Codice Civile art. 2274 - Poteri degli amministratori dopo lo scioglimento.

Lorenzo Delli Priscoli
Francesca Rinaldi

Poteri degli amministratori dopo lo scioglimento.

[I]. Avvenuto lo scioglimento della società [2272], i soci amministratori conservano il potere di amministrare, limitatamente agli affari urgenti, fino a che siano presi i provvedimenti necessari per la liquidazione [2275 ss.].

Inquadramento

Al verificarsi della causa di scioglimento della società la sfera di azione degli amministratori delle società di persone è circoscritta dal disposto dell'art. 2274 al compimento dei soli “affari urgenti”. La ratio alla base del dell'art. 2274 consiste nell'esigenza di evitare che i terzi, o anche gli stessi soci, possano subire un pregiudizio dal compimento di operazioni anche non nuove ma superflue, in costanza della liquidazione. Deve ritenersi, invero, che la competenza degli amministratori – che rimane congiuntiva o disgiuntiva a seconda di come originariamente convenuto -, in caso di scioglimento della società, è limitata al solo compimento delle operazioni connesse o strumentali ad operazioni già in essere, da effettuarsi senza ritardo al fine di evitare il prodursi di danni altrimenti certi alla società (Franchi, 1980).

 

È pacifico che dopo la deliberazione di scioglimento di una società di persone pure se non abbiano ancora avuto inizio le operazioni di liquidazione (per ostacoli di fatto o di diritto, come la pendenza di accertamento giudiziale sull'esistenza della causa di scioglimento), resta preclusa la possibilità per gli amministratori di esercitare poteri diversi da quelli previsti dall'art. 2274 c.c. (Cass. I, n. 3982/1980).

Si è perciò ritenuto che, dopo tale momento, gli amministratori non possano contrarre nuovi debiti, che non siano strettamente indispensabili alle operazioni liquidatorie e si traducano in nuove iniziative imprenditoriali con assunzione di nuovi rischi (Cass. I, n. 5190/1979), né procedere all'esclusione di un socio, atteso che la configurabilità di uno scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, con liquidazione della relativa quota, trova ostacolo nel passaggio della società in una fase diretta alla liquidazione di tutti i soci, con la ripartizione del residuo attivo, dopo l'estinzione dei debiti (Cass. I, n. 3982/1980). Più in generale si ritiene che l'art. 2274 c.c. espliciti l'applicabilità del principio generale della "prorogatio" dei poteri degli amministratori sino alla loro sostituzione, potendosi quindi affermare che all'amministratore revocato faccia capo la legittimazione alla presentazione dell'istanza di fallimento dell'ente (Cass. I, n. 13516/2021;  Cass. I  n. 34336/2022).

Deve ritenersi, per contro, che i prelevamenti da un deposito a risparmio rientrino negli affari urgenti che può compiere l'amministratore di una società dopo che ne è avvenuto lo scioglimento, ma prima che sia stato nominato il liquidatore, e a non diversa conclusione deve giungersi per il recupero dei crediti (Cass. I, n. 2233/1963).

Quando una società di persone sia stata sciolta, anche senza una dichiarazione formale, continuano a rappresentarla coloro che erano a ciò designati anteriormente allo scioglimento, come previsto, in via generale, dall'art.  2274 c.c. Per quanto attiene, più in particolare, alle società in nome collettivo, gli amministratori che abbiano avuto conferita la rappresentanza della società, conservano tale rappresentanza, fino all'eventuale nomina dei liquidatori, poiché la società – sia essa di persone o di capitali – non rappresenta, dopo il suo scioglimento, nella fase di liquidazione, un ente diverso da quello originario (Cass. I, n. 10027/1997).

La mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi, pur concernendo un elemento necessario del contratto di società (ed un tempo, prima che nel nostro ordinamento facesse il suo debutto la figura della società che si costituisce per atto unilaterale con l'art. 3 del d.lgs. n. 88/1993, emanato in attuazione della Direttiva 89/667, pure della nozione stessa di società), non produce alcun effetto sulla permanenza in vita della società, non ne determina in particolare l'estinzione, ma ne comporta unicamente lo scioglimento ovvero che essa, attraverso il procedimento di liquidazione, che fa seguito all'avverarsi di una delle cause di scioglimento previste dall'art. 2272 c.c., come avverte l'art. 2274 c.c. («Avvenuto lo scioglimento della società, i soci amministratori conservano il potere di amministrare, limitatamente agli affari urgenti, fino a che siano presi i provvedimenti necessari per la liquidazione»), liquidi il proprio patrimonio, adempia i debiti sociali (art. 2280 c.c.) e ripartisca l'eventuale residuo attivo tra i soci (art. 2282 c.c.). Solo una volta che i liquidatori abbiano proceduto al compimento di queste operazioni e, nel caso specifico, abbiano predisposto il bilancio finale di liquidazione (art. 2311 c.c., comma 1), lo abbiano depositato presso il registro delle imprese e questo sia divenuto definitivo per difetto di opposizione da parte dei soci (art. 2311 c.c., comma 2) potrà essere chiesta la cancellazione della società dal registro delle imprese (art. 2312 c.c., comma 1) e solo allora sarà lecito interrogarsi sulla sua sorte e chiedersi in particolare se essa continui ad esistere o non esista più (Cass. I, n. 27189/2014).

Se è vero che tutte le cause di scioglimento operano automaticamente (vale a dire di diritto) per il solo fatto che si sono verificate, è altrettanto vero che al verificarsi di una causa di scioglimento la società non si estingue immediatamente. Verificatasi una causa di scioglimento cessa soltanto la fase di gestione attiva (come si evince dall'art.  2274 c.c., i poteri degli amministratori sono limitati al compimento degli affari urgenti, fino a che siano presi i provvedimenti necessari per la liquidazione); la società non si estingue automaticamente, ma entra automaticamente in stato di liquidazione, continuando ad esistere soltanto in funzione della definizione dei rapporti pendenti. Con la liquidazione del patrimonio sociale si deve infatti provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, distribuendo, poi, fra i soci l'eventuale residuo attivo. Fino a quando i creditori sociali non siano stati soddisfatti e la società non sia stata cancellata dal registro dell'imprese, qualunque sia stata la causa che ha determinato lo scioglimento della società, questa non può considerasi estinta. Lo si desume (per la società in nome collettivo che viene in considerazione nel caso di specie) dall'art. 2312, comma 2, c.c. il quale dispone che «dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti (Cass. I, n. 15924/2006).

La Corte di cassazione in un caso analogo a quello descritto in precedenza ha affermato che la nascita di una impresa individuale, cui quella collettiva trasferisca il proprio patrimonio, non da luogo all'automatica trasformazione in impresa individuale della società sciolta, ma soltanto ad un rapporto di successione tra soggetti per natura distinti, sicché detta vicenda non preclude la dichiarazione del fallimento della società entro un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese (nella specie era stata dichiarata fallita una società disciolta, per mancata ricostituzione della pluralità dei soci a seguito di recesso di uno di questi, con assorbimento integrale del patrimonio della società nell'impresa individuate del socio superstite (Cass. I, n. 1593/2002).

Il compimento di affari «non urgenti»

L'individuazione degli effetti degli atti compiuti dagli amministratori eccedendo dai propri poteri così come determinati dall'art. 2274 c.c. è alquanto controversa. In più d'una occasione la Cassazione ha precisato che il verificarsi di una causa di scioglimento, pur non determinando l'estinzione della società, «che continua ad esistere con la stessa individualità, struttura ed organizzazione di prima», comporta tuttavia un restringimento della sua capacità, derivante dalla modificazione dello scopo, «che non è più quello dell'esercizio dell'impresa, bensì quello della liquidazione, attraverso la definizione dei rapporti di credito e di debito verso i terzi, per poter poi su quanto rimanga provvedere alla divisione secondo i patti contrattuali» (Cass. I, n. 1489/1971).

Corollario di queste affermazioni è che il divieto, imposto dall'art. 2279 c.c. ai liquidatori di compiere nuove operazioni, «non rappresenta altro, se non la proiezione d'una preclusione propria della persona giuridica, di cui i liquidatori sono organi» (Cass. I, n. 1489/1971). Di qui la conseguenza che l'atto compiuto dal liquidatore in violazione di tale divieto non sia riferibile alla società (v.sub art. 2279 c.c.).

Tutto lascerebbe pensare che, data la stretta analogia delle due ipotesi, dovrebbe giungersi alle stesse conclusioni anche per l'affare «non urgente» compiuto dall'amministratore nel caso previsto dall'art. 2274 c.c. (Campobasso, 120).

La Cassazione ha ritenuto che le due ipotesi debbano essere, invece, differenziate ed ha statuito che, a differenza di quanto accade in quella prevista dall'art. 2279 c.c., la società risponde, verso i terzi, delle obbligazioni derivanti dalle operazioni indebite compiute, dopo lo scioglimento, dagli amministratori, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti del danno eventualmente subito (Cass. I, n. 3371/1971).

La dottrina è, invece, generalmente propensa a ritenere che gli atti compiuti dagli amministratori violando il limite dell' urgenza sono atti posti in essere da rappresentanti senza potere e quindi non riferibili alla società, sempre che l'intervenuta causa di scioglimento sia opponibile ai terzi (per tutti, Campobasso, 120; Grippo, 195; Jaeger, Denozza, 195; Cottino, 250). Ciò comporta che, se la causa di scioglimento non è stata portata a conoscenza dei terzi «con mezzi idonei» secondo il principio generale stabilito dall'art. 1396 c.c. (o non debba, per altro verso, considerarsi da essi conosciuta nei casi in cui la società semplice sia assoggettata ad un regime di pubblicità legale: v. subart. 2251, nn. 1 e 12, c.c.), l'atto compiuto dall'amministratore eccedendo dai poteri previsti dall'art. 2274 c.c. sia vincolante per la società, salva la responsabilità dell'amministratore nei suoi confronti (G. Ferri, 228).

Di contro, nei rapporti interni, si afferma in dottrina, che la limitazione dei poteri non esige forme di opponibilità rendendo, quindi, gli amministratori che compiono atti in violazione dell’art. 2274 responsabili dei danni eventualmente arrecati ai soci (Franchi, 1981).

Sostituzione degli amministratori

Resta fermo che la sostituzione degli amministratori non avviene per il solo fatto dello scioglimento della società, ma occorre un apposito atto, onde essi, fino alla nomina dei liquidatori conservano la rappresentanza della società (Cass. I, n. 2233/1963).

Nel caso in cui non si proceda ad una formale liquidazione, la società, benché disciolta, continua pertanto ad essere rappresentata da coloro che erano a ciò designati, anteriormente allo scioglimento, in conseguenza le procure alle liti conferite dagli anteriori rappresentanti o amministratori conservano la loro efficacia (Cass. I, n. 5532/1977).

Bibliografia

 G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; Franchi, Scioglimento e liquidazione nelle società di persone, in trattato delle società, diretto da Donativi, Utet, 2022, Tomo I, 1971 ss.; Grippo, in Aa.Vv., Diritto commerciale, Bologna, 1993; Jaeger, Denozza, Appunti di diritto commerciale, I, Milano, 1994.

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