La clausola claims made è valida, lecita, tipica, ma dovrà essere oggetto di un'indagine ad ampio spettro

Marco Rodolfi
01 Ottobre 2018

Le Sezioni Unite affermano la validità della clausola claims made, che dovrà essere però oggetto di un'indagine ad ampio spettro dalla fase precontrattuale a quella attuativa del rapporto (obblighi informativi, adeguatezza del contratto allo scopo pratico, “causa in concreto” del negozio ed eventuali clausole abusive).
Massima

Il modello dell'assicurazione della responsabilità civile con clausole "on claims made basis", che è volto ad indennizzare il rischio dell'impoverimento del patrimonio dell'assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell'assicurazione contro i danni, quale deroga consentita dall'art. 1917, comma 1, c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all'assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell'attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell'adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro).

Il caso

La vertenza decisa dalla sentenza n. 22437 si riferisce ad una domanda di garanzia svolta da un'impresa fabbricante di una gru (e chiamata in causa per una vicenda di risarcimento danni da altra impresa) nei confronti del suo assicuratore della responsabilità civile.

Tra l'assicuratore e l'impresa erano stati stipulati due distinti contratti di assicurazione della responsabilità civile: l'uno di durata dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2002, con una franchigia di euro 4.547,00; l'altro di durata dal 1° gennaio 2003 al 1 gennaio 2004, con una franchigia di euro 150.000,00.

Entrambi i contratti contenevano la c.d. "clausola claims made", in virtù della quale l'assicuratore si era obbligato a tenere indenne l'assicurato non già per i danni da questi causati a terzi nel periodo di vigenza del contratto, ma per i danni il cui risarcimento fosse stato richiesto all'assicurato durante il periodo di efficacia della polizza.

Poiché il terzo danneggiato aveva avanzato le proprie pretese nei confronti dell'impresa assicurata soltanto nel 2003, in forza della citata clausola, occorreva far riferimento alla seconda polizza che però vedeva una franchigia più alta. Da qui l'interesse del cliente a ritenere operante la prima polizza.

Il giudizio di primo grado si concluse con una sentenza del Tribunale di Treviso che accolse la domanda risarcitoria proposta dalla terza danneggiata e dichiarò nulla, ai sensi dell'art. 1341 c.c., la clausola claims made, accogliendo di conseguenza la domanda di garanzia.

La Corte di Appello di Venezia, tuttavia, accoglieva l'appello proposto dalla compagnia di assicurazione, affermando che la clausola claims made non rendeva nullo il contratto ai sensi dell'art. 1895 c.c. e che la predetta clausola neppure poteva ritenersi vessatoria, non avendo come effetto quello di restringere la responsabilità dell'assicuratore, ma solo di delimitare l'oggetto del contratto.

L'impresa assicurata proponeva dunque ricorso in cassazione formulando ben quattro motivi di impugnazione circa la validità della clausola claims made

La questione

La causa è stata assegnata alle Sezioni Unite su impulso dell'ordinanza interlocutoria n. 1465 dell'8 gennaio 2018, con cui la Terza Sezione civile ha prospettato che il caso de quo pone, in tema di clausola c.d. claims made, questioni, di massima di particolare importanza, ulteriori e diverse rispetto a quelle già scrutinate dalla sentenza delle stesse Sezioni Unite n. 9140 del 6 maggio 2016, così da sollecitarne un nuovo intervento.

In particolare, la questione da risolvere era quella di stabilire se nell'assicurazione della responsabilità civile sia consentito alle parti convenire che per "sinistro" debba intendersi, sia ai fini del pagamento dell'indennizzo, sia a tutti gli altri fini contrattuali, non la causazione d'un danno a terzi da parte dell'assicurato, ma eventi diversi, come la circostanza che il danneggiato abbia domandato il risarcimento all'assicurato.

Nell'ordinanza interlocutoria, la Corte, tra l'altro, suggeriva di dare una risposta negativa a tale questione, sintetizzando le “soluzioni preferibili” alla complessa tematica della clausola claims made nei seguenti due “principi”:

- «(a) nell'assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare al rango di "sinistri" fatti diversi da quelli previsti dall'art. 1882 c.c. ovvero, nell'assicurazione della responsabilità civile, dall'art. 1917, comma 1, c.c.;

- (b) nell'assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell'art.1322 c.c., la clausola la quale stabilisca che la spettanza, la misura ed i limiti dell'indennizzo non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l'assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all'assicurato di essere risarcito».

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite hanno fornito una “risposta unitaria” ai quesiti che le sono stati posti, tutti volti del resto a risolvere la problematica che: «a partire dal profilo della meritevolezza degli interessi coinvolti, investe il piano della validità delle clausole claims made».

Prima di approfondire la questione, peraltro, è stata fatta una lunga premessa, ricordando innanzitutto come le clausole claims made operino: «una deroga al modello di assicurazione della responsabilità civile delineato dall'art. 1917, comma 1, c.c.», dal momento che la copertura assicurativa viene ad operare non "in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nell'arco temporale di operatività del contratto, quale che sia il momento in cui la richiesta di danni venga avanzata" (modello c.d. loss occurrence o act committed), bensì in ragione della circostanza che nel periodo di vigenza della polizza intervenga la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato (il c.d. claim) e che tale richiesta sia inoltrata dall'assicurato al proprio assicuratore”.

Nella prassi assicurativa di questi anni (a partire dalla fine degli anni '80, momento in cui il mercato assicurativo italiano ha importato questo sistema dai paesi anglosassoni dove è nato), peraltro, vi sono state diverse varianti del sistema c.d. "claims made", tanto da rendere oggettivamente complesso il fenomeno.

Oltre alle «due categorie più generali della claims "pura" (siccome imperniata sulle richieste risarcitorie inoltrate nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito) e della claims "impura" (o mista: poiché operante là dove tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con possibile retrodatazione della garanzia alle condotte poste in essere anteriormente)», questo sistema prevede anche la possibilità di “ulteriori previsioni pattizie”, tra cui vengono menzionate la c.d. sunset clause o clausola di ultrattività o di "postuma" (volta a rendere effettiva la copertura assicurativa rispetto a claims – richieste di risarcimento - intervenute anche in un certo arco temporale successivo alla scadenza del contratto) e la c.d. deeming clause (volta a consentire all'assicurato, in aggiunta alla richiesta del danneggiato, di comunicare all'assicuratore, ai fini di operatività della polizza, anche le circostanze di fatto conosciute in corso di contratto e dalle quali potrebbe, in futuro, originarsi la richiesta risarcitoria: clausola che invero quasi mai è poi contenuta nei contratti di assicurazione della responsabilità civile).

Le Sezioni Unite, dopo aver inquadrato il fenomeno claims made nella prassi, hanno altresì rammentato che nei paesi di “cultura giuridica” più vicina alla nostra (Francia, Spagna e Belgio), è da tempo che le polizze con clausola claims made sono state riconosciute a livello di diritto positivo, sebbene con modulazioni particolari.

La vera novità, tuttavia, di cui sino ad oggi la Cassazione non ha tenuto conto, è che: «anche nel nostro ordinamento l'assicurazione secondo il modello delle clausole claims made ha trovato, assai di recente, espresso riconoscimento legislativo».

L'art. 11 della legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli) che concerne: «l'obbligo di assicurazione delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso i terzi e i prestatori d'opera (che riguarda anche la stipula di polizze per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie di cui si avvalgano, ma non già dei sanitari "liberi professionisti", ai sensi del comma 2 dello stesso art. 10, per i quali trova applicazione l'art. 3 innanzi citato)», stabilisce che la «garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all'impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza. In caso di cessazione definitiva dell'attività professionale per qualsiasi causa deve essere previsto un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura. L'ultrattività è estesa agli eredi e non è assoggettabile alla clausola di disdetta».

L'art. 3, comma 5, lett. e), del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla l. 14 novembre 2011, n. 148), come novellato dall'art. 1, comma 26, l. 4 agosto 2017, n. 124 (c.d. Legge Concorrenza n. 124/2017), che riguarda invece l'obbligo di "stipulare idonea assicurazione" posto a carico dell'esercente una libera professione in relazione ai rischi da questa derivanti, afferma che: «In ogni caso, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al periodo precedente prevedono l'offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura». Tale previsione è, tra l'altro, resa applicabile «alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione».

L'art. 2 del del Decreto del Ministero della Giustizia 22 settembre 2016 (rubricato “Condizioni essenziali e massimali minimi delle polizze assicurative a copertura della responsabilità civile e degli infortuni derivanti dall'esercizio della professione di avvocato”), infine, statuisce, in linea con il sistema claims made (con variante sunset clause), che la «assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un'ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l'attività nel periodo di vigenza della polizza», con esclusione, in capo all'assicuratore, della facoltà di recesso dal contratto «a seguito della denuncia di un sinistro o del suo risarcimento, nel corso di durata dello stesso o del periodo di ultrattività».

Terminata questa lunga premessa, si è passati ad affrontare, in maniera unitaria (lo si ripete) la questione della tenuta giuridica del sistema assicurativo claims made.

Il legislatore nazionale, dunque, ha ormai recepito e fatto propria quella che era «una regolamentazione giuridica pattizia già diffusa nel settore assicurativo», individuando come "idonea" assicurazione per la responsabilità civile sanitaria e dei professionisti in genere il modello della clausola claims made.

Tale modello rientra dunque oggi: «nell'area della tipicità legale e di quella stessa del codice del 1942, nel suo più ampio delinearsi come assicurazione contro i danni, rifluendo nell'alveo proprio dell'esercizio dell'attività assicurativa (secondo il combinato disposto degli artt. 2, comma 3, n. 13 e 11, comma 2, dell'art. 11 del d.lgs. n. 209 del 2005) ».

D'altro canto, l'art. 1917, comma 1, c.c. ben può essere derogato ex art. 1932 c.c..

Tale conclusione, tra l'altro: «si fa apprezzare non solo in riferimento al settore sanitario e delle professioni, ma in linea più generale, perché quella standardizzazione attiene anzitutto al meccanismo di base di operatività della claims made, comune, dunque, agli altri campi di elezione in cui detto modello si trova ad essere praticato, in quanto aggregati, e giustificati, dalla medesima logica assicurativa, ossia quella della copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza».

Richiamando poi concetti già esposti nella decisione n. 9140 del 2016, si ricorda la: «diversa portata che il binomio sinistro/danno assume nell'assicurazione contro i danni per la perdita o il danneggiamento di cose rispetto a quella che garantisce il patrimonio dalla responsabilità civile, là dove solo nel primo caso detto binomio palesa una inscindibilità, intrinseca, tra i due termini, essendo proprio e soltanto l'evento a determinare il danno da cui scatta l'obbligo di indennizzo».

Di conseguenza nell'assicurazione della responsabilità civile: «il rischio dell'aggressione del patrimonio dell'assicurato in dipendenza di un sinistro verificatosi nel periodo contemplato dalla polizza si concretizza progressivamente, perché esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pur è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento».

La liceità della claims made con "garanzia pregressa", pertanto, si apprezza «perché afferisce a un solo elemento del rischio garantito, la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata, restando invece impregiudicata l'alea dell'avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell'impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato».

Si riafferma altresì (come già illustrato nella decisione n. 9140 del 2016) che: «la clausola claims made … è vista in termini di delimitazione dell'oggetto del contratto (con conseguente esclusione, quindi, della natura vessatoria della clausola ai sensi dell'art. 1341 c.c., in quanto non limitativa della responsabilità: approdo, questo, di un'interpretazione nomofilattica che va anche qui ribadito), correlandosi l'insorgenza dell'indennizzo, e specularmente dell'obbligo di manleva, alla combinata ricorrenza della condotta del danneggiante (la vicenda storica determinativa delle "conseguenze patrimoniali" di cui "l'assicurato intende traslare il rischio": cioè, del "danno") e della richiesta del danneggiato».

In definitiva, tutte queste considerazioni portano a dire che oggi il nostro ordinamento giuridico consente: «una deroga convenzionale, abilitata dall'art. 1932 c.c., alla disciplina del modello di assicurazione della responsabilità civile (o sotto-tipo) di cui al primo comma dell'art. 1917 c.c., senza che ciò comporti una deviazione strutturale della fattispecie negoziale tale da estraniarla dal tipo, nel contesto del più ampio genus dell'assicurazione contro i danni (art. 1904 c.c.), della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe».

Stando così le cose (il contratto di assicurazione claims made è oggi un contratto “tipico”), la prima conseguenza è quella: «del superamento di un giudizio improntato alla logica propria della "meritevolezza", siccome ancorata al presupposto della atipicità contrattuale (art. 1322, comma 2, c.c.) e, quindi, frutto di una autonomia privata che, in quel determinato e peculiare esercizio, sebbene abbia già trovato riconoscimento nella realtà socio-economica, non ancora rinviene il proprio referente nel "tipo" prefigurato dalla legge».

Le disposizioni di legge, infatti, non possono soggiacere ad un giudizio di meritevolezza, semmai: «solo ad una verifica (ove ritenuta rilevante e con un fumus di consistenza) di rispondenza ai parametri recati dalla sua fonte di validazione, ossia quelli costituzionali».

Le Sezioni Unite, tuttavia, non terminano qui la propria statuizione.

Rimane infatti: «vivo e vitale il test su come la libera determinazione del contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made, rispetti, anzitutto, i "limiti imposti dalla legge", che il primo comma dell'art. 1322 c.c. postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo, in ragione del suo farsi concreto regolamento dell'assetto di interessi perseguiti dai paciscenti, secondo quella che suole definirsi "causa in concreto" del negozio».

L'esercizio dell'autonomia privata, infatti, è sì favorito dalle: «norme costituzionali, in sinergia con quelle sovranazionali (nel loro porsi come vincolo cogente: art. 117, comma 1, Cost.) e segnatamente delle Carte dei diritti», ma mai: «in conflitto con la dignità della persona e l'utilità sociale (art. 2 e 41 Cost.), operando, dunque, in una prospettiva promozionale e di tutela».

Questo nuovo test, o per meglio dire, questa nuova indagine sulla “causa in concreto” del negozio dovrà essere svolta, pertanto, «a più ampio spettro, che non si arresti alla sola conformazione genetica del contratto assicurativo, ma ne investa anche il momento precedente alla sua conclusione e quello relativo all'attuazione del rapporto».

D'altro canto, già nella sentenza n. 9140 del 2016, sebbene nell'ottica del giudizio di meritevolezza dell'esercizio dell'autonomia privata (oggi non più praticabile stante la tipicità della clausola claims made) erano state evidenziate varie criticità di questa tipologia di contratto: “come l'asimmetria della posizione delle parti ovvero, per certi rapporti, l'operatività di un meccanismo penalizzante all'esordio e allo scadere della garanzia contrattuale, tale da determinare "buchi di copertura" assicurativa, le quali non evaporano per il solo fatto che quel giudizio più non si imponga come tale”.

Le Sezioni Unite, a questo punto, approfondiscono le modalità di indagine, a seconda del diverso momento negoziale.

Partendo dalla fase prodromica alla conclusione del contratto secondo il modello della claims made, viene posta l'attenzione agli obblighi informativi sul contenuto di questa tipologia di contratto, obblighi che: «devono essere assolti dall'impresa assicurativa o dai suoi intermediari in modo trasparente e mirato alla tutela effettiva dell'altro contraente, nell'ottica di far conseguire all'assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle sue esigenze» (richiamando sul punto sia diverse disposizioni normative - tra cui gli artt. 120, 166, 183-187 cod. ass., artt. 1175 e 1375 c.c., art. 2 Cost. – che precedenti giurisprudenziali - Cass. civ., 24 aprile 2015, n. 8412 e Cass. civ., 12 luglio 2016, n. 14188).

La violazione di tali obblighi informativa nella fase precontrattuale (artt. 1337 e 1338 c.c.) potrà assumere rilievo: «anche in ipotesi di contratto validamente concluso, allorquando si accerti che la parte onerata abbia omesso, nella fase delle trattative, informazioni rilevanti che avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso (Cass. civ. , 23 marzo 2016, n. 5762)»; e questo, ovviamente, «a prescindere dalla eventualità stessa che la condotta scorretta abbia potuto dar luogo ad un vizio del consenso (art. 1427 c.c.), con tutte le relative conseguenze anche in termini di annullabilità del contratto ovvero di ristoro dei danni nell'ipotesi di dolo incidente (art. 1440 c.c.)».

Il rimedio risarcitorio al quale potrà aspirare il contraente pregiudicato: «dovrà essere in grado di far conseguire ad esso un effettivo ristoro del danno patito, commisurabile all'entità delle utilità che avrebbe potuto ottenere in base al contratto correttamente concluso».

Il secondo profilo di indagine, riguarda poi il “contenuto negoziale”.

Il fulcro dell'indagine concerne l'adeguatezza del contratto agli interessi in concreto avuti di mira dai paciscenti; in altre parole occorre effettuare: «una verifica di idoneità del regolamento effettivamente pattuito rispetto all'anzidetto obiettivo».

Valutare dunque, tenendo conto delle circostanze del caso concreto: «la c.d. "causa concreta" del contratto, ossia quella che ne rappresenta lo scopo pratico, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso negozio è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato (per tutte, Cass. civ., 8 maggio 2006, n. 10490) ».

Tralasciando quanto prescrive l'art. 36 d.lgs. n. 206 del 2005 (norma di portata “residuale” nel caso di specie, essendo riservata alla tutela di persone fisiche – consumatori - che concludono un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata), le Sezioni Unite affermano che: «ove venga in rilievo l'assicurazione della responsabilità civile sanitaria e dei professionisti, la legge (speciale) ne detta ora, in regime di obbligatorietà, le coordinate di base, inderogabili in pejus, individuando in esse non solo il substrato del modello negoziale "meritevole", ma, con ciò, la stessa "idoneità" del prodotto assicurativo a salvaguardare gli interessi che entrano nel contratto, ai quali non è estraneo quello, di natura superindividuale, di una corretta allocazione dei costi sociali dell'illecito, che sarebbe frustrata ove il terzo danneggiato non potesse essere risarcito del pregiudizio patito a motivo dell'incapienza patrimoniale del danneggiante, siccome, quest'ultimo, privo di "idonea" assicurazione».

Rimane peraltro intatta: «l'indagine sulla causa concreta del contratto, che spazia dalla verifica di sussistenza stessa (ossia della adeguatezza rispetto agli interessi coinvolti) a quella di liceità (intesa come lesione di interessi delle parti tutelati dall'ordinamento) ».

Per capire se effettivamente sia stata realizzata la funzione pratica del contratto, quale assicurazione adeguata allo scopo, occorre analizzare l'assetto sinallagmatico del contratto assicurativo, in quanto: «l'emersione di un disequilibrio palese di detto assetto si presta ad essere interpretato come sintomo di carenza della causa in concreto dell'operazione economica».

In particolare: «la determinazione del premio di polizza assume valore determinante ai fini dell'individuazione del tipo e del limite del rischio assicurato, onde possa reputarsi in concreto rispettato l'equilibrio sinallagmatico tra le reciproche prestazioni (Cass. civ., 30 aprile 2010, n. 10596; ma, in forza di analoga prospettiva, anche Cass. civ., Sez.Un., 28 febbraio 2007, n. 4631)».

Non si tratta, dice la Corte, di: «sindacare l'equilibrio economico delle prestazioni, che è profilo rimesso esclusivamente all'autonomia contrattuale», ma di: «indagare, con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale "on claims made basis" presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacché, nel contratto di assicurazioni contro i danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale».

Nelle assicurazioni della responsabilità professionale, pertanto, il regolamento contrattuale dovrà modularsi: «anzitutto in ragione della disciplina legale di base, che esprime un carattere imperativo, per essere non solo inderogabile in pejus, ma posta a tutela di interessi anche di natura pubblicistica, ossia la tutela del terzo danneggiato, che disvela il valore sociale dell'assicurazione».

Se si accerta uno iato tra il regolamento contrattuale e la disciplina legale: «[per aver la stipulazione ignorato e/o violato quanto dalla legge disposto, come esito al quale può approdarsi alla luce, soprattutto (ma non solo), dell'indagine sull'equilibrio sinallagmatico anzidetto]» dovrà essere dichiarata la nullità del contratto, ai sensi dell'art. 1418 c.c.

Il Giudice potrà porre rimedio a tale nullità: «per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto (Cass. civ., Sez .Un., n. 9140 del 2016, citata), in forza della norma di cui al secondo comma dell'art. 1419 c.c., così da integrare lo statuto negoziale (non già tramite il modello della c.d. loss occurence di cui all'art. 1917, comma 1, c.c., bensì) attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l'equilibrio dell'assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa».

Regolamentazione che, per la sua imperatività, fornisce delle "regole di struttura", orientate a rendere il contratto idoneo allo scopo, tenuto conto anzitutto delle esigenze dell'assicurato, oltre che delle ricordate istanze sociali.

La stessa legge di settore peraltro: «presenta, come si è visto, multiformi calibrature, modellando l'assicurazione "claims made" secondo varianti peculiari (ad es., la deeming clause e/o la sunset clause) anche tra loro interagenti, così da mostrare una significativa elasticità di adattamento rispetto alla concretezza degli interessi da soddisfare».

Tali principi (ed in particolare l'obbligo di adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai paciscenti) devono essere rispettati anche nel contesto di rapporti assicurativi sorti prima dell'affermarsi del regime di obbligatorietà dell'assicurazione della responsabilità civile professionale ed «in settori diversi da quello sanitario o professionale e, segnatamente, in quelli che postulano l'esigenza di una copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza».

Da ultimo, l'indagine dovrà essere svolta sulla: «fase dinamica del rapporto assicurativo "on claims made basis"».

A tale proposito, si colloca su un piano di assoluta criticità: «la clausola che attribuisce all'assicuratore la facoltà di recesso dal contratto al verificarsi del sinistro compreso nei rischi assicurati, la cui abusività si rivela tale in ragione della frustrazione dell'alea del contratto, che si viene a parametrare sul termine ultimo di durata della copertura assicurativa, rispetto alla quale i premi stessi sono calcolati e corrisposti».

Osservazioni

Le Sezioni Unite, con una sentenza molto articolata, hanno preso atto che il Legislatore Italiano (in conformità peraltro a quanto già accaduto, non in paesi anglosassoni dove questa tipologia di contratto è nata, ma in paesi vicini per “cultura giuridica” come la Spagna, la Francia ed il Belgio) ha adottato, per le polizze di assicurazione della responsabilità civile dei professionisti (ed in particolare dei sanitari e degli avvocati) lo schema della c.d. clausola claims made.

Oggi pertanto è possibile affermare senza tema di smentita non solo che le clausole claims made non sono vessatorie (in quanto non limitative della responsabilità ma delimitanti l'oggetto del contratto: nozione sulla quale ormai la giurisprudenza era da tempo unanime) ma anche che i contratti assicurativi contenenti le clausole claims made sono perfettamente leciti in quanto addirittura tipici, poiché: «nello spazio concesso dalla derogabilità (art. 1932 c.c.) del sotto-tipo delineato dal comma 1 dell'art. 1917 c.c. (ossia dello schema improntato al loss occurence o all'act commited), ben si colloca, e non da ora soltanto, il modello claims made, da accettarsi, dunque, nell'area della tipicità legale e di quella stessa del codice del 1942, nel suo più ampio delineare come assicurazione contro i danni, rifluendo nell'alveo proprio dell'esercizio dell'attività assicurativa».

Questo nuovo assetto (il contratto di assicurazione con clausola claims made è un contratto tipico e non più atipico) comporta, tra l'altro, anche il venir meno della necessità del giudizio di meritevolezza della clausola che la giurisprudenza proprio delle medesime Sezioni Unite richiedeva (vedi sentenza n. 9140 del 2016).

Le Sezioni Unite, tuttavia, non si sono fermate qui (cosa che, ci sia concesso, avrebbe notevolmente facilitato il lavoro degli interpreti).

Se è vero infatti che la clausola claims made non dovrà più essere oggetto del giudizio di meritevolezza, è altrettanto vero che tale regolamentazione può presentare varie criticità (“come l'asimmetria della posizione delle parti ovvero, per certi rapporti, l'operatività di un meccanismo penalizzante all'esordio e allo scadere della garanzia contrattuale, tale da determinare "buchi di copertura" assicurativa”).

Si impone allora una indagine (un “test” è stato definito a pag. 25) sulla “causa in concreto del negozio”, cioè su «come la libera determinazione del contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made, rispetti, anzitutto, i "limiti imposti dalla legge", che il comma 1 dell'art. 1322 c.c. postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo, in ragione del suo farsi concreto regolamento dell'assetto di interessi perseguiti dai paciscenti».

Tale indagine, tra l'altro, dovrà essere molto più estesa di quella dello scrutinio di meritevolezza, in quanto deve riguardare non solo la conformazione genetica del contratto, ma anche la fase precedente alla sua conclusione e quella relativa all'attuazione del rapporto.

Tanto è vero che le Sezioni Unite dedicano ben tre paragrafi (18, 19 e 20) per spiegare come svolgere tale indagine rispetto ai tre momenti differenti e a quali conseguenze potrebbe portare la conclusione di tale indagine.

Nella fase precontrattuale si dovrà accertare il corretto adempimento degli obblighi informativi sul contenuto del contratto secondo il modello claims made da parte dell'impresa assicurativa o dei suoi intermediari «nell'ottica di far conseguire all'assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle sue esigenze». La violazione di tale obbligo dovrà comportare: “un effettivo ristoro del danno patito” dall'assicurato contraente «commisurabile all'entità delle utilità che avrebbe potuto ottenere in base al contratto correttamente concluso».

Sul contenuto negoziale, si dovrà accertare la “causa concreta” del contratto, analizzando l'assetto sinallagmatico del contratto assicurativo, valutando in particolare la determinazione del premio di polizza, per arrivare a capire: «con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale "on claims made basis" presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacché, nel contratto di assicurazioni contro i danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale».

Ai casi di accertato squilibrio, che comportano la nullità del contratto, il giudice porrà rimedio, sulla scorta di quanto previsto dal secondo comma dell'art. 1419 c.c.: «così da integrare lo statuto negoziale (non già tramite il modello della c.d. loss occurence di cui all'art. 1917, comma 1, c.c., bensì) attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l'equilibrio dell'assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa».

Tali principi dovranno essere osservati anche nel contesto di rapporti assicurativi sorti prima dell'affermarsi del regime di obbligatorietà dell'assicurazione della responsabilità civile professionale e nei settori diversi da quello sanitario o professionale, ma che, comunque, postulano l'esigenza di una copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza.

A proposito invece della fase di attuazione del rapporto assicurativo, sicuramente abusiva è da considerare la clausola che preveda il recesso da parte dell'assicuratore in caso di denuncia di un sinistro compreso nei rischi assicurati.

In estrema sintesi, per il futuro viene chiaramente indicata la strada da percorrere.

Le assicurazioni della responsabilità civile sanitaria e dei professionisti (ma anche quelle relative a settori diversi da quello sanitario o professionale, ma che, comunque, postulano l'esigenza di una copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza: si pensi alla RC Prodotti) ben potranno essere lecitamente stipulate secondo lo schema della claims made, contratto ormai divenuto tipico nel nostro ordinamento giuridico.

Il regolamento contrattuale, peraltro, dovrà modularsi: «in ragione della disciplina legale di base, che esprime un carattere imperativo, per essere non solo inderogabile in pejus, ma posta a tutela di interessi anche di natura pubblicistica, ossia la tutela del terzo danneggiato, che disvela il valore sociale dell'assicurazione».

La legge, tra l'altro, non solo fornisce delle “regole di struttura” orientate a rendere il contratto idoneo allo scopo, ma presenta «multiforme calibrature, modellando l'assicurazione claims made secondo varianti peculiari (ad es., la deeming clause e/o la sunset clause) anche tra loro interagenti, così da mostrare una significativa elasticità di adattamento rispetto alla concretezza degli interessi da soddisfare».

Il problema, tuttavia, non riguarda il futuro, ma il passato, o meglio tutti i contratti che sono stati stipulati sino ad ora, che dovranno essere oggetto di quell'indagine ad ampio spettro che parte dalla fase precontrattuale (adeguatezza degli obblighi informativi), passa per il contenuto negoziale (analisi della causa concreta del contratto ed adeguatezza del contratto allo scopo pratico perseguito dai contraenti) e termina nella fase attuativa.

Facciamo presente che nella vicenda risolta dalle Sezioni Unite i motivi di ricorso volti a denunciare profili di invalidità o inefficacia dei contratti di assicurazione per la responsabilità civile "on claims made basis" (seppure in un'ottica, eminentemente, della atipicità del modello assicurativo anzidetto), sono stati accolti.

Questo perché la Corte territoriale si è limitata ad una valutazione astratta della validità delle polizze: «senza farsi carico della concretezza dell'operazione negoziale, da correlare funzionalmente all'assetto di interessi che le polizze stesse avrebbero dovuto realizzare».

Sulla scorta dei principi teste affermati, pertanto: «il giudice di appello avrebbe dovuto considerare, in modo sinergicamente complessivo, l'atteggiarsi della vicenda dedotta in giudizio (ossia, della scansione diacronica tra verificazione del sinistro e richiesta risarcitoria da apprezzarsi nel precipuo contesto storico-ambientale), la sua incidenza sugli obblighi informativi che essa imponeva, la corrispettività tra premio e rischio assicurato - che doveva giustificare ragionevolmente la sensibile modificazione dell'importo della franchigia, nel collegamento stretto tra la stipulazione della prima e seconda polizza, tale da non ridondare in fenomeno di abuso del diritto -, la presenza, infine, di clausola di recesso in costanza di rapporto».

In conclusione, se non si può che essere soddisfatti del riconoscimento anche da parte delle Suprema Corte (a Sezioni Unite) della piena legittimità del contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato secondo lo schema claims made, definito oggi come contratto tipico e non più atipico (dopo l'intervento del Legislatore sarebbe stato peraltro difficile sostenere il contrario), d'altro canto non si può non esprimere un certo timore per la sorte di quei contratti che sono stati stipulati sino ad oggi e che dovranno superare, di volta in volta, quell'indagine ad ampio spettro che parte dalla fase precontrattuale e termine alla fase attuativa.

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