Codice Civile art. 2284 - Morte del socio.

Lorenzo Delli Priscoli
Francesca Rinaldi

Morte del socio.

[I]. Salvo contraria disposizione del contratto sociale [458; 2272 n. 5], in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi [2289], a meno che preferiscano sciogliere la società [2272 n. 3] ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.

Inquadramento

Nelle società di persone, data la rilevanza della persona del socio, in caso di sua morte l'erede non entra, salvo diverso accordo, nella compagine sociale, ma ha soltanto diritto alla liquidazione della quota: la morte del socio produce – con effetto immediato, anche nei confronti dei terzi che la ignorino senza colpa (Cass. I, n. 2987/1987) e salvo contraria disposizione del contratto sociale – lo scioglimento del rapporto tra il socio defunto e la società. I soci superstiti non sono quindi tenuti a subire il subingresso in società degli eredi del defunto: tale disciplina, secondo la Cassazione, non determina alcun contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. perché la diversità degli effetti giuridici rispetto agli eredi e ai soci superstiti è razionalmente giustificata dalla diversità delle situazioni poste a raffronto (Cass. I, n. 936/1981). Né, d'altro canto, essi acquisiscono la posizione del socio defunto nell'ambito della società, e non assumono perciò la qualità di soci, ma hanno soltanto il diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa, diritto che sorge indipendentemente dal fatto che la società continui o si sciolga: essi, pertanto, non sono legittimati a chiedere la liquidazione della società né possono vantare un diritto a partecipare alla procedura di liquidazione e pretendere una quota del netto ricavo della liquidazione del patrimonio sociale (Cass. I, n. 5809/2001).

La Cassazione ha inoltre puntualizzato che gli eredi non acquisiscono la posizione che il socio defunto aveva nell'ambito della società e non assumono perciò la qualità di soci, ma hanno soltanto il diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa. Tale diritto, ha precisato ulteriormente la Corte, sorge indipendentemente dal fatto che la società continui o si sciolga e la mancata liquidazione della quota rappresenta certamente un inadempimento dei soci superstiti, ma non determina, in mancanza di accordo, il subentro nella società dell'erede del socio (Cass. I, n. 6263/2005).

Diritti dei soci superstiti: a) liquidazione della quota

I soci superstiti possono liquidare agli eredi la quota corrispondente alla partecipazione del socio defunto, secondo quanto stabilito dall'art. 2289 c.c.: in tal caso, poiché l'evento della morte del socio porta alla cessazione della qualità di socio (la quale non si trasferisce pertanto agli eredi) e determina la trasformazione ope legis della quota, quale insieme di diritti sociali, nel corrispondente importo pecuniario, di cui diviene creditore l'erede e debitrice la società, deve escludersi che si verifichi un fenomeno di divisione, sia pure parziale, del patrimonio della società, appunto perché il diritto dell'erede ha per oggetto fin dal primo momento un importo pecuniario, corrispondente al valore della quota, mentre il patrimonio sociale rimane immutato, solo sorgendo a carico della società l'obbligo di corrispondere il valore della quota (Cass. I, n. 1850/1970, nella quale si precisa, inoltre, che l'operazione di liquidazione della quota già di pertinenza del socio defunto è solo un procedimento contabile conseguente al già verificatosi scioglimento della società relativamente al predetto socio defunto).

La natura pecuniaria del credito degli eredi alla quota di liquidazione è pacificamente riconosciuta: Cass. I, n. 5809/2001.

La domanda per la liquidazione della quota deve essere proposta dagli eredi nei confronti della società anche se di persone (attesane la indiscutibile qualità di soggetto di diritto, quantunque sfornito di personalità giuridica): in effetti, tale principio si applica anche al caso di azione promossa dall'ex socio per conseguire la quota di partecipazione ad utili inerenti ad operazioni in corso alla data di cessazione del singolo rapporto sociale, o che siano stati accertati dopo quella data, ma siano riferibili ad operazioni precedenti (Cass. I, n. 6376/2004).

Secondo la Cassazione, il diritto, riconosciuto agli eredi del socio di una società di persone dal combinato disposto degli artt. 2284 e 2289, primo comma, c.c. alla liquidazione della quota sociale già in titolarità del de cuius, ha natura analoga al diritto di credito che sarebbe spettato al socio stesso per l'ipotesi di recesso attuato prima della morte, sicché è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c., applicabile a tutti i diritti derivanti dal rapporto sociale, e non al più lungo termine, decennale, sancito dall'art. 2946 c.c., atteso il carattere speciale della prima di tali disposizioni, la cui ratio è quella di assicurare la certezza della definizione dei rapporti societari (Cass. I, n. 22574/2014).

Ritiene altresì la Cassazione che nella società personale di fatto, in caso di morte del socio l'art. 2284 c.c., richiamato dall'art. 2293 c.c., prevede che l'erede non entri, salvo diverso accordo, nella compagine sociale, ma abbia soltanto diritto alla liquidazione della quota, situazione peraltro che non lo priva dell'interesse a partecipare al giudizio volto a far accertare lo scioglimento della società, del quale il suo dante causa era parte, dal momento che l'eventuale mancanza del suo interesse attuale e concreto ad opporsi all'accertamento dello scioglimento della società, sebbene possa costituire motivo di cessazione della materia del contendere, lascia però sussistere il diritto alla verifica della soccombenza virtuale, al fine di non dover sopportare l'onere delle spese processuali (Cass. I, n. 30542/2011).

L'omessa citazione in appello degli eredi del socio accomandatario non è causa di nullità della sentenza, non ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra la società in accomandita semplice e gli eredi in parola. Difatti, questi ultimi hanno solo diritto alla liquidazione della quota, salvo diverso accordo con gli altri soci, poiché la morte del socio accomandatario non comporta lo scioglimento o l'estinzione della società, ma solo la trasmissione o la liquidazione della quota quale conseguenza dello scioglimento del rapporto tra il socio e l'ente, mentre sono i soci accomandanti a subentrare di diritto, ex art. 2322 c.c., nelle posizioni dei loro rispettivi danti causa (Cass. I, n. 24476/2011).

La Cassazione ha successivamente ribadito tale orientamento, affermando che la domanda di liquidazione della quota di una società di persone, formulata dagli eredi del socio defunto, fa valere un'obbligazione non degli altri soci ma della società medesima quale soggetto passivamente legittimato, potendosi altresì evocare in giudizio anche i soci superstiti, qualora siano solidalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, sebbene non siano litisconsorti necessari (Cass. I, n. 10332/2016). Peraltro la Suprema Corte, di recente, con riguardo ad una fattispecie in tema di società in nome collettivo, ha avuto modo di precisare che, in caso di domanda di liquidazione della quota da parte degli eredi del socio defunto ai sensi dell'art. 2284 c.c., il necessario contraddittorio nei confronti della società, titolare esclusiva della legittimazione passiva, può ritenersi regolarmente instaurato anche nel caso in cui sia convenuta in giudizio non la società, ma tutti i suoi soci, ove risulti accertato, attraverso l'interpretazione della domanda e con apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, che l'attore abbia proposto l'azione nei confronti della società per far valere il proprio credito vantato contro di essa (Cass. I n. 16556/2020).

Segue: b) scioglimento della società

I soci superstiti possono decidere lo scioglimento anticipato della società, anche se gli eredi del socio defunto intendano continuarla (Cass. I, n. 3869/1968).

In tal caso la legge non precisa quale sia la posizione degli eredi del socio defunto. Fermo restando che, essi non hanno diritto alla quota di liquidazione nel termine stabilito dall'art. 2289 c.c., è dubbio se tali soggetti subentrino automaticamente nella posizione del de cuius, partecipando alla liquidazione della società in condizioni di parità con i soci superstiti. La questione, in dottrina, è assai controversa (Campobasso, 210; Menghi, 551). Ammettere il subingresso automatico degli eredi nella posizione del de cuius durante le operazioni di liquidazione comporta inevitabilmente dei rischi per gli eredi: Campobasso rileva che, accettando questa impostazione, gli eredi vengono a rispondere delle obbligazioni sociali assunte durante le operazioni di liquidazione.

Segue: c) continuazione della società con gli eredi

I soci superstiti possono infine decidere di continuare la società con gli eredi del socio defunto.

La continuazione della società con gli eredi del socio defunto è però possibile soltanto se sia il risultato di un accordo tra questi ultimi e i soci superstiti (art. 2284 c.c.): infatti, l'intuitus personae, tipico della società di persone, non consente che entrino a far parte della società gli eredi del socio defunto senza il consenso dei soci superstiti e, d'altra parte, i poteri e le responsabilità che in questo tipo di società ineriscono alla partecipazione non consentono di prescindere dalla volontà degli eredi (Cass. I, n. 3104/1962). Può, infatti, reputarsi consolidato in giurisprudenza l'orientamento che ritiene valida è valida la clausola, contenuta nel contratto sociale, che attribuisca ai soci superstiti la facoltà di continuare la società con gli eredi del socio deceduto, così imponendo a questi ultimi, ove la facoltà sia esercitata, l'obbligo di proseguire l'attività sociale del loro dante causa, fermo restando che la continuazione della società da parte di questi ultimi non avviene "mortis causa", ma in virtù dell'accordo "inter vivos" intercorso con i soci superstiti, che può manifestarsi anche per il tramite di comportamenti concludenti (Cass. 6-2 n. 15686/2020).

Resta inteso che, se gli eredi sono minori di età sub potestate, la loro volontà deve essere espressa con l'intervento della persona investita per legge della patria potestà ed autorizzata all'uopo dal giudice tutelare (Cass. I, n. 2121/1960).

Secondo la giurisprudenza, inoltre, il consenso degli altri soci all’ingresso degli eredi del socio defunto in una società semplice può desumersi da fatti concludenti cioè dal comportamento tenuto dagli altri soci di acquiescenza ovvero non contestazione dei comportamenti degli eredi che agiscono come soci compiendo atti di gestione della società (i.e. il pagamento delle imposte) (Trib. Torino 29  ottobre 2020).

Società di due soci

La circostanza che la società sia di due soli soci non è di ostacolo all'applicazione dell'art. 2284 c.c.: questo perché lo scioglimento della società costituisce un momento successivo ed eventuale rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio defunto e trova causa, non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei mesi della mancanza della pluralità stessa (Cass. I, n. 8670/2000).

In tal senso è anche l'orientamento della Cassazione, a norma del quale l'art. 2284 c.c. trova applicazione in tutti i casi di morte di un socio e perciò anche quando la società sia di due soli soci; con la conseguenza che, anche in tale ipotesi, lo scioglimento del rapporto particolare del socio defunto si verifica alla data di morte, e gli eredi non sono ammessi a chiedere lo scioglimento della società e la sua messa in liquidazione, rientrando tale facoltà nell'esclusivo potere del socio superstite (Cass. I, n. 936/1981). Con tale decisione, la stessa Corte ha riconosciuto al socio superstite il diritto (potestativo) di optare, entro i sei mesi concessi dall'art. 2272, n. 4, c.c., per lo scioglimento della società, abbandonando il contrario avviso manifestato a tale riguardo con Cass. I, n. 1278/1974. Ma avverte che, se intende evitare la liquidazione della quota mediante lo scioglimento della società, il socio superstite non può intraprendere nuove attività, poiché in tal modo manifesterebbe per facta concludentia la volontà di non sciogliere la società, implicitamente rinunziando all'esempio del diritto potestativo riconosciutogli dall'art. 2284 c.c.

Regime convenzionale: clausole di consolidazione e di continuazione

L'art. 2284 c.c. fa salve le diverse disposizioni del contratto sociale.

Al riguardo vanno ricordate, in primo luogo, le c.d. clausole di consolidazione, con le quali si stabilisce che la quota del socio defunto è acquisita ai soci superstiti. Tali clausole sono riconosciute legittime (Cass. I, n. 1622/1967), sempre che non escludano ogni attribuzione patrimoniale in favore degli eredi, poiché in tal modo esse comporterebbero una inammissibile lesione della libertà testamentaria (Cass. I, n. 1434/1975).

Le clausole che prevedono la continuazione della società con gli eredi (c.d. clausole di continuazione) possono essere facoltative (quando vincolano solo i soci superstiti e non anche gli eredi, che restano cosí liberi di subentrare, o meno, nella società), obbligatorie (se vincolano sia i soci superstiti che gli eredi), automatiche (dette anche di successione), se prevedono il subingresso automatico degli eredi nella società. Dubbi sono stati manifestati in dottrina circa la compatibilità delle clausole di continuazione obbligatoria e automatica con i principî del nostro diritto successorio (Campobasso, 111) ma essi non sono però condivisi dalla giurisprudenza che si è reiteratamente pronunciata per la validità delle stesse clausole di successione (Cass. I, n. 2815/1976).

Questo perché si è ritenuto – da un lato – che la clausola, contenuta nell'atto costitutivo o nello statuto di una società, con cui si stabilisce che in caso di decesso di un socio, la società continui automaticamente con gli eredi del socio defunto, non opera automaticamente nei confronti dell'erede designato, ma richiede pur sempre l'accettazione dell'eredità devoluta, nella quale sono comprese le quote sociali quale bene patrimoniale del socio defunto e che, pertanto, l'acquisto delle quote si verifica per successione ereditaria e non iure proprio per effetto del patto sociale (Cass. I, n. 1311/1968); dall'altro, che l'erede può accettare l'eredità con beneficio d'inventario, senza che ciò contrasti con la sua responsabilità illimitata come socio, poiché tale responsabilità riguarda le obbligazioni che egli assumerà come socio e di cui dovrà rispondere con l'intero suo patrimonio mentre il beneficio d'inventario comporta solo che egli risponda delle obbligazioni del defunto nei limiti del valore dell'eredità (Cass. I, n. 2815/1976).

Bibliografia

G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; Menghi, Liquidazione di società personale e morte del socio, in Giur. comm. 1985, II.

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