Codice Civile art. 2286 - Esclusione.Esclusione. [I]. L'esclusione di un socio può avere luogo per gravi inadempienze [24 3, 1455] delle obbligazioni che derivano dalla legge [1374] o dal contratto sociale [2301, 2320], nonché per l'interdizione, l'inabilitazione del socio [208 2 trans.] o per la sua condanna ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici [2287]. [II]. Il socio che ha conferito nella società la propria opera o il godimento di una cosa può altresì essere escluso per la sopravvenuta inidoneità a svolgere l'opera conferita o per il perimento della cosa dovuto a causa non imputabile agli amministratori. [III]. Parimenti può essere escluso il socio che si è obbligato con il conferimento a trasferire la proprietà di una cosa, se questa è perita prima che la proprietà sia acquistata alla società [1465]. InquadramentoIl principio secondo il quale i rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale (risoluzione del contratto, exceptio inadimpleti contractus ecc.) non sono utilizzabili nel diverso ambito dei contratti societari (per essere questi ultimi caratterizzati non già dalla corrispettività delle prestazioni dei soci, bensì dalla comunione di scopo, sicché i rimedi invocabili sono quelli del recesso e dell'esclusione del socio) non si applica alle società cooperative, nelle quali il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e società si palesa ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all'organizzazione della vita sociale ed è caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo. In particolare, nell'ambito delle cooperative edilizie, un tale rapporto economico- giuridico, distinto da quello sociale, instaurandosi tra società e socio prenotatario a seguito dell'attribuzione dell'unità immobiliare costruita, caratterizza l'attribuzione come atto traslativo della proprietà a titolo oneroso, per cui riprendono vigore i rimedi generali volti a mantenere o ristabilire l'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni (Cass. I, n. 26222/2014). Nelle società in accomandita semplice, il socio accomandante può far valere il suo interesse al potenziamento ed alla conservazione del patrimonio sociale esclusivamente con strumenti interni, quali l'azione di responsabilità contro il socio accomandatario, la richiesta di estromissione di quest'ultimo per gravi inadempienze, l'impugnativa del rendiconto, o la revoca per giusta causa dell'amministratore, mentre non è legittimato ad agire nei confronti dei terzi per far annullare o dichiarare nulli i negozi intercorsi fra questi ultimi e la società, non sussistendo un interesse proprio del socio accomandante, autonomo e distinto rispetto a quello della società (Cass. I, n. 17691/2016). La Cassazione, dopo essersi in un primo tempo pronunciata in senso negativo (Cass. I, n. 3982/1980; in senso contrario Di Chio, 241) ha successivamente riconosciuto che il socio può essere escluso anche dopo, osservando che consentire che un socio, il quale si sia macchiato di gravi inadempienze, sia ammesso a partecipare alla vita sociale, sarebbe non solo «irragionevole, ma altresì contrario ai principî che reggono l'esecuzione del contratto di società, il quale dà vita alla costituzione di una comunione di interessi, la cui esistenza, se giustifica la subordinazione dell'interesse del singolo socio a quello della maggioranza, certamente esclude che possano essere assunti legittimamente (e, quindi, senza alcuna conseguenza sul piano giuridico) comportamenti in danno degli altri soci o della società nel suo complesso» (Cass. I, n. 6410/1996). Risoluzione per inadempimento: inapplicabilitàÈ pacifico che le norme che disciplinano la risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive non siano applicabili al contratto di società, che ha una diversa natura e la cui disciplina prevede specifici rimedi contro l'inadempimento dei soci (Cass. I, n. 498/1961). Al contratto di società non sono quindi applicabili né la disciplina del termine né quella della diffida ad adempiere e, in genere, le norme che regolano la risoluzione per inadempimento dei contratti con prestazioni corrispettive: la esclusione dalla società ha una propria disciplina, in parte antitetica con la risoluzione, per modo che le norme relative a questa non possono applicarsi a quella, dovendo l'esclusione considerarsi come un caso di scioglimento del rapporto sociale, anche limitatamente a un socio, e non come risoluzione, e trovando luogo – al riguardo – soltanto la disciplina che regola la particolare materia (Cass. I, n. 2603/1958). Non sussiste tuttavia ultrapetizione se, avendo la parte chiesta la risoluzione del contratto di società per inadempimento dell'unico altro socio, il giudice, ritenendo inapplicabile, in quanto previsto per i soli contratti a prestazioni corrispettive, il rimedio della risoluzione ex art. 1453 c.c., accolga la domanda in applicazione dell'art. 2286 c.c., disponendo lo scioglimento del rapporto solo rispetto al socio inadempiente (Cass. I, n. 1696/1973). Esclusione per «gravi inadempienze»: a) generalitàSecondo la Cassazione la gravità delle inadempienze del socio che, ai sensi dell'art. 2286 c.c., può giustificare l'esclusione dello stesso dalla società ricorre non soltanto quando le dette inadempienze siano tali da impedire del tutto il raggiungimento dello scopo sociale, ma anche quando – in qualsiasi tempo siano intervenute durante la vita della società – esse, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del merito, abbiano inciso negativamente sulla situazione economica dell'ente, rendendone meno agevole il perseguimento dei fini (Cass. I, n. 6200/1991). In precedenza la stessa Corte aveva statuito che, ai fini dell'esclusione del socio da parte della maggioranza, non è necessario che le gravi inadempienze del socio da escludere concretino la violazione di un diritto preesistente della società o abbiano già arrecato un danno alla stessa, ma è sufficiente che le inadempienze costituiscano un grave ostacolo al raggiungimento dei fini sociali e possano incidere negativamente sull'economia dell'impresa (Cass. I, n. 2307/1953). Non può essere sindacata dal giudice l'opportunità della esclusione, la cui valutazione è rimessa all'apprezzamento discrezionale degli altri soci (Cass. I, n. 8695/1991). L'accoglimento dell'opposizione comporta l'annullamento della delibera di esclusione e la reintegrazione, con effetto retroattivo, del socio escluso nella compagine sociale (Cass. I, n. 16150/2000; nello stesso senso, in dottrina Campobasso, 115). Segue: b) fattispecie particolariIn concreto, ipotesi di «inadempienze» idonee a giustificare l'esclusione sono state ravvisate: - nell'assunzione di obbligazioni «in nome e per conto della società senza averne i poteri», sul rilievo che, pur non essendo la società tenuta ad adempiere le obbligazioni assunte dallo pseudo-rappresentante, tuttavia, il fatto di apparire inadempiente e di essere soggetta ad inviti o ad intimazioni di pagamento degli asseriti creditori genera un discredito nell'ambiente in cui la società stessa opera (Cass. I, n. 2380/1960); - nella mancata esecuzione del conferimento determinato nel contratto sociale, fermo restando che l'inadempimento deve essere «grave» (Cass. I, n. 2099/1970); - nel comportamento ostruzionistico del socio, il quale nei rapporti con i terzi (nella specie con l'invio alle banche di una lettera) disconosca in toto l'operato dei soci amministratori, incidendo così negativamente sulle attività della società (Cass. I, n. 4018/1992). È ormai pacifico che il principio di buona fede enunciato dall'art. 1375 c.c. – il quale, a differenza di quello previsto dall'art. 1366 c.c. che opera solo sul piano interpretativo, si configura come fattore di integrazione del contratto, concorrendo a determinarne gli effetti anche «al di là» e «contro» le specifiche previsioni contrattuali: Cass.S.U., n. 23726/2007 – è applicabile anche al contratto di società. Intervenendo in materia, la Cassazione ha escluso che l'obbligo di buona fede nell'adempimento delle obbligazioni che derivano dal contratto di società comporti la preventiva rinuncia del socio ad avvalersi dei suoi diritti e facoltà, anche derivanti da rapporti estranei al contratto sociale, ogni qual volta essi possano in ipotesi rivelarsi lesivi dell'interesse della società; ed ha conseguentemente negato che l'esercizio di tali facoltà e diritti – a meno che non si configurino come «abusivi», perché contrari a buona fede – possa giustificare l'esclusione del socio dalla società (Cass. I, n. 29776/2008). È stato coerentemente deciso che la deliberazione di esclusione del socio per morosità, nonostante la richiesta, da parte di quest'ultimo, di chiarimenti e la manifestata disponibilità a pagare la somma richiesta, una volta accertatane la motivazione, costituisce reazione sproporzionata e lesiva del criterio della buona fede oggettiva (Cass. I, n. 22097/2013). L'assunzione della qualità di socio e l'obbligo di buona fede nell'adempimento delle obbligazioni, che discendono dal contratto di società, non comportano la rinuncia del medesimo ad avvalersi dei suoi diritti e facoltà, anche derivanti da rapporti estranei al contratto sociale e se pure essi possano, in ipotesi, rivelarsi lesivi dell'interesse della società; pertanto, l'esercizio di tali facoltà e diritti, ove non sia allegato l'abuso del diritto, non può giustificare l'esclusione del socio stesso dalla società. (Cass. I, n. 13642/2013 così statuendo, la Cassazione ha confermato la sentenza impugnata che, negando la sussistenza di un divieto di concorrenza ex art. 2301 c.c. e di un divieto statutario di sostituzione del socio d'opera, aveva giudicato nulla la deliberazione di esclusione del resistente, cui era stato ascritto di aver reiteratamente lavorato al di fuori della società e di essersi fatto sostituire dal padre, remunerandolo, per l'attività manuale rientrante tra i suoi compiti, rendendosi, altresì irreperibile per dodici giorni consecutivi). La messa in liquidazione della società di persone non osta all'applicazione dell'art. 2286 c.c., atteso che lo scioglimento della società determina soltanto il passaggio ad una nuova fase, nella quale la società permane come gruppo organizzato e i soci continuano ad essere titolari di diritti e obblighi, sicché i comportamenti di un socio in danno degli altri o della società nel suo complesso non possono restare, neppure in questa fase, privi di effetti giuridici, ai sensi e per gli effetti della citata disposizione codicistica. Ne consegue che il socio, colpevole di gravi inadempienze delle obbligazioni derivanti dalla legge o dal contratto sociale, può, anche durante lo stato di liquidazione, essere escluso dalla compagine, non rilevando, in senso contrario, la disposizione dell'art. 2270, comma 2, c.c., che unicamente sancisce l'impossibilità per il creditore particolare del socio di ottenere la liquidazione della quota del suo debitore una volta deliberato lo scioglimento della società (Cass. I, n. 8860/2012). Segue: c) socio amministratoreIn linea di principio, le inadempienze relative all'attività di amministratore non possono essere poste a base della deliberazione di esclusione del socio, ma possono semplicemente determinare la revoca del mandato ad amministrare (Cass. I, n. 1204/1958). Tuttavia al di fuori e indipendentemente dagli obblighi che l'amministratore socio incontra per il mandato a lui affidato, vi è un obbligo fondamentale che deriva dalla sua qualità stessa di socio, ed è quello di non compiere atti i quali siano in contrasto con i fini della società e minino la compagine di questa: ove ciò si verifichi, l'amministratore può incorrere, oltre che nella revoca del mandato, nella esclusione da socio, a norma dell'art. 2286 c.c., ma non è possibile ricondurre sotto l'ambito di tale norma ogni eccesso dal mandato, se non si dimostri che nello sconfinare dai limiti di questo il socio amministratore abbia svolto un'attività che fosse di per sé in contrasto appunto con i fini sociali e costituisse in altri termini un'opera di vero e proprio sabotaggio, in tale caso soltanto venendo a concretarsi quella violazione di doveri per cui può farsi luogo alla sanzione prevista dal cit. art. 2286 c.c. (Cass. I, n. 103/1956). Pertanto, l'esclusione del socio non costituisce una conseguenza automatica della revoca dello stesso dalla carica di amministratore ai sensi dell'art. 2259 c.c. Muovendo da questa premessa, si è deciso che il socio-amministratore di una società di persone, il quale si appropri degli utili, compie un atto in contrasto non soltanto con i doveri inerenti al mandato conferitogli, ma anche con gli obblighi a lui derivanti dalla qualità di socio, tenuto conto della funzione del patto sociale, il quale tende, attraverso i conferimenti e l'esercizio in comune di un'attività economica, proprio al conseguimento ed alla divisione degli utili (Cass. I, n. 710/1980). Esclusione del socio interdettoLa Cassazione ha statuito che nella società di persone, la facoltà di escludere il socio interdetto non è suscettibile di prescrizione fintantoché perduri lo stato di interdizione e, quindi, a prescindere dal tempo trascorso dalla pronuncia dell'interdizione medesima (Cass. I, n. 345/1976). Conferimento della propria opera o di cose in godimentoL'ipotesi di esclusione dalla società, prevista dal comma 2 dell'art. 2286 c.c. per la sopravvenuta inidoneità del socio che ha conferito la propria opera a svolgerla, presuppone la presenza di cause oggettive che precludanoin via definitivala prestazione dell'opera personale del socio e prescinde dalla imputabilità dell'inadempimento, che invece caratterizza l'ipotesi di esclusione (per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale) prevista dal comma precedente (Cass. I, n. 6200/1991). Con tale decisione i giudizi di legittimità hanno ulteriormente osservato che al socio che per sua colpa abbia solo temporaneamente omesso la prestazione della propria opera personale nella società, cui sia obbligato in base alle norme statutarie, è applicabile la disposizione del comma 1 dell'articolo citato e che pertanto egli può essere escluso dalla società qualora il suo inadempimento, pur sfornito del carattere della definitività, risulti grave. Con una precedente decisione la stessa Corte aveva statuito che l'art. 2286, comma 2, c.c. riguarda il socio che abbia conferito nella società o solo il godimento della cosa o solo l'opera; e che ove il socio abbia conferito ambedue gli elementi, il venir meno di uno solo di essi (nella specie: idoneità alla prestazione) non può giustificare una deliberazione di esclusione, rimanendo a legittimare lo stato di socio la permanenza dell'altro elemento (conferimento della cosa: Cass. I, n. 1204/1958). BibliografiaG.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; Di Chio, Sulla possibilità di escludere un socio di una società di persone durante lo stato di liquidazione, in Giur. comm. 1981, II, 241; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016. |