Codice Civile art. 2272 - Cause di scioglimento.Cause di scioglimento. [I]. La società si scioglie: 1) per il decorso del termine [2285]; 2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo [27]; 3) per la volontà di tutti i soci [1372, 2252]; 4) quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita [2323]; 5) per le altre cause previste dal contratto sociale [2284] 5-bis) per l'apertura della procedura di liquidazione controllata1. [1] Numero aggiunto dall'art. 382, comma 1, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, come modificato dall'art. 39, comma 2, d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147. V. anche l'art. 42 , comma 1, d.lgs. n. 147, cit., che così dispone: « Il presente decreto entra in vigore alla data di cui all'articolo 389, comma 1, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, ad eccezione delle disposizioni di cui agli articoli 37, commi 1 e 2, e 40.». Ai sensi dell'art. 389, comma 1, d.lgs. n. 14, cit., come sostituito dall'art. 5, comma 1, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv., con modif., in l. 5 giugno 2020, n. 40, dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 24 agosto 2021, n. 118, conv., con modif., in l. 21 ottobre 2021, n. 147 e, da ultimo, sostituito dall’art. 42, comma 1, lett. a), d.l. 30 aprile 2022, n. 36, conv. con modif. in l. 29 giugno 2022, n. 79, la presente disposizione entra in vigore il 15 luglio 2022, salvo quanto previsto al comma 2 del citato decreto. Inquadramento
L'art. 2272 - applicabile anche alla s.n.c. ed alla s.a.s., per le quali ulteriori disposizioni sono previste agli artt. 2308 e 2323 c.c. – individua le cause di scioglimento delle società di persone. Secondo la dottrina le cause di scioglimento delle società di persone non sono a numero chiuso (Buonocore, 403). Contrariamente al previgente art. 189 Cod. Comm. del 1882, la cui elencazione si reputava tassativa, l'art. 2272 c.c. consente, infatti, espressamente ai soci di introdurre ulteriori ipotesi di scioglimento rispetto a quelle di legge. Si ritiene, tuttavia, che i soci non possano eliminare una causa di scioglimento prevista dal disposto dell'art. 2272 c.c. (Franchi, 1972).
La causa di scioglimento del contratto sociale, quando sia constatato il suo verificarsi, è immediatamente operativa (Cass. I, n. 6/1963) e ogni socio può agire giudizialmente per il suo accertamento (Cass. I, n. 8001/1990). L'accertamento di una causa di scioglimento di una società di persone, in caso di contestazione tra i soci, è devoluta alla competenza dell'autorità giudiziaria in sede contenziosa: qualora sia stata proposta da uno dei soci di una società di persone un'azione diretta all'accertamento dell'estinzione o dello scioglimento della società e della sua messa in liquidazione, i suoi eredi sono legittimati a proseguire il giudizio, sia per quanto attiene le azioni di accertamento, che per quel che concerne la eventuale azione di risarcimento del danno, poiché, salva l'ipotesi di intrasmissibilità del diritto, che determina la cessazione della materia del contendere, la morte della parte determina la successione universale anche in ordine ai rapporti processuali a norma dell'art. 110 c.p.c. (Cass. I, n. 5526/1979). La stessa Corte ha poi deciso che il giudice non può pronunciare lo scioglimento della società per una «causa» diversa da quella fatta valere dalle parti (Cass. I, n. 5526/1979). Qualora, a seguito di appello proposto da una società operativa, dopo l'udienza di prima comparizione la causa sia stata rinviata ex art. 348, comma 2, c.p.c. e in tale nuova udienza abbia depositato un atto erroneamente qualificato di «intervento» la stessa società in liquidazione, sebbene in persona di un diverso legale rappresentante e costituendosi con il patrocinio di un nuovo difensore, l'appello non può essere dichiarato improcedibile sul presupposto che sia comparso un soggetto diverso da quello originariamente costituito, rimasto nuovamente assente. Invero, come si evince dall'art. 2272 c.c. per le società di persone e dall'art. 2448 c.c. per le società di capitali, lo scioglimento della compagine sociale al verificarsi di determinati eventi comporta unicamente un mutamento dei fini sociali e la nomina del liquidatore, senza che la messa in liquidazione determini la sostituzione di un soggetto di diritto ad un altro, così come dimostrato altresì, per le società di capitali, dall'art. 2487-bis, comma 2, c.c., che impone unicamente l'aggiunta della locuzione «in liquidazione» alla denominazione sociale, ai soli fini di informazione e non decettività a tutela dei terzi (Cass. I, n. 24045/2015). La società infatti rileva sul piano giuridico non solo come contratto, ma anche come forma di organizzazione di un'attività economica da svolgere nei confronti di altri soggetti e, proprio per questo, il suo scioglimento non fa venir meno la forza vincolante dell'atto dal quale la società ha avuto origine, ma segna l'inizio di una nuova fase (la liquidazione), destinata a definire i molteplici rapporti derivati dall'esercizio dell'attività programmata e a ripartire l'eventuale residuo attivo tra i soci. La società, infatti, «benché sciolta, ... permane come gruppo organizzato e i soci continuano ad essere titolari di diritti e di obblighi» (Cass. I, n. 6410/1996). È quindi pacifico che lo scioglimento del vincolo sociale non comporta, di per sé, l'estinzione della società (Cass. I, n. 12553/2004), neppure quando lo scioglimento sia deliberato con esclusione della fase di liquidazione, come è possibile quando manchi un attivo da liquidare (Cass. I, n. 9318/1990). Conforme è l'orientamento della dottrina: in tal senso, Ferri, 204; Campobasso, 119. Operatività delle cause di scioglimento: effetti.Da ciò la conseguenza che i soci o i loro eredi non possono agire in nome proprio a tutela dei diritti che spettano alla società sciolta ma non ancora estinta (Cass. I, n. 1902/1980); questo perché dallo scioglimento della società non deriva la comunione dei beni sociali, ma la liquidazione della società, la quale conserva durante tale fase la stessa autonomia patrimoniale che aveva prima dello scioglimento (Cass. I, n. 6410/1996). In altre parole, la società «dopo il suo scioglimento per qualsiasi causa, non rappresenta nella fase di liquidazione un ente diverso da quello originario, dato che continua ad esistere con la stessa individualità, struttura ed organizzazione di prima, ma con una ristretta capacità, per la modificazione dello scopo, che non è più quello dell'esercizio dell'impresa, bensí quello della liquidazione attraverso la definizione dei rapporti di credito e di debito verso i terzi» (Cass. I, n. 365/1974). Appunto per questo si è deciso che: - non costituisce causa d'interruzione del processo la messa in liquidazione della società (Cass. I, n. 299/1961); - la procura alle liti, conferita dal legale rappresentante della società, non perde la sua validità se, nelle more della notifica dell'atto di citazione, la società è stata posta in liquidazione e la persona del rappresentante è stata sostituita da quella del liquidatore, essendo tale procura imputabile, non già al rappresentante, bensì alla società, che nella fase di liquidazione, pur nel variare delle persone fisiche investite del potere di rappresentarla, permane identica con la propria struttura ed organizzazione allo scopo della liquidazione del patrimonio sociale (Cass. I, n. 6026/1988). Secondo la giurisprudenza la società cessa di esistere solo quando sono definiti ed estinti tutti i rapporti giuridici derivanti dalla nascita e dallo svolgimento del rapporto sociale (Cass. I, n. 12553/2004). Estinzione della societàL'estinzione della società semplice presuppone la chiusura delle operazioni di liquidazione e l'approvazione del bilancio finale ma si verifica solo in quanto la situazione apparente o presuntiva risponda alla realtà di fatto dell'effettiva cessazione di tutti i rapporti derivanti dall'attività della società od a questa connessi. Soltanto in quest'ultimo caso, infatti, l'ente collettivo può ritenersi effettivamente dissolto: in caso diverso, e cioè se nonostante le operazioni di liquidazione sopravvivano ancora rapporti di credito e di debito da definirsi con i terzi, e se, in particolare, siano ancora pendenti contestazioni giudiziali con uno o più creditori o debitori della società, questa non si estingue (Cass. I, n. 1335/1978). Ne consegue che, verificatosi lo scioglimento di una società per il venir meno, a causa della morte di uno dei due soci, della pluralità (non ricostituita) degli stessi, il socio superstite conserva tale qualità (senza che rilevi in contrario la circostanza che gli sia inibito il recesso) ed è, pertanto, assoggettabile a fallimento unitamente alla società (Cass. I, n. 18600/2008). Peraltro, la S.C.a ha ormai chiarito che qualche differenza esiste tra estinzione delle società di capitali (per le quali v. l'art. 2495, comma 2, c.c.) ed estinzione delle società di persone: infatti, mentre la cancellazione dal registro delle imprese comporta l'estinzione immediata delle società di capitali, ove la cancellazione riguardi le società di persone essa ha natura dichiarativa, e, peraltro, consente di presumere il venir meno della loro capacità e soggettività (Cass.S.U., n. 6070/2013; e v. es. Cass. V, n. 31037/2017). Le posizioni della dottrina sono più articolate: favorevoli all'orientamento della giurisprudenza sono Cottino, 264; Di Sabato, 104; contrari Ferri, 342; Galgano, 294; Campobasso, 124. Il liquidatore della società è vincolato dalla clausola arbitrale contenuta nello statuto, in quanto lo scioglimento della società non produce la sua estinzione ma il mutamento del suo scopo e non importa l'inefficacia delle clausole contenute nello statuto sociale, salvo l'intervento di una nuova volontà collettiva modificativa del contratto originario (Cass. I, n. 11658/2007). Secondo la disciplina originaria del codice, le società semplici erano sottratte al sistema di pubblicità legale basato sull'iscrizione nel registro delle imprese previsto, invece, per le società in nome collettivo e in accomandita semplice. Per tale ragione, la dottrina contraria all'orientamento seguito dalla giurisprudenza affermava che il momento estintivo, rispetto alla società semplice, dovesse essere individuato nella chiusura delle operazioni di liquidazione (Campobasso, 124). Tale sistema è stato parzialmente modificato, in quanto il legislatore ha previsto, in alcune ipotesi, l'iscrizione obbligatoria semplice della società semplice nel registro delle imprese, con gli effetti stabiliti dall'art. 2193 c.c. e dovrebbe pertanto ritenersi che, in tali casi, l'estinzione sia ricollegata, come per le altre società, ad un dato formale, costituito dalla cancellazione dal registro delle imprese (Fimmanò, 293). Eliminazione delle cause di scioglimento e revoca della liquidazioneLa società, al verificarsi di una causa di scioglimento, non si estingue ma entra automaticamente e quindi, a prescindere da un eventuale accertamento giudiziale ovvero ad una manifestazione di volontà dei soci, nel c.d. stato di liquidazione. I soci, tuttavia, possono evitare l’estinzione della società deliberando la revoca dello stato di liquidazione in modo da far cessare con l’effetto ex nunc il procedimento di liquidazione (Franchi, 1976 ss.; Campobasso, 121; Di Sabato, 166). È, tuttavia, discusso se la delibera di revoca dello stato di liquidazione debba essere presa all’unanimità ovvero se possa essere raggiunta a maggioranza dei soci. In dottrina, si osserva, infatti, che solo la regola dell’unanimità può tutelare i diritti particolari dei soci nel caso di revoca dello stato di liquidazione. Nella specie si evidenzia che la regola dell’unanimità risulta coerente con il disposto dell’art. 2487 ter c.c. in tema di revoca dello stato di liquidazione di s.p.a. che, assieme alla regola della maggioranza, stabilisce espressamente il diritto dei soci di tutelare la propria posizione individuale mediante il recesso. E ciò perché l’utilizzabilità del recesso in caso di revoca dello stato di liquidazione di società di persone risulta difficilmente ipotizzabile nel contesto personalistico ove lo stesso è possibile solo in presenza della “giusta causa” (art. 2285 c.c.) (Franchi 1978 ss.). La giurisprudenza ammette che, una volta verificatasi la causa di scioglimento, i soci possono, all’unanimità, eliminarne gli effetti, revocando la liquidazione in corso (Cass. I, n. 1849/1968; Trib. Napoli 12 maggio 1993 e Trib. Nola, 5 gennaio 2016 , n. 11). La giurisprudenza di merito più recente, tuttavia, ha ritenuto legittima la deliberazione di revoca dello stato di liquidazione della società di persone presa a maggioranza e non all’unanimità. Invero, secondo Trib. Vasto, 17 luglio 2020, poiché il disposto normativo dell'art. 2252 c.c. permette che l'atto costitutivo della società deroghi al principio unanimistico, prevedendo che le modifiche del contratto sociale possano essere deliberate anche a maggioranza dei consensi dei soci, deve ritenersi che, ove i soci abbiano previsto che le modifiche del contratto sociale possano essere prese anche solo a maggioranza, essi abbiano inteso applicare tale regola anche per la revoca dello stato di liquidazione, delegando alla maggioranza il potere di decidere anche su tale operazione, così disponendo ex ante di un loro diritto, che è sicuramente disponibile. Concorrenza di cause di scioglimento della società e del singolo rapporto socialeLa Cassazione, muovendo dell'assunto che, una volta verificatasi una causa di scioglimento della società, i soci non sono più tali e non è quindi possibile ammettere che essi possano perdere tale qualità per il verificarsi d'eventi successivi, aveva deciso che nelle società di persone non potesse farsi luogo all'esclusione di un socio dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società (Cass. I, n. 3982/1980). Successivamente però la Cassazione ha modificato il proprio orientamento, muovendo dalla diversa considerazione che, per il rilievo dell'elemento organizzativo, il sopravvenire di una causa di scioglimento non fa venir meno la forza vincolante dell'atto dal quale la società ha avuto origine, ma segna l'inizio di una nuova fase (la liquidazione), destinata a definire i molteplici rapporti derivati dall'esercizio dell'attività sociale e a ripartire l'eventuale residuo attivo tra i soci (Cass. I, n. 6410/1996). Con tale sentenza è stata ritenuta, infatti, possibile l'esclusione di un socio dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società, osservando che la contraria opinione non può giovarsi di quanto stabilito dall'art. 2270, secondo comma, c.c., posto che il principio desumibile da tale disposizione non è quello della prevalenza delle cause di scioglimento della società rispetto allo scioglimento del singolo rapporto sociale, ma quello – ben diverso – della impossibilità di ottenere, dopo lo scioglimento della società, la liquidazione della quota: principio che costituisce il necessario corollario dell'altro, che vieta di effettuare riparti o rimborsi in favore dei soci prima della estinzione delle passività sociali (artt. 2280,2282 c.c.), e che non vi è nessuna difficoltà a ritenere operante anche rispetto alle cause di scioglimento del singolo rapporto sociale quando esse sopravvengano durante la liquidazione della società. Del resto, si è aggiunto, ammettere che un socio, il quale si sia macchiato di gravi inadempienze, debba essere ammesso a partecipare alla vita della società, sarebbe non solo irragionevole, ma altresì contrario ai principî che reggono l'esecuzione del contratto di società, il quale dà vita alla costituzione di una comunione di interessi, la cui esistenza, se giustifica la subordinazione dell'interesse del singolo socio a quello della maggioranza, certamente esclude che possano essere assunti legittimamente (e, quindi, senza alcuna conseguenza sul piano giuridico) comportamenti in danno degli altri soci o della società nel suo complesso. In senso conforme: Cass. I, n. 11185/2001; contra, tuttavia, App. Milano 17 gennaio 2003. Impossibilità di conseguire l'oggetto socialeL'art. 2272, n. 2, c.c. stabilisce che la società si scioglie «per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo». L'individuazione di queste cause di scioglimento presuppone che l'oggetto sociale sia ben determinato e determinabile, perché in caso contrario «non potrà mai parlarsi di raggiungimento dell'oggetto sociale... ma soltanto di convenienza, opportunità, utilità... a continuare a svolgere quella determinata attività sociale che rientra nell'oggetto previsto dall'atto costitutivo» (Ghidini, 788). È pacifico che l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale può costituire causa legittima di scioglimento della società (solo) quando rivesta caratteri di assolutezza e definitività tali da rendere inutile ed improduttiva la permanenza del vincolo sociale (Cass. I, n. 4683/1981) e che, quindi, non sussiste causa di scioglimento per sopravvenuta impossibilità di conseguire l'oggetto sociale, quando l'impossibilità sia temporanea e non anche definitiva; l'accertamento in concreto dei caratteri di definitività e d'assolutezza dell'impedimento al conseguimento dell'oggetto sociale cui consegue la dissoluzione del rapporto sociale, si risolve in giudizio di fatto istituzionalmente riservato ai giudici di merito (Cass. I, n. 4683/1981). Se, poi, l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale è originaria la conseguenza è la nullità del contratto (Cass. I, n. 2076/1974). Il dissidio tra sociLa Cassazione ha puntualizzato che il contrasto inconciliabile fra i soci di una società personale, benché non espressamente previsto dall'art. 2272 c.c. tra le cause di scioglimento della società, può assumere rilevanza a tal fine ove si risolva in un ostacolo al conseguimento dell'oggetto sociale (Cass. I, n. 18243/2004). La Cassazione ha ribadito tale orientamento, precisando che, se è indubitabile che l'impossibilità prevista da tale disposizione non deve corrispondere necessariamente a quella richiesta ai fini della liberazione del debitore (art. 1256 c.c.), dal momento che in questo caso non viene in considerazione l'adempimento di una obbligazione, ma la realizzazione di obbiettivi economici da valutare in un quadro di opportunità aziendali e di mercato, non può non riconoscersi «che l'incidenza di tale evento sulla gestione dell'impresa deve essere idonea a rendere obbiettivamente non più conveniente la continuazione dell'attività sociale e conseguentemente inutile e improduttiva la permanenza del vincolo sociale» (Cass. I, n. 6410/1996). Perché si determini una situazione siffatta è necessario che il conflitto siainsanabile. E tale non potrebbe essere considerato quello causato da «gravi inadempienze» di uno dei soci, dal momento che in detta ipotesi i contrasti tra i soci possono essere eliminati estromettendo quello inadempiente a norma dell'art. 2286 c.c.: pertanto, quando la causa del dissidio è imputabile a uno dei soci, sulla domanda di scioglimento prevale quella di esclusione proposta nei confronti del socio cui la causa del dissidio sia imputabile (Cass. I, n. 6410/1996). Resta poi inteso che la declaratoria di scioglimento può essere domandata in giudizio da ciascuno dei soci, indipendentemente dalla sua eventuale responsabilità circa le cause del dissidio stesso, questo essendo rilevante, ai fini dello scioglimento, nella sua obiettività, salvo alla parte convenuta il potere di paralizzare la domanda proponendo a sua volta domanda di esclusione contro l'attore e dimostrando che la causa del dissidio è imputabile esclusivamente a lui (Cass. I, n. 3779/1983). Il riconoscimento della operatività delle cause di scioglimento del singolo rapporto sociale pur in presenza di una causa di scioglimento della società porta a ritenere che in una società composta solo da due soci, lo scioglimento della società per insanabile dissidio tra i soci può essere pronunciato solo ove non ricorrano i presupposti per l'esclusione (Cass. I, n. 6410/1996). Volontà dei sociL'art. 2272, n. 3, c.c., stabilisce che la società si scioglie «per la volontà di tutti i soci». Si è tuttavia puntualizzato, argomentando dall'art. 2252 c.c., che tale disposizione è derogabile per volontà delle parti e che è, pertanto, valido il patto sociale che consenta lo scioglimento della società per volontà della maggioranza dei soci; naturalmente, poiché la legge non prescrive alcuna forma di esteriorizzazione, la volontà di scioglimento di una società di persone può essere manifestata efficacemente anche verbalmente o per fatti concludenti, realizzando una deliberazione implicita (Di Sabato, 345; Ferri, 657). La clausola dell'atto costitutivo di una società in accomandita semplice, prevedente ai fini dello scioglimento della stessa la facoltà di disdetta sei mesi prima dello spirare del termine fissato o dell'anno di proroga, va interpretata riconducendo tale causa di scioglimento alla fattispecie prevista dal n. 5 dell'art. 2272 c.c. (altre cause previste dal contratto sociale), non risultando viceversa riconducibile alla diversa fattispecie prevista dal n. 3 dello stesso articolo (volontà di tutti i soci); la disdetta che il singolo socio è facoltato ad effettuare nei termini fissati dall'atto costitutivo costituisce infatti un atto unilaterale del socio, di per sè sufficiente a determinare lo scioglimento della società, senza la necessità del compimento di tale atto da parte di tutti gli altri soci (Trib. Vibo Valentia, 13 marzo 1996). Venir meno della pluralità dei sociLo scioglimento della società, nell'ipotesi considerata dall'art. 2272 n. 4, non si verifica nel momento in cui viene meno la pluralità dei soci ma solo se (e quando) essa non sia ricostituita «nel termine di sei mesi» e che, quindi, essa avvenga, con effetto ex nunc, alla scadenza del sesto mese (Cass. I, n. 907/1984); e questo, anche se la società sia composta da due soli soci (Cass. I, n. 1916/1981). Pertanto, lo scioglimento di una società per morte di uno dei due soci che la componevano non ne determina in via immediata l'estinzione (che si verifica soltanto con l'esaurimento delle operazioni di liquidazione), né comporta il venir meno dell'autonomia patrimoniale della società, neppure se nelle more del procedimento di liquidazione o prima di esso, sopraggiunga anche la morte del socio superstite: onde, in siffatta ipotesi non si verifica confusione del patrimonio sociale con quello di detto socio e i creditori sociali hanno diritto ad essere soddisfatti sui beni costituenti il patrimonio della società con preferenza rispetto agli altri creditori, salvo a concorrere con questi ultimi, per l'eventuale eccedenza, sui residui beni dell'eredità, secondo l'ordine dei rispettivi crediti (Cass. I, n. 1916/1981: trattasi di orientamento consolidato sia nella giursprudenza di legittimità, Cass. n. 15622/2012 che nella giurisprudenza di merito, App. Roma 13 novembre 2020). Né, tanto meno, comporta alcuna modificazione soggettiva nella titolarità dei rapporti facenti capo alla società o il venir meno del contratto di locazione stipulato dalla società (Cass. I, n. 3269/2003). Anche la dottrina ritiene che gli affetti dello scioglimento per il venir meno della pluralità dei soci si producano solo alla scadenza dei sei mesi (Buonocore, 411 ss.; G.F. Campobasso). Pertanto, anche nella società di persone composta da due soli soci, ove la morte di uno di essi determini il venir meno della pluralità dei soci, lo scioglimento del rapporto particolare del socio defunto si verifica alla data del suo decesso, mentre i suoi eredi acquistano contestualmente il diritto alla liquidazione della quota secondo i criteri fissati dall'art. 2289 c.c., vale a dire un diritto di credito ad una somma di denaro equivalente al valore della quota del socio defunto in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si è verificato lo scioglimento (Cass. I, n. 10802/2009). In detta ipotesi non può riconoscersi un diritto degli eredi del socio defunto a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di liquidazione, anziché il controvalore in denaro della quota di partecipazione, in quanto lo scioglimento della società costituisce un momento successivo ed eventuale rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio e trova causa non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei mesi della mancanza della pluralità medesima (Cass. I, n. 8670/2000). Se, tuttavia, i figli minori del defunto, rappresentati dal genitore superstite, continuano effettivamente l'esercizio dell'impresa, la società non può considerarsi sciolta ai sensi dell'art. 2272 c.c., per non essere stata ricostituita la pluralità dei soci entro sei mesi, anche se in tale termine non sia intervenuta l'autorizzazione del tribunale alla continuazione dell'impresa commerciale (art. 320 c.c.), stante l'efficacia retroattiva da attribuirsi a detta autorizzazione successivamente concessa (Cass. I, n. 3220/1954, in cui si precisa, ulteriormente, che, se anche l'autorizzazione venisse a mancare del tutto, non sarebbe possibile, negare, alla effettiva continuazione dell'impresa da parte dei minori, i suoi effetti giuridici, in conseguenza delle contestazioni mosse al riguardo dall'altro socio, in quanto, ai sensi dell'art. 322 c.c., legittimati a proporre l'azione di annullabilità degli atti compiuti per i minori dal genitore superstite, senza la prescritta autorizzazione, sono soltanto il genitore stesso ed i minori medesimi). Tuttavia, nel senso che, nella società dei due soci, lo scioglimento si attua come «conseguenza immediata e diretta del fatto che lo determina e cioè della morte del socio che ha fatto venir meno la pluralità dei soci» (Cass. I, n. 6/1963). Ha altresì affermato la Cassazione che le società di persone non si estinguono per effetto del mutamento della composizione societaria (nella specie, per intervenuta cessione di quote), potendo il venir meno del rapporto sociale in relazione ad un socio concorrere con il mantenimento dell'identità della società (nella specie, ai fini dell'usucapione), mentre lo scioglimento della società discende dal venir meno della pluralità dei soci e dalla sua mancata ricostituzione entro il termine di sei mesi (Cass. I, n. 15622/2012). È stato ritenuto che nel caso di recesso di un socio da una società in nome collettivo composta da due soli soci, qualora quello superstite non abbia ricostituito la pluralità della compagine sociale decidendo al contempo di continuare l'attività aziendale come impresa individuale – così determinandosi lo scioglimento della società, a norma dell'art. 2272, n. 4, c.c. – non si realizza una trasformazione societaria ai sensi dell'art. 2498 c.c., ma solo una successione tra soggetti distinti, ossia tra colui che conferisce l'azienda (la società di persone in liquidazione) e la persona fisica che ne è beneficiaria (il socio superstite) (Cass. I, n. 496/2015). Ha affermato la Cassazione che la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi non determina l'estinzione, ma solamente lo scioglimento della società e la liquidazione e, pertanto, la massa dei rapporti attivi e passivi che facevano capo alla compagine sociale prima dello scioglimento conserva il proprio originario centro di imputazione (Cass. I, n. 27189/2014). È stato ancora statuito in tema di società in nome collettivo, che nel caso in cui, venuta meno la pluralità dei soci, sopravvenga il decesso dell'unico socio superstite che non abbia provveduto ai sensi dell'art. 2272, primo comma, n. 4, i suoi eredi, sebbene subentranti nel solo diritto alla quota di liquidazione e non già nella società, sono, comunque, legittimati a chiedere la messa in liquidazione di quest'ultima al fine di realizzare il menzionato loro diritto, che non può attuarsi se non attraverso tale procedura, e provvedere, altresì, a regolare la posizione degli altri soci (Cass. I, n. 14449/2014). Ha inoltre affermato la Cassazione che in caso di scioglimento di una società di persone per recesso di uno dei due soli soci, senza che la stessa sia dichiarata estinta, il fallimento del socio superstite, che abbia continuato l'attività sociale come imprenditore individuale, implica la dichiarazione di fallimento della società, il quale, pertanto, può essere esteso, a norma dell'art. 147 l.fall., all'altro socio in precedenza receduto (Cass. I, n. 2263/2015). Si è detto che una delle cause di scioglimento della società è la sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci, se la stessa non viene ricostituita nel termine di sei mesi. L'attesa semestrale della eventuale ricostituzione della pluralità dei soci può essere anticipatamente interrotta dalla scelta dell'unico socio rimasto di non trovare altri soci e di continuare l'attività come impresa individuale. In questo caso, non si può parlare di trasformazione in senso tecnico. L'assegnazione del patrimonio sociale residuo al socio superstite è un atto della società, sia pure l'ultimo, conclusivo della procedura di liquidazione e prodromico alla sua estinzione, con la conseguenza che sotto il profilo fiscale deve parlarsi di «assegnazione dell'azienda» al socio superstite e non di «cessione di azienda» dalla società all'impresa individuale (Cass. V, n. 3671/2007). In tema di società di persone composta da due soli soci, per effetto del coordinamento tra l'art. 2284 c.c. e 2272 n. 4 c.c., in caso di morte di un socio, la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi va considerata come condicio iuris priva di efficacia retroattiva, sicché in difetto di detta ricostituzione lo scioglimento della società si verifica alla scadenza del semestre in pendenza del quale il socio superstite, oltre ad optare per la ricostituzione, può scegliere tra le diverse alternative di cui all'art. 2384 c.c. (Cass. I, n. 9346/2018 in Giur, comm, 2021, 121 ss. con nota di depSerra). Clausole compromissorieMuovendo dalla considerazione che non possono formare oggetto di compromesso le controversie in materia societaria che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi, la Cassazione ha dichiarato non compromettibili le controversie riguardanti lo scioglimento delle società di persone, sul rilievo che esse costituiscono, sia sul piano sostanziale che su quello processuale un centro autonomo di rapporti intersoggettivi diversi e distinti da quelli facenti capo ai singoli soci (Cass. I, n. 12412/2000). E tale interpretazione è condivisa dalla giurisprudenza di merito secondo la quale non sono compromettibili e devolvibili al giudizio di arbitri le controversie riguardanti lo scioglimento della società di persone, la quale costituisce, sia sul piano sostanziale che processuale, un centro autonomo di rapporti intersoggettivi diversi e distinti da quelli facenti capo ai singoli soci (Trib. Milano, 14/02/2017). Scioglimento della società e fallimentoIn caso di scioglimento della società in nome collettivo in seguito a decisione dei soci, il fallimento della società (ed eventualmente dei soci) può essere dichiarato, ai sensi dell'art. 10 l. fall., sino a quando sia decorso un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese e non già dal mero verificarsi della causa di scioglimento atteso che questo è astrattamente revocabile con diversa volontà dei soci, e che, per quanto le cause di scioglimento operino di diritto, tuttavia, verificatasi una di esse, la società non si estingue automaticamente, ma entra in stato di liquidazione e rimane in vita sino al momento della cancellazione (Cass. I, n. 6692/2012). Nella società in nome collettivo il venir meno della pluralità dei soci determina, ai sensi dell'art. 2272 c.c., lo scioglimento della società ma non l'estinzione di essa,cosicché il socio superstite conserva la sua qualità di socio e, ove ne ricorrano gli estremi, è assoggettabile a fallimento unitamente alla società (App. Firenze I, 13 marzo 2010, n. 387). Cancellazione ed estinzione della societàSecondo la Cassazione, lo scioglimento di società in nome collettivo non comporta né l'estinzione della società stessa, la quale continua ad esistere, sia pure sostituendo lo scopo liquidatorio a quello lucrativo, né lo scioglimento del rapporto sociale inerente i singoli soci, i quali restano, pertanto, illimitatamente responsabili sino alla cancellazione della società dal registro delle imprese, decorrendo da tale momento il termine di un anno ex art. 10 l.fall. per la dichiarazione di fallimento in estensione dei medesimi soci, al pari della società (Cass. I, n. 18964/2013). La cancellazione della società di persone dal registro delle imprese ne determina l'estinzione (conseguente alla venuta meno della pluralità dei soci ex art. 2272, primo comma, n. 4 e 2308 c.c.) e la priva della capacità di stare in giudizio, operando un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente. Ne consegue che, in tale evenienza, i soci, subentrano anche nella legittimazione processuale già in capo all'ente estinto, determinandosi una situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (Cass. I, n. 24955/2013). In caso di società di fatto, in mancanza della procedura di liquidazione, che è soltanto facoltativa, l'estinzione della società si verifica per effetto della cessazione dell'attività sociale, in assenza di obblighi di iscrizione e cancellazione a carico della stessa (Cass. I, n. 7964/2017). Secondo la Cassazione, nel diritto societario riformato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la società semplice, cancellandosi dal registro delle imprese per chiusura della liquidazione, manifesta di non avere più interessi da tutelare come società, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione successivamente proposto dalla società medesima, non rilevando, in senso contrario, che, per la società semplice (non agricola), l'iscrizione nel registro delle imprese abbia mera funzione di pubblicità-notizia, anziché funzione di pubblicità dichiarativa volta a rendere opponibile ai terzi il fatto o l'atto iscritto (Cass. I, n. 17500/2012; nello stesso senso Fimmanò, 280). BibliografiaBuonocore, Società in nome collettivo, in Comm. Schleisinger, 1995; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994; Di Sabato, Manuale delle società, Milano, 2011; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; Fimmanò, Cancellazione ed estinzione delle società di persone, in Not. 2013, 280; Franchi, Scioglimento e liquidazione nelle società di persone, in Trattato delle società diretto da Donativi, 2022, Utet, I, 1971 ss.; Galgano, Le società in genere, le società di persone, in Trattato di Diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu. Messineo, Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2015; Ghidini, Le società personali, Padova, 1972; Serra, Società di persone con due soci e morte di un socio: note in tema di poteri del socio superstite e diritti degli eredi, in Giur, comm, 2021, 121 ss. |