Rimborso della quota del socio recedente di s.r.l. mediante trasferimento della partecipazione agli altri sociFonte: Trib. Roma , 14 marzo 2018
04 Ottobre 2018
Massima
Il socio di s.r.l. che ha esercitato il diritto di recesso dovrà partecipare in proprio all'atto di trasferimento della partecipazione sociale in favore degli altri soci (o del terzo) i quali, peraltro, provvederanno a corrispondergli il corrispettivo di tale cessione nella misura determinata dagli amministratori ai sensi del terzo comma dell'art. 2473 c.c.
Il caso
Il provvedimento del giudice del registro delle imprese di Roma ha ad oggetto la cancellazione d'ufficio ai sensi dell'art. 2191 c.c. dell'iscrizione del trasferimento di quote di s.r.l. conseguente al recesso del socio. Con tale pronuncia, il giudice delle imprese ha ritenuto necessaria la presenza del socio che ha esercitato il diritto di recesso ai sensi dell'art. 2473 c.c. all'atto di trasferimento della propria partecipazione agli altri soci; non ritenendo, al contrario, ammissibile che all'atto medesimo intervengano gli amministratori della società. La questione giuridica e la soluzione
Con il provvedimento in esame, il giudice del registro delle imprese capitolino - chiamato a dirimere il contrasto tra due iscrizioni di scritture private autenticate di cessione di quote di s.r.l. - dopo essersi soffermato preliminarmente sulla natura e la qualità dei controlli demandati all'ufficio del registro delle imprese e, quindi, al giudice del medesimo, ha affrontato l'interessante questione concernente il trasferimento della partecipazione da parte del socio di s.r.l. che ha esercitato il diritto di recesso. In particolare, in quali termini detta operazione societaria richieda il concorso della volontà da parte del socio recedente e se la cessione in favore degli altri soci possa essere operata direttamente dagli amministratori della società le cui quote sono oggetto di recesso. Nel caso di specie, per il notaio rogante l'atto di trasferimento delle partecipazioni sociali del receduto deve essere operato dagli amministratori agli altri soci o ai terzi, non potendo essere considerato autore del negozio di trasferimento il socio che ha esercitato il diritto di recesso cui si demanderebbe il potere di rendere inattuabile il procedimento stabilito dalla legge. Alla luce di tale opinione, gli amministratori sarebbero i soggetti legittimati a disporre della partecipazione ai sensi dell'art. 2470 c.c., senza il concorso della volontà del socio receduto. L'anzidetta impostazione non è stata, tuttavia, condivisa dal giudice del registro delle imprese di Roma, per il quale risulta necessario partire dalla considerazione che il rimborso della partecipazione mediante acquisto della medesima da parte degli altri soci o da parte di terzi realizza certamente una fattispecie riconducibile al “trasferimento della partecipazione” di cui al sopra menzionato art. 2470 c.c., con conseguente applicabilità di quanto ivi disposto. Il giudice del registro imprese si è posto altresì l'interrogativo relativo a se il trasferimento delle quote di s.r.l. del soggetto che ha esercitato il recesso ai soci disponibili all'acquisto possa, o meno, avvenire senza il concorso di volontà e senza la partecipazione del recedente all'atto di trasferimento. A tal fine, il giudice del registro osserva che nella società a responsabilità limitata - a differenza della s.p.a. nella quale il recedente, ai sensi degli artt. 2437-bis e 2437-quater c.c., rimette nella disponibilità della società stessa e, per essa, degli amministratori, il potere di alienare i titoli azionari – non è previsto alcun divieto di cedibilità della partecipazione né alcuna formalità volta a vincolare la medesima. La disciplina prevista dal legislatore per la società per azioni, a parere del giudice del registro, non risulta quindi applicabile analogicamente alla s.r.l. Tuttavia, l'impossibilità di attribuire all'organo amministrativo il potere di disporre della partecipazione del socio recedente e di perfezionare, anche sotto il profilo formale e pubblicitario l'acquisto della stessa da parte degli altri soci, non significa che il socio recedente possa legittimamente rifiutare di prestare il proprio consenso al perfezionamento della cessione della quota. Il socio recedente, infatti, nel momento in cui manifesta la volontà di uscire dalla compagine societaria accetta, implicitamente ma inequivocabilmente, che le modalità di liquidazione della quota si realizzino secondo lo schema delineato dalla legge. L'inadempimento dell'obbligo di cooperare al perfezionamento della vicenda traslativa da parte del socio che ha esercitato il diritto di recesso legittimerà gli altri soci all'esperimento dell'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre ex art. 2932 c.c. Il socio recedente di s.r.l., secondo il giudice del registro delle imprese di Roma, dovrà quindi partecipare in proprio all'atto di trasferimento della partecipazione sociale in favore degli altri soci (o del terzo) i quali, peraltro, provvederanno a corrispondergli il corrispettivo di tale cessione nella misura determinata dagli amministratori ai sensi del terzo comma dell'art. 2473 c.c. Al contrario, consentire all'organo gestorio della società di cedere la partecipazione del socio recedente (senza alcun coinvolgimento dello stesso) implica il pericolo di comportamenti, non soltanto ostruzionistici, ma anche abusivi da parte degli amministratori in danno del socio recedente.
Osservazioni
E' noto che i soci che recedono dalla società a responsabilità limitata hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione proporzionalmente al patrimonio sociale, determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso (art. 2473, comma 3, c.c.). Dalla lettura di tale disposizione emerge, in primo luogo, che il patrimonio sociale - la cui stima è necessaria al fine di determinare il valore della quota da rimborsare al socio uscente - non è quello contabile, cioè quello che risulta dal bilancio di esercizio o, eventualmente, da un bilancio straordinario redatto ad hoc, ma quello determinato sulla base del suo valore di mercato, cioè del suo valore reale determinato tenendo in considerazione i valori effettivi dei cespiti aziendali, rispetto a quelli che emergono dalla contabilità, nonché i valori dei beni non iscritti in bilancio (c.d. intangibles, tra cui l'avviamento). A tal fine, nell'ottica dell'ampia autonomia statutaria prevista per il tipo s.r.l., sono da considerarsi ammissibili clausole statutarie che prevedono il criterio di valutazione del patrimonio sociale più consono al tipo di attività svolta ed al settore economico in cui opera la società. Così, a titolo meramente esemplificativo, l'atto costitutivo potrà indicare quale criterio di stima quello c.d. patrimoniale (semplice o complesso) – nell'ambito del quale individuare anche quali poste dell'attivo e/o del passivo andranno rettificate ed i criteri di rettifica da adottare; il metodo reddituale, individuando magari i parametri di riferimento per la determinazione del tassi di attualizzazione del reddito normalizzato; il metodo misto patrimoniale-reddituale; criteri alternativi ai metodi anzidetti, quali i criteri finanziari. Si può discutere in relazione alla derogabilità del criterio legale (valore di mercato) di determinazione della partecipazione del socio, rectius del patrimonio sociale. Sul punto, la dottrina è concorde nel ritenere ammissibile la deroga del criterio legale di determinazione del patrimonio della società soltanto in presenza di cause convenzionali di recesso, dovendosi invece escludere in presenza di fattispecie legali di exit al fine di evitare che la tutela assicurata dal recesso venga di fatto vanificata dalla previsione di meccanismi penalizzanti di liquidazione (Per tutti, V. Calandra Buonaura, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. comm, 2005,316; M. Ventoruzzo, Recesso da società a responsabilità limitata e valutazione della partecipazione del socio recedente, in Nuova giur. civ. comm., 2005, 472). Tanto premesso, si discute in merito a se l'inderogabilità debba intendersi in senso assoluto, oppure limitatamente alle deroghe in peius. Al riguardo, pare lecito escludere la possibilità di deroghe sfavorevoli al socio uscente in presenza di fattispecie legali di recesso - per le quali sarebbero consentite soltanto deroghe in senso migliorativo, mentre sarebbero ammissibili per le ipotesi convenzionali di exit (in senso conforme P. Piscitello, Recesso ed esclusione nella s.r.l., in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, vol. 4, Torino, 2007, 732). Secondo altra dottrina, la cui opinione, ad onor del vero, risulta minoritaria, invece, l'atto costitutivo non potrebbe prevedere criteri più favorevoli al socio recedente, dal momento che gli stessi originerebbero un pregiudizio per il patrimonio della società e, conseguentemente, per i creditori sociali (V. Salafia, Statuti e riforma societaria:organizzazione, rapporti tra soci, attività sociale, patti parasociali, in Le Società, 2003, 414). Dalla lettura del terzo comma dell'art. 2473 c.c. emerge, altresì, che il valore della partecipazione deve essere stabilito al momento della dichiarazione di exit, rectius al momento in cui la comunicazione di recesso viene a conoscenza della società. Sarà a tale data, infatti, che l'organo amministrativo dovrà predisporre una perizia di stima volta alla determinazione del valore effettivo del patrimonio sociale e, di conseguenza, della partecipazione del socio uscente. A differenza di quanto previsto nell'ambito della disciplina della società per azioni, tuttavia, nella società a responsabilità limitata non è contemplato il diritto del socio uscente ad essere informato del valore della partecipazione antecedentemente all'assunzione della decisione che potrebbe legittimare il recesso dalla società. In caso di disaccordo sul valore di rimborso stimato dall'organo amministrativo tra il socio receduto e la società, la determinazione del valore della partecipazione sociale è compiuta attraverso relazione giurata di stima di un esperto nominato dal tribunale competente, su istanza della parte più diligente (art. 2473, comma 3, seconda parte, c.c.). I poteri attribuiti all'esperto, per espressa previsione contenuta nel terzo comma del predetto articolo, sono quelli stabiliti dall'art. 1349 c.c.; se, quindi, non consta che la società ed il socio uscente abbiano voluto rimettersi al mero arbitrio del soggetto nominato dal tribunale, l'esperto medesimo dovrò procedere alla stima della partecipazione sociale con equo apprezzamento, tenendo in considerazione i criteri fissati dalla legge o dall'atto costitutivo. Né la società, né il socio receduto, hanno comunque il potere di impugnare quanto determinato dall'esperto, salvo il caso in cui la sua determinazione sia manifestamente iniqua o erronea, nel qual caso possono richiedere al giudice di sostituire la valutazione fatta dal terzo con la propria. Con la determinazione ad opera del terzo, pertanto, il contratto si perfeziona in tutti i suoi elementi divenendo vincolante tra le parti, salva l'impugnazione per manifesta iniquità o erroneità prevista dal citato art. 1349 c.c. (Trib. Milano 8 marzo 2011, n. 3137, in Le Società, 2011, 728; Trib. Nocera Inferiore 23 febbraio 2007, in Giur. it., 2007, 2783). Secondo la giurisprudenza di merito il provvedimento richiesto al giudice ai sensi di tale articolo - quand'anche possa inquadrarsi nell'ambito dei provvedimenti che conseguono a procedimenti di “volontaria giurisdizione”, in quanto la valutazione del giudice si sostituisce a quella delle parti - può essere ottenuto anche in sede contenziosa (Trib. Milano 8 marzo 2011, n. 3137, cit.). Ai sensi dell'art. 2473, comma 4, c.c., il rimborso della partecipazione del socio uscente deve essere eseguito nel termine di centottanta giorni dalla comunicazione del medesimo alla società. Ciò sta a significare, in primo luogo, che il recesso è efficace dal momento in cui la relativa dichiarazione viene a conoscenza della società; in secondo luogo, che da tale momento decorrono i centottanta giorni per la liquidazione della quota del recedente. Si discute in relazione a se il termine anzidetto sia derogabile o meno statutariamente. La soluzione preferibile è nel senso che, per le fattispecie di recesso legali non derogabili, l'atto costitutivo possa prevedere un termine ridotto, ma non più esteso; per le ipotesi di recesso derogabili, al contrario, l'atto costitutivo possa prevedere termine in ogni caso diverso (In questo senso F. Annunziata, Commento sub art. 2473, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P.G. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Giuffrè, Milano, 2008, 525, nota 183. Per F. Magliulo, Il recesso e l'esclusione, in C. Caccavale, F. Magliulo, M. Maltoni, F. Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, in Notariato e nuovo diritto societario, a cura di G. Laurini, Milano, 2007, 232, sarebbe comunque possibile prolungare il termine anche per le fattispecie derogabili di recesso, ma solo nei limiti in cui tale prolungamento non si traduca in una “limitazione qualitativa” all'esercizio del diritto di recesso. M. Maltoni, Il recesso e l'esclusione nella nuova società a responsabilità limitata, in Notariato, 2003, 314, a sua volta, ritiene il termine in esame derogabile per qualsiasi fattispecie di exit). Non manca, tuttavia, chi ha considerato il termine di centottanta giorni tassativo e non prorogabile statutariamente (Lodo arbitrale Milano, 10 marzo 2006, in Le Società, 2007, 745). Anche per le società a responsabilità limitata, al pari di quelle per azioni, il procedimento di liquidazione della quota - disciplinato dall'art. 2473, comma 4, c.c. -è strutturato su diverse modalità di rimborso graduate sulla base di priorità successive la cui mancata attuazione comporta lo scioglimento della compagine societaria. Al riguardo, è stato osservato che le soluzioni indicate dal legislatore sono alternative tra di loro, ad eccezione della riduzione del capitale sociale e dell'eventuale scioglimento anticipato, che rappresentano l'extrema ratio cui fare ricorso soltanto nell'accertata impossibilità di provvedere in maniera diversa, in virtù al principio di salvaguardia e conservazione della società (M. Callegari, Il recesso del socio nella s.r.l., cit., 256 s.). L'ipotesi principale prevista dal legislatore è rappresentata dall'acquisto della partecipazione da parte degli altri soci. Tale modalità di rimborso della partecipazione, da un lato, non comporta la diminuzione del patrimonio sociale e, di conseguenza, consente ai creditori sociali di vedere conservata l'intera loro garanzia; dall'altra, permette agli altri soci di incrementare il loro investimento nella società impedendo, in questo modo, l'ingresso nella compagine societaria di estranei. L'acquisto delle quote da parte degli altri soci deve avvenire proporzionalmente alla loro partecipazione,al fine di impedire che il rimborso si traduca in un'alterazione della quota di partecipazione di ciascun socio. L'ipotesi alternativa a quella appena menzionata è rappresentata dall'acquisto della partecipazione da parte di un terzo estraneo alla società, concordemente individuato dagli stessi soci. “La concorde individuazione del terzo esige evidentemente il consenso di tutti gli altri soci e rappresenta un espresso riconoscimento da parte del legislatore della rilevanza della persona del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci nel nuovo modello di s.r.l.”, dal momento che “la loro volontà è assolutamente determinante nell'apertura della compagine sociale a terzi e nella stessa individuazione della persona del terzo, in tal modo impedendo che siano alterati i rapporti in forza all'interno della società, anche mediante l'ingresso di soggetti legati ad alcuni soci” (Così A. Carestia, Commento sub art. 2473 c.c., in Società a responsabilità limitata, in La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2003, 150). Tale modalità di rimborso della partecipazione del socio uscente, al pari della precedente, non determina una diminuzione del patrimonio della società. Sia nell'ipotesi di acquisto di partecipazione da parte degli altri soci, sia di acquisto da parte di terzi - considerando che il recesso ha efficacia dal momento in cui la relativa dichiarazione viene a conoscenza della società - la legittimazione ad intervenire all'atto di cessione spetterà alla società medesima, in persona del legale rappresentante, stante la perdita della disponibilità della quota da parte del socio uscente. In tal modo, infatti, la società incamera nel proprio patrimonio il controvalore della partecipazione ottenuto con la cessione della medesima, ottenendo, conseguentemente, le risorse necessarie per procedere al rimborso della quota al socio receduto (B. Acquas, C. Lecis, Il recesso del socio nella s.p.a. e nella s.r.l., Milano, 2010, 224 s. Sul tema, cfr. anche G.A.M. Trimarchi, Il recesso del socio dai tipi societari capitalistici e applicativi notarili, Studio n. 188-2011/I, in www.notariato.it., secondo cui la legittimazione a disporre della partecipazione spetterebbe agli amministratori, ai sensi dell'art. 2470 c.c., senza il concorso della volontà del socio receduto. In pratica, si tratterebbe di una gestione in nome proprio (della società) e nell'interesse altrui, per chi condivide la ricostruzione dell'efficacia immediata del recesso; o in nome e nell'interesse altrui, per chi invece ritiene che il recesso non interrompa quanto meno la titolarità delle partecipazioni sociali). Secondo il giudice del registro imprese di Roma, al contrario, nella società a responsabilità limitata, il rimborso della partecipazione del socio recedente attraverso acquisto della stessa da parte degli altri soci o da parte del terzo da questi concordemente indicato realizza senza dubbio una fattispecie ascrivibile al "trasferimento della partecipazione" di cui all'art. 2470 c.c., con conseguente applicabilità di quanto ivi disposto. Da ciò discende, da un lato, che l'impossibilità di applicare analogicamente la disciplina in materia di società per azioni e quindi di attribuire agli amministratori il potere di disporre della partecipazione del recedente e perfezionare, anche sotto l'aspetto formale e pubblicitario, l'acquisto della medesima da parte degli altri soci, rende necessaria la partecipazione del socio che ha esercitato il diritto di recesso all'atto di trasferimento; dall'altro lato, però, l'obbligo del socio recedente a prestare il proprio consenso al perfezionamento della cessione della quota. In caso contrario, infatti, il procedimento di liquidazione verrebbe ad essere subordinato alla volontà ed alla discrezionalità del socio recedente, mentre quest'ultimo non vanta alcuna pretesa in ordine alle modalità di svolgimento delle diverse fasi della liquidazione, che risultano, quanto al loro cadenzarsi, invece integralmente rimesse alla attività dell'organo amministrativo. Nell'ipotesi in cui né gli altri soci, né i terzi, siano disponibili ad acquistare la partecipazione del socio receduto, l'art. 2473, comma 4, c.c. prevede che il rimborso della quota sia effettuato utilizzando riserve disponibili. Tale modalità di liquidazione della quota del socio uscente, persistendo il divieto per le società a responsabilità limitata di acquistare quote proprie ai sensi dell'art. 2474 c.c., determina l'annullamento contestuale della partecipazione rimborsata ed il conseguente accrescimento proporzionale delle quote detenute dagli altri soci (nello stesso senso F. Annunziata, Commento sub art. 2473, cit., 527; P. Revigliono, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Milano, 2008, 356 ss.). Qualora i soci o i terzi non siano interessati all'acquisto della partecipazione del socio uscente e la società non disponga di riserve disponibili, il rimborso è effettuato attraverso la riduzione del capitale sociale. Con riferimento a questa operazione, il quarto comma dell'art. 2473 c.c. ritiene applicabile quanto disposto dall'art. 2482 c.c., precisando altresì che l'accoglimento dell'opposizione dei creditori determina lo scioglimento della società. Se la diminuzione del capitale sociale non è possibile poiché lo stesso, per effetto di tale operazione, scenderebbe sotto il minimo legale - oppure se l'opposizione dei creditori sociali sia accolta, l'unico rimedio rimane lo scioglimento anticipato della società. Lo scioglimento e la conseguente liquidazione della compagine societaria rappresentano, quindi, l'ultima soluzione percorribile da parte degli amministratori una volta che siano risultati vani i tentativi di collocamento della partecipazione del socio receduto presso gli altri soci o presso i terzi e non sia stato possibile né il ricorso alle riserve disponibili, né procedere alla riduzione del capitale sociale o, perché, a seguito di tale operazione vi sia stata opposizione da parte dei creditori della società. In questa ottica, è stato osservato come l'interesse individuale del socio a contrattare la sua uscita dalla compagine societaria o ad impedire il compimento da parte della maggioranza di determinate operazioni prevalga rispetto all'interesse alla conservazione ed allo sviluppo dell'impresa ed alla tutela dei creditori sociali (V. Calandra Buonaura, Il recesso del socio di società di capitali, cit., 307). Per contro, non pare potersi escludere al rimedio estremo dello scioglimento anticipato della società un ruolo positivo; i soci, infatti, al fine di evitare tale soluzione potrebbero decidere di acquistare le quote del recedente o reperire soggetti terzi acquirenti senza alcun onere per la società e senza pregiudizio per i creditori.
Conclusioni
Il provvedimento del giudice del registro delle imprese di Roma oggetto di commento, a parere dello scrivente, non pare essere in linea con il disposto di cui al terzo comma dell'art. 2473 c.c. che parla di diritto dei soci di ottenere il “rimborso” della propria partecipazione. A ben vedere, l'interpretazione letterale della norma lascia sottintendere la legittimità della partecipazione degli amministratori all'atto di trasferimento delle quote. Più precisamente, la legittimazione ad intervenire all'atto di trasferimento spetterà alla società, in persona del legale rappresentante, in considerazione della perdita della disponibilità della quota da parte del socio recedente; a seguito dell'esercizio del diritto di recesso, infatti quest'ultimo perde lo status soci per diventare un creditore della società. La società (attraverso l'organo gestorio), pertanto, incamera nel proprio patrimonio il controvalore della partecipazione per poi procedere al rimborso dello stesso al socio uscente.
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