione, rientra nella nozione di scuola secondaria superiore (T.A.R. Lombardia 17 gennaio 2007, n. 54; Cons. St., 1 ottobre 1999, n. 1232; T.A.R. Lombardia 12 luglio 1993, n. 509). Per parte della dottrina, tuttavia, se si dovesse seguire tale linea interpretativa si dovrebbe dedurre che la qualifica di «segretaria d'azienda» non corrisponda a quella attribuita al soggetto che si sia diplomato presso una scuola secondaria superiore, perché il diploma viene conseguito dopo un corso di durata solo quadriennale (Del Torre, 606; Nasini, 684). In realtà giova evidenziare che la giurisprudenza citata si riferisce allo specifico caso di eventuale assunzione in un posto pubblico, mentre la norma che ci riguarda concerne un incarico privato, rientrante nell'ambito del mandato. Peraltro, impedire ad una segretaria d'azienda, anche esperta in contabilità, di diventare amministratore di condominio potrebbe essere un divieto eccessivo e non giustificato. Questa nuova problematica rende ancor più pressante la tanto discussa questione dell'introduzione dell'albo degli amministratori condominiali, che al momento non è stata risolta, ma piuttosto accantonata dal legislatore. I corsi di formazione iniziale e di aggiornamentoIl requisito dei corsi di formazione, al quale il legislatore ha attribuito una particolare attenzione e rilevanza, riguarda la preparazione tecnica e giuridica ritenute necessarie per il corretto svolgimento dell'incarico. Esso è obbligatorio soltanto per gli amministratori che gestiscono un condominio diverso da quello in cui siano proprietari o usufruttuari di un'unità immobiliare, mentre tale obbligo viene meno nell'ipotesi di soggetti che abbiano amministrato condominii per almeno un anno, nei tre anni precedenti l'entrata in vigore della riforma del condominio (art. 71-bis, ultimo comma, disp. att. c.c.). A causa della pandemia da COVID-19, come dato meramente storico e limitato al periodo di riferimento, va ricordato che lo stato di emergenza, dichiarato alla data del 31 gennaio 2020, era stato prorogato fino al 31 marzo 2022. Successivamente, il d.l. n. 221/2021 (convertito nella l. n. 11/2022) aveva rinnovato le misure per il contenimento della diffusione epidemica, con applicazione delle norme anche in ambito condominiale. Trattandosi di norme imperative le stesse non potevano essere superate neppure con il consenso unanime dei partecipanti. Tra di esse, ad esempio, aveva assunto rilevanza l'obbligo di munirsi di green pass per la frequentazione dei corsi di formazione iniziale e di aggiornamento annuale degli amministratori di condominio. Per quanto concerne l'esame finale , come da chiarimento fornito dal Ministero della Giustizia (in data 17 giugno 2015) ma con riferimento al D.M. n. 140/2014, lo svolgimento della prova, secondo l'interpretazione letterale dello stesso, non poteva che essere in presenza. I decreti ministeriali che si sono succeduti non hanno mai preso in considerazione questa specifica problematica, ma si è sostenuto che gli esami finali dovrebbero essere sospesi in forza dell'art. 1, comma 9, lett. z) del D.P.C.M. 3 novembre 2020 (reiterato dal D.P.C.M. 14 gennaio 2021). Secondo tale norma, infatti, tra l'altro “è sospeso lo svolgimento delle prove…..di abilitazione all'esercizio delle professioni…”. Nel chiarimento del Ministero della Giustizia, inoltre, era stato specificato che non è sede il domicilio del corsista collegato a distanza con la commissione esaminatrice . La normativa, attinente la formazione iniziale e periodica, va esaminata alla luce del d.m. n. 140/2014 , avente ad oggetto il regolamento relativo all'attività formativa, con il quale, sono stati stabiliti, in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, gli standards per lo svolgimento della formazione multidisciplinare dell'amministratore, con correlato esame finale obbligatorio (Terzago , 325). Quanto alla formazione periodica è stato affermato che per l'assunzione dell'incarico – secondo una lettura della norma data da alcuni interpreti – non sarebbe necessario un continuo aggiornamento ma, piuttosto, la presenza di certificazione in relazione all'anno di riferimento (Gallucci, 2018). Nella pratica si tratta di avere dato vita ad un regolamento sostanzialmente attuativo, reso necessario dalla genericità della disciplina-base (contenuta nel d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito – per quanto di interesse senza modificazioni – nella l. 21 febbraio 2014, n. 9), concernente le modalità di svolgimento dei corsi formativi, i soggetti legittimati ed abilitati a svolgerla, nonché le fondamentali attestazioni circa l'attività svolta ai fini della dimostrazione dell'esistenza del requisito. Anche le norme sulla formazione hanno un carattere imperativo, talché (salvo i casi di esonero) la loro violazione comporta la nullità assoluta e radicale del mandato e della delibera di nomina (Nasini, 678). Si osserva, altresì, che l'art. 1138, comma 3, c.c. non ha inserito l'art. 71-bis tra le norme inderogabili e che la disposizione esaminata non fa parte dei requisiti minimi sempre obbligatori di cui alle lett. da a) ad e) dello stesso art. 71-bis, per cui la carenza dei requisiti professionali dovrebbe assumere un profilo di minore rilevanza rispetto alla carenza dei cosiddetti requisiti etici. Malgrado ciò sembra preferibile scegliere la soluzione radicale (nullità della delibera di nomina e del mandato) perché più chiara ed aderente al dettato legislativo. La disposizione, invece, che potrebbe aprire la strada a futuri contenziosi, riguarda l'espressione utilizzata dal legislatore ove è stabilito che nell'ipotesi di carenza iniziale o sopravvenuta del requisito esaminato, «il condomino può convocare senza formalità l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore», che sostituisca quello venuto meno per carenza del requisito della formazione. L'assenza di formalità, peraltro, pur costituendo una formula generica, impone, comunque, che tutti i titolari delle unità immobiliari dello stabile condominiale siano correttamente avvisati della riunione nel rispetto delle norme sulla convocazione dell'assemblea. In merito, è stato ritenuto che la convocazione senza formalità comporta comunque, l'applicazione della modalità di convocazione di cui all'art. 66 disp. att. c.c. (Terzago, 328), mentre l'espressione non può riguardare anche la necessità di rispettare i termini di legge per la convocazione dell'assemblea (Nasini, 19). Note critiche su questo preciso aspetto sono venute dagli interpreti, i quali hanno invocato una modifica dell'art. 71-bis, poiché il termine utilizzato dal legislatore sarebbe di difficile interpretazione e, proprio per questo, suscettibile di abusi e strumentalizzazioni. Non è chiaro, infatti, se «senza formalità» significhi senza il rispetto di forme per la redazione e la spedizione dell'avviso di convocazione oppure dei termini minimi di preavviso (Nucera, 283). Altri hanno proposto la soppressione delle parole «senza formalità» in quanto tale modifica sarebbe funzionale a garantire maggiore certezza e trasparenza nei rapporti condominiali, in particolar modo in punto di convocazione dell'assemblea per la nomina del nuovo amministratore, funzione tra l'altro essenziale per la realtà condominiale (D'Amico, 565). La l. n. 220 del 2012, che ha riformato la disciplina del condominio, ha rafforzato i caratteri professionali dell'attività dell'amministratore condominiale, imponendo ai fini della nomina un titolo di studio e la frequentazione di un corso di formazione e di aggiornamenti annuali ( art. 71 bis disp. att. c. c. ), delineando nel complesso una figura professionale autonoma, dotata di una propria struttura organizzativa, costituita da uno studio, da collaboratori e da segretari, in grado di ricevere incarichi da vari enti condominiali, profili che confliggono con le situazioni di connessione e di ingerenza che si rinvengono nei rapporti di c.d. parasubordinazione (Cass. n. 36430/2021). Il d.m. n. 140 del 2014Il d.m. n. 140 del 2014 contiene la concreta regolamentazione dell'attività di formazione ed aggiornamento degli amministratori condominiali, la cui finalità è descritta nell'art. 2 ovvero: migliorare e perfezionare la competenza tecnica, scientifica e giuridica in materia di amministrazione condominiale e di sicurezza degli edifici; promuovere il più possibile l'aggiornamento delle competenze appena indicate in ragione dell'evoluzione normativa, giurisprudenziale, scientifica e dell'innovazione tecnologica; accrescere lo studio e l'approfondimento individuale quali presupposti per un esercizio professionale di qualità. La disciplina si divide in tre parti: la prima attiene ai requisiti dei soggetti chiamati a formare gli amministratori; la seconda riguarda le disposizioni inerenti ai contenuti dei corsi di formazione (con particolare attenzione alla durata ed alle modalità di svolgimento delle lezioni) e l'ultima tesa ad individuare le diverse tipologie dei corsi stessi e le loro caratteristiche. È stato rilevato che, l'art. 5 del decreto legislativo noto come Jobs Act, relativo al lavoro autonomo (estendibile all'amministratore di condominio), è intervenuto sull'aspetto fiscale prevedendo la possibilità di dedurre integralmente, entro un tetto annuo di 10mila euro, le spese per la formazione, la partecipazione a corsi di aggiornamento e convegni, nonché quelle di certificazione delle competenze, ivi comprese le c.d. spese vive strettamente connesse a tali attività (Di Domenico, 42). La durata dei corsi, da svolgere secondo il programma redatto dal responsabile scientifico, è fissata in almeno 72 ore (art. 5 del regolamento) e le lezioni si articolano per un terzo secondo moduli didattici che includono tutte le materie di interesse condominiale, oltre naturalmente a tutte le disposizioni in materia urbanistica, di sicurezza degli edifici e impianti, contabilità, informatica, ecc. Non possono mancare esercitazioni pratiche. La formazione iniziale deve essere accompagnata da attività annuale di aggiornamento, della durata di almeno 15 ore, vertente sull'evoluzione normativa e giurisprudenziale, nonchè sulla risoluzione di casi pratici. Il Consiglio di Stato, Sezione consultiva, nel parere n. 836/2014 ha ritenuto corretta la scelta dell'Amministrazione di non prevedere dei registri ad hoc dei formatori e dei responsabili scientifici né uno specifico sistema di controlli sui corsi di formazione e sul possesso dei richiesti requisiti da parte dei soggetti chiamati a svolgere la predetta attività formativa, poiché la normativa di rango primario non prevede specifiche disposizioni in merito. Peraltro, secondo il massimo organo di giustizia amministrativa, la scelta compiuta dal Ministero proponente rientra nell'ambito della propria discrezionalità ed è in linea con la necessità di non far gravare sul bilancio del Dicastero gli ulteriori oneri che deriverebbero dall'espletamento delle predette incombenze. Per concludere, deve precisarsi che debbono essere comunicati al Ministero della Giustizia sul sito relativo sito, tramite posta elettronica certificata ed entro la data di inizio del corso (che si può svolgere anche in via telematica) tanto la data di inizio e le modalità di svolgimento del corso, quanto i nominativi del responsabile scientifico e dei formatori. Nel silenzio della legge a detto onere non può che provvedere lo stesso responsabile scientifico del corso di formazione. Problematiche interpretative sono stare rilevate in relazione ad alcuni punti del d.m. n. 140/2014 con riferimento al controllo della qualità della formazione riferita ai soggetti prescelti per lo svolgimento dei corsi nonchè alle modalità di svolgimento dei corsi, spesso più teorici che pratici e privi di lezioni interattive che simulino l’attività svolta in concreto dall’amministratore (Zeba 2019). Il responsabile scientifico ed i formatoriL'incarico deve essere conferito a soggetti (persone fisiche) particolarmente qualificati sotto i profili culturali e di competenza, ed in tale ambito il responsabile scientifico assume un ruolo centrale determinante per una corretta formazione, che risponda alle linee guida del regolamento, con una diretta assunzione di responsabilità. La sua funzione può essere svolta da un docente in materie giuridiche, tecniche o economiche (ricercatore universitario, professore, docente di scuola secondaria), avvocato, magistrato o professionista dell'area tecnica (anche in trattamento di quiescenza) a condizione che tutti siano in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità previsti dall'art. 3 del regolamento. Spetta al responsabile verificare che degli stessi requisiti siano dotati i formatori; che i corsi si svolgano secondo il programma didattico fissato dal regolamento (art. 5); che gli iscritti effettivamente partecipino (anche per via telematica) al programma formativo ed attestare il superamento con profitto dell'esame finale anche del corso di aggiornamento annuale. Non essendo stata prevista una modalità specifica per l'effettuazione dei corsi è stato ritenuto che la fase conclusiva debba consistere quanto meno in un test teorico scritto ed in un esame orale pratico (Nasini, 691). I formatori devono dimostrare, al responsabile scientifico, di essere in possesso di tutti i requisiti minimi di onorabilità di cui all'art. 71-bis, lett. a), b), c), d) ed e), nonché di avere una «specifica competenza» nel campo dell'amministrazione condominiale e/o della sicurezza degli edifici; una laurea (anche triennale) o la docenza in materie giuridiche e tecniche conseguita presso l'università ovvero presso scuole abilitate. Possono, altresì, svolgere i corsi i docenti con almeno due pubblicazioni nel campo della gestione condominiale o della sicurezza degli edifici (art. 1 del d.m. n. 76 del 2012); coloro che abbiano svolto attività formativa in queste due ultime materie della durata di almeno 40 ore ciascuno per una durata non inferiore a sei anni consecutivi prima dell'entrata in vigore del d.m. n. 140 del 2014. Assenza dei requisitiNell'applicazione dell'art. 71-bis disp. att. c.c. si è posto il problema di quali siano le conseguenze pratiche quando manchino o vengano a mancare i requisiti minimi e quelli cosiddetti professionali nei differenti momenti della prima nomina, oppure in corso di mandato. Si ritiene che in entrambi i casi tali carenze non incidono sulla capacità d'agire dell'amministratore, dovendosi, piuttosto, ricondurre le stesse nell'ambito dell'incompatibilità, per cui dal vizio deriverebbe addirittura l'inesistenza della nomina dell'amministratore. All'incompatibilità conseguirebbe un difetto del conferimento dell'incarico a persona priva di quei requisiti da fare valere in sede di impugnativa della relativa delibera. L'azione, comportante la nullità del mandato, può essere proposta da chiunque vi abbia interesse e, quindi, anche dal condomino che abbia espresso voto favorevole (Lazzaro 2017, 277). Con riferimento all'inesistenza, secondo un'interpretazione dottrinale più rigorosa, la carenza originale dei requisiti renderebbe la decisione assembleare tamquam non esset (Nasini, 678). Le due circostanze, piuttosto, dovrebbero essere considerate separatamente, visto che la norma (comma 4) si è pronunciata solo con riferimento al caso della «perdita dei requisiti» in corso di mandato, prevedendo che ciascun condomino può (riconoscendo, in tal caso una facoltà e non un obbligo) convocare l'assemblea senza formalità per la nomina di un nuovo amministratore. Omettendo così di pronunciarsi sul destino della delibera assembleare che abbia conferito incarico ad un soggetto ab origine privo dei requisiti di legge. Sulla questione non è emerso un orientamento concorde della dottrina. Da un lato, infatti, in un primo commento alla legge era stato osservato che la novella non subordina la validità della delibera di nomina al possesso dei requisiti in parola, né indica le conseguenze giuridiche sull'eventuale nomina. Sarebbe, quindi legittimo ritenere che la delibera dovrebbe essere impugnata nei termini di cui all'art. 1137 c.c., lasciando all'autorità giudiziaria di valutare la fondatezza della domanda (Basile, 617). Concorde altro autore, il quale ha rilevato che la delibera ha incidenza solo nell'ambito della compagine condominiale e tale fatto di per sé esclude la sua contrarietà all'ordine pubblico. In aggiunta la circostanza che l'art. 71-bis non è stato indicato tra le norme inderogabili di cui al successivo art. 72 (Nucera, 596). Per altro verso, invece, si ribadisce che l'art. 71- bis deve essere inquadrato nell'ambito delle norme di ordine pubblico, in quanto incidente sugli interessi della collettività, e – come tale – di carattere imperativo, per cui da esso non potrebbe che conseguire la nullità della deliberazione di nomina e del conseguente contratto di mandato stipulato con l'amministratore. Alla nullità della nomina di un soggetto originariamente sprovvisto dei requisiti di legge corrisponderebbe la causa di decadenza che colpisce l'eventualità di sua incapacità sopravvenuta (Celeste-Scarpa, 13; Scalettaris, 709). La disposizione, che è norma di ordine pubblico formulata nell'interesse generale e, come tale, inderogabile, comporta che la mancanza dei requisiti de quibus deve sussistere ab origine e, quindi, in un momento antecedente la nomina e non in pendenza della causa di impugnazione (Trib. Cosenza 19 novembre 2024, n. 2163, con nota MESSINEO, 2025). In senso conforme è stato affermato che, anche nel caso di mancanza originale dei requisiti richiesti all'amministratore per l'esercizio del suo mandato, trova applicazione lo stesso meccanismo previsto dall'art. 71-bis , comma 3, disp. att. c.c. per cui una volta appurata la situazione contra legem si potrà procedere, senza formalità, alla convocazione dell'assemblea per procedere alla nomina del nuovo rappresentante (Lazzaro– 2017, 317). Se l'amministratore, già nominato, malgrado i solleciti non dimostri all'assemblea di avere tutte le carte in regola per esercitare il mandato non vi è dubbio che i condomini siano pienamente legittimati ad interrompere il rapporto contrattuale. Qualora, invece, il rappresentante sia stato nominato senza che vi sia stata un'esplicita richiesta in questo senso, non può ignorarsi la recente decisione di merito qui richiamata, secondo la quale la mancanza di norme che impongano all'amministratore di dimostrare le sue qualità si traduce in una presunzione di esistenza delle stesse, con la conseguenza che l'impugnativa della delibera di nomina sarà respinta (ivi Trib. Roma 9 marzo 2018). Le conseguenze della mancata partecipazione ai corsi di formazioneDubbi sono emersi in relazione agli effetti del mancato ottemperamento all'obbligo di aggiornamento annuale dell'amministratore già dichiarato idoneo. Non vi è condivisione della tesi per cui, in tale ipotesi, l'amministratore perda il requisito di professionalità acquisito con la frequentazione del corso iniziale e sia così costretto ad iscriversi nuovamente ad un corso di formazione di 72 ore. Tale interpretazione sarebbe troppo rigorosa rispetto a quanto previsto per gli ordini professionali, che prevedono, nei confronti degli inadempienti, non la radiazione immediata ma solo sanzioni disciplinari (Del Torre, 606). La giurisprudenza di merito ha precisato che in tali circostanze la nomina dell'amministratore è illegittima e, quindi, nulla e lo stesso, nell'anno successivo, non potrà assumere incarichi. Specificando che l'obbligo periodico di aggiornamento ha cadenza annuale e non solare, per cui va computato con termine iniziale dal 9 ottobre 2014 (data di entrata in vigore del d.m. n. 140/2014) e così a seguire. Ciò impedisce il recupero dei corsi di formazione periodica, essendo ogni certificato valevole per l'anno successivo (Trib. Padova 24 marzo 2017; Trib. Vasto 12 novembre 2022). Di diverso avviso altra recente decisione (Trib. Venezia 6 novembre 2023, n. 1939) che ha ritenuto irragionevole la tesi secondo cui l'obbligo formativo per gli amministratori, con cadenza annuale,sia computato dalla data di entrata in vigore della relativa disciplina. Secondo il giudice monocratico, infatti, tale ricaduta interpretativa comporterebbe che un ritardo nel conseguimento dell'attestato formativo non legittimerebbe il titolare nell'esercizio dell'amministrazione. Infatti, l'assenza di una disposizione legislativa sul punto comporta che il termine vada inteso rispetto alla data in cui è stato assolto l'obbligo formativo nell'anno precedente. Tutt'al più, detto termine deve essere rapportato in riferimento a ciascun anno solare. Secondo il Tribunale, in definitiva, è che prima di poter assumere un incarico, l'amministratore abbia adempiuto agli obblighi formativi su di esso gravanti. In senso contrario è stato affermato che l'amministratore che non adempie all'obbligo di formazione commette grave irregolarità che può portare alla sua revoca, ma la delibera di nomina non è affetta da nullità (Trib. Verona 13 novembre 2018, con nota di Ginesi, 2019). Ma si parla anche di potenziale annullabilità della delibera di nomina se l'amministratore non sia stato in grado di provare di possedere i requisiti di aggiornamento annuale previsti dalla legge (Trib. Roma 30 novembre 2020, n. 17023. Nella specie il condominio si era costituito solo dopo che eran scaduti i termini ex art. 183 c.p.c., incorrendo nella preclusione in merito al deposito dei documenti necessari a provare le proprie asserzioni). Secondo alcuni la delibera di nomina, che non sarebbe da annoverare tra quelle contrarie all'ordine pubblico (con riferimento alla lett. g) dell'art. 71-bis) in quanto inciderebbe solo nei rapporti interni alla compagine condominiale, dovrebbe essere considerata annullabile e, come tale, impugnabile ai sensi dell'art. 1137 c.c. Conseguenza, peraltro, che deve valere, a maggior ragione, anche nell'ipotesi di mancata partecipazione al corso iniziale di formazione di 72 ore. È stato contestato, altresì, il fatto che il certificato di frequentazione del corso periodico debba valere per l'anno successivo e non per quello in corso. La questione, invece, dovrebbe essere trattata tenendo conto del complessivo comportamento dell'amministratore, la cui regolare non ottemperanza all'obbligo previsto dall'art. 71-bis, lett. g), farebbe emergere un'inadempienza non episodica e tale da non consentire di ritenere che l'amministratore abbia dato corso all'attività che gli consente di avere quel grado di preparazione posto a fondamento della novella del 2012 (Nucera, 596). Per altro autore, invece, l'ipotesi di mancato aggiornamento periodico deve essere assimilata a quella di vizio originale di mancata formazione dell'amministratore, con la conseguenza che ogni condomino interessato possa in qualsiasi momento sollevare la questione in sede giudiziale. Si tratterebbe, nella specie, non di azione di revoca dell'amministratore ma di accertamento del sopravvenuto difetto di un requisito di legge per lo svolgimento dell'attività, con conseguente domanda di cessazione del mandato a far data della scoperta di tale difetto (Scalettaris, 709). L'amministratore falsus procuratorAltro problema concerne il valore degli atti compiuti dall'amministratore, in nome del condominio, se nominato in carenza del requisito previsto dalla lett. g) cit. In tale ipotesi trovano applicazione i principi generali in materia di rappresentanza, espressi dagli artt. 1398 e 1399 c.c., rispettivamente concernenti la responsabilità per i danni patiti dal terzo contraente che, in buona fede, abbia confidato sulla validità del contratto, nonché la possibilità, da parte del falsamente rappresentato, di ratificare l'atto per il quale siano state comunque osservate le forme prescritte per la sua conclusione. L'art. 1399 c.c., in particolare, dispone che la ratifica ha un effetto retroattivo, pur rimanendo salvi i diritti dei terzi; che le parti possono concordare lo scioglimento del contratto, ma soltanto prima della ratifica e che il terzo contraente può invitare l'interessato (nella specie il condominio) a pronunciarsi sulla ratifica stessa, assegnandogli un termine, scaduto il quale nel silenzio, la ratifica s'intende negata. Se il contratto concluso dal falsus procurator sia nullo o semplicemente inefficace nei confronti del terzo in buona fede è questione controversa. Chi ne sostiene la nullità si basa sul fatto che l'atto in questione non avrebbe valore giuridico né come atto proprio, né come atto riferibile ad un rappresentato che non ha dato alcun incarico al riguardo, mentre nessuna azione giudiziale sarebbe possibile nei confronti del falsamente rappresentato, con la conclusione che l'atto si deve considerare del tutto irrilevante senza limiti temporali. Secondo la prevalente dottrina tradizionale, invece, si dovrebbe parlare di inefficacia, poiché il contratto si considera perfetto, ed il vizio che incide sulla legittimazione è esterno. Anche se il falsus procurator non è legittimato al momento della conclusione dell'atto potrà esserlo sempre in un momento successivo in seguito alla ratifica (Ramadori, 27). Tale interpretazione dottrinale trova conforto anche nella giurisprudenza che ha affermato che i negozi posti in essere dal falsus procurator non sono nulli, bensì privi di efficacia e tale inefficacia non è rilevabile d'ufficio, ma solo su eccezione di parte, a sollevare la quale è legittimato soltanto lo pseudo rappresentato (Cass. II, n. 2860/2008). La possibilità della ratifica, inoltre, qualificherebbe il contratto non invalido ma come negozio «in itinere», ovvero a formazione successiva, sicché il dominus può ratificare e fare propri gli effetti del medesimo, concluso in suo nome con effetti retroattivi (Cass. II, n. 1708/2000). Una volta avvenuta la ratifica, qualora il terzo non intenda aderire all'accordo, può sempre chiedersi da parte dell'interessato che ha ratificato il comportamento del rappresentante senza potere (nella specie il condominio verso l'amministratore), la risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi degli artt. 1453 e ss. c.c. Altre questioni hanno trovato risposte nella giurisprudenza. Ad esempio, nell'àmbito dei rapporti tra terzo e falsus procurator, il terzo può agire nei confronti del secondo in via risarcitoria nei limiti del cosiddetto «interesse negativo», ovvero relativamente alle spese ed alle perdite strettamente dipendenti dalle trattative; al vantaggio conseguibile dal contraente in buona fede per il tramite di altre contrattazioni ma non per il lucro cessante ricavabile dall'adempimento del contratto (Cass. II, n. 12969/2000). La responsabilità del falsus procurator nei confronti del terzo contraente incolpevole, espressamente disciplinata dall'art. 1398 c.c. ha natura extracontrattuale, per culpa in contraendo, ed il suo fondamento non risiede nel negozio inefficace, ma nel comportamento contrario ai più generali doveri di correttezza e buona fede, connessi al dovere del neminem laedere (Cass. II, n. 18191/2007). Il terzo ha soltanto la facoltà, e non anche l'obbligo, di controllare, se colui che si qualifichi rappresentante (nella specie, amministratore) sia in realtà tale, sicché non basta il semplice comportamento omissivo del terzo stesso per costituirlo in colpa nel caso di abuso della procura (o di mancanza della stessa), occorrendo, per converso, ai fini dell'affermazione che egli abbia agito senza la dovuta diligenza, il concorso di altri elementi, e ciò tanto se l'affidamento del terzo riguardi negozi per i quali è richiesta la forma ad probationem, tanto se afferisca a negozi formali (Cass. II, n. 9289/2001). Da tali considerazioni, quindi, consegue, da un lato, che l'azione risarcitoria del terzo contraente si prescrive in cinque anni che decorrono dal momento in cui il danno si manifesta esternamente, ovvero da quando il preteso rappresentato abbia manifestato l'intenzione di non ratificare il contratto e, dall'altro, che la colpa del terzo (che conosceva la carenza di poteri del contraente, ovvero avrebbe potuto conoscerla con facilità), diviene irrilevante nell'ipotesi in cui il falsus procurator abbia creato in mala fede l'apparenza della propria legittimazione, mentre deve ovviamente escludersi il diritto risarcitorio del terzo stesso se questi era a conoscenza della carenza dei poteri del contraente (Ramadori, 30). L'esonero dai corsiIl comma 2 dell'art. 71-bis disp. att. c.c. prevede la non necessità dei requisiti professionali di cui alle lett. f) e g) se l'amministratore sia nominato tra i condomini dello stabile, mentre l'ultimo comma consente, per coloro che abbiano svolto attività di amministrazione di condominio per almeno un anno, nell'arco dei tre anni precedenti alla data di entrata in vigore della riforma del condominio (ovvero del 1° gennaio 2013), di svolgere l'attività di amministratore, anche in mancanza dei requisiti sempre di cui alle lett. f) e g). Il tutto, fermo restando l'obbligo della formazione periodica. I soggetti esonerati devono dimostrare il loro diritto all'esonero allegando agli atti del condominio tutta la documentazione in loro possesso, comprovante il loro diritto all'esonero, con particolare, riferimento all'attestato fornito al termine dei corsi di frequenza e di superamento dell'esame (Nucera, 597). La Confedilizia, date le probabili difficoltà di produzione della documentazione predetta e dei successivi controlli dell'assemblea, ha predisposto un servizio attivo per il rilascio agli amministratori di un attestato/dichiarazione di esonero da presentare all'assemblea. La norma non può non destare perplessità, perché non si comprende la logica seguita dal legislatore per escludere il condomino/amministratore sia dalla necessità di avere conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado, sia dalla frequentazione del corso iniziale di formazione. In entrambi i casi, infatti, la norma dovrebbe essere, come in effetti è, preordinata a garantire che il soggetto sia dotato di un minimo grado di istruzione e di un livello di preparazione nella complessa materia condominiale (che non comprende solo l'ambito delle norme del codice civile, ma anche di quelle che ne fanno da corollario, ivi comprese le disposizioni di rango europee che devono essere recepite dal nostro ordinamento). Seguendo il dettato legislativo, pertanto, in un condominio formato da un ragguardevole numero di condomini, si arriverebbe a legittimare la figura dell'amministratore che, proprio difettando dei requisiti di cui all'art. 71-bis, lett. f) e g), potrebbe avere un limitato grado di cultura, indispensabile anch'esso per svolgere la professione. A maggior ragione non si comprende il senso di obbligare tale soggetto a sottoporsi all'aggiornamento annuale, quando questo è evidentemente subordinato alla formazione iniziale sotto tutti i profili, condominiale, contabile, amministrativo e così via. Per concludere, si può ritenere che la norma, come formulata dal legislatore, potrebbe essere applicata solo nei piccoli condominii, nei quali l'amministratore non è obbligatorio proprio in quanto la gestione dei beni comuni è meno complessa, anche se, comunque, deve essere assicurata nel rispetto di tutte le norme vigenti. 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